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Autore: Clockwise    05/02/2014    1 recensioni
Teneva gli occhi chiusi quando cantava, ma se li avesse aperti, se avesse potuto vedere quel momento, allora l’avrebbe vista con i suoi occhi, oltre a sentirla, l’alchimia che li legava. Era proprio lì, in loro, nei piedi che battevano lo stesso tempo, nelle vibrazioni sugli strumenti, nel riverbero che echeggiava dentro ciascuno di loro alla stessa frequenza, nelle note che ciascuno di loro creava e che si intrecciavano in armonie meravigliose e così, insieme, solo insieme, erano qualcosa.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Under Pressure

Il fumo danzava in lente volute davanti ai suoi occhi, innalzandosi pigramente. Storse il naso. Non aveva mai sopportato l’odore di fumo.
«Dovresti proprio prendere una decisione, Delilah. Anche se non capisco cosa hai da decidere.»
La voce roca e bassa le graffiava il petto, il fumo le ostruiva la gola.  Cercò di deglutire, risistemandosi la maglietta.
Lui continuò a fumare, senza smettere di guardarla. La sigaretta finì, lui la spense con un mezzo sorriso e la lasciò cadere nel posacenere sul tavolinetto accanto al divano su cui erano seduti. Lei ne approfittò per guardare la sua figura possente, i suoi capelli scuri.
Forse era per il fumo, ma aveva un terribile groppo in gola da quando lui era arrivato che non riusciva a scacciare. E c’era il loro Cd sul tavolo, che sembrava guardarla accusatore.
Diede la colpa al fumo. Perché avvolta in quelle cortine di fumo la realtà perdeva i suoi contorni, nulla era veramente ciò che era. Chi diceva che quei baci al gusto di tabacco, quelle grandi mani possenti non erano in realtà delicate mani di musico e dolci baci dal sapore misterioso – perché in fondo non conosceva il loro sapore -, chi diceva che quello che stava facendo era sbagliato, chi le assicurava che lei era lei, e non qualcun’altra? In fondo, fra le volute di fumo, tutto poteva essere. E lei lasciò che tutto fosse.
 
♪♬
 
Alzò la cornetta.
«Pronto?»
«Joanna! Sono secoli che ti cerco, che fine hai fatto? Non hai visto le chiamate?»
«No, non ero in casa, ho avuto tanto da fare.»
«Oh.»
Guy deglutì, senza sapere cosa dire. Infilò una mano in tasca e iniziò a strusciare i piedi l’uno contro l’altro. Will, dal divano dell’appartamento di Guy, alzò lo sguardo dalla rivista sportiva verso l’amico, inarcando un sopracciglio. Guy a disagio con Joanna era una novità per lui.
«Hem… Cosa fai? Va tutto bene?» tentò, titubante.
«S-sì, sì, tutto bene, certo. Cosa… cosa ti serve, Guy?»
«Niente, non mi serve niente, volevo solo sentirti, insomma…» Guardò Will in cerca di aiuto, sollevando le sopracciglia. Il ragazzo rifletté un istante poi sgranò gli occhi sillabando la parola “cinema”.
«Oh, sì, niente, volevo vederti… Cosa fai questo pomeriggio? Ti va un film?»
«Un film?»
«Sì, al cinema… Danno… Mi pare…» Guardò di nuovo Will, nel panico. Lui si alzò e prese un libro dallo scaffale, mostrandolo all’amico.
«Amleto?»
Will scosse la testa e indicò il nome dell’autore.
«No, cioè Shakespeare…»
Guy aggrottò le sopracciglia. Will suggeriva a lui e Joanna di andarsi a vedere un film su Shakespeare? Will alzò gli occhi al cielo e indicò il nome di Shakespeare, poi mimò l’atto di dedicare una canzone a qualcuno, si portò teatralmente una mano al cuore, lanciò baci, si avvolse le braccia intorno al corpo mimando un abbraccio. Guy avrebbe trovato la situazione comica se non stesse precipitando nel panico.
«Shakespeare… Cos-… Ah, sì, Shakespeare in Love
Will alzò i pugni in segno di vittoria.
«Shakespeare in Love? No, non voglio andarlo a vedere, quell’oca bionda mi dà sui nervi.»
Guy abbassò la testa.
«Ok, possiamo vedere qualcos’altro…»
«Veramente… Hem, mi sono ricordata che ho un impegno, non posso proprio questo pomeriggio, mi dispiace.»
«Cosa? Oh, ok, va bene… Vieni da Tim stasera?»
«Tim?»
«Sì, ha un concerto con la sua band al Bull and Gate, ci ha invitato secoli fa. Otto e mezza.»
«Oh, certo… Sì, sì, ci sono. A dopo allora, devo scappare. Ciao.»
Will guardò Guy abbassare la cornetta con le parole ancora incastrate in gola. Quando alzò gli occhi su di lui era ancora più preoccupato di quanto non fosse stato prima di chiamare.
«Che le è preso?» mormorò, aggrottando le sopracciglia. Will scrollò le spalle.
«Donne.»
 
♪♬
 
Si portò una mano alla fronte, massaggiandosela, l’altra ancora posata sulla cornetta.
«Non puoi semplicemente sbucare così, all’improvviso, senza avvertire.»
«E tu puoi togliere le chiavi dalla porta» sorrise serafico il ragazzo, allungando le gambe, sistemandosi più comodamente sulla sedia della scrivania. Lei si voltò a fronteggiarlo a braccia conserte.
«Cosa vuoi, Mark? Mi sembra che abbiamo parlato abbastanza in questi giorni, non ti pare? Sai da quant’è che non vedo Guy?»
«Cosa vuoi tu da me? Non ti ho chiesto io di mentirgli e dargli buca» rispose lui, sollevando un angolo della bocca in un ghigno sornione. Lei strinse le labbra; detestava che gli altri avessero ragione.
«Non ho mentito, non mi piace quel film, e  non sopporto quell’attrice. È così perfetta, mi ricorda Delilah. Forse anche peggio.»
«Stai tergiversando» le fece notare il ragazzo, ghignando ancora di più.
«No. E non prendo ordini da te» sibilò lei, assottigliando gli occhi.
«Lo so» sorrise lui, alzandosi e avviandosi alla porta. «Infatti deciderai da sola di seguirmi, come al solito.»
Joanna attese qualche secondo dopo che la porta si fu richiusa prima di afferrare la giacca sbuffando e seguire Mark.
 
♪♬
 
«Al! Alexander Timothy George Martin, ridammi quella giacca!»
«No!»
«AL!»
Un susseguirsi di porte sbattute, richiami e schiamazzi ruppe il silenzio dell’appartamento.
«Timothy George?» chiese Jonny, sorridendo divertito. Curioso che sia Chris che suo fratello Al avessero un’infinita sequela di nomi e fossero conosciuti con una manciata di lettere ciascuno.
«I nostri genitori non sono stati buoni con noi» sospirò Julia, voltando pagina al suo romanzo. «E pensa cosa è toccato al povero Dave che è nato per ultimo.»
«E tu? Qual è il resto dei tuoi nomi?» le sorrise Jonny, posando il suo libro. Era ora di andare a prepararsi.
«Non lo saprai mai. Ma posso dirti quelli di Chris» sorrise di rimando la ragazza, alzando gli occhi su di lui. Jonny si ritrovò a pensare che erano identici a quelli di Chris, perfettamente uguali.
«Juliana Alison Cornelia Martin. La mamma si è divertita» disse Al, piombando sul divano accanto alla sorella, indossando fiero la giacca blu del fratello. Secondo per età, teneva testa fieramente al fratello maggiore per vivacità e parlantina, senza contare che era la sua copia sputata, solo con i capelli più scuri.
«Cornelia?» chiese Jonny, ghignando.
«Grazie mille» mormorò la ragazza a denti stretti, sporgendosi e dando il libro in testa al fratello, che glielo strappò fulmineamente di mano.
«Grandi Speranze? Dove l’hai trovato?»
«è di Chris» rispose lei, riprendendoselo. «Anche i suoi libri sono noiosi, porca miseria.»
«Eppure lo stai leggendo» le fece notare il fratello maggiore, spuntando in soggiorno abbottonandosi la camicia.
«Solo perché voi due avevate occupato camera e bagno e non avevo altro da fare» lo liquidò lei, chiudendo il libro e alzandosi dal divano. Il pesante romanzo finì casualmente in testa ad Al, che alzò gli occhi al cielo. Chris prese il posto della sorella scavalcando lo schienale del divano.
«Davvero pensa di poterci sconfiggere con questi giochini? Possibile che non abbia ancora imparato niente?»
«Lo so, lo so» sospirò Chris, prendendo il suo libro, chiedendosi cos’aveva mai che non andava. «Non vuole arrendersi all’evidenza: noi siamo e saremo sempre più forti e più avanti di lei. Si illude di poterci battere, povera ragazza.»
Al scosse la testa, perdendosi in ricordi.
«Ti ricordi quella volta che l’abbiamo rinchiusa nella casetta in giardino per tipo tutto il pomeriggio? Quando giocavamo a pirati, o qualcosa del genere, e lei è rimasta lì aspettando che la salvassimo.»
«Oh, sì, si era addormentata. E invece quando l’abbiamo travestita da zucca ad Halloween e ci siamo dimenticati di fare i buchi per gli occhi? Continuava a sbattere la testa ovunque…»
«Oh, e invece quando le abbiamo insegnato le parole sbagliate di Ob-La-Di, Ob-La-Da e lei ha cantato per secoli di cani che ballano il tip tap?»
«E quella era la parte pulita…» sogghignò Chris con un’occhiata d’intesa a Jonny, che rise.
«Perché, invece, quando abbiamo tagliato i capelli alle sue bambole? Non ci ha mai più giocato.»
«Per forza, che se ne faceva delle bambole, quando aveva due fratelli come noi?» disse Chris, scambiandosi un ghigno d’intesa con il fratello. Jonny si morse le labbra per non ridere, mentre Julia si avvicinava a braccia conserte dietro al divano, un’espressione niente affatto amichevole sul viso.
«Poverina. Non c’è da stupirsi che ora sia così» disse Chris, con finto tono di compatimento, puntandosi un indice alla tempia e facendolo roteare.
«Già. In fondo non è colpa sua.»
Chris e Al aggrottarono le sopracciglia quando Jonny scoppiò a ridere e continuò per più di quello che sarebbe stato normale. L’espressione di Julia era decisamente comica, adesso, e molto somigliante a quella della signora Martin quando aveva scoperto lo stato del frigo, del bagno e della camera di suo figlio.
«Jon, ok, basta, non era così divertente…»
Sobbalzarono entrambi quando Julia affibbiò loro due scappellotti in testa e trasalirono quando la videro in piedi dietro di loro.
«Jules… Sai che ti vogliamo tanto bene, vero?»
Nulla salvò Chris da un altro scappellotto.
 
♪♬
 
Aprì gli occhi, sbadigliando. L’occhio le cadde sull’orologio. Le otto e tre quarti. Di sera. Spalancò gli occhi. Avrebbe giurato di aver chiuso gli occhi solo un momento
Intontita, si alzò, tentando di ricordare cos’aveva fatto prima di addormentarsi, cercando di capire soprattutto perché il posacenere era pieno e perché fosse coperta con una felpa rossa che non riconosceva. Se la tolse dalle spalle e la alzò davanti a sé. Il logo della UCL e un forte odore di tabacco. Sotto il tavolino giacevano abbandonati un pacco di sigarette e un accendino. Dalle nebbie nella sua testa emersero un paio di occhi scuri, una spirale di fumo che usciva da un paio di labbra ben cesellate. Ora ricordava cosa aveva fatto.
Indossò la felpa, accese la luce, svuotò il posacenere nella pattumiera, prese un paio di scarpe che aveva lasciato nel mezzo della stanza e raccolse il pacchetto di sigarette e l’accendino.
Aprì la porta della sua camera, gettò le scarpe via accanto al mucchio di vestiti, accese la lampada sul comodino e si avvicinò alla finestra, scostò le lunghe tende e l’aprì. Le abbaglianti luci della strada e una folata di vento gelido la investirono. Aveva freddo, ma non se ne curò. Aprì il pacchetto e prese una sigaretta, poi lo gettò sul letto alle sue spalle; l’accese e lanciò via anche l’accendino.
Il fumo le ostruì la gola e per un attimo credette di soffocare, ma si riprese e lo soffiò via. Una sensazione familiare, a lungo dimenticata, le corse nelle vene, mista al sapore sgradevole a cui non si era mai abituata; chiuse gli occhi, lasciandosi prendere da una strana malinconia. Li riaprì e nelle volute di fumo che le uscivano dalle labbra e si perdevano nel cielo di Londra vide immagini di un passato dimenticato ma mai così vicino.
Vide le tante, troppe sigarette che aveva consumato, da sola o con quegli amici, nelle vie buie di Glasgow, quelle sere, sigarette che usava come arma e come scudo, per difendersi da tutti, da chiunque potesse vedere che la ragazza dietro quelle armi non era che una ragazzina grassottella e timorosa del giudizio degli altri, spaventata dalla solitudine e dalla possibilità di non essere accettata; una ragazzina che era stata una bambina sola, vittima di scherzi e dispetti, che faticava a combattere l’opinione degli altri, a distruggere quella bambina che le somigliava, che gli altri avevano creato, ma che non era lei; quella bambina vivace, indisponente, che si arrabbiava e rispondeva male ai bambini che per scherzo la prendevano un po’ in giro, ma è normale a quest’età, quella bambina che mangiava la sua merenda da sola in silenzio, e ne mangiava anche più del dovuto. Quando era cresciuta, aveva lottato contro quel corpo che la imprigionava, che era così grande e ingombrante e vergognoso, perché non voleva che tutti la prendessero in giro di nuovo; aveva lottato contro la sé stessa che gli altri avevano costruito, l’aveva distrutta insieme alla sua figura e se n’era creata un’altra: una ragazza forte, indipendente, un po’ anticonformista, con una piega orgogliosa nelle sopracciglia. Aveva raddrizzato le spalle, acceso una, due, tre, infinite sigarette, era uscita a ballare negli orari più impensabili, non aveva mai rifiutato da bere, nemmeno quando sapeva che il suo giovane corpo non sarebbe stato d’accordo, aveva sbattuto le ciglia e ancheggiato una volta di troppo, aveva baciato una, due, tre, forse più paia di labbra diverse, aveva fumato altro che non semplice tabacco. Doveva far vedere a tutti chi era Delilah, doveva dimostrare di essere forte. Poi era venuta a Londra, aveva capito che non sarebbero state sigarette, alcol o un buon rossetto a farla amare dalla gente, e si era calmata, era maturata; la sua spada non era più così affilata, i suoi sorrisi erano tornati veri.
Aveva conosciuto Chris, e le sue armi erano cadute con fragore davanti a lui.
Non capiva perché, non sapeva spiegarselo, eppure lui, con i suoi sorrisi strampalati, la sua voce calda, la sua essenza spumeggiante e i suoi occhi sinceri avevano vinto le sue armi e lei si era ritrovata esposta, vulnerabile. Quella Delilah bambina, gioiosa e solare che credeva di aver sepolto sotto le armi, quella Delilah che nessun altro conosceva, lui l’aveva riportata alla luce e se ne era innamorato.
Sentiva freddo, però, così. E aveva paura. Paura per sé stessa, perché si sentiva in pericolo; per lui, perché non ci sarebbe voluto molto per impugnare di nuovo la spada e fargli del male.
Ancora quel groppo in gola. Si schiarì la voce. Doveva essere il fumo. Strizzò gli occhi e deglutì.
Aveva ripreso lo scudo, però. Lui aveva abbassato lo sguardo e si era fatto un po’ più lontano. Prima o poi se ne sarebbe andato definitivamente e lei avrebbe potuto riprendere la spada. E sarebbero continuati entrambi, sarebbe andato tutto bene. Se solo avesse potuto crederci.
Si scostò dalla finestra, ma non la richiuse. C’era un libro a terra, chissà perché. Storse la testa per leggerne il titolo, espirando una boccata di fumo. Grandi Speranze. Con una strana sensazione in bocca, si chinò e fece per raccoglierlo, quando il suono del campanello la fece sobbalzare. La sigaretta le cadde accanto al libro.
La pestò distrattamente con il piede e andò a vedere chi era.
 
♪♬
 
La lancetta dell’orologio si spostò sul nove. Le nove meno un quarto. Dove diavolo era finita Joanna? Avevano detto otto e mezza. Controllò il cellulare, ma niente.
Will si accorse della sua inquietudine e gli posò una mano sul braccio.
«Rilassati, Guy, sta’ tranquillo. Arriverà.»
«è tardi…» sospirò Guy, mettendo il cellulare in tasca e afferrando la birra che Will gli porgeva, gli occhi rivolti verso il palco. Will distolse lo sguardo dall’amico e li rivolse anche lui al palco, dove Tim stava parlando. Il pubblico accolse con un applauso l’inizio della canzone che seguì.
«Sono bravi» constatò Chris, sorseggiando la sua Coca.
«Sicuramente più di te» fece Al, seduto alla sua sinistra, con aria seria. Chris spalancò gli occhi e iniziò a balbettare, combattuto fra il desiderio di far valere la sua bravura e la sua solita convinzione di non essere un granché. I ragazzi intorno al tavolo risero; perfino Guy stiracchiò le labbra, controllando di nuovo l’orologio. Alla fine, Chris risolse dando una spallata al fratello che rischiò di buttarlo giù dalla sedia.
«Delilah non viene, allora?» mormorò Julia. Jonny scosse la testa.
«L’abbiamo invitata, pensavamo che così potesse risolvere con Chris, ma non è voluta venire» mormorò in risposta, guardando sconsolato il suo bicchiere. La ragazza, accanto a lui, strinse i pugni.
«Io… Che nervoso che mi fanno venire quei due! Sono così idioti… Dimmi un’altra volta, perché non stanno ancora insieme?»
«Perché Chris ha provato a baciarla, ma lei non ha voluto e adesso esce con Nathan, il tipo di prima, e loro non si parlano più» spiegò Jonny, paziente.
«Ma è assurdo! Insomma, Chris è uno strambo e ci sono tutte le ragioni di questo mondo e quell’altro per non averci niente a che fare, ma sono perfetti l’uno per l’altra! Quanto ci metteranno a capirlo?» sbottò la ragazza, esasperata. Jonny rise piano.
«Che vuoi farci… Chris ci ha provato, lei l’ha rifiutato… Lui che altro può fare?»
«Niente, che può fare…» sospirò Julia, prendendo un sorso di Coca Cola. Aggrottò le sopracciglia, mentre un’idea arrivava ballonzolante nel suo cervello.
«Io… Scusami» mormorò con aria assente, sgusciando giù dalla sedia. Jonny la seguì con la testa mentre si faceva strada quasi di corsa nel locale affollato.
«Dove vai, Julia?»
«Lasciala perdere» fece Chris, con un’alzata di spalle, seguendo il suo sguardo. «Scappa spesso così quando deve andare in bagno perché si vergogna a dirlo ad alta voce. Piuttosto, c’è una ragazza laggiù che non la smette di fissarti…» gli fece notare, dandogli una gomitata nelle costole, con un ghigno che andava sempre più allargandosi. Jonny alzò lo sguardo e vide una ragazza dai capelli castani seduta qualche tavolo più in là, che non appena incontrò i suoi occhi voltò fulmineamente la testa. Jonny abbassò lo sguardo, rosso in viso. Chris gli diede una pacca sulla schiena, ridendo, mentre il ragazzo camuffava l'imbarazzo prendendo un sorso di birra.
«Aspetta, ha anche un’amica!» constatò interessato Chris, ravvivandosi i capelli con una mano.
Julia aprì la porta del locale e uscì quasi di corsa nella notte.
 
♪♬
 
Incrociò le braccia sul petto, sbuffando. Le nuvolette di vapore si dissolsero davanti ai suoi occhi.
«Non è un argomento di cui voglio parlare con te» disse lentamente, imprimendo fermezza ad ogni parola. Non lo guardò, ma sapeva benissimo che stava ghignando in quel modo tutto suo, e la cosa la indispettì ancora di più.
«Non vedo perché: mi riguarda, è mio fratello.»
«E allora?» sbottò la ragazza. «Le cose… Sono un po’ strane, noi non… è tutta colpa tua, in ogni caso, te che sei sempre in giro a rompere le scatole.»
«Sono io il cattivo ragazzo, quindi?»
Quanto avrebbe voluto cancellargli quel ghigno con un bel pugno!
«Perché non cambiamo argomento, prima che ti faccia finire nel Tamigi?» propose, sorridendo minacciosa. Lui si spostò dall’altra parte del marciapiede, dal lato della strada, senza togliersi quel sorriso storto dalla faccia.
Il vento della sera, l’odore del fiume, il rumore delle macchine e degli autobus, le luci dei lampioni e degli edifici. Era piena di vita quella sera.
«Vuoi dire che è stata colpa mia? Sono stato io a farvi allontanare?» chiese, senza nemmeno fingersi colpevole.
«Sicuramente venirmi a trovare ogni due per tre e trascinarmi in giro per Londra a raccontarmi la tua vita non ha aiutato.»
«Come? Gran parte della mia vita è la vita di Guy!» esclamò lui, spalancando gli occhi, ancora quella piega beffarda sulle labbra.
«Sei sempre in tempo per finire sotto una macchina.»
«Ah, ma non capisci? È proprio questo che amo di te, Jo.»
«Chiamami Jo un’altra volta…»
«Sì, sì, mi appenderai per i piedi alle lancette del Big Bang, va bene» disse, sventolando una mano con fare annoiato. Lei strinse i denti, cercando di ignorare il battito leggermente accelerato del suo cuore. Mark voltò la testa verso di lei per un momento, ancora con quel ghigno pericoloso sulle labbra.
«Cosa?» fece lei, indispettita. Mark scosse la testa per scacciare quell’amara sensazione che lo prendeva ogni volta che era con lei, quella strisciante colpevolezza che si insinuava nelle vene, ma che puntualmente mascherava sotto un ghigno sornione. Guardò la ragazza imbronciata accanto a sé, il ghigno che mutava piano in un sorriso dolceamaro.
In fondo, non faceva mica nulla di male, no?
«Niente.»
Fianco a fianco, attraversarono la strada ed entrarono al Bull and Gate.
 
♪♬
 
Spalancò gli occhi sorpresa quando riconobbe la figura al di là della porta.
«Buonasera. Si può?»
Senza aspettare oltre, fece un passo nell’appartamento con un ampio sorriso.
«Che puzza di fumo. Non sapevo fumassi.»
«Non… non sono stata io.»
Delilah la seguì, circospetta, mentre Julia si muoveva nel soggiorno, si toglieva il cappotto e prendeva posto sul divano, perfettamente a suo agio.
«Cosa… Hem, come posso aiutarti?»
«Niente, volevo solo parlare.»
Gli occhi della ragazza la trafissero e Delilah si sedette accanto a lei, vinta, lo sguardo basso.
«Dimmi.»
«Oh, andiamo, sai benissimo perché sono qui.»
Chris.
Delilah deglutì, ma non osò alzare lo sguardo.
«Non è il loro Cd, quello?» domandò Julia, indicando un Cd solitario lasciato sul tavolo senza custodia. Delilah lo raccolse e glielo porse con un fremito.
«Me l’ha prestato Tim, è la sua copia.»
«L’hai sentito?»
Delilah annuì, gli occhi incollati alla disordinata scritta del titolo e della band su un lato. Conosceva così bene quella grafia contorta, sapeva l’esatta forma di ogni lettera storta e bitorzoluta.
«Sono andati anche in radio, l’altra sera, a Radio One, con quello speaker simpatico, Steve qualche cosa…»
«Li ho sentiti» mormorò flebilmente. Eccome se li aveva sentiti; non aveva chiuso occhio tutta la notte, poi, tormentata da quella voce struggente e quelle chitarre malinconiche. Julia sospirò pesantemente.
«Allora, Jonny mi ha raccontato tutto, e anche Chris ha spiccicato qualcosa, ma io voglio informazioni di prima mano, dritte dalla fonte. Domanda uno: perché diamine hai mollato quell’idiota di mio fratello?»
«Julia, sono cose che non ti riguardano…»
«Che fiacca, Delilah, ti voglio un po’ più combattiva, altrimenti non mi diverto. Riformulo la domanda: perché hai mollato quel coglione di mio fratello quando chiaramente ti piace?»
«Non l’ho mai detto…»
«Perché non l’hai ammesso nemmeno con te stessa.»
Si piegò all’indietro appoggiandosi allo schienale.
«Diamine, Delilah, avrei giurato che sarebbe stato Chris quello complicato della coppia: è lui quello lunatico, volubile, iperattivo, logorroico, eccentrico, strano… Tu sembravi quella normale. Vuoi spiegarmi che è successo?»
La guardò dritta in viso, ma Delilah fuggì quegli occhi azzurri e lasciò vagare lo sguardo per la stanza disordinata. In fondo, non conosceva benissimo Julia, non aveva voglia di farle confidenze, eppure, si rese conto d’un tratto, forse era una delle poche persone che potesse chiamare davvero amiche. O poteva considerare amiche Claire e Megan, i loro modi affettati e ipocriti e il loro basso quoziente intellettivo?
Cercò di spiegarsi come meglio poteva, mantenendo salda la voce e fermo lo sguardo, mentre il cuore le batteva a mille. Julia non staccò per un momento i suoi occhi dalla ragazza. Quegli occhi azzurri. Uguali a quelli di Chris.
«In qualche modo, io tengo a lui, ci tengo davvero. Anzi, proprio perché ci tengo devo allontanarlo, perché potrei danneggiarlo. Ho fumato, sigarette e non solo, ho bevuto, ho baciato sconosciuti. Non sono stata angelica, pura né perfetta, anche se è così che lui mi vede. Non lo sono stata, non lo sono. Guardami. È bastato un niente e sono crollata.»
Alzò finalmente gli occhi verso la ragazza e desiderò non averlo mai fatto. Erano gli occhi di Chris, quelli, non doveva dimenticarlo.
«Non capisco cosa c’entri questo con Chris. Lui è capace di decidere se fumare o meno, almeno questo lo sa fare» obiettò Julia, incrociando le braccia.
«Sì, ma lui non merita una… Insomma guardami! Sono così… Se Chris si mettesse con me, dovrebbe fare i conti con i miei difetti, correrebbe dei rischi, sarebbe deluso di scoprire una Delilah che non aveva mai visto. E se io mi mettessi con lui… Perderei…» Corrugò le sopracciglia. «Niente. Ma vorrebbe dire…»
«…Dimenticare e distruggere per sempre questa Delilah, lasciando vivere soltanto la tua parte migliore» concluse Julia, distendendo un sorriso. «Se c’è una cosa buona che Chris sa fare è tirare fuori il meglio dalla gente. È fatto così, non puoi tenergli il muso o essere triste o arrabbiato a lungo con lui» alzò le spalle. Delilah sembrava non ascoltarla, persa chissà dove. Storse il naso. Era una sua impressione, o l’odore di fumo sembrava essersi fatto più forte? Diamine, sembrava di stare sopra una ciminiera.
«Quindi… Dici che… Chris sarebbe felice con me?» domandò timidamente, alzando gli occhi tremanti verso la ragazza. A Julia ricordò tanto una bambina, così, insicura, con quella felpa troppo grande che faceva a pugni con i suoi capelli in disordine, la schiena tesa in avanti.
«Dico che siete uno più idiota dell’altra, che state sprecando un mucchio di tempo facendovi assurdi drammi filosofici da romanzetti scritti male e che non lo so se sareste felici, ma diamine, se non ci provate, sta’ sicura che non lo sarete mai!»
Delilah sorrise per la prima volta da molti giorni, un sorriso vero, che le distese la fronte e le riempì il petto di un’emozione indecifrabile. Julia sorrise dolcemente a sua volta.
«Ora direi che puoi andare a vestirti decentemente e poi venire con me al Bull and Gate.»
L’odore di fumo stava rapidamente diventando insopportabile.





***
I Queen e David Bowie, ladies and gents, una magnifica canzone per un, hem, capitolo. Impressioni, pensieri, critiche? Lo spazietto bianco qua sotto vi attende.
Grazie ad Heart e grazie a tutti i (pochi) coraggiosi che hanno letto fin qui.
'Notte!
E.

Ah, ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale (ciao Gwynnie), ovvio. L'ha detto Joanna, mica io u.u
  
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