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Autore: Edoatar    07/01/2014    2 recensioni
E se esistesse anche un altro campo per semidei dove questi ultimi, sia greci che romani, convivano pacificamente ogni estate per tre settimane? Ho immaginato come potrebbe essere e questo è ciò che ho scritto. Spero apprezzerete.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'è silenzio. Qualcosa brilla nel bosco buio. Si sta muovendo. E' veloce.
Non so dove mi trovo. Non so perché sono qui. La luce rossa si ferma vicino ad un cespuglio spoglio, e subito quello rinvigorisce. Che cos'è?
-”Trent.” Mi chiama. Ha una voce femminile. Calma e dolce.
-”Chi sei?”
-”Trent. Sveglia.” Dice. Quando mi avvicino la distinguo più chiaramente. E' una volpe. Una volpe di fuoco.
-”Trent.” Ripete, “Trent, devi svegliarti.”

In quel preciso istante riaprii gli occhi. Ero sdraiato sul mio letto, nella capanna sette. E' stato un sogno.
-”Trent, tutto bene?” Era Angelica, che mi scuoteva.
-”Sì.” Sbuffai.”
-”Stavi sudando.”
-”Avevo caldo.” Per un attimo non ricordai di essere al Campo Greco-Romano. Non ricordavo di quello che era successo con Sarah.
-”Trent, alzati. Dobbiamo muoverci.” Eliot mi spronava a prepararmi.
-”Non ho molta fame.” Dissi.
-”Devi mangiare qualcosa.” Insistette. Lui era già pronto e aveva un'aria riposata.
-”Davvero Eliot, lascia stare. Non vengo.”
-”Oh sì che vieni.” Mi afferrò con le braccia e mi alzò in aria. (Ma cosa mangiava a colazione, steroidi?)
-”Santo Apollo, tu sei un flagello!” Gli urlai ridendo.
-”Sì, e a meno che tu non voglia che ti porti di peso fino alla mensa solo in mutande ti conviene sbrigarti.” Mi rimise a terra. Ci scambiammo un sorriso, ma poi notai Eliot guardare alle mie spalle e corrugare la fronte, per poi lasciare posto ad uno sguardo sprezzante.
Mi voltai e vidi la solita combriccola di Romani bisbigliare e scambiarsi battute riguardanti sicuramente noi.
Quando fui pronto, Eliot mi mise una mano sulla spalla e mi portò fuori.
-”Non so davvero cosa sia a trattenermi, se il fatto di essere capocabina o il fatto di dover picchiare degli idioti.”
-”Entrambi.” Risposi. Lui respirò e insieme ci avviammo al nostro tavolo.
Alla mensa trovai Michael, che mi salutò con la sua intramontabile positività.
-”Coraggio amico, ti ho detto che si sistemerà tutto.”
-”Sì, sì.” Dissi.
-”Non fare quella faccia. Avanti.”
-”Ok, io ce la farò! Ce la metterò tutta e trionferò!” Urlai con entusiasmo.
-”Ecco, questo è lo spirito giusto. Excelsior!”
Che matto.
A proposito del tavolo. Era una meraviglia per gli occhi (Ma ancora di più per lo stomaco). Enormi vassoi colmi di cibo occupavano il centro della lunga tavola. C'era bacon con uova strapazzate, succo d'arancia, brioche, sandwich con carne di tacchino, enchiladas, cioccolata calda, cesti di frutta estiva e zollette di zucchero; ma dato che non c'era del tè le sgranocchiai così.
Mi ero alzato con la convinzione di non mangiare... invece mi riempii il piatto. Presi una fetta di cocomero e un paio di sandwich da dare in sacrificio a mio padre. Chissà se gli piaceva il tacchino?
-”Trent, che intenzioni hai ora?” Mi chiese Eliot, “Oltre a mangiare come un sopravvissuto al deserto.”
Mandai giù il boccone di carne e pane che avevo in bocca.
-”Intendi se sono pronto per i tornei?” Domandai.
-”Sai, a volte mi chiedo se tu lo faccia apposta proprio per irritarmi o se tu sia semplicemente stupido.”
-”La prima.”
-”Cosa farai con la faccenda di Sarah?”
-”Credevo ne avessimo già parlato.”
-”Bé, non sei stato molto convincente.”
-”Ormai è passata. L'ho lasciata andare. Fine.”
-”Uhmmm?” Mi squadrò per bene.
-”Uhmmm.” Risposi io.
-”Sei sicuro?”
-”Ma che cavolo! Devo anche fare un test per confermartelo?”
-”Sì, forse mi farebbe comodo.”
-”Oh, ma piantala.” Gli lanciai una manciata di zollette.
-”Ehi, queste non vanno sprecate. Sono assolute prelibatezze contemporanee.” Disse, mettendosene una in bocca.
-”Cos'hai detto?” Chiesi.
-”Non ne ho idea. Devi dare anche a me il tempo di svegliarmi.”
-”Patetico.” Dissi, “Davvero patetico.”
Stavolta fu lui a raccogliere una manciata di chicchi d'uva e me li scaraventò contro. Abbassai la testa per evitare i proiettili e quelli finirono addosso a Clarisse, della casa di Ares.
Oh cazzo!
Mi voltai velocemente mentre lei si girava dalla nostra parte. Io feci finta di niente, anche se stavo soffocando cercando di trattenere le risate.
-”Chi è stato?” Ha tuonato.
-”Ehm, io!” Alzò la mano Eliot, con un sorrisino spavaldo sul volto. Era morto.
-”Tu!” Gli ringhiò lei, “Sei morto!”
Appunto.
Mi aspettavo che sfoderasse il pugnale e lo facesse a piccole fettine. Per fortuna raccolse la testa di un maiale dal tavolo, prese la mira e lanciò. Eliot aveva avuto i riflessi pronti come i miei. Si scostò appena in tempo e la testa di maiale si infilò (non sto scherzando) in capo ad un altro ragazzo girato di spalle, al tavolo di Ermes. Ora era una specie di ibrido maiale umanoide. Quando la ragazza seduta al suo fianco se ne accorse lanciò un urlo e cadde dalla panca. Il poveretto ebbe bisogno dell'aiuto di tre dei suoi fratelli per rimuovere la testa di maiale dalla propria. E io stavo letteralmente affogando nelle mie lacrime dal ridere.
Quando il ragazzo-maiale tornò libero lo riconobbi. Chris Rodriguez.
-”Ma che diavolo ti prende Clarisse?” Le domandò.
-”Oh, io... scusa. Mi dispiace!”
-”Questa me la paghi.” Disse, in tono perfido, ma sempre divertito.
Raccolse una torta alla panna dal proprio tavolo (Ehi! Anch'io volevo la torta!) e caricò indietro il braccio.
Ma andiamo.” Pensai, “Non le tirerà quella torta. Lei è la sua rag...
SPLAT!
Ok, lo ha fatto.
Ora avevo smesso di ridere e guardai la faccia di Clarisse, bianca per la panna, aspettandomi davvero il pugnale. Ma lei assaggiò un po' di panna e, afferrando un intero vassoio di cibo, urlò: “GUERRA!”
Immaginatevi il caos di tre secondi dopo. I piatti volavano da ogni direzione e nessuno veniva risparmiato. Io fui bombardato con paste, succo, formaggio e cereali. Risposi al fuoco, anche se non sapevo bene con chi ero in guerra. E poi successe che, nell'incantevole telaio delle Parche, colpii Sarah con due uova. Dritte sui jeans. Andava bene qualsiasi altro punto! Perché proprio i suoi jeans? Perché!?
-”Oh, merda. Ehi, scusa.” Cercai di farmi perdonare. Lei sollevò lo sguardo dai pantaloni e con la bocca aperta mi fissò incredula. (Ho detto che stacca le mani a tutti quelli che sono di minaccia per i suoi jeans?)
-”Come hai potuto?” Sbraitò.
-”Ho detto che mi dispiace.”
-”I miei jeans!”
-”Lo so. Scusami, non volevo. Senza rancore?” Chiesi. Lei annuì, ma non ero molto convinto.
-”Certo. Senza rancore. Dato che per noi è un difetto fatale.” Sibilò; ma sentivo che non le era passato.
-”Senti, vuoi darti una soddisfazione?” Aprii la camicia e le mostrai il petto della T-shirt, “Questa è la mia maglia preferita. Serviti pure. Prometto che non mi muoverò da qui.”
-”Ce ne sono di promesse che hai fatto.” Disse, ma poi cercò qualcosa da lanciarmi. Sarei stato immobile. Non potevo negarle vendetta. Non mi sarei mosso neanche per... oh cazzo! Coltello a ore 12!
STUNK!
Mi abbassai proprio in tempo per schivare la lama che era diretta sulla mia faccia, che finì che conficcarsi nella colonna di legno alle mie spalle.
Sarah aveva un'espressione noncurante, come se non avesse appena cercato di uccidermi. Ma vidi un guizzo appena accennato su un angolo della bocca.
-”Non ci credo!”
-”Credici caro.”
-”Tra tutta la montagna di roba sul tavolo dovevi lanciarmi proprio un coltello!?”
-”Devo averlo scambiato per una banana!” Disse, senza scomporsi. L'ho detto che quella ragazza è impossibile. Osate tradirla e lei non vi farà più fare sogni tranquilli.
Ancora prima che riuscissi a replicare, l'omone grande e grosso che la teneva abbracciata al falò l'altra sera la abbracciò da dietro.
-”Ehi, piccola.” Disse, con voce rude.
-”Ciao Carl.” Rispose Sarah.
-”Sarà mezz'ora che ti cerco. Non mi hai nemmeno... ehi, i tuoi jeans.” Disse, guardando le macchie sui pantaloni; per poi alzare uno sguardo minaccioso su di me. Ovviamente.
-”Le hai sporcato i jeans, moscerino!” Avanzò deciso verso di me, e più si avvicinava più mi accorgevo di quanto fosse grosso (e puzzasse).
Ecco fatto, ciao ciao mondo. Non ho neanche avuto il tempo di scrivere un testamento.” Ma forse non c'era bisogno. Forse se fossi riuscito a prendere il coltello nella colonna dietro di me... ma no. Non sono un vigliacco.
Pensavo davvero di essere prossimo a perdere il mio apparato dentale, ma poi Sarah si frappose fra me e lui.
-”Carl. No Carl, non è stato lui!” Disse.
-”Che cosa!?” Dissi io. Lei in tutta risposta mi servì un calcio sul piede. Un calcio con il messaggio “Zitto idiota, e lascia che ti salvi la vita!”
-”Non è stato lui?” Domandò Carl.
-”No.”
-”Allora chi è stato?” Tuonò, battendosi i pugni.
-”Nessuno. A colazione, per sbaglio, mi sono cadute delle uova sui jeans.” Rispose lei. E io ero tipo lì che pregavo “Fa che ci creda! Fa che ci creda! Fa che ci creda!”
-”Uhm. Bé, vedi di essere più attenta la prossima volta.” La rimproveò. Brutto pallone gonfiato!
-”Certo.” Detto questo, l'energumeno se ne andò.
-”Ehi, grazie.” Le dissi io. Ma lei mi scoccò un'occhiataccia e camminò via.
Grande Trent!” mi dissi, “Hai un futuro come macchia-jeans!
La guerra del cibo era finita. Tornai dai miei e aiutai a pulire il tavolo. Subito dopo stavo andando verso la capanna sette, quando mi ritrovai davanti agli altri miei fratelli che guardavano il tetto. Guardai anch'io.
-”Ma che cavolo!?” Riuscii a dire. Sul tetto della nostra cabina c'erano tutti i nostri letti.
-”Cos'è successo qui?” Chiese AnnaSophia.
-”Credo sia passato un uragano e non ce ne siamo accorti.” Ironizzai io.
-”No. Quei vermi.” Rispose Eliot, indicando i figli di Apollo Romani mentre andavano verso la mensa.
-”Come lo sai?” Domandai.
-”Non li ho visti a colazione. Devono averlo fatto mentre stavamo tutti mangiando. Bastardi.”
-”Magari stavano pulendo la cabina.” Buttai lì. Eliot mi ignorò completamente.
-”E' ora di finirla.” Disse, e dal tono non ne dedussi nulla di buono. Ma non stava andando verso la mensa. Era diretto al laghetto. Lo seguii e finimmo per sederci vicini ad un altro ragazzo. Non l'avevo mai visto prima. Aveva capelli scuri sul viso, occhi azzurri, era alto e in forma e aveva il gambo di una spiga che spuntava dalle labbra. Avrà avuto diciassette anni all'incirca. Fu Eliot a parlare.
-”Augustus, giusto?” Chiese mio fratello.
-”Esatto.” Rispose quello, senza nemmeno girare la testa.
-”Sono Eliot, capocabina dei figli di Apollo Greci.”
-”So chi sei.”
-”Bene. Questo faciliterà le cose. So che sei un semidio Romano.”
-”Figlio di Apollo, e allora?”
-”So anche che non sei mai il benvenuto tra i tuoi fratellastri Romani.” Disse, e il ragazzo trasalì.
-”Non mi hanno più voluto dopo l'incidente. Non mi considerano più uno di loro.”
-”Grazie agli dei!” Esclamò Eliot.
-”Per la mia gamba.” Continuò Augustus, tirando su un po' i pantaloni, scoprendo una protesi di plastica.
-”Ecco. Questo dettaglio i mancava.” Disse Eliot.
-”Non posso neanche sedermi al loro tavolo. Se  non fosse per Hazel a quest'ora sarei morto di fame.”
-”Hazel? E' carina?”
-”Arriva al punto.”
-”Giusto. Allora, sono tre anni che sopportiamo le burle dei tuoi fratelli. Oggi c'è stato il loro ultimo scherzo. Adesso basta.”
-”Ancora non vedo la mia importanza a riguardo.”
-”Conosci il detto “Il nemico del mio nemico è mio alleato”?”
-”E quindi?”
-”Quindi tu ci aiuti a ripagarli con la loro stessa medicina e noi ti promettiamo che non ti eviteranno più.”
-”Che guadagno.” Disse. Io lanciai un'occhiata a Eliot.
-”Oh, e se vuoi puoi venire a sederti con noi. Il divertimento non manca.”
-”A quanto pare.” Disse Augustus, posando lo sguardo sui nostri vestiti sporchi.
-”Allora abbiamo un patto?”
-”Okay.” Si strinsero la mano.
-”Hai già in mente qualcosa?” Chiese Eliot.
-”Potrei cercare qualcosa di interessante tra la loro roba, mentre sono ad allenarsi. E i fratelli Stoll saranno lieti di aiutarmi ad organizzare qualche burla.”
-”Ottimo.”
-”Okay.”
Io e Eliot ci alzammo.
-”E' stato un piacere conoscerti Augustus.” Gli dissi.
-”Anche per me Trent.” Rispose lui.
-”Come fai a sapere il mio nome?”
-”Oh, l'ho sentito pronunciare da un gruppo di ragazzotti di Marte. Le parole che seguivano però non le ripeterei.”
-”Ah, ho capito. A presto.” Lo salutai.
-”Ciao, e passa a trovarci qualche volta.” Gli disse Eliot.
-”Okay.” Rispose.
-”E smettila di rispondere okay.”
-”Okay.”
-”Ah, ci rinuncio.” Eliot partì verso l'area di tiro con l'arco con me subito dietro. Al tramonto eravamo di ritorno alla capanna.
-”A me sta simpatico.” Dissi, riferendomi ad Augustus.
-”Ma non mi dire.” Poi vide qualcosa sul tetto della casa. Mutande. Mutande chiaramente Romane.
-”Sì. Sta simpatico anche a me.” Concluse.

Cantammo anche quella sera, mentre i nostri coinquilini Romani si arrampicavano per recuperare la biancheria.
Per tutta la notte pensai a Sarah. Al suo comportamento. Alle reazioni.

Nothing to hold and the memories frames
Nobody here knocking at my door now
Oh, how I miss such beautiful sound?
And I don't even know how I survive
I won't make it to the show without your light
No I don't even know if I'm alive
Oooh without you now
This is what it feels like.

Ma col cavolo che la lascio andare!
  
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