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Autore: Hiroponchi    13/01/2014    3 recensioni
“Sai una cosa, Allie? Diventerò uno scrittore. E tu sarai la protagonista di ogni mio romanzo. Parlerò di come la Streghetta di Vancouver si trasformò in una farfalla e di come si innamorò di un potenziale assassino venuto da lontano”.
Genere: Azione, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il giorno dopo, a scuola, Kei mi mancava tremendamente. Eravamo nelle stesse classi ma non potevamo guardarci spesso e quando ci incrociavamo, facevamo finta di essere formali l’uno con l’altro. Lui aveva rimesso gli occhiali a specchio prima di uscire di casa ma il fatto che io sapessi che occhi stupendi c’erano dietro, faceva sì che mi sentissi la custode di un segreto. Una tipa bionda si sedette sul banco di Kei durante l’ora di biologia e il mio viso avvampò di rabbia. Lui fece finta di niente, lanciandomi un’occhiata che non potei classificare.
“Kei, che ne dici di uscire stasera?”, gli domandò con voce mielosa. Gli prese una mano e se la portò sulla gamba. Strinsi forte la spalliera della sedia di ferro, pronta a lanciargliela in fronte. “C’è il circo in città, faranno un nuovo spettacolo di leoni. Vuoi venirci, con me?”.
L’indifferenza di Kei divenne interesse. Si voltò di scatto verso la bionda e io sentii lo stomaco precipitare negli abissi di qualche oscuro luogo. “Il circo?”, chiese.
“Si, ti piace? Ci andremo insieme e poi, magari, chissà…” si chinò a dargli un bacio sulla guancia. Quelle labbra volgari, rosse, sul quale desideravo mollare un pugno e veder spuntare una crepa sanguinosa. “Giocheremo un po’”.
“Si, okay”.
La sua risposta gioiosa mi fece saltare dalla sedia. “Lascialo in pace”, gridai, scaraventando la tipa giù dal banco.
“Ehi” strillò quella. Un gruppo di amiche inviperite si fece avanti per pestarmi.
“Lui non ti appartiene, ok?”.
“Perché, a te si?”
Nell’aula scoppiarono a ridere in molti. Le tipe mi si fecero strette intorno. Kei si alzò e disse di smetterla. “Hai fatto bene” gli sussurrò la tipa all’orecchio. “Altrimenti avrei ridotto questa mostriciattola alle dimensioni di una frittella. Come osa rivolgermi la parola?”.
“Calmati” mi disse Kei, piuttosto freddamente. “Il professore ci sentirà se continui”.
Mi fece arrabbiare. Sentii che tutto ciò che avevo subìto stava uscendo allo scoperto. “Non atteggiarti a capetto. Solo io so chi sei!”. Gli tolsi gli occhiali da sole prima che potesse fermarmi e la classe ammutolì.
“Un… cinese?” esclamò la bionda, indietreggiando. “Dimentica il circo, ok?”
“Che delusione” mormorò qualcun’altra.
Lui mi lanciò uno sguardo di fuoco. “Aspettami giù dopo le lezioni” ringhiò a denti stretti. Quel giorno uscii con una mano sulla bocca e gli occhi che colavano lacrime. Tutti si voltavano a guardarmi, tutti sapevano della scenata in classe. Non ero l’unica. Ora anche Kei veniva criticato. Ma lui camminava a testa alta nella mia scia, scrutandomi con la vista di un falco. Mi raggiunse sul muretto del retro, dove c’era la palestra. “Che ti è preso, stronza?”. Mi spinse e caddi. Il ginocchio mi si ferì e si aprì una sbucciatura.
“Ero gelosa”, risposi.
“Non avresti dovuto farlo”, si voltò e fece per andarsene, calciando l’asfalto.
“Vuoi scappare anche da me?”, gli urlai. “E le parole di ieri sera?”. Mi alzai a fatica, zoppicando. “Dov’è finito il Kei che ho amato a letto? Quello che mi ha fatto perdere la verginità?”.
Mi si spinse contro e finii rumorosamente contro le porte vetrate della palestra. “E’ ancora qui”, mormorò e mi fece seriamente paura. “Ma non vuole essere deluso”.
Abbassai lo sguardo, come una preda. “Non posso essere gelosa dell’uomo che amo?”.
Lui rimase in silenzio e il suo sguardo duro si addolcì. “Mi ritieni il tuo uomo?”.
“Non dovrei?”, chiesi timida, il cuore che batteva forte. Kei mi sfiorò una guancia con la mano destra. La mano che probabilmente aveva usato per uccidere.
“Sei proprio quella che credevo”, abbozzò una risatina bassa. Posò le mani sui vetri della palestra, gonfiando i muscoli delle braccia, e mi diede un bacio senza lingua. Un segno d’amore. “Sei libera, ricordi? Non devi essere gelosa. Devi amarmi come ieri. Non farlo più, okay?”.
Annuii, più serena. “Non volevo che tu… che tu andassi con quella e…”.
Kei mi baciò di nuovo per zittirmi. “Ehi, sciocca, parlava di circo. Sarebbe stata una buona occasione per vedere se trovavo tuo padre o qualche traccia di lui”.
Trasalii, i miei occhi balzarono dritti nei suoi, e qualche lacrima trattenuta schizzò via. “Tu… avevi pensato a me?”.
“E a chi, sennò? Sciocchina!”.
Mi sentii una vera stupida. Per farmi perdonare, gli baciai sentitamente le labbra. Ebbi voglia di lui in quel preciso istante. La pioggia scese giù a catinelle, bagnandoci il collo. Una goccia furba mi scese giù per il petto, e Kei la seguii con lo sguardo. Mi prese per mano e mi lasciai condurre chissà dove. Ora sapevo che di lui potevo fidarmi ciecamente. Tra tutte, aveva scelto me. Amava me e le mie anormalità. Amava me in ogni tipo di sorte, purchè ero io e basta. Mi poggiai al freddo muro e ansimai. Negli spogliatoi del club di basket, Kei mi aveva infilato una mano nei leggins. Sentii il suo dito freddo penetrarmi le grandi labbra e mi lasciai abbandonare al piacere. Mi toccò il seno con avidità, mi leccò il basso ventre. Sapevo che voleva farlo, ma la cosa mi turbava un po’. Lo bloccai con le mani senza volerlo. Lui si fermò e mi guardò con quell’aria da bambino. “Non vuoi?”, mi sussurrò.
“Ho paura che tu voglia solo questo da me”, replicai sottovoce.
Kei scosse il capo, ma rimase in silenzio a sostenermi lo sguardo. Più i secondi passavano, più acconsentivo ad ogni suo volere. Era meccanico, automatico. Lo amavo alla follia, ed avevo iniziato a farlo solo perché lui si era aperto a me. Mi leccò la vagina con voglia, penetrandola un po’. Gemitai, cercando di non far troppo rumore. Lo sentii baciarmela piano, poi forte, poi di nuovo piano. Le diede un’altra energetica leccata, che mi fece sfuggire un grido, poi tornò su e mi baciò. Mentre le nostre lingue si toccavano e giocavano tra loro, gli spinsi giù la zip e gli calai i jeans e i boxer contemporaneamente. Lo portai dentro di me, lo condussi al mio cospetto come una regina col suo suddito, e mi lasciai soddisfare. Era ancora più intenso della prima volta ma meno dolce. La tensione ci era passata, ci eravamo già esplorati ed entrambi desideravamo più passione. Durante l’orgasmo, gridai, senza curarmi di far piano. Quando lui si stancò e si poggiò su di me, tranquillo e innocuo, lo coccolai come si fa con un cucciolo e Kei sorrise, felice di essere viziato. Lui era l’unico che mi faceva capire chi ero ed era questo ciò che contava per me. “Mi porterai nel tuo paese, un giorno?”, gli sussurrai nel buio degli spogliatoi.
“Ha-ha”, esclamò Kei. Sembrava molto rilassato. “Andremo a vivere lì quando ci sposeremo”.
Mi sfuggì un sorriso e lo strinsi più forte. “Mi porterai al circo, oggi?”.
“Va bene”, si alzò, afferrò i boxer e se li infilò. Poi mi lanciò un’asciugamano pulita che stava sulla mensola di un armadietto aperto. “Riscaldati un po’, sei gelida” mi disse premurosamente.
 
Quella sera, l’oscurità era invaghita di luci. Le giostre ne avevano mille e le facevano risplendere tutte insieme. I venditori di cibo erano allegri e gridavano i loro sconti. C’era gente dappertutto e movimento in ogni angolo. Kei mi stringeva la mano e mi guidava dove gli spettatori non c’erano. Un pagliaccio, privo del naso rosso, si esercitava con sette palline che faceva roteare in cerchio tra le mani. Ci rivolse un segno di saluto che ci fece continuare più spensierati. Il grosso tendone a strisce blu e bianche occupava gran parte dello spazio e nel vicolo del personale, c’era più oscurità. I bagliori delle luci arrivavano a rilento e i rumori giungevano ovattati. Vari giocolieri se ne stavano seduti su una panca a fumare il sigaro. Alcuni bevevano alcool. Più in fondo, vedemmo un mangia-fuoco. L’uomo era alto e con molti muscoli, ma il fisico rispecchiava l’età. Non doveva essere più tanto giovane ma l’allenamento gli dava l’aspetto di ciò che era stato il passato. Soffiava da un bastoncino e ne usciva una fiamma. Indossava dei jeans stracciati e una maglietta di cotone nera. Era scalzo.
“Ehm… mi scusi” domandò gentilmente Kei. Non avevo un briciolo del suo coraggio ed ero rimasta indietro di due passi. Non riuscivo a guardare da nessuna parte se non l’ombra nel terreno. L’uomo si voltò ma non degnò Kei di uno sguardo. Mi fissò dritto negli occhi, costringendomi a fare lo stesso. I suoi erano color nutella, come i miei. Non azzurri come quelli di papà.
“Allie…” sussurrò e quegl’occhi che stavo studiando, si riempirono di lacrime. “Allie, sei tu”.
Mi misi a piangere anch’io. Non sapevo cosa fosse giusto ma andai ad abbracciarlo. Il fatto che mi avesse riconosciuta così presto mi sciolse il cuore e mi fece tremare il torace, carico di troppe emozioni. Mio padre era così forte da sollevarmi da terra mentre mi abbracciava. “Sei… uguale a tua mamma”, esclamò. “Caroline, la dolce Caroline che prevedeva il futuro con le carte. Non sai quanto l’ho amata, Allie, non sai…”
Sorrisi, cercando di fermare il pianto. “Qual è il tuo nome?”.
“Joseph, mi chiamo Joseph”.
Kei si fece indietro, senza volersi immischiare in quel ritrovo. “Cos’è successo alla mamma?”, gli domandai.
“Era malata di cancro, Allie. Non voleva che tu la vedessi morire e non aveva nessuno a cui affidarti. Io avrei voluto tenervi con me, sin dall’inizio. Ma guardami, guardati intorno, sono un nomade. Guadagno pochissimo, vivo in tutti i paesi del mondo, e non ho una famiglia. Il circo di certo non è un posto in cui vivere. Non per una ragazza… ma sei venuta su così bene”, mi strinse a sé e io ricambiai.
“Vedrò lo spettacolo, papà”, esclamai rapita.
“Oh, Allie. Farò del mio meglio, per te. Solo per te. Sei il regalo più bello!”.
Dopodichè io e Kei, mano nella mano, ci sedemmo nel buio del tendone, a sgranocchiare popcorn. I pagliacci fecero un vero baccano, la gente rideva a più non posso. Ci furono le tigri e i loro domatori. I leoni fecero uno spettacolo assolutamente fantastico. E poi papà, fu colui che fece trattenere il fiato a quelle centinaia di persone. Si lanciò col trapezio in una serie di cerchi infuocati, mangiò fuoco, fece roteare dei ramoscelli infuocati tra le mani. Non facevo altro che trasalire e gridare, scorticando la mano di Kei. Ma mio padre fu uno spettacolo straordinario e glielo dissi quando lo salutai, portandogli un fascio di fiori che avevo comprato lì fuori. “Sei stato bravissimo”.
“Allie”, mi disse, mettendomi una mano sulla spalla. “Ti scriverò cartoline e lettere da ogni parte del mondo. Fidati di me”.
“Mi fido di te, papà”.
Quando ce ne andammo ero fuori di me dalla gioia ma continuavo a piangere e a ridere al tempo stesso. Kei condivideva le emozioni con me, mi teneva la mano, e mi baciava la tempia quando piangevo troppo. “Ti adora”, mi disse. “Finalmente puoi vivere in quella famiglia di biondi-occhi-azzurri, col pensiero che tuo padre è un giramondo strepitoso che ti vuole bene”.
Mi asciugai una lacrima. “Kei”, esclamai, aggrappandomi a lui in un caldo abbraccio. “Lasciami qui, per favore. Preferisco tornare a casa da sola”.
“Sei sicura?”.
“Sì. Madison e Lily saranno lì e non voglio che ti vedano e ti…”
“Non m’importa”, mi interruppe fermamente.
“Ma importa a me”, gli presi le mani e gliele accarezzai. “Grazie di tutto Kei. Di avermi accolta nella tua vita come una persona qualunque, con così tanto amore. E grazie per questo giorno. Io… non dimenticherò mai”.
Si chinò a baciarmi. “Buonanotte, Allie, streghetta di Vancouver”.
Gli strappai un ultimo bacio e le nostre strade si divisero. Avevo la pancia piena di popcorn e l’aria felice ma stanca. Sul mio viso, stravolto tra pianti e risate, sembrava passato un maremoto. Le luci dei lampioni erano spente e in strada era comparso l’avviso comunale che diceva qualcosa a proposito di un guasto ad una cambina elettrica ma era così buio che si leggeva a stento. Tuttavia casa mia era la terza villetta a partire dal vicolo quindi ci sarei arrivata benissimo. “Dove sono le chiavi?” mormorai a me stessa, scavando nella borsa. Le luci erano spente, forse i miei genitori dormivano già. Non mi aspettavano mai.
“Aspetta un secondo, okay?”, mi fece trasalire una voce.
Voltandomi a guardare, mi sentii avvampare. La tipa bionda era lì fuori, con un paio di amiche mulatte. Indossavano minigonne e tacchi alti. La spallina del reggiseno rosso spuntava da sotto la camicetta sudata della mia compagna di classe. Si tolse la sigaretta di bocca e lasciò che una scia di fumo ondeggiasse tra di noi. “Cristy, ti ho detto cosa fare”, ordinò.
La più scura di pelle sorrise un candido sorriso, la cosa più bianca che ci fosse in tutta la via. Mi si avvicinò a passo spedito e mi trattenne per un braccio, stringendomi forte. La borsa mi scivolò vià e tutto il contenuto si riversò sull’asfalto. “Lasciami, stronza”, urlai, mentre mi spingeva contro la bionda. Ella mi spense il mozzicone sul braccio bloccato, facendomi urlare fino allo spasimo. Ma più urlavo, più spingeva la sigaretta nella carne. Alla fine mi rimase una scottatura violacea, con una brutta bolla, e caddi carponi, tenendomi il braccio ferito.
“Lascia Kei”, mi ordinò la bionda, alzandomi il viso tirandomi per i capelli. Con la testa così inclinata all’indietro, vedevo solo il manto stellato. “Sarà pure un tizio orientale chissà di quale paese di merda ma, è figo. Ho deciso che me lo voglio scopare. Tu, ci hai scopato, bruttina?”.
Vidi il suo viso malefico guardarmi con severità e trattenni le lacrime. Le amiche mulatte mi trattenevano a terra. “Scopare? Io e Kei ci amiamo!”.
“Sciocco”, sorrise la bionda. “Irragionevole. Illogico. Una brutta come te. Un’imbecille come te. La figlia di una cartomante… pazza, suppongo. Vediamo, cosa dice la sfera della mamma, Allie?”, mi prese il viso tra le mani e mi fece specchiare nei suoi occhi verdi. “Che la sua brutta streghetta sta per essere pestata a sangue, eh? Ohhh, non hai molta fortuna”.
Mi diede un calcio nello stomaco e sentii il tacco a spillo colpirmi l’intestino. Una mulatta mi schiacciava sull’asfalto, l’altra mi prendeva a schiaffi. La bionda accese un’altra sigaretta e mi fece una serie di bruciature sulle gambe. Per quanto urlassi, nel buio solo le stelle mi guardavano. Grandi e immense nello spazio, potenti, inutili e piccole sul cielo terrestre. “Basta…” sussurrai, il corpo in fiamme per il dolore. “Basta…”.
“Andiamocene!”.
 
Dlin Dlon
“Un attimo”, sbadigliò Kei dal bagno, mentre si asciugava il viso con un’asciugamano di lino. La porta suonò di nuovo. “Ho detto un attimo, che cavolo!”.
Aprì la porta senza indossare una t-shirt, e Madison trasalì appena. Regnò il silenzio, poi lei iniziò il primo passo della conversazione. “E’ qui che abiti, allora!”.
“Che vuoi?”, le chiese scontrosamente Kei, trattenendo la porta con noia. “Non sei la sorella di Allie?”.
“Adottiva”, lo corresse lei, giocando col pearcing all’ombelico. Guardò lungo il vicolo deserto, poi di nuovo verso di lui. “Beh, non so perché sono venuta ma papà ha detto che altrimenti mi avrebbe preso il cellulare per una settimana o forse più, che cazzo!”.
“Insomma, che vuoi?”.
“Allie ha fatto il tuo nome”, tagliò corto Madison che sbadigliò sonoramente a metà frase. “Pare sia stata pestata a sangue ieri sera. Vorrebbe vederti”.
Kei era rimasto alla prima parte della frase, sconvolto e ferito, col cuore che sembrava competere con un tamburo. La testa gli si annebbiò ma trovò la forza di ribattere. Prese una felpa e se la infilò sul dorso nudo e seguì la sculettante Madison fino a casa. In realtà aveva camminato un passo innanzi a lei per tutto il tragitto, con voglia di correre, ma ogni tanto si era girato per vedere se lei lo stesse seguendo. A casa, fu papà ad aprirgli la porta. Era estramamente diverso dall’uomo conosciuto al circo e non somigliava a me per nulla al mondo.
“Tu devi essere Kei”. Papà non gli porse la mano ma nemmeno Kei osò inchinarsi.
“Sì. Dov’è Allie?”.
“Di sopra” rispose l’uomo, incapace di comprendere come comportarsi. “Sta molto male. Cerca di confortarla un po’. Non fa altro che chiamare il tuo nome”.
Kei saltò gli scalini due alla volta e aprì piano la porta della mia camera. Al cigolio dei cardini, voltai il capo dolorante sul cuscino e quando lo vidi mi spuntò un sorriso sul viso graffiato. “Kei…”.
Lui si avvicinò esitando. Mi guardava con aria seria, crucciato. “Chi è stato?”.
“Non importa”.
“Importa a me”, mi prese la mano e me l’accarezzò, come avevo fatto io la sera precedente, l’ultimo ricordo che ricordassi prima d’esser picchiata. Mi fece capire che prestava attenzione ai miei gesti e la cosa mi fece piacere. Un po’ di luce in quell’ammasso di oscurità che tentava di affogarmi.
“La bionda. Quella che voleva invitarti al circo. Con le sue amiche mulatte”, risposi. Avevo paura nel dirglielo ma, mentre parlavo, vedevo già la mie parole stampate nei suoi occhi.
“Perché lo hanno fatto?”.
“Non ritenerti responsabile”.
Kei abbassò lo sguardo. Mi baciò la mano e poi restò a studiarmi le dita, come se le contasse. “Se vuoi, le ammazzo! Le scortico vive e poi butto i loro organi nella spazzatura”.
Lo guardai con tanto d’occhi. “Non farlo! Non voglio che tu sia un assassino anche qui. Kei, non voglio separarmi da te. Stammi accanto”.
Vide le bruciature sulle gambe e gli spuntò una lacrima. “Dovevo accompagnarti a casa”, rispose con voce tremante. Mi misi a sedere, sopportando il dolore alle ossa, e lo abbracciai.
“Mi basta che tu ci sia”.
“Vieni a vivere a casa mia”, disse, d’un tratto, senza indecisione. “Viviamo insieme d’ora in avanti. Ti proteggerò da tutto”.
Gli sorrisi. “Siamo ancora giovani, Kei”.
Lui scosse il capo, piangendo e tenendomi la mano. “Non lo sono per la donna che amo. Ti amo, Allie. Voglio che tu viva accanto a me”.
Era la prima volta che me lo diceva e trovai la forza di abbracciarlo ancora. “Anch’io ti amo, Kei”, gli dissi all’orecchio. “Sei tu la vera chiave tra di noi. Hai aperto il tempio in cui la mia vita era rinchiusa e l’hai resa libera”.
Guardammo fuori dalla finestra e vedemmo una farfalla, forse l’ultima della stagione, posarsi sul davanzale di legno e sbattere le ali con stanchezza. “Sai una cosa, Allie? Diventerò uno scrittore. E tu sarai la protagonista di ogni mio romanzo. Parlerò di come la Streghetta di Vancouver si trasformò in una farfalla e di come si innamorò di un potenziale assassino venuto da lontano”.
 
 
 
 
 
  
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