13) Confusing As Hell
“Dobbiamo parlare”.
Daria
alzò gli occhi dal proprio piatto per fissarli sulla
ragazzina dai capelli
ricci che la scrutava a braccia conserte. La Serpeverde si
lasciò sfuggire un
sorriso di fronte alla posa “minacciosa” della
sorella minore. Non fece
domande, annuì semplicemente, poi, in inglese,
specificò. “Dopo cena. Ora vatti
a rimpinzare per bene. Sei dimagrita troppo e sai che non ti fa bene,
mostriciattolo”.
La
Grifondoro scrollò le spalle, indifferente.
“Il cibo qui fa schifo.
Non riesco
a mangiare questa roba”.
La
maggiore sorrise un po’ esasperata. Avevano avuto quella
conversazione un
centinaio di volte. “Sono solo sapori diversi, cucciolo. Devi
farci
l’abitudine”.
“Non accadrà mai. Come si ci
può abituare a
quella roba?” Chiese, indicando con una smorfia
disgustata il cibo nel
piatto della sorella.
“Non
puoi continuare a non mangiare. Se vai avanti così la nonna
finirà col
cruciarmi”. Daria sospirò: in un modo o
nell’altro quella ragazzina riusciva
sempre ad averla vinta. In ogni caso
dovrei essere fiera di me. Ho resistito fino ad ora. Mi sa che ho
stabilito un
nuovo record. Pensò mentre si preparava a darle
ciò che l’altra voleva e
cercava di ottenere da due mesi. “Domani ti
preparerò io qualcosa da mangiare”.
Al
sorriso esultante, vittorioso dell’altra, la Serpeverde si
lasciò scappare un
ghignetto: aveva già previsto quella svolta negli eventi. Solo perché te l’ho data
vinta, non vuol dire che lascerò che le cose
vadano come vuoi tu, sorellina. “Ti
preparerò un pasto al giorno, tutti i
giorni… A patto che tu faccia una colazione abbondante e un
pranzo o una cena
da almeno due portate, tutti i giorni”.
“Lo farò”.
Promise la più piccola con un sorriso angelico e falso
quanto l’oro dei
Lepricani.
“Oh
ne sono certa. Ho chiesto a Jam e Fred di assicurarsene”. La
informò con un
sorriso luminoso che urlava “fregata!” in tutte le
lingue a lei note. “Adesso
fila, impiastro. Ci vediamo dopo cena”.
Daria
represse una risata all’espressione sorpresa e affranta della
sorellina, che si
allontanò lanciandole un’ultima occhiataccia.
“Ahi
ahi, italiana, quella sì che è
un’occhiata che promette ritorsioni!”
“Prepara
un Aguamenti, quella era un’occhiata di fuoco.”
“Forse dovrei.
Marta sa essere pericolosa.”
Moira
le lanciò uno sguardo pensieroso, poi disse
“Comunque c’è una cosa che non
capisco: siete entrambe italiane ed entrambe conoscete bene
l’inglese, allora
perché quando comunicate lo fate usando due lingue
diverse?”
“È
una sorta di guerra interna.” All’occhiata confusa
dell’amica spiegò: “Lei è
convinta che non abbia senso parlare inglese tra noi, visto che la
nostra
lingua madre è l’italiano. Io invece penso che sia
scortese parlare la nostra
lingua quando è presente anche solo una persona che non la
capisce.”
“Sì”
Cominciò Rose con tono serio “Il fulcro del
problema su cui Voldemort e Silente
litigarono. Era una storia del Cavillo… Proprio una
questione della massima
importanza insomma!” Concluse scoppiando a ridere.
“Io
invece credo che sia interessante”.
Moira
gli tirò una pacca giocosa sulla
spalla “Ma tu non conti Dave!”
“E
perché mai?” Chiese l’altro con aria
offesa.
“Tu
trovi interessante tutto ciò che
riguarda le dinamiche tra fratelli, anche le liti per decidere chi deve
cacciare gli gnomi da giardino!” Disse Moira liquidandolo con
un gesto della
mano e strappando una breve risata alle altre due ragazze.
“Non
è colpa mia se sono figlio unico e
ho sempre voluto un fratello.”
“E
io che credevo che tu e Scorpius
foste come fratelli… Avrò frainteso la natura del
vostro rapporto.”
“No
che non hai frainteso Mo’!” Protestò
Dave con un sorriso.
Daria
smise di prestare attenzione allo
scambio di battute tra i due, per spostarlo sulla ragazza che le sedeva
accanto. Rose era diventata stranamente pensierosa e piluccava
distrattamente
le carote che aveva nel piatto.
Chissà
perché ogni volta che qualcuno nomina Scorpius, lei cambia
umore.
Le
stava nascondendo qualcosa di grosso.
Tutto ciò che Daria sapeva era semplicemente frutto delle
sue deduzioni.
L’amica non le aveva mai raccontato niente, né del
bacio ad Halloween, né delle
altre cose che erano successe tra lei e il biondo. Perché
era assolutamente
certa che ne fossero accadute di cose tra quei due, solo che non aveva
idea di
quali.
E
non è che possa obbligarla a parlarne. Sarebbe troppo
ipocrita da parte mia,
visto che anche io le sto nascondendo parecchio.
Detestava
quella situazione. La
detestava con tutte le sue forze, ma non poteva parlarle di quel che le
stava
succedendo. Non poteva. Non ci sarebbe mai riuscita anche se avesse
voluto. E
non lo voleva.
Un
serpente che si morde la coda.
“D.
se devi parlare con tua sorella non
dovresti sbrigarti a finire di mangiare?” Lei
sollevò gli occhi blu ad
incontrare quelli azzurri di Rose. Annuì sovrappensiero e
cominciò ad
ingozzarsi. La mente tutta concentrata a trovare un modo per risolvere
quella maledetta,
incasinata situazione.
***
“Sicura
di aver mangiato?” chiese
Daria alla sorella minore entrando in un’aula vuota.
“Perché
non lo chiedi a quei due scimmioni dei tuoi amici?”.
Marta la seguì nella
stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
“Qualcuno
qui ha passato del tempo con Lily ultimamente”.
Le rivolse un
sorrisetto divertito mentre andava a sedersi sulla cattedra
impolverata. Poi
estrasse la bacchetta e mormorò un incantesimo di
insonorizzazione. “Se, come penso,
hai intenzione di discutere
di affari di famiglia, la prudenza non è mai
troppa”. Spiegò all’occhiata
sorpresa della sorella minore. “Allora,
scricciolo? Qual è il problema?”
“Non
stai dicendo la verità”.
“Eh?”
“Sappiamo
tutte e due che non può essere stato il tuo sesto senso a
permetterti di
salvare Albus Potter l’altro giorno. E sono sicura che tu non
abbia fatto
ricorso all’eredità sensoriale per identificare
gli aggressori”.
Daria
sospirò, pesantemente. Sapeva che
sua sorella non se le sarebbe bevuta, ma aveva sinceramente sperato che
lasciasse stare. Evidentemente si era illusa.
“Marta,
se non ne ho parlato con nessuno, mi sembra chiaro che si tratti di un
argomento che non voglio trattare”.
“Ma
io sono tua sorella!” ribattè
l’altra con foga. “E sono
l’unica in questo umido paese a conoscerti davvero, a sapere
cosa voglia dire essere come noi, cosa voglia dire davvero essere te.
So che c’è qualcosa che
non quadra e non
posso fare finta di niente!”
“Dovresti,
invece. Senti scricciolo, ti voglio bene con tutta la mia anima, lo
sai. Non ti
può bastare? Non puoi fare come ti chiedo e lasciar stare?
Va tutto bene,
davvero.”
“Ho
una teoria.” Fece,
invece, lei, ignorandola e proseguendo imperterrita. “Non può essere stato il nostro sesto
senso, né la tua eredità
sensoriale, né quella generica… mi viene in mente
solo un’altra possibilità…”
Daria
gelò sul posto. Non era possibile
che sua sorella fosse giunta subito proprio a quella
conclusione.
“Non
è che hai sviluppato la terza?”
Daria
si calò in viso una maschera calma
e serena. “Sai che non è
possibile,
mostriciattolo. Ci vogliono decenni e decenni di studi per riuscirci e
solo
pochi di noi alla fine la sviluppano. Certo io ho ottime
possibilità di farcela,
un giorno, ma di certo non ora”.
“Magari
hai trovato il tuo kleis…”
L’altra
le sorrise. Era sorprendente il
fatto che il ragionamento della sorella stesse seguendo esattamente le
stesse
tappe che avevano seguito i suoi pensieri, quasi un mese prima. Solo che non è possibile. Ci deve essere un’altra spiegazione.
“Sai benissimo
che non ho quel tipo di rapporto con nessun Erede”.
“Un
altro mago allora? Uno normale?” tentò
la più piccola, sempre meno
convinta.
Daria
si obbligò ad emettere una risata.
E poi si maledisse per la propria idiozia. Non era forzata, ma nemmeno
divertita e naturale. “Questa
sì che è
una bella teoria, sorellina”. Vide
l’espressione di Marta farsi
improvvisamente sospettosa. “Essere
Kleides è una condizione reciproca di due Eredi,
l’uno nei confronti dell’altro,
lo sai bene quanto me. Un’erede non può avere per
Kleis un mago normale”.
Marta
però assottigliò gli occhi. “Mmmm… chi è stato
l’ultimo ragazzo che hai
baciato?”
Daria
emise un gemito esasperato. Non
avrebbe tradito ancora le sue vere emozioni: prima di quella maledetta
risata
sua sorella era sembrata sul punto di mollare la presa. “Sei
proprio una vera Grifondoro tu, eh? Testarda fino alla morte. Se
proprio lo vuoi sapere, anche se non sono fatti tuoi, sorellina,
l’ultimo
ragazzo che ho baciato è stato Paolo Gennari, più
di un anno fa. E ti assicuro
che non siamo l’una il Kleis dell’altro.”
La
Grifondoro la guardò con un certo
sospetto e Daria alzò gli occhi al soffitto esasperata,
allunò un bracciò per
afferrarla e abbracciarla. Quando le cominciò a
scompigliarle i boccoli
castani, Marta si divincolò dalla sua presa indispettita,
strappandole una
risata.
“Avanti,
impiastro, smetti i panni dell’investigatore e ritorna a
indossare quelli della
sorellina spacca-boccini che ti riesce molto meglio”. La
sorella le
fece una linguaccia, mentre lei
levava
l’incantesimo insonorizzante dalla stanza e si rimetteva in
piedi,
spolverandosi la gonna. “Dai, cosa
vuoi
per pranzo domani?”
“Lasagne!”
Sorrise
ed aprì la porta dell’aula. “E
lasagne siano”.
“Daria?”
“Sì?
“Me
lo dirai cosa succede, vero?”
“Quando
l’avrò capito, cucciolo”.
***
Guardò
sua sorella allontanarsi su per le scale che l’avrebbero
portata alla sua sala
comune, poi ruotò su se stessa e si diede una rapida
occhiata intorno: cercava
Al. Non lo trovò, ma individuò Scorpius, che
stava camminando verso le scale,
con Christine Baston attaccata al braccio.
L’indifferenza
che aveva sempre provato nei confronti della bionda, era stata
sostituita, nell’ultimo
periodo, da una strana compassione. Non sapeva bene per cosa, ma il suo
sesto
senso sembrava dirle che era giusto essere dispiaciuta per lei.
E
qualcos’altro mi dice che la cosa ha molto a che fare con Scorpius.
Gli
rivolse un sorriso smagliante e sventolò una mano per
attirare la sua
attenzione. Lui, notandola, le sorrise a sua volta.
Quel
ragazzo la confondeva. Sentiva che i suoi comportamenti contraddittori
degli
ultimi tempi – come baciare Rose e poi mettersi con la
Baston, o guardare Rose ogni
volta che lei non se ne poteva accorgere e continuare a stare con la
Baston –
non erano poi così immotivati e irragionevoli. Era
abbastanza sicura che la
soluzione fosse quasi scontata, a portata di mano. Le sarebbe bastato
pochissimo per capire, ne era certa. Le mancavano solo alcuni tasselli
fondamentali, le tessere che le avrebbero permesso di completare il
puzzle ed
avere finalmente una chiara visione sulla situazione.
C’erano
solo due persone ad avere tutti i pezzi che le servivano: Scorpius e
Rose.
Sospirò mentalmente. Uno non glieli avrebbe forniti nemmeno
sotto tortura, mentre
l’altra avrebbe richiesto una lunghissima e contorta opera di
persuasione.
“Hei!
Sai dov’è Mini-Potter?”
Il
ragazzo biondo annuì. “È ancora in sala
grande. A battibeccare con James”.
Aggiunse con un ghigno.
“Lasciami
indovinare: sul suo inesistente amore per me?”
“Magari
non è più così inesistente…
essere salvato da morte certa mi sembra più che
sufficiente per far sbocciare l’amore”.
Obbiettò lui, prendendola in giro.
Daria
rabbrividì. “Ti prego non scherzare”.
Lui
scoppiò a ridere. “Non mi sembra una prospettiva
così terribile!”
“Ah
no? Guarda, mi è venuta la pelle d’oca!”
Fece lei sollevando la manica del
maglioncino e quella della camicia. Il ragazzo continuò a
ridacchiare e lei gli
scoccò un sorriso luminoso. “Beh, ci si vede in
giro, Hippie”. Salutò,
iniziando ad allontanarsi in
direzione della Sala Grande.
“Come
mai chiamato scusa?” Chiese lui con espressione vagamente
inorridita.
Il
sorriso della ragazza assunse una nota leggermente derisoria.
“Hippie da
Hyperion. È il tuo nuovo soprannome, ti piace?”
Il
Grifondoro rabbrividì poi scosse il capo un po’
contrariato e un po’
sconsolato, mentre la ragazza accanto a lui iniziava a ridacchiare.
“Tu sei
tutta matta, De Lupo”.
Lei
gli rivolse un ultimo sorriso luminoso, angelico e allo stesso tempo un
po’
canzonatorio, prima di incamminarsi verso la Sala Grande.
Incrociò Albus
proprio mentre usciva, mani in tasca ed espressione esasperata.
“Tu!”
Esordì lei a voce ben alta, attirando la sua attenzione,
insieme a quella di
tutti gli studenti nelle vicinanze. In due falcate azzerò la
distanza tra loro
e disse, con tono appena più basso: “Dobbiamo
parlare”. Poi
lo afferrò per un polso e lo trascinò via
senza dargli il tempo di ribattere.
Quando
furono in un corridoio poco frequentato e Daria fu certa
dell’assenza di occhi
e orecchie indiscreti, la ragazza interruppe la sua marcia. Trasse un
profondo
sospiro e, fissando con molta attenzione un vecchio arazzo stinto e
mangiucchiato dalle tarme per non guardare l’amico, disse,
tutto d’un fiato.
“Quel bacio. Non significava nulla per te, vero?
Perché ne sono sicura al 99%
ma prima di trarre un sospiro di sollievo volevo essere sicura di
quell’un percento
che mi manca. E non pensare di mentire perché me ne
accorgerei subito. Ah, in
ogni caso, qualunque sia la tua risposta, sappi che è un
comportamento
veramente discutibile baciare una ragazza quando questa è
incosciente e non ti
può rifiutare e…”
Al
le posò le mani sulle spalle, interrompendo il suo
concitato, febbrile
monologo. “Respira”.
Un sorrisetto
divertito gli spuntò sulle labbra, senza però
riuscire né a cancellare o a né a
nascondere del tutto il suo leggero imbarazzo. I suoi occhi chiari
erano, come
al solito, uno specchio fin troppo fedele delle sue emozioni.
Daria
incrociò le braccia al petto, contrariata. “Non mi
hai ancora risposto”.
“Non
me ne hai dato il tempo!” Obbiettò lui, con uno
sbuffo esasperato. Le levò le
mani dalle spalle poi continuò. “Comunque hai
ragione . Conclusione azzeccata,
come al solito”.
Daria
sorrise raggiante a quella risposta, confermata dal suo battito
cardiaco
inalterato. “Meraviglioso”. Lui le rivolse
un’occhiata perplessa, forse un po’
contrariato dalla sua reazione. “Beh.. sarebbe stato un
casino e l’avresti data
vinta a James”.
Lui
sgranò gli occhi verdi, realizzando la cosa. “Hai
ragione di nuovo. È proprio
meraviglioso”.
Era
veramente, profondamente sollevata. Non poteva, né voleva
innamorarsi. Soprattutto non di lui,pensò
mentre lo
osservava ciarlare senza rendersi conto che lei non lo stava
più ascoltando. Renderebbe
solamente tutto più complicato e
la mia vita è già abbastanza incasinata
così com’è.
E
poi era una promessa che si era fatta da bambina: uscire dai sette anni
di
Hogwarts col cuore intatto e inviolato. Ormai gliene mancavano meno di
due.
Sarà
come bere
un bicchier d’acqua.
***
***
Rose
era terribilmente confusa. Anzi no. “Confusa” era
un eufemismo.
Rose
Weasley aveva capito di non capire una pluffa di quello che stava
succedendo.
Ormai non riusciva nemmeno più a far finta di niente: il
comportamento di
Malfoy era assolutamente incomprensibile e, se c’era una cosa
che Rose odiava
più di tutte, quella era non capire.
Il
giorno prima, Malfoy aveva continuato a tenerla stretta a sé
fino a che il
tremore non era cessato e la sua mente era ritornata lucida…
beh tanto lucida,
quanto poteva esserlo la testa di una ragazza tra le braccia del
ragazzo per
cui provava una profonda, irresistibile attrazione fisica.
Lui
era rimasto lì, a stringerla saldamente: una mano,
abbandonata alla base della
sua schiena, disegnava intricati arabeschi sul suo maglioncino, mentre
l’altra,
poggiata sulla sua nuca, le accarezzava rassicurante i capelli rossi.
Era
una sensazione meravigliosa. Qualcosa a cui, decisamente, non era
abituata.
L’unico
uomo ad averla mai confortata era suo padre e l’ultima volta
che era successo
Rose era ancora una bambina. In quegli ultimi cinque anni aveva
permesso solo a
due persone di aiutarla e confortarla: sua madre e Daria. Ed ora, dopo
tutto
quel tempo, aveva lasciato che fosse proprio lui a tenerla assieme,
impedendole
di andare in pezzi.
Lui!
Scorpius Malfoy!
Il
ragazzo che aveva odiato e demonizzato per anni. Quello che era capace
di farla
incazzare meglio e più velocemente di chiunque altro. Lo
stesso ragazzo da cui,
negli ultimi tempi, aveva realizzato essere attratta, come un
Dissennatore
dalla disperazione umana.
Rose
sbuffò esasperata e rotolò sul materasso fino a
fissare gli occhi azzurri sul
baldacchino del letto su cui era
accasciata – no, non sdraiata, no stare sdraiata
implicava un livello di
vitalità minima che lei, quella sera, proprio non aveva.
Non
lo capiva. Perché un ragazzo che la odiava, quanto era certa
lui odiasse lei, e
che aveva fatto così evidentemente scopo della propria
esistenza quello di
tormentarla e rendere impossibile la sua, avrebbe dovuto offrirle aiuto
e
conforto proprio nel momento in cui ridurla in frantumi sarebbe stato
più
facile?
Ok,
era vero che Malfoy non aveva mai dato segno di volerla ferire col suo
atteggiamento, solo farla incazzare come una belva, ma da lì
all’aiutarla ci
passava un oceano intero in mezzo.
Perché
sarebbe arrivato a calpestare il proprio orgoglio, supplicandola e
dandole
persino il permesso di obliviarlo, pur di poterla aiutare?
Aveva
detto di non poterla vedere in quello stato…
perché? Voleva forse essere lui a
ridurla così? Per qualche strana ragione non pensava fosse
quello il caso..
anche quando ancora si
lanciavano
maledizioni in giro per i corridoi non c’era mai stata tra
loro quella
cattiveria che porta a gioire del dolore e delle sofferenze altrui. E
poi le
era sembrato veramente a pezzi… come se vederla
così fosse qualcosa di
insopportabile per lui… perché?
Il
rumore della porta del dormitorio che si apriva e richiudeva la
distolse
temporaneamente dai suoi pensieri. Pochi secondi dopo Daria la raggiunse e si accasciò
sul letto al suo fianco.
Nemmeno lei sembrava avere il minimo di forza di volontà e
di vitalità che un
termine come “sdraiarsi” richiedeva, no
“accasciarsi”era sicuramente più
adatto. L’amica non sembrava intenzionata a parlare e Rose
tornò passivamente
alle proprie riflessioni.
Non
l’aveva obliviato. Quando si era ripresa e aveva recuperato
il controllo su se
stessa aveva scelto di non farlo. Un po’ perché
lei non era una tale smidollata
da non essere in grado di prendersi le responsabilità delle
sue azioni: fossero
queste state compiute nel pieno delle suo facoltà mentali
oppure no, lei ne
avrebbe affrontato le conseguenze, non sarebbe scappata. E
poi… non le era
sembrato giusto. In quel momento pensare di obliviarlo le era sembrato
sbagliato, ingiusto nei suoi confronti.
Sbuffò
ancora, a pieni polmoni e, sta volta, Daria si unì a lei.
Dopo qualche secondo
l’italiana bofonchiò: “Rosie.. se mia
sorella viene a farti delle domande tu
non risponderle, ok?”
Rose,
confusa, si tirò a sedere per guardare l’amica.
“Marta? E cosa mai dovrebbe
chiedere a me?”
L’altra
scrollò le spalle. “Non so. Cose su di
me… tu menti ed evita le domande
d’accordo?” Le rifilò
un’occhiata perplessa e Daria spiegò:
“Penso che potrebbe
provare ad impicciarsi in situazioni che non la riguardano. Lo fa
perché pensa
di aiutarmi, ma…”
“Ma
a te dà fastidio”. Completò Rose per
lei. Era una cosa che poteva capire, il
non volere aiuto. Tornò a sdraiarsi sul letto.
“Svicolerò e ti farò sapere cosa
chiede”.
“Grazie”.
Rispose l’italiana e Rose la sentì trarre un
profondo respiro, poi, senza
voltarsi a guardarla e senza spostarsi, disse piano: “So che
c’è qualcosa che
non va, che riguarda Scorpius e che non me ne vuoi parlare”.
La
Weasley si irrigidì e tenne gli occhi ben fissi sul
baldacchino verde del
letto, senza vederlo davvero. “E quindi?”
“Quindi
niente. Solo... lo so. E non andrò in giro a fare domande ad
altri per
impicciarmi negli affari tuoi. Quando vorrai sarò qui. Ci
sono sempre stata e
sempre ci sarò”.
Per
qualche minuto restarono lì sdraiate l’una accanto
all’altra, immobili a
fissare la stoffa verde. Rose annuì rigida, pur sapendo che
l’amica non la
poteva vedere, poi allungò la mano ad afferrare la sua e le
strinse piano le
dita in un muto ringraziamento.
***
***
Era
seduta su uno degli immensi davanzali interni delle finestre del
castello, la
schiena appoggiata al vetro freddo, in grembo le teste di James e Fred.
I due
idioti avevano ingaggiato un’estenuante battaglia
all’ultimo bernoccolo per
decidere chi avesse il diritto di usarla come cuscino.
La
Serpeverde diede uno schiaffetto sulla fronte a ciascuno. “O
la fate finita o
vi affatturo! Etchù!” concluse la minaccia con
quello che doveva essere il
milionesimo starnuto della giornata.
“Non
finirà fino a che Fred non ammetterà di non avere
diritto a stare qui e non si
leverà dai piedi!” Fece James incrociando le
braccia al petto, cocciuto come un
bambino.
“Semmai
dovresti essere tu a levarti dai bolidi!” Al che la lotta a
suon di testate
riprese come prima, scatenando l’ilarità degli
altri ragazzi.
La
Serpeverde sbuffò esasperata e sollevò la
bacchetta. “Pietrificus Totalus”. I
due cugini si immobilizzarono e Daria abbassò la mano.
“Ah. Finalmente un po’
di quiete”.
“Non
guardarci così James, tanto non vi aiutiamo”.
“Ve
la siete cercata. Mago avvisato…”
Cominciò Lorcan Scamandro.
“Mezzo
salvato”. Concluse per lui il gemello, Lysander.
I
due Corvonero erano amici d’infanzia dei fratelli Potter e di
tutti gli
Weasley, di conseguenza erano diventati anche suoi amici. Da qualche
tempo a
quella parte, da quando lei ed Al avevano smesso di ignorarsi ed erano
diventati amici, i ragazzi l’avevano inserita nel loro
bizzarro gruppo di soli
maschi.
“Esattamente”.
Convenne l’italiana stiracchiandosi. “Cosa stavate
dicendo ragazzi?” Nonostante
la sua domanda, la Serpeverde prestò solo parziale
attenzione alla discussione
degli altri. D’altronde, fintanto che il discorso verteva su
quanto fosse figa
la ragazza con cui Lorcan aveva un appuntamento, l’unico
commento che poteva
fare era: “Scorpius, ma tu non sei impegnato? Voglio dire..
non dovresti
astenerti dal commentare le doti
fisiche di questa Tassorosso?”
Lui
le rivolse il solito ghignetto da playboy che faceva sciogliere
metà della
popolazione femminile di Hogwarts, ma che non aveva il
benché minimo effetto su
di lei.
Il
mio migliore
amico è James Sirius Potter, l’ex-playboy numero
uno della scuola. Ho
sviluppato una certa immunità.
“Beh
il fatto che io sia impegnato non vuol dire che non possa usare gli
occhi”.
“Allora
sei davvero fortunato. A non essere impegnato con me o una delle mie
amiche,
ciascuna di noi sarebbe perfettamente in grado di cavarteli, gli
occhi”.
Rispose lei con voce calma, quasi dolce, fatta eccezione per la nota
velenosa
con cui pronunciò le ultime tre sillabe.
“Ma
Chris non lo sa. E quello che lei non sa…”
Cominciò Lysander.
“Non
può fare del male né a lei, né,
soprattutto a lui”. Concluse Lorcan, mentre
Scorpius batteva il cinque a lui e al gemello.
La
ragazza sbuffò sollevando gli occhi al soffitto, mentre Dave
scuoteva il capo
esasperato e Al le sorrideva comprensivo. Decise di lasciar cadere la
conversazione: non era il caso di arrabbiarsi per qualcosa che Scorpius
non era
ancora in grado di comprendere. Aspetta di
stare con una ragazza di cui sei davvero innamorato, poi ne riparliamo,
caro il
mio dongiovanni.
Era
contenta di passare un po’ di tempo con i suoi amici maschi e
di fare parte
della loro combricola eterogenea. La metteva sempre di buon umore,
anche quando
facevano i loro stupidi commenti maschilisti perché poteva
farsi del gran
ridere a loro spese. E poi era meno impegnativo che stare con delle
ragazze:
Daria dubitava che sarebbe mai riuscita a reggere per lunghi periodi di
tempo
un gruppo di sei o sette ragazze, solo ragazze, mentre non aveva mai
avuto
problema con quella compagnia di scimmioni.
Certo
dopo un
po’ sento la necessità di tornare tra i miei
simili, gli esseri dotati di
cervello. Meglio noti come ragazzE.
La
cosa più divertente in assoluto poi era sapere di essere a
conoscenza dei loro
segreti o di cose che nemmeno loro sapevano su loro stessi. Tutto
questo,
nonostante fosse l’ultima arrivata.
Sapeva
della cotta mastodontica di Lily per Lorcan e di quanto Lys,
l’unico ragazzo a
conoscenza della cosa, fosse terrorizzato all’idea che Jam e
Fred lo
scoprissero. Sapeva che Lysander era bisessuale, che l’ultima
volta che si era
ubriacato aveva baciato Fred e che l’altro non se lo
ricordava.
Era
a conoscenza del bacio tra Scorpius e Rose e dell’amore di
Dave per la ragazza.
Sapeva degli sforzi di Jam per farsi conoscere da Meg e delle
insicurezze che
lei e solo lei gli creava. E, infine, di Al sapeva tante cose, che era
abbastanza
certa il ragazzo non avesse raccontato a nessun altro, tranne forse
Scorpius. Come
il bacio-incidente, o quello che le
aveva rubato mentre dormiva, o, ancora, le vere ragioni che lo avevano
spinto a
lasciare Viperanda ad Halloween.
Alcuni
di quei segreti erano innocui, ma la gran parte, se scoperti, avrebbero
causato
un bel po’ di casini.
A
ben pensarci
non è molto divertente. E la mia è una situazione
abbastanza scomoda. Quando
verranno fuori, perché prima o poi vengono sempre fuori,
dovrò difendermi da un
bel po’ di accuse e dare parecchie spiegazioni.
Sospirò
e tornò nel mondo reale, accorgendosi solo in quel momento
che qualcuno aveva
liberato Fred e James dal suo incantesimo. Poi sentendosi osservata
notò un
gruppo poco omogeneo di ragazze che la fissavano, cariche
d’odio. Non poté fare
a meno di ascoltare la loro conversazione e incominciare a ridacchiare.
“Sembra
che la mia posizione di indegna arrampicatrice sociale che cerca di
fregare
James sia peggiorata ulteriormente”. Cominciò a
spiegare a beneficio degli
altri. “Questa subdola mangia uomini è riuscita ad
arrivare vicino a tutti gli
scapoli d’oro di Hogwarts, ma non temete le vostre
disinteressate ammiratrici
stanno già cercando un modo per salvarvi dalle mie
grinfie”.
“Stai
scherzando”.
“Ah
no. Secondo una corrente d’opinione, a mio parere molto
interessante e che
ultimamente sta avendo parecchio successo, io sarei anche il motivo per
cui Al
ha lasciato Viperanda, mentre tu, Scorpius, avresti cominciato ad
uscire con la
Baston solo per non far sapere ad Albus e James che abbiamo una storia
segreta…
vero, pasticcino?” Concluse facendo l’occhiolino al
Malfoy e lanciandogli un
bacio.
I
ragazzi scoppiarono a ridere per l’assurdità di
quei pettegolezzi. “Beh non si
può dire che le ragazze di questa scuola manchino di
fantasia”.
“Vero?
È un talento considerevole”.
“Di
sicuro non corriamo il rischio di annoiarci”.
“A
proposito.. mi è venuta un’idea per farci due
risate. Oggi ti devi allontanare
a braccetto con Lor e Lys e fare un bel giro per il castello, domani io
ti
verrò a prendere a lezione e a cena improvviserò
una litigata con James, mentre
tu esci dalla Sala Grande accompagnata da Dave”.
“Fred!
Questa si chiama crudeltà!” Obbiettò
lei, ridendo.
“No”.
La corresse Lorcan. “Si chiama cogliere
un’opportunità. Noi ci stiamo”.
James
annuì a sua volta, con un ghigno. “A patto che sia
ben chiaro a tutti che Daria
è di mio fratello”.
“Ancora
con sta storia, Jam?! Siamo amici, solo amici!”
“Esatto!
Non siamo innamorati, né abbiamo intenzione di
esserlo!”
“Io
ci sto!” Fece Dave con un sorrisetto molto Serpeverde e
ignorando come tutti
gli altri le accorate proteste di Albus e Daria.
“E
io voglio partecipare”.
“Qualcosa
mi dice che non ci ascolta nessuno, De Lupo”.
“è
colpa di tuo fratello. Ha fatto il lavaggio del cervello a tutti.
Etchù!”
All’ennesimo starnuto, la ragazza diede un altro scappellotto
alle teste dei
due ragazzi che l’avevano presa per un cuscino.
“Alzatevi forza. Devo andare da
Meg”.
“Eh?”
“E
come mai?”
La
ragazza si soffiò rumorosamente il naso. “Mi pare
evidente che mi sto
ammalando. Di nuovo. Però prima di allarmare la Lones,
voglio farmi dare
un’occhiata da Meg”.
James
annuì. “Mi ha detto di voler lavorare al San Mungo
in futuro. Ha già iniziato a
studiare medimagia, vero?”
“Sì
già da più di un anno ed è molto
brava. In più è una Nata-babbana e, che ci
crediate o no, il 75% delle malattie che mi prendo sono
babbane”. Si alzò in
piedi e cominciò ad allontanarsi, poi si voltò e
rifilò a ciascuno di loro un
sorrisetto canzonatorio. “Potete pure smetterla di fare piani
per far impazzire
le nostre amate pettegole. Non parteciperò in nessun
caso”. Detto questo si
diresse con calma verso il dormitorio dei caposcuola, sorda alle
lamentele
degli amici.
***
***
“Ehi
Al!” Rose alzò un braccio per farsi vedere dal
cugino, che stava uscendo in
quel momento dagli spogliatoi . “Com’è
andato l’allenamento?” Chiese, quando il
ragazzo l’ebbe raggiunta insieme a James e Fred. Con la coda
dell’occhio scorse
suo fratello Hugo farle solo un cenno di saluto e affrettarsi a
dileguarsi. La
Serpeverde storse il naso, scrutando il fratellino con sospetto:
qualcosa le
diceva che stava per combinarne una delle sue.
“Che
ci fai qui, Rose?” Le domandò James, prima che
Albus potesse risponderle.
“Tranquillo
cugino. Non sono qui per spiare i vostri allenamenti: ti ricordo che
abbiamo
già giocato contro di voi”.
“E
ricordami chi ha vinto, cuginetta?”
“Voi”,
tagliò corto Rose, alzando gli occhi al cielo.
“Comunque, come stavo dicendo,
non sono qui per gli allenamenti e nemmeno per voi”.
Spostò gli occhi sul
cugino moro. “Anche se già che ci sono ne
approfitto per comunicarti che Daria
vorrebbe che andassi a trovarla in infermeria, Al”. Poi,
prima che James
potesse indignarsi per non aver ricevuto lui l’invito o
esaltarsi perché Daria
voleva vedere suo fratello, spiegò: “Vitious ha
comunicato la natura della
prossima prova”.
“Come
mai è in infermeria?”
“Cosa
le è successo?”
“Ce
l’ha spedita Meg. Pare abbia un po’ di influenza, o
qualcosa del genere”.
Fred
sospirò con finta esasperazione e posò le braccia
sulle spalle dei due fratelli
Potter. “Su ragazzi. Non dovete andare nel panico. Ce
l’ha detto lei stessa
prima, non vi ricordate?”
“Vero.
Vado subito da lei, grazie Rosie”.
“Veniamo
con te fratellino. Voglio controllare come sta, ma non temere, diamo
giusto
un’occhiata e poi vi lasciamo soli”.
Rose
sentì Al sbuffare rumorosamente, mentre Fred iniziava a
spingerli via, e le
scappò un risatina. Poi lui voltò il capo nella
sua direzione e le chiese: “Tu
non vieni?”
La
Serpeverde scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli rosso
fuoco.
“Aspetto Malfoy. Anche noi dobbiamo discutere una
strategia”.
“Beh,
allora cerca di essere paziente. Scorpius… non è
molto di buon umore al
momento”.
Rose
alzò le spalle con indifferenza. Almeno si spiegava come mai
suo cugino fosse
arrivato senza di lui.
Quando
uscì dallo spogliatoio, Malfoy non la notò
subito, il che le diede il tempo di
rivolgergli una lunga occhiata valutativa. Le ci volle un instante per
capire
che Al aveva ragione. Il ragazzo biondo aveva il solito aspetto
ingiustamente
magnifico che portava tutti i suoi ormoni a tentare
l’ammutinamento, ma la
linea della mascella, normalmente rilassata nel suo tipico sorrisetto
strafottente, era dura e tesa e la postura della schiena era
più rigida del
solito. Le faceva prudere le mani nell’inaspettato ed
incomprensibile desiderio
di massaggiargli le spalle fino a scioglierne la tensione.
Piantala
Rose!
“I
tuoi cugini sono già andati via”. La sua voce le
suonò fredda, quasi scontrosa
ed accusatrice.
“Lo
so. Stavo
aspettando te.” Fece lei con
tono tranquillo, quasi dolce. “Vitous mi ha comunicato la
natura della sfida e
mi piacerebbe discuterne assieme”.
Da
quando in qua era lei quella diplomatica e conciliante e lui quello
scostante e
freddo? Non che Malfoy fosse mai stato pacato e accomodante, ma in
genere era
lei quella fredda e di cattivo umore e il Grifondoro quello che
riusciva, in un
modo o nell’altro, a farli uscire dalla situazione senza che
uno finisse ad
Azkaban e l’altro all’obitorio. Sta volta Rose
aveva l’impressione che quel
ruolo sarebbe toccato a lei.
Malfoy
sbuffò. “Come vuoi tu, Weasley. Tanto si fa sempre
e solo quello che vuoi tu”.
Si
impose di non lasciare che la malignità nella sua voce la
ferisse. Non distolse
lo sguardo da quello freddo del ragazzo, ma chiuse a pugno la mano
destra,
stringendo e stropicciando un lembo della gonna tra le dita. Con la
sinistra si
scostò dal viso una ciocca di capelli mossa dal vento
ghiacciato. “Allora forse
è meglio se ci spostiamo al coperto. Questo freddo mi sta
uccidendo”. Tentò
con un piccolo sorriso.
“Dovevo
tornare al castello con la mia ragazza,
Weasley. Mi concedi per lo meno di informarla di questo cambio di
programma?”
Lei
annuì piano, sforzandosi di lasciare il sorriso tranquillo
al suo posto. Era
faticoso. Impedire che la cattiveria con cui pronunciava quelle frasi
le
facesse del male, si stava rivelando sempre più difficile.
Approfittò
di quella manciata di minuti per chiamare a sé quel
po’ di calma e serenità che
sperava sarebbe bastato a farla uscire da quella conversazione tutta
intera,
fuori e, soprattutto, dentro. Non era abituata ad un Malfoy
così evidentemente
prono a farle del male e non riusciva a capacitarsi di come gli fosse
possibile
ferirla.
Mentre
camminavano in silenzio fianco a fianco diretti al castello, Rose si
rese conto
di volere il solito Malfoy, quello che parlava in continuazione,
tentava in
tutti i modi di farle saltare i nervi e non smetteva mai di prenderla
in giro. Era
un bisogno intenso, quasi un dolore fisico. Una malinconia straziante
che le
contorceva lo stomaco e le faceva bruciare gli occhi di frustrazione,
rabbia e
desiderio.
Come
sei
melodrammatica, Rossa. È solo di cattivo umore, non
l’hanno mica sostituito con
un clone. E poi che diritto hai di sentirti così? Non
è che voi due aveste mai
avuto chissà che tipo di rapporto. Piantala di lamentarti. La
voce della sua
coscienza, quel giorno, suonava stranamente simile a quella di Moira.
Sospirò
e gli lanciò un’altra occhiata, mentre varcavano
il grosso portone di legno. Fu
allora che notò che il ragazzo aveva tenuto le mani in tasca
per tutto il tempo
e in quell’atteggiamento c’era qualcosa che proprio
non le tornava.
“Malfoy.
Fammi vedere le mani”. Fece perentoria, rinunciando alla
diplomazia. Era
inutile visto che non c’era per niente portata.
“È
un ordine Weasley?”
“Esatto”.
Lui
fece un ghigno cattivo e strafottente. “Non prendo ordini da
nessuno, Weasley.
Specie non da te”.
“Come
vuoi”. Fece Rose, scrollando le spalle e riprendendo a
camminare, indifferente.
Ogni sentimentalismo momentaneamente
accantonato. Poi, dopo una decina di passi, gli afferrò un
polso con un
movimento rapido che l’altro non poté
né prevedere, né, tantomeno, schivare.
Tirò la mano destra del ragazzo fuori dalla tasca dei
pantaloni e si soffiò una
ciocca di capelli via dal viso, per potere avere una visuale migliore.
Il
dorso della mano all’altezza delle nocche era coperto da una
garza macchiata di
sangue rosso scuro e in un paio di punti da qualcosa di giallognolo,
che Rose
sperava ardentemente non essere pus.
“Non
sei mai andato a farti medicare”. La sua era
un’affermazione, non una domanda e
Malfoy non le rispose. “Razza di incosciente
masochista”.
Era
evidente che le sue mani fossero peggiorate notevolmente dalla partita,
avvenuta quattro giorni prima. Se non ricordava male quello era il
secondo
allenamento dei Grifondoro da allora, il che voleva dire che Malfoy si
era
allenato per due volte da quando si era ferito e Rose sapeva bene
quanto
qull’incosciente doveva aver sforzato le sue povere mani.
Avrebbe
voluto trascinarlo in infermeria, ma era certa che il Grifondoro non
sarebbe
stato per niente d’accordo e in un confronto basato sulla
sola forza fisica
sapeva di non avere alcuna speranza. Non sarebbe riuscita a trascinarlo
proprio
da nessuna parte contro la sua volontà. Visto che
l’infermeria, il piano A, era
da escludere si sarebbe dovuta accontentare del piano B.
Strinse
con più forza il polso del ragazzo tra le proprie dita,
impedendogli di
ritrarsi, e tirò la mano più vicina a
sé. Estrasse la bacchetta e rimosse le
bende con un solo, fluido movimento, ignorando bellamente le proteste
del
biondo. Quando le bende si sciolsero, cadendo a terra, Malfoy diede uno
strattone più forte dei precedenti, cercando inutilmente di
liberarsi dalla
presa d’acciaio della ragazza.
Lei
sbuffò scocciata e gli pestò un piede con forza,
strappandogli un’imprecazione.
“Sta’ fermo, Malfoy. Sto cercando di
medicarti”.
“Non
lo voglio il tuo aiuto, Weasley”.
“Non
mi pare che tu mi abbia lasciato molta scelta l’altra volta.
Sai come dicono i
babbani? Chi la fa l’aspetti”.
“Se
lo stai facendo per ringraziarti, risparmiatelo. Non ti ho aiutata per
avere la
tua gratitudine”.
Rose
sbuffò seccata ed esasperata e spostò la sua
attenzione al dorso della mano.
Sentì un piccolo brivido scenderle lungo la schiena, mentre
ne constatava le
condizioni. Ci aveva visto giusto: sotto la crosta aveva cominciato a
formarsi
del pus. “Non lo faccio per quello, Malfoy”.
“Giusto.
Cosa stavo pensando? Rose Weasley non si abbasserebbe mai a ringraziare
me”. Se
l’era immaginata o nel tono del ragazzo, nascosta dietro
tutta quella
malignità, c’era una punta di dolore? Per un
attimo le era sembrato un animale
ferito che graffia e ringhia spinto da rabbia, rancore e dolore.
“Cos’è allora?
L’idea di essere in debito con me ti disgusta tanto da
costringermi ad
accettare un aiuto che non voglio?”
Se
l’era immaginato. Rabbia e rancore c’erano eccome,
ma dolore? No di quello non
c’era traccia, almeno non del genere che pensava e sperava
lei.
“Ti
ricordo che nemmeno io volevo il tuo, Malfoy”. Fece,
continuando a studiare il
dorso della sua mano. “E sì. In parte è
questione di sdebitarsi. In genere non
mi piace essere in debito con gli altri. Non importa che sia tu. Ma non
è solo
per quello.. anzi direi che lo sdebitarsi c’entra solo in
minima parte.” Alzò
gli occhi azzurri su quelli grigi, incatenando il suo sguardo a quello
del ragazzo,
perché certe cose andavano dette guardando l’altra
persona dritta negli occhi.
Sentiva il cuore rimbombarle nel petto con un rumore assordante e
faceva fatica
a deglutire, ma tenne gli occhi ben fissi su quelli del Grifondoro e
pregò che
la sua voce non facesse trapelare il nervosismo, che la vicinanza
dell’altro le
causava. “Io non volevo il tuo aiuto. Ero sicura che non mi
servisse e,
soprattutto, non lo volevo. Tu,
però,
non mi hai dato retta. Mi hai tenuta insieme quando minacciavo di
spezzarmi e mi
hai dato qualcosa a cui aggrapparmi quando le mie forze non bastavano
più a
tenermi in piedi. Mi hai tirata fuori da una situazione difficile, ci
sei stato
quando più ne avevo bisogno… è tanto
sbagliato voler fare lo stesso per te?”
Non
distolse lo sguardo da quello del ragazzo nemmeno per un secondo,
quindi poté
vedere tutte le reazioni di Malfoy alle sue parole. I suoi profondi
occhi
grigi, così freddi e duri all’inizio, si erano
lentamente riempiti di stupore
e, adesso che stava assimilando il significato del suo discorso, Rose
vide
affiorare qualcos’altro. Qualcosa che non riusciva bene ad
identificare o
capire, ma l’intensità di quello sguardo era
inconfondibile e sapeva di
desiderio. Metteva a durissima prova il suo autocontrollo. Riuscire a
non abbassare
gli occhi, sostenere il peso di quello sguardo senza dare retta
all’istinto,
agli ormoni e ai più svariati muscoli del suo corpo che la
imploravano di
saltargli addosso stava richiedendo tutta la sua forza e tutta la sua
concentrazione. Non aveva mai fatto nulla di così difficile
in tutta la sua
vita. Non aveva mai provato nulla di simile in tutta la sua vita.
Doveva
stemperare l’atmosfera, se non voleva fare qualcosa di cui si
sarebbe pentita.
“E poi ora siamo compagni di squadra e tra compagni si ci
aiuta, no?” Gli
rivolse il miglior sorriso rilassato che riuscì a stamparsi
in viso.
Malfoy
annuì piano, non ricambiò il sorriso, ma i suoi
muscoli finalmente cominciarono
a distendersi, la linea tesa delle sue spalle si ammorbidì e
Rose poté
allentare la presa sul suo polso. Ritornò ad osservare le
nocche escoriate
girando lentamente la mano del ragazzo per avere una visione migliore.
Passò
piano, dolcemente le dita fredde sulla pelle arrossata e lo
sentì rabbrividire
leggermente. Avvicinò la punta della bacchetta alle zone
offese e cominciò a
mormorare formule magiche.
Non
era un’esperta di incantesimi curativi come Meg, ma, essendo
lei Rose Weasley,
degna figlia di Hermione Granger in Weasley e, quindi, affamata di
sapere,
alcune conoscenze generali sugli incantesimi di base le aveva. Era
abbastanza
per disinfettare e pulire i tagli e fasciarli di nuovo in bende pulite.
Terminato
con la mano destra, si dedicò a quella sinistra, che verteva
in condizioni
leggermente migliori. Il silenzio del corridoio deserto era turbato
solo dai
suoi sussurri e dai loro respiri. Se Daria fosse stata presente
avrebbe, però,
potuto sentire anche il battito leggermente accelerato del suo cuore.
Chissà
se anche a lui
il cuore sta battendo in modo irregolare? Scosse
appena il capo e si lasciò
sfuggire un debole sbuffo.
Non
sono cose che
dovrebbero interessarti, Rossa. E comunque sia ne dubito fortemente. Di
nuovo la voce di
Moira rimetteva in riga i suoi pensieri.
Proprio
come farebbe
quella vera. Pensò
con affetto.
“Ho
finito” Dichiarò qualche minuto dopo, lasciando
andare la sua mano. “Non è
niente di speciale, ma almeno non dovrebbero più
infettarsi”. Sollevò lo
sguardo su di lui e continuò con tono pratico:
“Daria tra le sue scorte
personali dovrebbe avere un unguento che toglie
l’infiammazione e velocizza la
cicatrizzazione. Più tardi te ne porto un po’. Se
riesco a trovarlo”.
Puntualizzò con un sorrisetto esasperato.
Lui
le rivolse uno sguardo divertito e comprensivo al tempo stesso.
“È molto
disordinata, vero?”
“Non
immagini neanche quanto”. Rispose lei con una certa enfasi.
Era grata che
l’umore di Malfoy sembrasse migliorato.
“È atroce. Una cosa spaventosa”.
“Io
ho il problema opposto. Al ha una vera ossessione per
l’ordine”.
“Mmm
mmm, me lo ricordo. Zia Gin dice sempre che è più
efficiente di un’intera
equipe di elfi domestici”.
Lui
si aprì in un sorrisetto divertito. “Proprio non
capisco come le venga in
mente”.
Era
il primo sorriso che le rivolgeva e Rose dovette imporsi, per la
milionesima
volta, di non saltargli addosso. Istinto cui si stava abituando, per
quanto
controvoglia. Era diventata bravissima a reprimerlo senza
pietà, nascondendolo
dietro il proprio miglior sorriso scanzonato. Il genere di sorriso che
di
solito le assicurava il pieno accesso alla camera da letto del ragazzo
di
turno. Ovviamente questo non era il caso di Malfoy.
“Allora
Rose” Cominciò
lui, dopo una manciata
di secondi si silenzio. La solita espressione beffarda dipinta in
volto.
“Dimmi: in cosa consisterà la sfida?”
“Ti
avviso, Malfoy, non ti piacerà e ci vedrà
penalizzati”. Lui la guardò
palesemente confuso e Rose sospirò.
“Cos’è che proprio non sai
fare?”
“Nulla,
Weasley. Non c’è nulla che io non sappia
fare”. Rispose il Grifondoro, col
prevedibile sorriso strafottente.
“Davvero?
Non ti viene in mente nemmeno un piccolo punto debole? Ti do un
indizio: ha a
che fare con la geografia”. Lui assottigliò lo
sguardo, arrivando a
comprendere. “Esatto. Una prova
d’orientamento”.
***
***
La
porta dell’infermeria si chiuse alle spalle di Al con un
tonfo sordo e Daria si
abbandonò contro il cuscino, tirando un po’
più in su le coperte e cercando di
ignorare i continui borbottii infastiditi della sorella nel letto
accanto.
Quando Meg aveva confermato che sì, si era presa una bella
influenza, si era
diretta immediatamente in infermeria, spedendo l’amica a
cercare Marta. La sua
sorellina aveva sempre avuto la tendenza a sottovalutare i loro
naturali
problemi di salute.
“Hai
sentito
mamma e papà ultimamente?”
Chiese giusto per fare conversazione. Lei scriveva
ai genitori una volta a settimana per tenerli aggiornati sulla sua
vita. Il
resto della corrispondenza, quasi giornaliera, che si scambiava con suo
padre
non aveva nulla di personale, erano tutte solo questioni ufficiali.
“Ho scritto alla mamma tre giorni fa, ieri mi
è arrivata la sua risposta e sta mattina le ho mandato la mia”.
Daria era
molto sorpresa: sapeva che l’altra sentiva i genitori un
po’ più spesso, ma di
certo non pensava che scrivesse loro così
spesso. “Mi sa che potrebbe
arrivarti una
Strillettera. Ho chiesto espressamente a ma’ di non
mandartene una, ma penso
che potrebbe non darmi retta.”
“E come mai dovrebbe mandarmene una, scusa?”
Chiese la maggiore assolutamente confusa.
Marta
abbassò lo sguardo sulle proprie mani, un leggero rossore
sulle guance. “Le ho detto di quello
che è successo alla
partita”.
“Tu COSA?”
La
più piccola, provocata dal suo tono alzò il viso
e incrociò le braccia al
petto. “Quando ho scritto la prima
lettera ho aggiunto un piccolo paragrafo in cui gli raccontavo degli
sviluppi
del caso, ma dalla loro risposta ho capito che non ne sapevano niente,
così
nella lettera di sta mattina ho scritto un racconto dettagliato di
ciò che era
successo. Comunque la colpa è tua in primo luogo per non
aver detto niente”.
Daria
era esterrefatta. E incazzata nera. “Come
Zeus ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?!
C’è un motivo se non
gliel’ho detto io!”
“Sono
i nostri
genitori! È loro diritto sapere quello che ti succede. Tu e
il tuo stupido
desiderio di privacy. Sei la più grande, ma ti comporti come
una bambina!”
“Stupido
desiderio di privacy? Mi comporto come una bambina? Non ti rendi
nemmeno conto
di quello che hai combinato, meno male che tu sai cosa vuol dire essere
me!”
“Lo
so invece! Lo
so eccome. Tu invece…”
Daria
la interruppe prima che potesse concludere. “Ah
lo sai? Ti avevo sottovalutata, allora. Non pensavo che volessi
così tanto
andartene da Hogwarts”.
“No
che non me
ne voglio andare! Cosa c’entra adesso? Stai solo cambiando
discorso”.
“No,
sorellina
niente affatto. Cosa pensi che succederà quando nostra madre
informerà il resto
della famiglia di quanto accaduto? Come pensi che reagiranno sapendo
che non
solo nella mia scuola c’è stato un tentativo di
omicidio, ma che l’obbiettivo
era un mio amico e che il mandante è in libertà e
non è stato nemmeno identificato?”
Quando
la più piccola non rispose, Daria continuò:
“Te lo dico io come: mi
obbligheranno a lasciare immediatamente la
scuola. E per non sbagliare la faranno lasciare anche a te”.
“N-non
puoi
esserne certa. Non è detto che…”
“Invece,
sì. Sai
benissimo quanto gli anziani del consiglio e i membri del senato siano
restii a
lasciarmi continuare a frequentare Hogwarts, da quando ho battuto Luca
e quanto
vogliano convincermi a tornare permanentemente in Italia non appena
avrò
compiuto diciassette anni. Pensi che non sfrutteranno
l’occasione? Senza
contare la crisi di panico che scatenerà il sapermi
così vicina ad un tentativo
di omicidio”. Daria
guardò la sorella distrattamente per un paio di secondi.
Giusto il tempo di
decidere la sua prossima mossa.
Si
alzò da letto, infilò le pantofole e si
avvicinò alla porta dell’ufficio di
Madama Lones.
“C-cosa
fai?” Le chiese Marta con voce spezzata.
“Mi
metto in contatto con nostro padre. Questa partita non l’ho
ancora persa”.
Buona
epifania a tutti!
In
questo capitolo c’è un sacco di Marta
e di informazioni su Daria. Qualcuno è riuscito a mettere
insieme i pezzi e a
svelare qualcuno dei suoi misteri?
Vi
ricordate l’extra di BTW che avevo
scritto qualche tempo fa? Le due one-shot POV Al e Scorpius?
… beh, ho deciso
di continuare e ne ho scritto altre due una l’ho
già pubblicata, mentre l’altra
la posterò a breve.
Questo
è il link:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1480746&i=1
Un
bacio
AiraD