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Autore: SalazarSerpeverde    05/01/2014    1 recensioni
Il brutale omicidio di un semplice insegnante di storia londinese, porta il solitario detective Edgar Lyonel, sulla pista di qualcosa che ben presto si accorgerà essere più grande di lui.
[Dal capitolo primo - La vittima in questione era ancora seduta sulla sua sedia. Indossava un noioso completo beige in pieno stile insegnante e c’era ancora un’espressione terrorizzata sul suo volto snello.
La causa della sua morte era proprio li, al confine tra la fronte ed i suoi folti capelli castani e scombinati: un foro di proiettile gli aveva attraversato il cranio, perforato il cervello ed era uscito nuovamente fuori, conficcandosi nella lavagna appena dietro di se.]
SalazarSerpeverde
Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Edgar VS Darkness [III]
Edgar rilesse più e più volte quel messaggio apparso sulla pagina del block notes. Ma più lo rileggeva, meno ci capiva. Tutto faceva presagire che la persona che aveva scritto quel messaggio sul primo foglio del blocchetto che poi era stato strappato, fosse proprio Joe Wales, ma il motivo era ancora sconosciuto.
Edgar però non si scoraggiò, anzi, vide quel messaggio enigmatico come una fonte di luce in fondo ad un lungo tunnel. Quel foglietto poteva essere un indizio per far riaprire il caso Wales, ma al contempo c’erano le stesse probabilità che si trattasse di una frase scarabocchiata a perditempo, senza alcun significato particolare. Un appunto, magari.
Edgar però, non poté negare a se stesso quel brivido di eccitazione al ritrovamento di un enigma tale da risolvere. Passò tutto il resto della mattina a rifletterci su, senza risultati. Non trovava possibili collegamenti col suo omicidio, e nessuno aveva mai affermato che c’entrasse davvero qualcosa con l’omicidio dell’insegnante. Dopotutto perché qualcuno dovrebbe scrivere una cosa simile su un block notes? Joe Wales non sapeva mica della sua prossima morte, perché avrebbe dovuto seminare bricioline di pane sul percorso per la risoluzione all’enigma?
Il vecchio orologio a pendolo nel soggiorno scoccò le due del pomeriggio. Lo stomaco di Edgar era chiuso in una stretta morsa e non sentiva i morsi della fame in alcun modo. Ora come ora, avrebbe potuto resistere senza cibo per almeno una settimana. Ma sapeva bene che la mancanza di cibo avrebbe portato alla stanchezza, e la stanchezza non era ammessa con un tale compito da svolgere. Quindi si preparò un toast molto rapidamente prendendo delle fettine di pane un po’ indurite da un cartoccio nella dispensa e ci infilò dentro un po’ di formaggio che poi fece sciogliere nel tostapane. Il detective consumò in fretta il pasto. Ad ogni boccone, posava il sandwich nel piatto e tornava a tormentarsi su quel messaggio: La Luce Nelle Tenebre. Che cosa poteva significare? Qual era il bisogno di Joe Wales di scrivere una cosa simile su un foglietto ritrovato sulla scena del crimine? E poi aveva strappato lui il foglietto superiore su cui era stato scritto originariamente il messaggio? Se così non fosse stato, Edgar aveva la certezza che quel messaggio potesse essere un indizio, che anche stavolta l’assassino aveva portato con se. Terminato il toast tornò a sedersi su una disordinata poltrona in salotto, le mani congiunte, una vecchia lampada accesa sul tavolino davanti a se che illuminava la scritta ritrovata da Edgar.
Le ore continuavano a scorrere. Edgar non distoglieva lo sguardo dal biglietto nemmeno per sbattere le palpebre. Ben presto si accorse che le mura della sua casa non facevano altro che opprimerlo senza produrre risultati, e per Edgar c’era solo un altro posto dove poter pensare in santa pace oltre casa sua. Così facendo, prese il block notes e corse difilato in auto. Guidò per circa un quarto d’ora. Fortunatamente a quell’ora, Londra era sgombra del solito caos quotidiano. Poi ecco che il detective ferma l’auto non lontano dall’entrata del parco Primrose Hill, un’ampia collina verdeggiante che prende il nome dalle numerose primule che crescono sul suo suolo. Solitamente c’era molta gente a sostare nel parco, ma Edgar conosceva un posticino sempre stranamente tranquillo. Si trattava di una semplice panchina all’ombra di un pino sul limitare del parco, circondato da molti altri alberi. Solitamente le persone non si spingevano oltre l’ampio spiazzo verdeggiante all’ingresso. Camminando a passo spedito con la testa bassa ed il taccuino stretto tra le mani dietro la schiena, raggiunse la ‘sua’ panchina. Scostò con le mani un paio di foglioline seghettate cadute dall’albero soprastante e poi si sedette. Si stava davvero in pace seduti li. Edgar si sentiva così lontano da tutti eppure non era mai stato così vicino al resto del mondo. Era una sensazione che nemmeno lui riusciva a spiegarsi. Passata la prima mezz’ora senza ottenere risultati, il detective sollevò di poco lo sguardo verso l’orizzonte. Il sole stava cominciando a tramontare ed il cielo aveva assunto una gradevole sfumatura rosa-arancio. Dopo essersi stropicciato gli occhi, che ormai gli bruciavano per quanto erano rimasti focalizzati per troppo su un solo obiettivo, Edgar iniziò a sentire lo scalpiccio di piedi sulla soffice erba del parco. Si voltò e vide una giovane ragazza che teneva nelle mani una piccola bambina molto graziosa. Dagli zigomi facciali, Edgar notò subito che non erano inglesi. La bambina, a cui Edgar non diede più di sei anni, stringeva tra le piccole ed affusolate dita la corda di un aquilone azzurro che si librava alto nel cielo. Ma la bambina era troppo distratta a guardare in alto che nemmeno si accorse di essersi pestata il piede da sola, così cadde con un pesante tonfo per terra. “EMMA! STAI BENE?” urlò la donna, fermandosi di colpo. L’investigatore confermò così la sua ipotesi che le due non erano inglesi. Si alzò dalla panchina e si stiracchiò i muscoli. Poi raggiunse le due e si accovacciò con gentilezza sulla piccola, che sanguinava da un ginocchio.
“Chi è lei?” chiese la donna con fare protettivo nei riguardi della bambina, facendo sfoggio di un inglese davvero notevole.
“Aspetti, dovrei avere delle garze.” disse Edgar, e prese a controllarsi nelle tasche dell’impermeabile. Ne tirò fuori delle piccole bende sterilizzate ancora sigillate nella loro bustina di plastica. La donna lasciò fare al detective, che adesso puliva la ferita con dell’acqua, non avendo niente di meglio, poi la asciugò e strinse forte le bende attorno al ginocchio della piccola.
“Ecco fatto.” disse. “Sei davvero una brava bambina. Nemmeno un lamento.”
La donna prese in braccio la piccola e la portò sulla panchina dov’era seduto Edgar. Insieme iniziarono a parlare della loro ferita e la piccola iniziò a chiedere se era simile a quella inferta ad un uomo morto che aveva visto durante le indagini della mamma. Edgar ascoltava con molta attenzione. Non molte persone parlerebbero di cadaveri così schiettamente con la propria figlia.
“Lei è un poliziotto?” chiese Edgar in un italiano che lasciava un po’ a desiderare.
La risposta arrivò in inglese. Un inglese che faceva sfigurare il bizzarro accento italiano di Edgar. “Si. Ma siamo qui per delle indagini.”
“Oh, anche io sono un detective.” disse Edgar fissando dritto negli occhi profondi della donna.
“Scotland Yard?” disse lei, tenendo alta la gamba fasciata della piccola.
“Non proprio.” si limitò a dire Edgar.
Da allora iniziò una chiacchierata davvero molto ricostituente per Edgar. Scoprì di trovarsi molto in sintonia con quella donna italiana. Parlarono del loro lavoro, e del fatto che la bambina, di nome Emma, era stata adottata da lei, Victoria.
“E le indagini di questo suo caso come vanno?” chiese ancora Edgar.
“Si brancola nel buio purtroppo.” disse lei con una nota d’esasperazione nella voce. “Indagare è davvero stressante. Ci sono enigmi su enigmi da risolvere e alla fine non fai altro che trovarti al punto di partenza!” continuò ad inveire Victoria.
Edgar non poté far a meno di essere d’accordo, dato quel block notes che lo tormentava da ore ormai.
“Io credo che il segreto stia dal guardare una cosa da prospettive diverse. Non tutto si dimostra sempre essere quello che sembra alla fine.” cominciò Edgar fissando il cielo sempre più scuro. “A volte le cose hanno più vite. Anche gli oggetti. Prendi quella bottiglia di plastica.” indicò Edgar per terra. “Oggi quella è una bottiglia, ma domani potrà diventare della plastica per un quaderno.”
Ma la risposta di Victoria non arrivò subito. Anzi, non arrivò proprio. Negli occhi di lei si accese come un fuoco, poi balzò subito in piedi, come se si fosse seduta su un ago. Poi prese con gentilezza la mano di Emma ed iniziarono a correre via.
Dopo qualche metro, la donna si fermò e disse rivolgendosi ad Edgar: “Grazie di tutto! Abbiamo un caso da risolvere!”
Edgar sorrise. Non biasimò affatto la corsa improvvisa della donna. Probabilmente aveva avuto un lampo di genio. E quel lampo di genio doveva assolutamente venire anche ad Edgar, prima di raggiungere la pazzia interiore.
Così decise di seguire il suo stesso consiglio: guardare la cosa da un altro aspetto. Invece di restarsene li fermo a guardare un pezzo di carta che ormai sembrava odiarlo, avrebbe provato ad investigare seguendo un’altra pista. Tornò a casa con molta calma e ci restò per tutta la serata. Per quello che doveva fare, aveva bisogno che fosse mattina.
Così Edgar tentò di dormire, e quella mattina si svegliò. Aveva avuto un sonno molto disturbato. Immagini di sangue, pezzettini di carta e pistole gli erano passate davanti agli occhi dalle due (orario in cui era andato a letto) alle quattro del mattino, quando si era svegliato.
In quel primo mattino fece le cose con molta calma. Doveva andare a Scotland Yard, e certo non avrebbe trovato Derryl a quell’ora assurda. Scoccarono le sette. La colazione di Edgar consistette in una crosta del toast mangiato il giorno prima, abbandonata sul tavolo.
Prese con se il block notes e si diresse verso la sede della polizia inglese. Occhiaie violacee ripresero a comparire sotto gli occhi del detective. Un folto accenno di barba pungente iniziava a ricoprirgli il volto ed i suoi capelli sudaticci iniziarono a cadergli sulla fronte. Arrivato a destinazione, percorse a memoria il percorso che portava allo studio di Derryl Bright.
Lo trovò seduto con aria stanca sulla solita sedia girevole. Una sigaretta già mezza consumata tra le labbra e la schermata del suo vecchio computer fissa su una e-mail, che lo stesso Derryl cancellò appena l’investigatore arrivò nel suo ufficio senza bussare.
“A chi scrivevi?” chiese Edgar con interesse.
“Non sono affari tuoi. Cosa vuoi di prima mattina?” rispose brusco Derryl. Di mattina non era certo un modello di gentilezza e cordialità.
“Sono venuto a chiedere informazioni riguardo all’omicidio di Joe Wales.” rispose Edgar con tranquillità.
Ma quelle parole fecero irritare non poco Derryl, che subito iniziò ad inveire contro Edgar, non badando al tono di voce.
“Ancora insisti? Il caso è chiuso. STOP. BASTA! L’abbiamo archiviato. Ed a meno che non possiedi un indizio rilevante, non lo riapriremo certo perché non ti sta bene lasciare le cose a metà!” urlò Derryl sputacchiando saliva e fumo.
Edgar rispose con tono sempre calmo: “In realtà, sulla scena del delitto c’era questo block notes. Ricalcando a matita vengono fuori dei segni di un messaggio scritto dalla vittima in precedenza. Vedi? Dice: La Luce Nelle Tenebre.”
“E con questo?” lo interruppe Derryl. “Sulla lavagna c’erano anche annotazioni su Shakespeare, ma non ci mettiamo mica ad indagare il perché quel giorno quel povero Cristo stesse spiegando appunto Shakespeare! Lascia stare Edgar. Se proprio non ti sta bene avere la mente libera, pensa a trovare il movente della morte della signora Valerie South.” continuò Derryl porgendogli un fascicolo.
Edgar lo sfogliò per qualche secondo, poi lo rigettò sulla scrivania dicendo con indifferenza: “Lei tradiva suo marito. Lui è venuto a saperlo e si è vendicato. Sempre le solite cose.” poi fece un finto sbadiglio.
TSK!” esclamò Derryl. “Comunque rassegnati, non troverai altro che pazzia se continuerai a seguire le indagini su Wales.”
Edgar uscì sdegnato dall’ufficio. Non aveva alcuna intenzione di darsi per vinto, soprattutto dopo aver visto di quali casi banali avrebbe dovuto occuparsi se avesse smesso di indagare su quello Wales.
Si stropicciò gli occhi stanchi ed iniettati di sangue, poi si diresse alla scuola dove insegnava la vittima. Notò da subito che era ancora chiusa per lutto. Fuori al cancello principale vide una tendina viola che incorniciava un manifesto che diceva: Joe Wales. Riposa in pace. I tuoi studenti ed i tuoi amici ti ricorderanno per sempre.
All’interno dell’ampio parcheggiò trovò solo poche macchine che appartenevano ad alcuni bidelli ed alcuni membri della segreteria didattica, che lavoravano anche con il lutto.
Ma per il compito che doveva svolgere Edgar non c’erano bisogno gli studenti, quindi meglio che non ci fosse troppa gente tra i piedi. Salì le scale che già un paio di giorni prima aveva salito quando avevano ritrovato il cadavere. L’aula in cui era morto era stata pulita dal sangue. La lavagna era stata cambiata ed ovviamente il corpo era stato rimosso. Adesso sembrava banale come le altre. Si diresse allora verso la segreteria scolastica e si rivolse alla prima persona che gli capito sott’occhio.
“Come posso aiutarla?” chiese una donna sulla quarantina che scriveva dei dati al computer. Dalla faccia sembrava leggermente sconcertata, probabilmente per l’aspetto trasandato di Edgar, ma mantenne la sua diplomazia senza scomporsi troppo.
“Detective Edgar Lyonel. Potrebbe per favore rispondere ad una mia domanda riguardo a Joe Wales?” chiese con rigidità.
La donna a quel punto smise di armeggiare con i suoi dati al computer e rivolse la completa attenzione all’investigatore. “Dica pure.”
“Sa forse dirmi se la vittima che faceva parte del vostro corpo docenti, era solito dimostrare comportamenti strani, sospetti od inusuali?” domandò Edgar strizzando gli occhi.
“Strano che mi faccia questa domanda, detective Lyonel. In effetti il docente di storia Wales, nell’ultima settimana sembrava diverso.” rispose la donna con tranquillità.
“Si spieghi meglio.” disse Edgar, ormai completamente catturato dalle parole della signora.
“Come dicevo. Negli ultimi giorni aveva sempre l’aria stanca e affaticata. Non sembrava dormire molto e sempre più spesso si tratteneva dopo le lezioni nella biblioteca della scuola, a volte anche per ore. Chiunque gli chiedesse cosa faceva, riceveva una risposta vaga accompagnata da una risatina nevrotica e poi cercava sempre di cambiare argomento.” spiegò esaurientemente la segretaria.
“E lei conosce il motivo delle sue frequenti visite in biblioteca?” chiese ancora il detective.
“No. Come le ho detto è stato molto riservato in questi giorni.” rispose la donna con un sospiro.
“Io credo che il professor. Wales abbia lasciato qualche indizio riguardante la sua morte. Lei crede che in qualche modo possa avere a che fare con la vostra biblioteca?”
La segretaria squadrò per un attimo gli occhi di Edgar, poi disse: “Non credo. Penso che il povero Joe andasse sempre in biblioteca perché è una delle poche aule a cui si può accedere una volta finite le lezioni. Inoltre, le persone che lo vedevano non hanno quasi mai accennato al fatto che stesse leggendo un libro. Forse non voleva semplicemente tornare a casa.”
“La ringrazio della disponibilità.” sbottò Edgar dopo qualche lungo minuto di riflessione, poi fece per alzarsi e percorrere il breve corridoio della segreteria per uscire.
Le parole della segretaria non avevano convinto molto Edgar, anche se c’erano buone probabilità che avesse ragione. Ma dato che ormai era in quella scuola, che cosa gli costava controllare la biblioteca?
Si diresse quindi a rapidi passi verso una porta con sopra una targhetta che diceva: Biblioteca. Fare silenzio.
Edgar girò lentamente la maniglia d’ottone e notò con sua gioia che non c’era nessuno. Senza gente tra i piedi avrebbe pensato meglio e nessuno l’avrebbe disturbato di certo. La biblioteca del St. George si presentava come un’enorme aula rettangolare. Il pavimento era rivestito dalle stesse mattonelle stile ‘lastricato’ dell’intero istituto. A pochi metri dall’ingresso c’erano grossi scaffali in legno alti circa cinque metri. Gli scaffali erano tutti di legno ed erano tutti stipati di vecchi libri, contrassegnati dal genere. Dopo la prima fila di scaffali c’erano diversi tavolini dove si riunivano gli studenti solitamente.
Edgar restò per circa un’ora a girovagare tra quegli scaffali, cercando di notare qualcosa di insolito. Nemmeno lui sapeva dire cosa in realtà, ma il detective non rinunciava mai al suo istinto ed anche al suo orgoglio. Se infatti ha pensato che ci fosse qualche indizio nascosto in quella biblioteca, gli risultava difficile ammettere di avere torto. Era fatto così.
Ma anche l’orgoglio più grande si deve arrendere di fronte all’evidenza. Non c’era niente in quella biblioteca. Niente se non migliaia di libri e volumi scolastici. Edgar però decise di rimanere ancora, anche se era per puro intrattenimento. Doveva rilassarsi e sciogliere i mille pensieri che gli affollavano la testa. Solo un libro giallo poteva soddisfarlo al meglio.
Attraversò quindi tutta la biblioteca e si fermò al reparto ‘Gialli e Polizieschi’ su cui aveva buttato gli occhi già parecchie volte durante la sua perlustrazione. Scorse con gli occhi tutti i titoli di uno dei ripiani più bassi: Orchidee Nere... Uno Studio in Rosso... Morto Che Parla... La Luce Nelle Tenebre...     
  
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