Videogiochi > Silent Hill
Segui la storia  |       
Autore: Leo    13/02/2014    1 recensioni
Silent Hill - 1997
Dio è morto. Sembra un trattato di filosofia, ma qui è successo per davvero. Dio è morto, l'ha ucciso lei. Lei, che ora non dovrà più nascondersi. Lei, che ora dovrà tornare a casa. Lei, che ora non ha più nessuno. Sembrava solo uno stupido gioco, fin'ora; ma tutto cambia quando torni a casa e ti accorgi che non era un sogno, che è davvero finita, la tua vita è finita. Già, Cheryl, come potrai vivere ora senza tuo padre che ti protegge?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cybil Bennet, Douglas Cartland, Harry Mason, Heather Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PageBreeze

Sedeva al tavolino in quel bar, sorseggiava sfogliava le pagine di un libro, un libriccino di colore rosso scuro, come di sangue raggrumato. Teneva su gli occhiali scuri, che ne nascondevano le iridi al sole flebile di quel pomeriggio d’autunno e restava immobile, passando gli occhi dalle pagine ingiallite ai tavolini occupati. Guardava alcuni ragazzini, forse diciottenni, forse più piccoli, mentre occupavano con la prepotenza tipica della giovinezza diversi tavolini, spostandoli e unendoli per poter stare tutti vicini. Poi tornava a leggere quelle righe scritte a penna, mentre l’udito captava le grida e il brusio tipico dei locali.

La cameriera si avvicinò con un vassoio in mano, e con sorriso di circostanza, senza dire una parola, appoggiò una tazza vuota vicino al suo braccio, appoggiato comodamente sul tavolino, una teiera fumante e un piattino con qualche biscotto dolce coperti di zucchero a velo.

“Il suo the” disse sbrigativa, ma cortese, rivolgendo un ultimo sorriso e allontanandosi senza aspettare una parola dal suo cliente.

I suoi gesti erano calmi, freddi, a guardarli bene sembravano tutti studiati a tavolino. Posò il libriccino sul tavolo, lasciandolo aperto alla pagina che stava rileggendo, e aprì la teiera, poggiando il coperchio su un lato, su un fazzoletto di carta messo lì qualche istante prima che la cameriera si avvicinasse. Tirò il filo che reggeva il filtro contenente l’erba e, con il cucchiaino, lo strizzò con un gesto sicuro, usando il filo stesso avvolto attorno alla posata e al sacchetto poroso. Le goccioline di the ricaddero nella teiera, con un suono sordo, che nessun’altro sentì. Poggiò il filtro sul fazzolettino e richiuse la teiera, versando il liquido ambrato nella tazza, tenendo con una mano il coperchio e con l’altra l’impugnatura. Poi con il cucchiaino iniziò a girare. Non aveva messo zucchero, ma girava comunque quel liquido. Si rilassava con quel gesto.

Gli occhi si spostarono di nuovo verso i ragazzini. Ne erano arrivati altri nel frattempo, e tutti si affollavano a quei due tavolini con gran baccano. Da lontano la cameriera alzò gli occhi al cielo e fece un profondo sospiro, dopodiché tirò fuori il taccuino delle ordinazioni e si avviò nella loro direzione.

Una ragazza, dal gruppo si accorse del suo sguardo. Aveva incrociato i suoi occhi, ma, nel dubbio, aveva subito distolto lo sguardo, continuando a prestare attenzione al suo amico. Poi, in un secondo momento, forse per cercare sicurezza, tornò con gli occhi verso quegli occhiali scuri, che nascondevano l’occhio alla vista. Continuava a non essere sicura, non riusciva a capire se quella persona stava guardando proprio il suo gruppo o se era la sua immaginazione. Così smise di puntare i suoi occhi in quella direzione, cercando di non pensarci più.

Avvicinò la tazza alle labbra. Soffiò leggermente, spostando il vapore profumato, e provò ad assaggiare la sua bevanda. Si scottò le labbra e il palato, ma non fece un movimento che potesse farlo intuire. Semplicemente riappoggiò la tazza nel piattino che l’ospitava e prese un biscotto, che rinfrescò leggermente la sua bocca. Il tutto senza perdere per un secondo la sua calma.

Continuava a guardare in direzione di quel gruppetto. La ragazzina sentì nuovamente il suo sguardo. Arrossì leggermente, forse si indispettì, così prese per il braccio una sua amica e insieme si alzarono e si diressero verso il bagno delle donne. Nella muraglia umana si formò così uno spazio, un vuoto che finalmente permise al suo sguardo di arrivare al suo obiettivo: Cybil Bennet.

Era seduta da una ventina di minuti al tavolino immediatamente alle spalle dei ragazzini, e parlava con un uomo compostamente. Lo aveva riconosciuto, era quel tizio dell’edicola di fronte all’ospedale. Così afferrò una penna dal taschino e iniziò a scrivere, con la mano sinistra, mentre con la mano destra continuò a girare il suo the con freddezza.

La temperatura del liquido adesso non era più in grado di bruciare sulla sua lingua, così prese un grosso sorso. Si accorse che la cameriera aveva portato il conto al tavolo dov’erano i due. Cybil si alzò e si rimise gli occhiali da sole. Uscì velocemente dal locale sorridendo all’uomo che aveva di fronte, che invece rimase ancora con le braccia incrociate sul tavolo.

Prese un altro sorso di the, aspettando che anche l’uomo andasse via. Ma sembrava che stesse aspettando qualcosa.

D’un tratto incrociò i suoi occhi. Gli occhiali non avrebbero dovuto far capire dove lo sguardo era direzionato, e invece lui sembrava guardare proprio nella sua direzione, e sorrideva mentre lo faceva. Poi la ragazzina tornò dal bagno e si sedette al suo posto. Così finì velocemente il suo the e lasciò una banconota sotto la tazza. Si alzò e guardò nuovamente verso il tavolino dov’era seduto l’uomo. Ma quello non c’era più. Al suo posto una banconota sotto una tazza. Guardò verso l’entrata, ma tutto sembrava tranquillo. Di quell’uomo non c’era più traccia.

 

La macchina arrivò a destinazione. Dopo qualche ora di viaggio erano finalmente arrivati a Portland, con le prime luci del mattino. Per strada non c’era ancora nessuno, o forse non c’era più nessuno. Né quelli che si alzano presto per lavorare, né quelli che lavorano fino a tardi nei locali, i musicisti, i teatranti, tutta quella serie di persone che vivono la notte con più piacere del giorno. Quello era il momento morto, in cui, se qualcuno era sveglio, guardava comodamente l’alba dal vetro di un balcone o di un finestrino della macchina da cui non vogliono scendere per non andare a dormire ancora, per rubare qualche istante di tranquillità.

Cheryl era riuscita a dormire per un po’, forse a causa del cloroformio che ancora la intontiva. Douglas aveva guidato tutto il tempo e si vedeva da lontano che era esausto, che aveva bisogno di riposare. Ma non lo avrebbe mai dato a vedere e poi era troppo agitato per pensare di dormire. Cybil invece sembrava non accusare la notte insonne; anche se i suoi occhi erano arrossati e dei solchi violacei erano comparsi sulla pelle, continuava a guardare fissa di fronte a sé, con sguardo sicuro.

Le uniche parole che erano uscite dalla sua bocca erano le indicazioni per raggiungere il palazzo che avrebbero dovuto raggiungere.

E ora, mentre scendevano dall’auto parcheggiata, tutto sembrava quasi tranquillo, meno pesante da sopportare. Anche l’aria aveva un sapore diverso in bocca. In quel momento della giornata in cui le auto non hanno cominciato a rilasciare i loro gas, in cui non c’era un solo rumore, in cui nessuno avrebbe potuto giudicare due persone in pigiama e una terza con un impermeabile stropicciato e sporco di sangue su una manica, armate di pistole, che camminavano tranquillamente su un marciapiedi verso il portone che fortunatamente era aperto.

“Le chiavi…” si ricordò Cybil solo in quel momento.

“Che cosa?! Vuoi dire che non possiamo entrare adesso?”

Cheryl, ormai sveglia, aveva ripreso il suo cipiglio solito.

“Siamo andati troppo di fretta, le chiavi sono nella mia macchina, e io non ho un soldo e nemmeno i documenti…è rimasto tutto a casa tua…”

“E allora cosa si fa?” domandò Douglas cercando di mantenere la calma.

Cybil si guardò attorno. Il portiere non aveva ancora aperto il gabbiotto, per cui c’era una buona notizia e una cattiva.

“…la buona è che non ci vedrà e non farà domande. La cattiva è che dobbiamo trovare un modo per aprire quella porticina e recuperare la chiave di riserva che ha lui.”

“La porta è di vetro, sfondiamola ed è fatta” disse Cheryl noncurante.

Ma Douglas era più attrezzato. Estrasse una specie di astuccio dalla tasca interna del suo impermeabile dove erano conservati dei ferretti particolari. Con quelli riuscì a forzare la serratura e ad aprire la porta senza lasciare traccia. Cybil sorrise sorpresa, mentre il detective si rialzava a fatica a causa della gamba che ancora doleva. Entrò nel gabbiotto e prese la chiave, dopodiché salirono velocemente.

 

Il ticchettio dell’orologio a muro lo rilassava. Scivolò con il bacino in avanti sul divano bianco, dopo essersi guardato attorno con molta attenzione per qualche minuto. Un arredamento essenziale, eppure ben distribuito e apprezzabile. Notò subito l’assenza di fotografie di ogni genere, nulla che indicasse un passato recente o lontano che sia, solo piante e specchi. A Cheryl non era piaciuto per niente quel particolare; gli specchi la inquietavano, era come se dentro ci vedesse qualcosa che la impauriva.

Vide un computer su di una scrivania ben ordinata, non una carta fuori posto, il cestino immediatamente sotto era svuotato e pulito, e c’era un libro appoggiato in modo da avere gli spigoli paralleli al contorno del tavolo, quasi fosse stato messo in quel modo appositamente, con meticolosa attenzione.

Le ragazze erano sparite da un po’, e si sentivano pochi rumori, non un risolino, poche parole, rumore di vestiti perlopiù, udibili a causa del silenzio profondo tipico della mattina. Poi l’acqua. Acqua che scorreva in quantità, una doccia probabilmente. Certamente, Cheryl voleva togliersi da dosso l’odore di cloroformio, il sudore, la sporcizia accumulata strusciando su muri, su pavimenti lerci, come quello del tetto sopra la sua abitazione.

Cybil uscì completamente vestita. Quando sentì la porta aprirsi, Douglas si voltò, per curiosità forse, avrebbe voluto vedere se c’era qualcosa che descrivesse Cybil non come una persona con disordini ossessivi-compulsivi, che la spingessero a tenere tutto in ordine e pulito. Ma riuscì a intravedere solo una porzione del letto su cui erano appoggiati degli altri vestiti puliti, probabilmente quelli che la donna aveva preparato per Cheryl, per quando fosse uscita dal bagno.

Sorrise. Era stanca, si vedeva lontano un miglio, ma sorrise, richiudendo la porta alle sue spalle e sedendosi su una poltrona di fronte al divano che ospitava il detective e il suo bastone. C’era spazio sul divano, anche per sedersi lontano dall’uomo, tuttavia scelse di sedersi di fronte a lui. In una situazione simile chiunque avrebbe cercato di evitare il contatto visivo, gli occhi negli occhi, e invece lei scelse di stare a distanza mantenendo il contatto con i suoi occhi azzurri.

Poi fu silenzio.

Per molti secondi fu silenzio.

Finché Douglas non cedette…

“Perché hai sparato?”

Non era inquisitorio, non c’era nessun trasporto, nessuna enfasi, era una semplice domanda, lecita. E Cybil sapeva che era una domanda del tutto giustificata, ma si meravigliò di quanto quell’uomo riuscisse a mantenere la calma e a non caricare le sue parole di sentimenti negativi.

“A suo tempo Douglas. Siamo qui per continuare questa storia. Voglio arrivare fino in fondo, e stavolta voglio che tu ascolti ogni parola.”

“Siamo in pericolo, vero?”

“Cheryl purtroppo non sarà mai al sicuro”

“Non parlo di Cheryl…”

La donna si bloccò e rimase con il suo sguardo interrogativo. Un eloquente sguardo che bastò per far continuare Douglas.

“…siamo tutti in pericolo. Possono ancora evocare le tenebre! Quell’altro mondo distorto in cui siamo stati tutti e tre. Quella cosa che ho colpito si muoveva convulsamente a terra, l’aria era più pesante, faceva caldo, non c’era nessuno, non hanno sentito gli spari. Vogliono ancora evocare quella mostruosità, e Cheryl può ancora farlo!”

Cybil aspettò un momento prima di rispondere. E prima di parlare, un istante prima piegò le labbra, in modo da sorridere quasi impercettibilmente, in una smorfia del viso quasi rassicurante e al tempo stesso raggelante.

“Si”

Quel modo di rispondere, la situazione assurda o forse solo la paura che provava in quel momento fece sbuffare l’uomo, uno sbuffo che era principio di una risata soffocata.

È incredibile come certe persone, nei momenti più bui della loro esistenza, nel momento in cui si sentono totalmente esposti e in pericolo, affrontino tutto con una risata. Potrebbero piangere, urlare, soffrire in silenzio, compostamente, o sbraitare, tutto sarebbe giustificato in quei momenti. Invece loro ridono, e talvolta ridono di gusto. Ciò che non riescono a capire li fa ridere. Lo affrontano come un’impresa forse, oppure è il loro modo di rassegnarsi, ridendo…

Cybil continuò…

“Ma sembra che non siano in grado di avvolgerci completamente le persone, e possono ricrearla solo in maniera circoscritta…perciò…buone notizie, no?!”

“Che significa?”

“Solo l’odio di Cheryl può portare permanentemente quel mondo attorno a qualcuno, perché grazie all’odio i poteri del dio vengono liberati…l’odio e la paura sono alla base dell’other-world, e quando coesistono entrambi gli stati d’animo, solo allora si comincia a scendere nelle profondità dell’inferno stesso. Solo quando Alessa è stata catturata da sua madre è stato possibile creare quel mondo distorto in cui tutti i luoghi erano in uno solo. Harry lo aveva chiamato Nowhere in uno dei suoi libri…da nessuna parte…e da quel poco che mi ha spiegato Cheryl, anche nel vostro caso quando ha cominciato a provare odio verso Claudia e tutti quelli della setta la dimensione demoniaca ha preso il sopravvento. Perciò la teoria sembra stare in piedi.”

Douglas sospirò. L’unica cosa che ancora non riusciva a spiegarsi era perché in questo caso ricordava tutto nei dettagli mentre non ricordava affatto ciò che era successo al luna park.

“In questo momento Cheryl prova delle emozioni ridotte al minimo. Ha paura, è vero, ma sente la nostra vicinanza, non è sola, e in più – prese una pausa, ci pensò, ma non trovò un modo più delicato – beh, l’esperienza l’ha temprata, l’ha resa più coraggiosa. E, si, odia gli adepti della setta, ma non ha volti da associare, e più che odio profondo o sete di vendetta, è profondamente rassegnata. Sa che non è finita, e questo la strema. Quindi dovremmo avere un po’ di tempo.”

 

Il rubinetto si chiuse con un cigolio. Improvvisamente ci fu silenzio nella stanza, solo qualche goccia che schiantandosi contro la ceramica alla base della doccia, provocava un rumore sordo. Aprì le ante, facendole scivolare rumorosamente e si guardò attorno. Il vapore aveva inondato il bagno, rendendo complicata la visuale, ostacolando lo sguardo. C’era un asciugamani, da qualche parte, un telo per asciugare il suo corpo indolenzito. Cybil glielo aveva detto due volte dov’era, eppure lo aveva dimenticato. Si guardava attorno, con gli occhi socchiusi e le occhiaie violacee, meno profonde di quando era arrivata grazie alla doccia, ristoratrice di molti mali. Cominciò quindi a cercare tastoni, fino a che non incontrò il materiale spugnoso con la sua mano sinistra. Lo passò prima sul viso e sul collo, poi scivolò tra i seni e con un gesto rapido e quotidiano lo avvolse attorno al suo petto. Mosse qualche passo, ma si fermò immediatamente. Nella nebbia, le sembrava di intravedere qualcosa, o qualcuno. Si voltò lentamente, tremando leggermente, ma mantenendo la calma. Sapeva che nessuno poteva essere entrato in quel bagno. Ma c’era quell’ombra nella nebbia.

“Dannatissimo specchio…che ci troverà poi in questi cosi?!”

Per un istante rimase a guardare la sua immagine non definita a causa del vapore che aveva appannato tutta la superficie riflettente. Sembrava quasi che l’ombra al di là del vapore la guardasse con la stessa intensità che lei ci metteva nel guardare quella forma scolorita. Poi si voltò velocemente e uscì dalla stanza, mentre nello specchio tutto si tingeva di porpora lieve.

 

 

È sempre più difficile scrivere, un po’ per gli impegni, un po’ per il periodo. Voglio però ringraziare tutti quelli che seguono la mia storia, chi commenta e chi no, sperando di riuscire ancora a catturare la vostra attenzione con le mie parole. È un’impresa ardua, non sono mai riuscito a portare a termine una storia molto lunga, ma questa si sta proponendo bene!

Perciò grazie e a presto – spero!

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Silent Hill / Vai alla pagina dell'autore: Leo