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Autore: EsterElle    16/02/2014    1 recensioni
Nella terra di Cadmow tutto sta per cambiare. L’armonia che vi ha sempre regnato, l’equilibrio voluto da Dira, la perfetta partizione di un potere enorme: ogni cosa è destinata ad essere sconvolta. Sconvolta, per rinascere a nuova vita.
Ambizione, tradimento, menzogne e segreti; un velo cupo si stende sulla storia delle quattro Regioni. A districarsi tra le torbide acque del mare in tempesta sono due ragazzi, destinati ad essere nemici, entrambi simboli del cambiamento.
Come salvarsi dal crollo di una civiltà? Come sanare un mondo destinato alla rovina?
“Noi siamo Guardiani per volere di Dira e Dira ha fatto si che, per millenni, quattro Guardiani proteggessero il suo popolo. Questa è la Grande Magia, questa è la Sua volontà. Chi sei tu per sovvertire le leggi della natura?”
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
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Quando Dima si svegliò, capì subito che c’era qualcosa di strano. Tutto, intorno a lui, era agitato da violenti tremiti e scossoni e l’andatura ritmica di quelli che sembravano zoccoli di cavallo faceva da sottofondo a quegli attimi di dormiveglia. Gli bastò qualche secondo ancora per realizzare che si trovava a bordo di un carrozzino, solo, sdraiato su morbido velluto rosso. Senza dubbio, era l’abitacolo più lussuoso ed elegante in cui Dima fosse mai stato. Si avvicinò immediatamente alla piccola finestra e scostò le pesanti tende dorate. Lo scenario che si presentò ai suoi occhi era magnifico e terrificante al tempo stesso: stava attraversando un fitto bosco, completamente ricoperto di brina. Gli alberi, spogli, i loro tronchi e i loro rami, le felci e i cespugli spinosi ai loro piedi e persino la rada erbetta che ricopriva il terreno, duro e freddo, era cosparsa di brina: meravigliosi e magici arabeschi facevano parte quel paesaggio cristallizzato, ostile alla vita in qualunque sua forma.
Dima era in preda al panico. Non c’erano vie di fuga: nessuna maniglia alla porta né alla finestra. Il bambino si accovacciò e tastò ogni palmo del fondo del carrozzino, bussò forte contro il soffitto, rovesciò tutti i cuscini per sfogare la rabbia: niente. Era chiuso in una scatola lanciata a gran velocità per un bosco di cristallo.
“Aiuto!” iniziò ad urlare, prendendo a calci e pugni ogni cosa.
“Aiuto!” gridò ancora, a pieni polmoni.
Strepitò per delle ore, e pianse, e tempestò di pugni la porta: non accadde nulla. Infine, esausto e confuso, si accovacciò sui cuscini morbidi e cercò di addormentarsi, stringendo forte le ginocchia al petto.
Era il tramonto quando il carrozzino si arrestò bruscamente, facendo ruzzolare il bambino sul fondo. Con gli occhi pesti per il pianto e la stanchezza, Dima tornò a guardare fuori e rimase sorpreso dalla gran quantità di neve che ricopriva ogni cosa. Al di là del vetro appannato, scorse delle figure avvolte in pesanti mantelli da viaggio che camminavano verso di lui.
-Chi sono? Cosa vogliono da me?- pensava febbrilmente, mentre cercava un posto per nascondersi.
Improvvisamente, la porta si spalancò e un uomo in livrea gialla e blu si affacciò all’interno, tendendo una mano al bambino.
“Mio signore, vi prego di seguirmi fuori” disse, composto.
Se Dima non avesse avuto tanta paura, avrebbe sicuramente riso. Lui un signore? Che assurdità!
-Sono capitato in mezzo ad una compagnia di saltimbanchi ubriachi- pensò, sempre più agiato.
-Guarda questo com’è vestito! Non perdonerò mai mio padre se scoprirò che mi ha venduto a questi qui!-
Nonostante il tremore alle gambe e gli oscuri pensieri, non perse tempo e saltò agilmente giù dal carrozzino. I suoi piedi nudi e buona parte delle gambe ossute affondarono nella neve, ma Dima non diede segno di avvertire il freddo intenso di quella sera. Il suo primo impulso fu quello di scappare. Correre via, attraversare quel bosco sommerso di neve per tornare al frango di Imbris, a casa sua, senza badare a quanto lontana essa fosse. Non appena alzò lo sguardo, però, fu costretto ad abbandonare i suoi progetti di fuga: una decina di uomini circondavano il carrozzino, vestiti delle austere  uniformi dei Soldati del Nord, familiari al bambino.
-Soldati? Mi stanno portando via dei soldati? Ma non è possibile!-  pensò, mentre il visino sporco di terra, lacrime e sangue si chiazzava di rosso.
“Io non ho fatto niente, posso giurarlo! È mio padre quello che ruba i polli dei vicini, non io. Prendete lui, è colpevole!” disse precipitosamente, chiudendo la paura in un cassetto della sua mente e affrontando quel gruppo di uomini grossi e armati con la sola forza delle parole.
“Mio signore, non dovreste agitarvi tanto” disse l’uomo in livrea, fermo al suo fianco.
“Parli bene, tu. Perché sei qui? Scommetto che ti hanno accusato di molestare le brave persone dei paesi, come fanno tutti i saltimbanchi ubriachi” urlò Dima, allontanando la mano dell’uomo. Più era spaventato più dalle sue labbra fuoriusciva un fiume di parole inarrestabile: una difesa naturale che Dima aveva esercitato nei lunghi anni di convivenza con i fratelli.
L’uomo in livrea divenne rosso per l’imbarazzo e la collera “La prego, mio signore, non deve dire queste cose”
“Io dico quel che mi pare e piace! Se non mi lasciate andare immediatamente, giuro che mi metto ad urlare talmente forte da rompere i timpani a tutti voi” minacciò.
I soldati scoppiarono a ridere fragorosamente.
“Stai calmo, piccoletto. Non ti succederà niente di male” disse quello più alto e grosso, avvicinandosi al bambino e posandogli una mano sui capelli spettinati.
“Ah, si? E allora perché mia avete tenuto chiuso in quel carrozzino per tutto il giorno?” replicò il bambino in tono di sfida.
“Il signor Pollok, valletto del Consigliere Qwan, si è fatto prendere la mano. Posso giurarti che non sei stato rapito né era nostra intenzione tenerti prigioniero” ribatté il soldato alto, indicando l’uomo in livrea, che se ne stava col mento per aria, offeso.
“Allora posso andarmene?”
“Certamente no”
“Ma non ho fatto niente, lo giuro!”
I soldati ridacchiarono ancora, sotto i baffi, alla vista dell’ennesima, strenua, difesa del ragazzino.
“Coda di paglia?” si sentì un militare bisbigliare al compagno, ancora ridendo. Fu messo a tacere all’istante, però, fulminato da una gelida occhiata di rimprovero del soldato alto.
“Io sono il capitano Reeply. Sono qui, insieme alla mia squadra, per scortarti a destinazione” disse, ignorando le ultime risatine dei suoi uomini e piazzandosi di fronte al bambino.
“Io non ci torno sul carrozzino” replicò Dima in tono di sfida.
“Precisamente. Adesso mi seguirai fino a quella slitta laggiù: ci sono due persone che dovresti conoscere” disse il capitano al bambino, indicando una bella slitta con finimenti dorati, ferma sulla neve a poca distanza dai soldati.
“Chi sono?” chiese subito Dima, curioso.
“Delle persone che, finalmente, risponderanno a tutte le tue domande, piaga di un ragazzino” disse il capitano, che non era certo un maestro di pazienza.
“Mi diranno anche cosa è successo alla mia famiglia? Forse loro sanno se è stato mio padre a farmi arrivare fin qui. L’ultima cosa che ricordo è che era molto arrabbiato con me” pensò ad alta voce il bambino, rivolto un po’ al capitano e un po’ a se stesso.
“Credo proprio di si. Mi seguirai senza provare a scappare?”
“Si, lo giuro”
“Molto bene, vieni” disse il capitano, sorridendo e facendo cenno ad alcuni degli uomini di seguirli.
I soldato scortarono Dima fino alla slitta: il loro atteggiamento era nuovamente composto e i loro volti non esprimevano alcuna emozione. Solo, di tanto in tanto, un lampo di curiosità attraversava i loro sguardi severi e un bisbiglio interessato si diffondeva tra loro.
“Ecco, ragazzo” disse il capitano Reeply quando furono allo sportello. “Ti raccomando un comportamento adeguato: i signori Consiglieri sono persone davvero importanti” aggiunse, lanciando un’occhiata di disapprovazione all’abbigliamento povero e malridotto di Dima.
Il bambino annuì, tirò su col naso e si preparò a quell’incontro tanto strano.
Il soldato bussò leggermente ed entrò per primo. Dima, incapace di resistere alla curiosità, spiò l’interno da uno spiraglio lasciato aperto dalla porta mal chiusa.
Vide due uomini mollemente seduti su grossi cuscini e coperte, interamente ricoperti di morbida pelliccia bianca.
“Finalmente! Abbiamo aspettato per ore, capitano!” disse uno dei due, vestito di viola e con una folta barba bianca.
“Dovete perdonarci, è stato un viaggio molto lungo. Il signor Pollock ha fatto del suo meglio per far giungere il ragazzo il più presto possibile” replicò Reeply.
“Va bene, va bene. Ci sono notizie dell’altra scorta?” chiese l’altro uomo, vestito del’identico viola ma con il ventre pronunciato e piccoli occhi indagatori.
“Si, signori. Sono giunti a destinazione parecchie ore fa”
“Ecco una bella notizia” disse l’uomo barbuto con amara ironia.
“Capitano Reeply, faccia salire il ragazzo e riprendiamo la via” disse l’altro, con fare sbrigativo.
“Certamente, signori”
Quando il capitano tornò fuori e rivolse nuovamente la sua attenzione a Dima, si accorse che il bambino aveva ascoltato tutta la conversazione.
“Senti, ho cambiato idea, non voglio salire lassù!” disse subito Dima, incrociando le braccia, improvvisamente cocciuto. L’austerità dei due uomini sulla slitta, la loro sottile ironia e il leggero disprezzo che aveva percepito nel breve scambio di battute con il capitano, l’avevano intimorito; avrebbe soffocato ogni curiosità pur di non trovarsi faccia a faccia con quei due brutti corvi vestiti di viola.
“Mamma dice sempre che con gli sconosciuti non ci devo parlare. E dice anche che i corvi portano male. O erano gli avvoltoi?”
“Devi andare!” ribatté perentorio il capitano, ignorando gli sproloqui del ragazzo sui volatili.
“No! Quelli mi portano lontano e poi mi chiudono in prigione. Io voglio andare a casa!”
“Ragazzo, come faccio a farti capire che non ti stiamo arrestando? Mi credi se ti dico che i signori nella slitta ti condurranno in una bellissima nuova casa?” replicò il soldato, cercando di mantenere la calma.
“Fidati di me, nessuno ti porterà in cella” promise ancora.
“Giuri?”
“Si”
“Su cosa?”
“Su quello che vuoi”
“Su un bottone d’argento della tua uniforme”
“Sei davvero un ragazzino impossibile!” disse esasperato l’uomo, mentre estraeva una lama sottile e con un colpo delicato recideva il filo argentato che legava un bottone al polsino della giacca.
“Ecco” disse, porgendoglielo. “Ho giurato. Adesso sali?”
“Va bene” disse il bambino, rigirandosi tra le mani quel bellissimo pezzo da aggiungere alla sua collezione.
“Tu non vieni?” chiese, quando il capitano gli diede una piccola spinta verso la scaletta.
“No, ti seguirò da fuori, a cavallo. Ma adesso sbrigati!”
Dima salì di corsa i pochi gradini ed entrò nell’abitacolo accogliente, foderato di candida pelliccia.
“Guarda, Qwan, hanno fatto salire un piccolo selvaggio” disse beffardo l’uomo barbuto, non appena posò gli occhi sul bambino, torcendo il naso.
“Suvvia, Estefan, non essere così duro. Il ragazzo ha solo bisogno di un bel bagno, vero?” disse l’altro, senza riuscire a dissimulare del tutto il disgusto che gli suscitavano l’aspetto e l’odore del bambino.
“No signore, io odio fare il bagno” rispose Dima in tono di sfida, tirando su col naso per l’ennesima volta e pulendosi con la manica della camicia, come suo solito.
I due uomini in viola scoppiarono in una risatina nervosa.
“Ci conviene metterci in viaggio, Qwan. Ora come ora, non abbiamo altra scelta”
“Hai perfettamente ragione” sospirò l’uomo. “Siediti, ragazzo. Perché non ci dici come ti chiami?” proseguì rivolto al bambino, mentre si sistemava sulla testa un pesante copricapo peloso.
“Dimitar Pavalon. Ma chi siete voi? Dove mi portate? Il capitano ha giurato che mi condurrete in una bellissima casa e non in prigione. Perché io non ho fatto proprio niente, davvero!” disse il bambino tutto d’un fiato, approfittando della possibilità di parlare che i due uomini gli avevano concesso.
“Quanta foga, ragazzo!” lo interruppe il Consigliere Estefan, con una smorfia delle labbra sottili. “Dovremmo lavorare duramente con te, temo” considerò poi, scuotendo severamente il capo.
“La strada sarà lunga e tortuosa, mio caro Estefan, lo sappiamo bene” rincarò la dose il Consigliere Qwan, annuendo alle parole dell’altro.
“Se avrai pazienza, Dimitar, presto saprai tutto”aggiunse con un sorriso tirato diretto al bambino.
Dima, allora, si morse la lingua e  rimase in silenzio, guardando i due uomini e rigirandosi il suo nuovo bottone tra le mani. Era una promessa, quella, e Dima non aveva mai dubitato delle promesse degli amici. Per non parlare di quelle suggellate coi bottoni.
“Molto bene” riprese Estefan. “Io e l’emerito Consigliere Qwan siamo membri del Gran Consiglio di Cadmow e, per la precisione, siamo i Consiglieri del Sud. Siamo stati…”
“Cosa sono i Consiglieri?” lo interruppe subito Dima, curioso come sempre e incapace di trattenersi oltre.
“I Consiglieri, caro ragazzo, sono alcune persone estremamente colte ed intelligenti che aiutano i Guardiani a svolgere il difficile compito che Dira ha loro destinato. Rappresentano il popolo della loro Regione e ne sono i portavoce più autorevoli” rispose pazientemente Qwan.
“Va bene. Ma ci sono anche quelli del Nord, vero?”
“Certamente”
“E dove sono adesso? Perché siete venuti voi? La Regione del Sud è molto lontana”
“L’intero Gran Consiglio si trova ospite a Nenjaat, in questi tristi giorni. Credo tu possa immaginare il perché” disse Estefan, a mani giunte.
“Ah già, è morto Karel, il Signore del Nord”
“Il tuo Guardiano, Dimitar, il Guardiano della Regione del Nord”
“Ma io cosa c’entro con tutti voi, che siete signori?”
 “Forse non ne sai nulla, ma ieri, a Nenjaat, si è tenuta una Cerimonia davvero importante…”
“Si, lo so! La Cerimonia della Carta”
“Molto bravo, Dimitar” disse Qwan, infastidito dall’ennesima interruzione.
“Questa Cerimonia si tiene soltanto alla morte di un Guardiano e ha lo scopo di eleggerne uno nuovo. Ma non siamo noi, poveri mortali, a scegliere la nostra guida, ragazzo. È Dira, la divinità che ha creato tutto il mondo conosciuto e ci ha donato la vita, che guida le nostre scelte” continuò Estefan.
“Esiste una Carta di Cadmow, antichissima. È una Carta impregnata della Grande Magia, ovvero la più grande manifestazione del potere di Dira su questa nostra terra. Le quattro regioni, del Sud, dell’Ovest, del Nord e dell’Est, sono state disegnate migliaia di anni fa da mani esperte e, con loro, le migliaia di persone che abitano quelle terre, sotto forma di piccoli punti neri” spiegò Qwan con grandi gesti.
Dima ascoltava attento, rapito come sempre dai racconti di magia.
“I Guardiani ancora in vita sono un tramite: grazie alla loro conoscenza dei segreti del tempo e dello spazio, grazie al loro essere totalmente immersi nella Grande Magia e alla loro comunicazione privilegiata con Dira, possono mostrarci il suo volere attraverso la Carta. I Guardiani sono rappresentati come punti estremamente luminosi: una nuova luce si accende sulla Carta quando il destino si è compiuto e un nuovo Guardiano è stato scelto. Questo è avvenuto ieri, nella Piazza Nevosa, a Nenjaat” concluse, teatralmente, Estefan.
“O almeno, questo sarebbe dovuto avvenire” bisbigliò Qwan a mezza voce.
“Non ho capito molto bene”  replicò schietto Dima.
I due uomini si concessero un sorriso davanti alla sincerità del bambino.
“Non preoccuparti. Avrai molto tempo per comprendere e studiare a fondo i misteri che rendono tale il nostro mondo” rispose bonariamente Qwan.
“L’importante è che tu capisca che ieri Dira ci ha indicato colui che ha scelto per guidare la Regione del Nord dopo Karel il Buono. Un bambino di dieci anni. Da millenni il Prescelto è un bambino di dieci anni e così anche questa volta”
“Perché quel bambino, Dimitar, sei tu”
Dima rimase un attimo in silenzio.
Il suo sguardo corse da Qwan ad Estefan, da Estefan a Qwan, veloce.
Infine, esplose in una grossa, grassa, risata.
I Consiglieri restarono esterrefatti.
Entrambi guardavano allibiti il bambino contorcersi sui cuscini per il gran ridere, senza sapere cosa fare.
“Dimitar!” esclamò Estefan, perentorio, inarcando fino all’inverosimile le bianche sopracciglia.
“Scusate, signori Consiglieri, scusatemi” disse Dima, ancora ridacchiando.
“Mi dispiace dirvelo, ma avete sbagliato bambino! Io ho già undici anni!” continuò, scosso dai singulti della risata non ancora spenta.
“Non dire assurdità, ragazzo” si dimenò il Consigliere Qwan sul suo sedile.
“La Carta non sbaglia mai. Mai! Qwan, non ti agitare, il ragazzo avrà calcolato male la sua stessa età. Non è la prima volta che la madre di un bambino di periferia non sa con esattezza quanti anni ha suo figlio” disse con gelida razionalità Estefan.
“Hai ragione, caro amico. Inoltre, anche se il ragazzo avesse davvero undici anni nulla potrebbe essere cambiato. E, d’altronde, non sarebbe nemmeno la stranezza peggiore che la Carta e Dira ci hanno riservato questa volta” replicò Qwan, incupendosi e affondando le spalle nella morbida e calda pelliccia.
“Estremamente logico, compagno” approvò Estefan.
“Aspettate, mi sono perso di nuovo. Se questa vostra Piantina sceglie solo bambini di dieci anni, io sono quello sbagliato. Questo mi sembra logico!” li interruppe Dima, mentre si ricomponeva sul suo sedile.
“Ragazzo, Dira vede molto più lontano di noi; non siamo in grado di comprendere tutte le sue scelte. Nell’ultimo migliaio di anni sono stati scelti sempre bambini di dieci anni, ma nulla vieta una modifica delle leggi divine” rispose, spazientito, Qwan.
“Prima di lanciarci in complesse congetture teologiche, però, studieremo tutti i documenti che ti riguardano e che il devoto Pollok ha portato con se da Imbris. Vedrai che la verità salterà fuori” aggiunse Estefan, pragmaticamente.
“Quindi?” chiese ancora Dima, alzando le sopracciglia con fare interrogativo.
“Quindi non c’è nessun errore: Dira ti ha scelto come futuro Guardiano del Nord e così sarà” chiarì Estefan.
“Ne porti i segni sulla tua stesa pelle” completò Qwan.
“Ma quali segni? Le mie croste?” replicò Dima, ridacchiando scioccamente. Non era abituato alle sorprese, ai regali, alle occasioni che cambiano la vita. Ad Imbris aveva conosciuto il lavoro, la durezza, corruzione e ruberie, qualche amicizia sincera e tanta, tanta, povertà: non era facile, per lui, credere alle belle e difficili parole dei due vecchi.
-Questi due mi vogliono infinocchiare per bene, così che me ne resto bello tranquillo per tutto il viaggio e, una volta arrivati, possono sbattermi con facilità in prigione per un crimine che, di certo, io non ho commesso! O, magari, vendermi come domestico al primo amico ricco che gli capita a tiro, così da farci un mucchio di soldi- pensava, con maturità e cinismo estranei al suo visetto sporco di bimbo.
“Non mi sembra il momento adatto per fare dello spirito, Dimitar” disse gelidamente il Consigliere Estefan.
“Si tratta di una questione importante che va affrontata con la massima serietà e maturità” aggiunse Qwan.
“Ma io sono serio. Per me avete proprio sbagliato. Io non ho nessun segno, non ho commesso alcun crimine e non voglio assolutamente finire in prigione” disse il ragazzo, cocciuto. “Ho capito tutto, potete anche smetterla con la finta del Guardiano- scelto-da- Dira” aggiunse, con strafottenza.
I due anziani Consiglieri non erano certo esperti nell’arte della sopportazione: quel bimbetto sporco e cencioso stava rendendo il viaggio in slitta una vera sofferenza per i loro poveri nervi.
 “Mi duole dirti, Dimitar, che sei completamente fuori strada” replicò secco Estefan. “Come ti spieghi la tempesta di neve che hai generato in casa tua e che ha quasi ucciso tutti i tuoi familiari? E il marchio che ti ritrovi impresso sulla spalla?” continuò.
“Come ti spieghi, testardo ragazzo, il fatto che te ne stai in camicia e pantaloni corti, a piedi nudi e testa scoperta, mentre fuori la temperatura è quella del più rigido inverno tu abbia mai conosciuto?” incalzò Qwan, senza dare a Dima il tempo di superare lo shock delle precedenti rivelazioni.
“Credi che i Consiglieri del Sud, due delle massime autorità di Cadmow, secondi solo ai Guardiani e al Supremo, si sarebbero scomodati per accompagnare un piccolo delinquente in gattabuia?” aggiunse amaro Estefan.
“La nostra dignità, il nostro elevato prestigio sociale e intellettuale, non ci permette di continuare a dare ascolto a te, piccolo, ignorante, figlio di un minatore, che con cocciuta insistenza metti in dubbio la nostra parola” concluse Qwan, con voce tonante.
Dima rimase muto come poche altre volte in vita sua; per un po’ sbatté le palpebre, confuso, cercando di districare la matassa annodata dei suoi pensieri.
“Come sta la mia famiglia?” chiese infine, con un filo di voce.
“Abbastanza bene, ora. Ma non per merito tuo” rispose Estefan.
“Io non ricordo niente, solo che ero molto arrabbiato con papà e i fratelli” disse ancora il bambino, scosso. Accettare la verità era davvero dura, per lui, cresciuto a pane e scetticismo.
“Il fedele Pollok ci ha scritto, prima di portarti via, ancora svenuto. Hai ridotto la tua casa in uno stato pietoso, peggio del bosco che vedi qui fuori, tanta era la neve e il ghiaccio che avevi accidentalmente creato”
“E secondo voi sarebbe stata opera mia?”
“Esattamente”
“Perché sono il nuovo Guardiano del Nord”
“Si”
“Ma dai, non può essere vero!” disse Dima, cercando di ritrovare la strafottenza e la sicurezza di poco prima.
“Non è così complicato, ragazzo: sei stato scelto. Dira ha voluto te come suo interlocutore privilegiato, te per proteggere e governare il suo popolo insieme agli altri Guardiani. Non tocca a noi giudicare le sue scelte” disse Qwan, lasciando intendere come fosse difficile per lui vedere in Dima un sovrano, al di là dello sporco ragazzino di periferia.
“Ma io non so niente di niente. Non sono nemmeno mai andato a scuola”
“Come ho già detto, un lungo cammino ti attende prima di poter compiere il tuo destino” rispose Qwan, eccessivamente pungente.
“Dove stiamo andando?”
“A Nenjaat, dove conoscerai gli altri Guardiani”
“E poi? Cosa dovrò fare? Potrò tornare a casa finché non sarò diventato abbastanza grande per vivere al Palazzo d’Inverno?”
“No. Tra poche settimane partirai, diretto al lago di Odundì, al centro esatto di Cadmow. Andrai presso il maggiore tempio di Dira e vivrai con i monaci. Ci resterai per sette anni, così da completare la tua istruzione” spiegò Estefan.
“Ma allora quando potrò tornare a casa?” chiese Dima, con voce incerta e densa di pianto.
“Non ci tornerai mai più”.
“Cosa? No! No, io devo assolutamente tornare! Il mio amico Teppe mi aspetta, devo portarlo a Nenjaat con me!” gridò il bambino, alzandosi per la prima volta in piedi nell’angusto abitacolo della slitta.
“Non sarà possibile” replicò Qwan.
“Deve essere possibile, l’ho promesso”
“Non devi insistere. Tutti i Guardiani, una volta scelti, lasciano la loro famiglia e il loro paese per dedicarsi al bene di tutta la comunità” intervenne Estefan.
“Ma se io sono il Guardiano posso fare quello che voglio! E io voglio tornare a casa e portare Teppedore Gosh con noi!” strillò ancora Dima, con le guancie istantaneamente rigate da nuove lacrime.
“Non è il momento di fare i capricci, ragazzo. Sarai un Guardiano e non puoi permetterti certe debolezze”.
“Ma io voglio il mio amico, solo lui, poi giuro che farò tutto quello che mi direte. Per favore!” pianse Dima, comportandosi come il bambino che in realtà era, grattando via tutti gli strati di durezza e ironia che aveva adottato per difendersi da un mondo fin troppo duro con i più piccoli.
“Sei proprio un ragazzino, Dimitar Pavalon. Quando sarai tra i monaci dovrai comportarti molto meglio di così” disse Estefan, disgustato dalle lacrime e dal moccio che inondavano il viso del ragazzo.
Dima pianse e pianse ancora, pianse per tutta la strada che li separava dalla capitale, pianse per tutta la notte. I due Consiglieri rimasero impassibili alle lacrime e alla crudeltà che stavano infliggendo ad un ragazzino come tanti, separandolo per sempre da tutto ciò che amava e conosceva. Era la prassi e loro non avevano il minimo dubbio sulla bontà delle loro azioni.
Quando giunsero in vista di Nenjaat, Dima nemmeno se ne accorse, tanto i suoi occhi erano stanchi e umidi di lacrime. I cancelli e le mura della città erano maestosi come pochi, a Cadmow. Alta e imponente, la cinta di mura, ricoperta di spesso ghiaccio, circondava un perimetro sin troppo grande per appartenere ad una città sola. Il cancello principale, in ferro battuto sapientemente lavorato, si riempiva di spettacolari ed astratte figure, disegnate da un freddo velo di neve e polvere di ghiaccio. La solidità di una Regione forte e temprata, che tutti i giorni lottava per preservare la vita in un clima tanto inospitale, si intrecciava con la  delicata e leggera eleganza degli arabeschi disegnati dalla neve, in un connubio di pietra, ferro e ghiaccio.
 La slitta seguì da vicino il percorso del fiume completamente gelato, illuminato da piccole lanterne e quindi ricco di affascinanti giochi di luce, che attraversava la città fino ad arrivare all’interno delle mura del Palazzo. La neve era ovunque e le case sembravano fare parte dello stesso paesaggio: per metà interrate nel duro terreno gelato, spesso lastricato di pietre e ghiaccio, adorne di stalattiti e tormentate dalla neve che, quel giorno, cadeva senza sosta, non stonavano affatto con lo spettacolo invernale intorno a loro. Le strade non erano state ripulite dalla fine polvere bianca e i cittadini si spostavano grazie alle slitte o per mezzo di passaggi sospesi, passerelle costruite con l’elemento che, ero chiaro, non mancava mai: il ghiaccio. I ponti sul fiume, le strade, le complicate forme che adornavano i tetti spioventi delle case, erano meravigliose strutture, anch’esse in solido ghiaccio, riflettenti la pallida luminescenza di un sole nascosto dal cielo bianco e nevoso. Tutto, a Nenjaat, era meraviglioso, artificioso ed elegante al tempo stesso: una città fragile, a prima vista, ma tanto solida da poter sostenere e guidare da sola tutta la Regione del Nord.
Cuore pulsante di quella astratta architettura era il Palazzo d’Inverno, a nord della città, e la bella Piazza Nevosa che, con le sue quattro fontane dai getti d’acqua raggelati, era stata teatro di tanti eventi e riconosciuto punto di contatto tra i cittadini fedeli e il loro Signore.
Dima non vide nulla di tutto ciò: quando senti la slitta fermarsi, certamente all’interno della mura del Palazzo, non alzò gli occhi. La notte era trascorsa lenta e le parole dei Consiglieri avevano incessantemente popolato il suo sonno, agitandolo.
Quando scese, subito dopo i Consiglieri, rigirava ancora tra le mani il bottone d’argento della divisa del capitano Reeply.
Lo osservò a lungo.
-Un sacco di bugie, tutti dicono un sacco di bugie! La mamma, il papà, i fratelli e il capitano; nessuno mi ha mai detto cosa sarebbe successo. E questi due vecchi mi hanno imbrogliato più di tutti, portandomi qui senza dirmi che non sarei mai più potuto tornare a casa. Tutti mentono e vogliono fare di me un traditore!-
“Vi odio! Vi odio tutti quanti!” urlò improvvisamente, scagliando forte il suo bottone davanti a sé.
 Fu in quel momento,povero e ferito, circondato da soldati e Consiglieri furiosi, che Dima sentì la sua voce per la prima volta. 




Note
Ed ecco il secondo capitolo! Mi rendo conto che potrebbe risultare noioso, c’è poca azione e molto dialogo, ma ho pensato fosse necessario dare qualche spiegazione in più su Cadmow e le sue leggi, le sue caratteristiche. Questi  due capitoli sono stati incentrati su un solo personaggio, Dima, ma ben presto interverranno nuove figure; è una storia che si svela a poco a poco!
Grazie a chiunque spenderà un po’ del suo tempo a leggere questo racconto!
 
EsterElle
  
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