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Autore: Beauty    19/02/2014    6 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Black Swan
 
Ginevra sospirò, sistemando lo specchio della toeletta che si era lievemente inclinato, rimanendo in ascolto finché non udì i passi delle sue dame di compagnia attenuarsi a poco a poco fino a scomparire nei meandri del corridoio. Le aveva congedate più presto del solito, quel giorno, guadagnandosi delle occhiate esterrefatte da tutte, specialmente da Morgana, la più anziana e la più fedele di loro.
Tutte l’avevano fissata con sgomento quando aveva chiesto loro di andarsene, e alla regina un poco dispiaceva per averle trattate con così malagrazia, ma davvero avvertiva il bisogno di stare da sola per qualche minuto, prima di tornare a gestire gli affari di stato insieme a suo marito.
Quel giorno si sentiva malinconica, quasi svuotata di ogni allegria, e sapeva bene a cos’era dovuta quella sensazione: quello era il giorno in cui aveva dovuto smettere definitivamente il lutto.
Quella mattina, quando le serve e le damigelle erano giunte nella sua stanza da letto per svegliarla, anziché il sobrio e triste abito nero dalla gonna ampia e le maniche strette che per sei mesi aveva indossato con un velo di pizzo dello stesso colore calato sul volto, Ginevra si era vista porgere da Morgana un vestito di seta viola scuro, con la gonna stretta e le maniche a sbuffo, leggermente scollato, oltre a tutti i pochi gioielli che da sei mesi teneva riposti nel portagioie.
Aveva lasciato che l’aiutassero a vestirsi senza lasciar trapelare nulla riguardo al suo malessere, ma in cuor suo si sentiva come se stesse compiendo un atto infamante, un affronto alla memoria di tutti i suoi cari. Nonostante tutto ciò che avrebbe comportato, Ginevra avrebbe voluto mantenere il lutto ancora per qualche mese, se fosse stato sufficiente per farle sentire meno la mancanza della zia.
Sei mesi prima, zia Mallory era morta, e con lei se n’era andato tutto ciò che restava della sua famiglia.
Ginevra sapeva che sarebbe dovuta morire, d’altronde era malata da tanto tempo, ma era stato comunque un dolore immane vedere andarsene quella donna che, per lei, era stata forse più importante di sua madre. Zia Mallory si era spenta di notte, nel sonno, semplicemente, quasi in contrasto con il trambusto e la sensazione che era stata tutta la sua vita.
Fino agli ultimi giorni della sua malattia, la zia non aveva fatto altro che ridere e scherzare con tutti coloro che l’accudivano, prendendo bonariamente in giro la nipote chiamandola mia regina e vostra grazia.
Ginevra non aveva mai dimenticato ciò che le aveva detto quel giorno in cui era stata prelevata dai soldati di re Uther: zia Mallory aveva sempre dichiarato la sua diffidenza nei confronti della casa reale e dei benestanti in generale, ed era stata l’unica persona della sua famiglia ad essere rimasta coerente con le proprie opinioni fino alla fine.
Quando Ginevra aveva sposato Artù ed era divenuta la nuova regina di Camelot, zia Mallory non le aveva tolto il saluto come aveva temuto, né l’aveva giudicata male come molti altri avevano fatto; ma aveva sempre dichiarato fermamente che sarebbe morta nella sua catapecchia in periferia dov’era nata e vissuta, e così era stato, tanto da rifiutarsi di essere trasportata a corte anche quando aveva compreso che per lei era venuto il momento di lasciare quella terra.
Zia Mallory era stata l’unica a essersi dimostrata sincera nel suo affetto verso di lei, senza mai cercare di estorcerle qualche privilegio o forma di ricchezza grazie alla sua nuova posizione…a differenza di quanto aveva fatto il resto della sua famiglia.
Naturalmente, quando aveva sposato Artù, Ginevra era stata ben felice di poter fare finalmente qualcosa per i genitori e i fratelli, ma visto il modo in cui l’avevano ripagata, aveva compreso troppo tardi che tutti loro si erano solo approfittati di lei.
Il giorno seguente le nozze, Ginevra aveva invitato Harold e Josephine a trasferirsi a corte, e loro non se l’erano fatto ripetere due volte. Sua madre era morta da circa due anni, e sino al momento in cui era spirata non aveva fatto altro che rinnegare le proprie origini.
Josephine si era installata nella reggia di Camelot come se questa fosse stata casa sua da sempre, e aveva calato un velo di silenzio sul proprio passato. Per anni, Ginevra l’aveva vista trasformarsi da una timida madre di famiglia e moglie devota a una despota che non indossava altro se non abiti di seta e gioielli preziosi, impartendo ordini a una servitù che lei definiva pigra e indolente, nonostante sua figlia le avesse ripetuto spesso che i domestici erano loro pari e andavano trattati con rispetto – senza contare che, in mezzo alle sguattere che Josephine riempiva di angherie, la regina aveva riconosciuto anche un paio di vicine di casa e un’amica d’infanzia di sua madre.
Josephine era arrivata al punto da non voler più nemmeno parlare con la sorella. Quando Mallory veniva a trovare lei e Ginevra – le uniche volte in cui la zia varcava i cancelli della reggia, insieme a quelle in cui si recava in visita alla figlia di sua nipote –, sua madre inventava mille scuse e mille malesseri pur di non incontrarla, e tutte le volte in cui la regina usciva dal palazzo per portare la piccola Odette nella loro vecchia casa di periferia per farla giocare un po’ con gli zii, le urlava dietro che non era cosa buona che la bambina trascorresse del tempo in compagnia di quella gentaglia. Zia Mallory aveva mangiato la foglia quasi immediatamente, ma aveva fatto finta di nulla fino alla fine, sino a che sua sorella non si era spenta a causa della stessa malattia che di lì a poco avrebbe colpito anche lei.
Quanto a suo padre, non poteva dire che le cose fossero andate meglio.
Come si era aspettata, Harold aveva venduto il mulino e aveva dato sfogo a tutto il suo gozzovigliare lì alla reggia. Ginevra in fondo sapeva a cosa stava andando incontro dandogli libero accesso al palazzo reale, ma aveva comunque sopportato a denti stretti la vista di suo padre che sperperava il denaro di Artù in vino o per correre dietro alle cortigiane.
Suo marito aveva tollerato la cosa per diverso tempo, ma quando Harold aveva iniziato a pretendere sempre più denaro, lui gli aveva detto che doveva calmarsi e mettere la testa a posto, oppure prendere la porta e andarsene. Suo padre aveva scelto la seconda opzione, ed era sparito senza lasciare traccia.
Ginevra aveva sperato che almeno i suoi fratelli non l’abbandonassero, ma così non era stato: i due maschi si erano sposati con ricche ereditiere e avevano preso il volo e Betty, una volta ottenuta una cospicua dote dalla sorella, aveva sposato un fannullone con cui era fuggita.
E ora che anche zia Mallory non c’era più, Ginevra si sentiva come persa nel nulla. Certo, amava suo marito e Artù le era sempre stato vicino, e aveva una figlia che adorava, ma…
…beh, non poteva dire che Odette fosse una principessa modello.
La regina si prese il capo fra le mani, trattenendosi dallo scoppiare a piangere. Si sentiva una maledetta ingrata a pensare una cosa simile quando mille donne avrebbero dato qualsiasi cosa per essere fortunate come lei con la sola preoccupazione di avere una figlia un po’ ribelle, ma ultimamente gestire Odette stava diventando un vero problema.
Spesso Ginevra rimproverava sé stessa – se solo avesse avuto più polso nell’educarla invece di dargliele tutte vinte, se solo fosse stata una nobildonna di nascita anziché la primogenita di un mugnaio che non era neppure in grado di insegnare le buone maniere a sua figlia… –, ma quando vedeva Odette alzare le spalle anche di fronte alla voce imperiosa di Artù, si rendeva conto che il carattere di quella ragazza era come un mare in tempesta: impossibile da domare.
Odette aveva tutto ciò che si potesse desiderare, eppure sembrava sempre insoddisfatta della sua vita.
Era intelligente, ma erano più le volte in cui i precettori venivano a lamentarsi del suo assenteismo e della sua maleducazione, che quelle in cui si presentava a lezione.
Era bella, eppure provava un dubbio gusto nel vestirsi come una stracciona.
Aveva ricevuto un’ottima educazione, ma nonostante questo Ginevra tremava ogni volta che sua figlia apriva la bocca in presenza di estranei e…
…e poi, ormai aveva sedici anni. E nessuna intenzione di pensare a prendere marito, almeno per ora.
Ginevra sospirò nuovamente, prendendo in mano la spazzola e iniziando a sciogliere i nodi dei suoi lunghi capelli castani. Anche quella vista le ricordò sua figlia: sia lei che Artù avevano i capelli scuri, e invece Odette era venuta fuori con una chioma biondo scuro. Per il resto, recava i tratti di entrambi o di qualcuno della loro famiglia: gli occhi del padre, il naso di zia Mallory, il suo mento, le mani di Josephine…e il caratteraccio di re Uther.
Già, anche la stramaledetta abitudine di sua figlia di dire sempre tutto ciò che le passava per la testa non aiutava sicuramente, e non solo durante le riunioni e le cene diplomatiche, ma anche quando nelle vicinanze c’era un qualche rampollo che avrebbe potuto fare al caso suo.
Anche se per ora Odette fuggiva come il vento al solo sentir pronunciare la parola matrimonio, Ginevra sapeva che, presto o tardi, sua figlia avrebbe dovuto sposarsi, e assolutamente con un uomo nobile che fosse in grado di governare Camelot quando fosse stato il momento – anche se a questo la regina cercava di pensare il meno possibile, tanto più che ultimamente Artù non era stato troppo bene.
Occorreva che qualcuno, un giorno, salisse al trono di Camelot, e non poteva essere che il marito di Odette. Lei era l’unica erede, e una donna non poteva governare, non secondo le leggi di quel regno e poi, bastava ripensare alla matrigna di Biancaneve per comprendere il perché.
Ginevra aveva trentaquattro anni, ormai, e aveva ricevuto in dono solo Odette. Non avrebbe avuto altri figli, lo sentiva…e in fondo, pensava spesso, forse era meglio così.
Di nuovo, la regina di Camelot si rabbuiò.
Il ricordo di quanto era accaduto più di sedici anni prima ancora la tormentava, e Ginevra era sicura che avrebbe trovato pace solo quando fosse stata sottoterra.
Merlino le aveva assicurato di aver risolto ogni cosa, ma non le aveva fornito alcuna certezza. Lui stesso aveva dichiarato che quello stregone, Tremotino, era molto potente e che bisognava essere molto cauti con lui.
Sebbene Merlino avesse salvato lei e sua figlia, Ginevra aveva vissuto i primi due anni della vita di Odette nel terrore che Tremotino potesse ricomparire all’improvviso, magari materializzandosi dal nulla come aveva sempre fatto durante i loro unici due incontri, sentendosi mancare il respiro tutte le volte che pensava a cosa sarebbe potuto succedere se un giorno fosse entrata nella nursery e avesse scorto il suo volto affilato chino sulla culla della bambina.
Il timore che potesse tornare, che in qualche modo fosse riuscito a sviare le precauzioni di Merlino così da trovare un pretesto per portare via Odette, non la faceva dormire la notte. Letteralmente: Ginevra aveva trascorso intere nottate insonni rigirandosi nel letto e finendo sempre con lo sgusciare via dalla stanza in silenzio per non svegliare suo marito, e correre alla stanza dove dormiva sua figlia per controllare che Odette fosse ancora lì, addormentata nella sua culla.
Né lei né Merlino avevano mai rivelato nulla ad Artù, ma di certo Ginevra si era accorta che alcuni suoi comportamenti alquanto strani dovevano averlo insospettito, fatto intuirgli qualcosa. Durante la giornata, la regina non lasciava mai da sola sua figlia, tanto da insistere affinché fosse lei stessa ad allattarla al seno, e non le balie. La teneva sempre in braccio, anche quando Odette aveva ormai quasi tre anni e sapeva camminare da sola; a malapena la lasciava giocare con i figli della servitù, per paura che qualche monello la inducesse ad allontanarsi troppo dalle mura del palazzo reale.
La notte, Ginevra aveva preteso che ci fosse sempre una balia o una governante a vegliare su Odette mentre dormiva. Una volta che aveva scoperto la guardiana di turno a sonnecchiare con il volto poggiato contro il palmo della mano aveva dato di matto, minacciando addirittura di farla rinchiudere – lei che, stando alle parole di suo marito, avrebbe risparmiato anche gli assassini e i traditori.
Artù le aveva chiesto più e più volte a cosa fosse dovuto quel suo comportamento, e Ginevra aveva sempre risposto in modo evasivo, attribuendo il tutto a un po’ di stanchezza o a naturale ansia materna.
Poi, dopo diversi anni in cui non era accaduto nulla e Odette aveva iniziato a crescere, la regina di Camelot si era un poco tranquillizzata, ma la paura rimaneva. Senza contare che sua figlia non gradiva affatto la campana di cristallo in cui i suoi genitori volevano che vivesse.
Sia lei che Artù avevano più volte cercato di farle capire che, se non poteva varcare i cancelli del palazzo reale, scendere in strada con le persone comuni o allontanarsi dalle sue stanze da sola, c’era un motivo più che valido: era la principessa di Camelot, l’unica discendente diretta al trono che, un giorno, avrebbe assistito suo marito nel governo del regno come sua madre stava facendo con suo padre.
Erano precauzioni, nulla di più.
Ma naturalmente la testa di roccia di sua figlia questo si rifiutava di comprenderlo, così come Odette non aveva alcuna intenzione di sottostare alle regole che loro avevano imposto.
Anche se, pensò Ginevra, negli ultimi tempi pareva essere migliorata. Erano due settimane che si comportava bene e non aveva neppure sbuffato troppo alla notizia del ballo in maschera che si sarebbe tenuto alla reggia di lì a tre giorni. Sua figlia non aveva mai sopportato i balli e certamente aveva compreso il doppio fine di quella festa – non era stupida, sapeva benissimo che lei e Artù miravano a farle conoscere qualche buon partito. Né Ginevra né suo marito avevano intenzione di spingerla fra le braccia di un uomo che lei non avesse approvato, naturalmente, ma nel frattempo era bene che Odette iniziasse a farsi un’idea di come avrebbe dovuto essere il suo futuro marito.
In ogni caso, erano due settimane che non dava loro alcun problema.
Alcuni educati colpi contro il legno della porta interruppero il flusso dei suoi pensieri. Ginevra si voltò appena, sistemandosi le pieghe dell’abito.
- Avanti - concesse, e un attimo dopo la porta si aprì, rivelando la figura della sua dama di compagnia più fidata: Morgana.
Ginevra le sorrise istintivamente.
Morgana aveva quarant’anni, solo sei più di lei, ed era stata la prima persona con cui aveva stretto amicizia dopo aver sposato Artù, fatta eccezione per Merlino. All’epoca, ricordò, non era una dama di compagnia, bensì una cortigiana: in molti dicevano che fosse stata la favorita di re Uther.
Le aveva raccontato che aveva iniziato a praticare quel mestiere dopo la scomparsa del suo povero marito, caduto in battaglia, che l’aveva lasciata vedova giovanissima e con due figli a carico.
Ginevra aveva provato pietà per lei, e aveva deciso di aiutarla: ne aveva fatto la sua dama di compagnia in modo che smettesse di essere l’oggetto del piacere di chicchessia, e su richiesta della stessa Morgana aveva fatto in modo che Artù integrasse suo figlio Mordred fra i Cavalieri della Tavola Rotonda – un ordine creato proprio da suo marito. Lo stesso aveva fatto con sua figlia minore, trovandole un posto di lavoro lì a palazzo.
A vederla adesso, Morgana non aveva più nemmeno l’aria della cortigiana: era una donna piccola di statura e magrolina, eppure molto affascinante e carismatica, con lineamenti seri e fini e lunghi capelli castani che portava sempre raccolti in una crocchia, oppure sciolti sulle spalle.
Morgana le rivolse una riverenza, senza guardarla negli occhi.
- Mia regina, ho ritenuto opportuno informarvi: la principessa è di nuovo scappata.
Ginevra chiuse gli occhi, inspirando a fondo.
Come non detto.
 
***
 
Odette ridacchiò, sollevando l’orlo della gonna del suo abito color indaco in modo da poter agevolare i propri movimenti. Allungò un braccio e afferrò uno dei rami della grossa quercia che sorgeva giusto accanto alla muraglia di cinta che delimitava il confine fra il palazzo reale e l’intera capitale di Camelot. Tenendo sollevato l’orlo con una mano, si arrampicò agilmente come aveva fatto tante altre volte, fino a raggiungere il punto più alto della quercia che le permettesse sia di potersi appollaiare su un ramo robusto senza correre il rischio di cadere sia di poter scorgere a proprio piacimento ciò che si trovava al di là della muraglia di pietra che circondava il castello.
Udì in lontananza il rintocco del campanile della città che suonava mezzogiorno, e con un rapido calcolo mentale riuscì a dichiarare ben tre ore in cui era riuscita ad eludere sua madre, suo padre, quella noiosa di Odile, le guardie, i cavalieri, i servitori e tutti coloro che in quel momento la stavano cercando come dei disperati in tutti i posti più ovvi e scontati del castello.
Odette sospirò, puntando i piedi avvolti in delle scarpette di velluto leggere contro due rami ai lati opposti della quercia, divaricando le gambe. Lasciò andare l’orlo della gonna, alzando le braccia in aria e aggrappandosi saldamente a un ramo sopra la sua testa. Si diede la spinta piegando le ginocchia, e si sollevò da terra, dondolandosi a mezz’aria con le braccia fino a che non riuscì a mettersi seduta sul ramo più spesso e più resistente che riuscì a trovare. Avrebbe voluto mettersi a cavalcioni, ma la gonna del vestito era troppo stretta e glielo impediva.
Odette inspirò a pieni polmoni, soddisfatta di se stessa, sistemandosi meglio in modo da essere più comoda: si passò una mano fra i capelli biondi e scompigliati a causa dell’arrampicata e di quelle ore trascorse a giocare a nascondino fuggendo da tutti. La principessa puntò i suoi occhi grigi in direzione della città: la muraglia che circondava il castello se superata dava accesso a un’ampia distesa di terra ed erba, senza alcun tipo di abitazione ma che, andando più in là, iniziava a far incontrare pian piano qualche casupola isolata, finché queste ultime non aumentavano in numero e in vicinanza, dando vita a una vera e propria cittadina. Perfino da lì, Odette poteva sentire il lontano brusio delle persone.
La principessa rimase a scrutare l’orizzonte, dondolando le gambe penzoloni nel vuoto. Non era mai stata in città. A dire il vero, non era mai stata in nessun posto che fosse più lontano di quella quercia ai confini del giardino del palazzo. Sua madre, il re suo padre, le dame di corte, i servitori e tutti coloro che conosceva sostenevano che fosse una cosa normale, ma in cuor suo Odette sapeva che non era così. Non c’era niente di normale nel vivere da reclusi; lei non aveva mai messo piede fuori dal palazzo a parte quando era molto piccola e sua madre l’accompagnava a casa degli zii. Poi, con la malattia della sua prozia, quelle visite erano state annullate, e lei all’epoca era ancora troppo piccola per poter avere alcun ricordo di come fosse il mondo oltre quelle mura.
Era…triste. Sì, proprio così: era molto triste.
E la faceva sentire arrabbiata. Odette si corrucciò: più rimaneva a guardare, più le veniva voglia di scendere da quella quercia, prendere armi e bagagli e correre immediatamente fuori dal portone d’ingresso, sgusciando via facendosi strada fra le guardie attonite e precipitandosi a perdifiato lungo quella distesa di terra ed erba fino a raggiungere la città. E una volta arrivata…beh, avrebbe fatto ciò che sapeva che sir Galvano facesse ogni volta che lasciava il castello: sarebbe entrata nella bettola più sudicia e malfamata della periferia e avrebbe iniziato a scolarsi un boccale di grog dietro l’altro, ridendo senza preoccuparsi di contenersi e scherzando con contadini e braccianti, stando alzata fino a tarda sera, magari andando a qualche festa popolana e danzando tutta la notte intorno al fuoco con una ghirlanda di fiori sul capo, come la sua vecchia balia le raccontava sempre che facevano le ragazze durante la festa di fine estate.
E poi…non sarebbe più tornata al castello. Non subito, almeno. Avrebbe scritto ai suoi regali genitori di non preoccuparsi, che sarebbe stata bene; dopodiché avrebbe indossato abiti da uomo, si sarebbe tagliata i capelli e sarebbe balzata sul cavallo che avrebbe rubato a Lancillotto – gli sarebbe stato solo bene! – e sarebbe partita alla volta di qualche avventura, proprio come aveva fatto una donna di un paese molto lontano da loro, che era perfino divenuta un generale dell’esercito e la cui storia era giunta sino a Camelot. Avrebbe affrontato draghi, visitato luoghi lontani e poi…e poi…
…e poi stava fantasticando di nuovo. Più facile a dirsi che a farsi, principessina.
Odette sbuffò, chiudendo gli occhi e gettando il capo all’indietro, godendosi i pochi raggi di sole che filtravano attraverso le fronde della quercia. Se solo le sue fantasie fossero state reali, a quest’ora sarebbe stata chissà dove, invece che ancora lì a Camelot, intrappolata in quelle quattro mura, con sua madre che le piagnucolava dietro implorandola di non comportarsi come il garzone di un macellaio, e quella lagna di Odile che non faceva altro che cinguettare quanto fosse fortunata a poter partecipare a…a quel ballo in maschera che si sarebbe tenuto al castello…si sarebbe tenuto al castello…fra meno di tre giorni!
Quel pensiero bastò per gettarla nello sconforto più nero. Odette gemette, appoggiando il dorso contro il tronco della quercia e sollevando le gambe in modo da distenderle sul ramo sopra il quale era seduta; in quel preciso istante udì riecheggiare nella sua testa la voce di Lancillotto che le urlava di stare attenta a non cadere – voce che si affrettò a zittire: era già fastidioso sentirla dal vivo, non aveva bisogno che quel bacchettone la perseguitasse anche nell’immaginazione.
Il ballo. Se n’era pressoché dimenticata. O meglio: aveva volutamente rimosso quel pensiero, l’aveva allontanato dalla sua testa per tutto il tempo in cui nessuno l’annoiava con le prove del suo abito.
In genere, quando suo padre decideva di tenere qualche festa o ricevimento – ringraziando la buona sorte poteva contarle sulle dita delle mani quelle occasioni, dato che Artù non era il tipo per queste cose, e sua moglie meno che mai –, Odette pestava i piedi e inventava qualsiasi scusa per non andarci, ma stavolta – non sapeva neppure lei il perché – aveva finto di acconsentire con entusiasmo per non far soffrire sua madre, anche se continuare a tenere la maschera si stava rivelando parecchio difficile, tanto che più volte nei giorni precedenti era stata sul punto di sbottare.
Non aveva per niente voglia di andarci, eppure allo stesso tempo sapeva di non avere via di scampo. Era una delle tante cose a cui una principessa non poteva sfuggire.
Non le erano mai piaciuti, i balli. Non le piaceva stare sveglia fino a tardi con addosso abiti scomodi, dovendo inchinarsi e sorridere a persone che non aveva mai visto in vita sua mentre crollava dal sonno, non le piaceva avere addosso lo sguardo giudicante di tutti, non le piaceva doversi subire le ramanzine di suo padre il giorno dopo perché aveva sbagliato di un particolare. Non le piaceva ballare; aveva preso lezioni di danza sin da quando era piccolissima, ma per quanto si esercitasse non riusciva a coordinare i movimenti e finiva sempre con il pestare i piedi al proprio cavaliere. Aveva provato a fare pratica una volta con sir Galvano e innumerevoli con Odile, e tutt’e due avevano ceduto dopo dieci minuti. Era un pericolo per se stessa e per gli altri, sulla pista da ballo.
E soprattutto, non le piaceva il fatto che tutta quella farsa fosse stata organizzata solo ed esclusivamente con l’intento di trovarle l’ennesimo damerino come potenziale futuro marito.
Odette questo lo sapeva, e forse era ciò che la irritava di più. Non si sentiva pronta per il matrimonio. Aveva sedici anni, diamine! Non voleva vivere per un uomo, portare in grembo i suoi figli, subire i dolori del parto, vedere il suo corpo sformarsi a causa delle troppe gravidanze, crescere dei bambini urlanti mentre quello sconosciuto di suo marito governava al posto suo e mandava in malora il regno di suo padre. Poco importava se sua madre era poco più vecchia di lei quando si era sposata: Odette non ne voleva sapere di nozze e vita matrimoniale, non per il momento. Per di più, tutte le storie della generazione della sua famiglia riguardanti i matrimoni erano tutto meno che rassicuranti: quello dei suoi genitori era stato straordinariamente e inaspettatamente felice – a dispetto di tutti coloro che avevano storto il naso quando Artù aveva scelto di sposare la figlia di un mugnaio –, ma non era stato sempre così per chiunque. Suo nonno, ad esempio, aveva tradito con altre donne la madre di suo padre fino a che lei non era morta – di crepacuore, come sostenevano molti –, arrivando fino al punto di crescere a corte anche uno dei suoi tanti bastardi, tale Principe Filippo, che aveva causato alla famiglia Pendragon diversi problemi.
No, decisamente non era pronta per il matrimonio e solo il pensiero che i suoi genitori stessero cercando di combinargliene uno la faceva innervosire. Ma più ancora di questo, Odette non sopportava l’idea che loro la ritenessero così incapace da doverle affibbiare un marito per poterle garantire la successione al trono. Non si fidavano abbastanza di lei per credere che sarebbe stata una buona regina, quando fosse giunto il momento.
Era una cosa che non poteva tollerare.
- Principessa!
Odette sobbalzò, e fu quasi sul punto di cadere dal ramo su cui era appollaiata. Si drizzò a sedere, all’erta come fosse stata una sentinella in attesa dell’arrivo dei nemici. Conosceva quella scena a memoria: lei spariva per un po’ di tempo e subito si diffondeva il panico fra tutti gli abitanti del castello, che si riversavano in ogni dove per cercarla. In genere, tutti la chiamavano con l’appellativo di principessa Odette, ma durante le sue fughe erano voci di donna che lo gridavano a squarciagola.
Invece, stavolta, la voce era una sola, per di più chiaramente maschile e abbastanza pacata. Anzi, sembrava quasi che stesse cercando di soffocare una risata.
- Principessa Odette! Ancora a giocare a nascondino alla vostra età?!
Odette rise sotto i baffi, accovacciandosi fra i rami e nascondendosi meglio in mezzo alle fronde. Aveva riconosciuto la voce. Guardò in basso, cercando di scorgere oltre le foglie della quercia: proprio sotto di lei, guardandosi intorno a metà fra il guardingo e il divertito, c’era sir Galvano.
- Andiamo! Lo so che siete qui!- chiamò.- Venite fuori! Vostra madre sta iniziando a preoccuparsi!
La principessa soffocò una risata, e si nascose ancora di più. Galvano si arrestò proprio ai piedi della quercia, incrociando le braccia al petto.
- Avanti! Non vorrete che vi venga a prendere?
- Non pensi che sarebbe il caso di smetterla di giocare, adesso?!
La voce divertita di sir Galvano venne affiancata da un’altra, anch’essa maschile, ma più giovanile oltreché secca e perentoria, e decisamente irritata. Odette smise di ridacchiare e alzò gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire uno sbuffo esasperato.
No, dannazione, pensò. C’è anche lui.
- Lancillotto, ti vuoi rilassare?!- lo rimbrottò bonariamente Galvano, ancora ignaro della presenza di Odette nascosta fra le fronde.- E’ da un’ora che non fai altro che borbottare. La principessa si è solo nascosta, come al solito.
- Sto solo dicendo che potremmo trovarla più in fretta, se tu la smettessi di metterti al suo livello!
Sotto di lei, Odette vide che sir Galvano era stato raggiunto da sir Lancillotto. Quest’ultimo, a differenza dell’altro cavaliere, non indossava la regolare casacca azzurra recante una croce bianca sul petto; bensì era abbigliato completamente di nero, dalla testa ai piedi. Non che la cosa la stupisse troppo: Lancillotto si vestiva come tutti gli altri Cavalieri della Tavola Rotonda solo quando questi erano convocati al cospetto di suo padre, oppure durante le occasioni formali. Odette non aveva mai compreso perché si ostinasse a fare così, lui che andava tanto fiero del suo ruolo.
- Mettermi al suo livello, dici?- domandò Galvano, con la voce carica di – finto – stupore.- Che intendi dire?
- Tutte le volte che scappa è come se tu la volessi incoraggiare. Ti comporti come se il suo atteggiamento fosse normale!
- Ma è normale! Andiamo, amico mio, ha solo sedici anni. Tu non hai mai avvertito il bisogno di allontanarti dalla vita di corte?
- Io so qual è il mio dovere, e scappare sarebbe da vigliacchi.
- Non pensi di stare esagerando, adesso? Si tratta di una semplice marachella, nulla più.
- Una marachella che potrebbe costare caro a tutti e due. Hai idea di cosa potrebbe farci il re, se la principessa si facesse male?
- Cosa vuoi che le capiti, finché resta entro le mura? E’ giovane, si sarà sentita sotto pressione…
- …io invece dico che è solo una bambina viziata.
- Bambina viziata?!
I due cavalieri sobbalzarono, e un secondo dopo Lancillotto venne colpito sul capo da una ghianda che Odette aveva colto e lanciato nella sua direzione non appena aveva udito quel commento. La principessa si aggrappò con entrambe le mani a un ramo, e balzò giù dalla quercia atterrando proprio in mezzo ai due. Puntò lo sguardo furioso su Lancillotto.
- Suppongo che ora avrete il coraggio di ripetere quanto avete appena affermato!- ringhiò, con palese atteggiamento di sfida.
Galvano scoppiò a ridere.
- Se non ti conoscessi meglio, amico mio, direi che il tuo era solo uno stratagemma per farla uscire allo scoperto…!
Odette arrossì violentemente, conscia di essere stata colta in fallo. Lancillotto si massaggiò il capo con una mano, borbottando qualcosa che nessuno dei suoi due interlocutori riuscì a decifrare.
- Bene, dopo tre ore di lunga e faticosa ricerca, vi abbiamo trovata, principessa Odette - Galvano sorrise, squadrandola da capo a piedi. Odette si rese conto solo in quel momento di avere i capelli arruffati e l’abito sporco di erba e resina.- Tutto il castello vi sta cercando, lo sapete?
- Vostra madre era preoccupata - s’intromise Lancillotto ma, se in fondo Galvano faticava a trattenere un sorrisetto, lui invece era più serio che mai.- Avete idea di cos’avete combinato?!
Odette sbuffò, dandogli le spalle.
- Non sono più padrona di andare dove voglio, adesso?- chiese, rivolta a sir Galvano.- Chi ha fatto la spia, stavolta? Scommetto che è stata Odile! Quell’impicciona non sa mai tenere la bocca chiusa…!
- Non scaricate tutta la colpa su quella poveretta - l’ammonì il cavaliere, muovendo un passo nella sua direzione.- Se Odile ha fatto o detto qualcosa è stato solo perché teme per voi…
- …e per quello che il re potrebbe farle per colpa vostra!- aggiunse Lancillotto, senza nemmeno curarsi di abbassare la voce. Odette si voltò nuovamente verso di lui, stizzita.
- Ero convinta che quella fosse una vostra preoccupazione - lo rimbeccò.
- Certo che lo è. Non ho nessuna intenzione di finire nei guai per colpa vostra e dei vostri capricci!
- Ma come vi permettete?!- Odette marciò verso di lui, con tutta l’intenzione di dirgli ciò che pensava di lui e della sua ridicola ossessione per il proprio dovere, ma venne bloccata da sir Galvano. Anzi, forse sarebbe stato meglio dire che fu intrappolata da sir Galvano: il cavaliere la sollevò di peso su di una spalla, in modo che il busto di Odette fosse in direzione della sua schiena e le gambe penzoloni contro il petto dell’uomo.
- Cosa preferite? Volete scendere e tornare nelle vostre stanze utilizzando le vostre gambe, o devo riportarvi al cospetto di vostra madre in questo modo?
- Ehi, no!- Odette iniziò a ridere a crepapelle.- Questo non è per niente cavalleresco da parte vostra!
- Sopravvivrò…
Odette si dimenò, cercando di liberarsi fra le risate. Per contro, Lancillotto guardò il suo amico come se stesse compiendo chissà quale blasfemia.
- Cosa diamine stai facendo?!- lo riprese.- Non puoi fare così! E’ una reale, se vi vedesse qualcuno…
- Cos’avete, sir Lancillotto? Siete geloso, forse?- lo beffeggiò Odette, continuando a ridere.
Il cavaliere fece per rispondere, e dalla sua espressione si sarebbe trattato di una risposta oltremodo brusca e rabbiosa, ma l’arrivo di una quarta persona glielo impedì.
Tutti e tre si voltarono non appena udirono dei passi frettolosi avvicinarsi. Il sorriso di Odette scomparve, e Galvano la mise giù. Lancillotto rimase impassibile.
Si avvicinò di corsa una ragazza molto magra e dal colorito pallido, poco più grande della principessa, con grandi e dolci occhi scuri e una cascata di capelli castani e ricci. Indossava un vestito semplice, con una camicia bianca troppo larga per lei e una lunga gonna marroncina un po’ spiegazzata.
- Principessa Odette!- esclamò.- Vi…vi stiamo cercando da ore!
- Lo so, Odile…- Odette si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo alla vista della svenevole servetta. Ogni volta era la stessa storia: vi stiamo cercando da ore, principessa, dov’eravate finita?
Sembrava un’ebete.
Odile si avvicinò ansimando a causa della corsa. Si ravvivò malamente i capelli, nel tentativo di darsi un contegno. Lancillotto inarcò un sopracciglio, scoccandole un’occhiata di sufficienza.
Non era bella, e di certo il fatto che fosse una serva non aiutava; il viso aveva una forma ovale, e sarebbe stato anche grazioso se non fosse stato per quel pallore che la faceva apparire perennemente malaticcia, ma soprattutto per via di quell’espressione che sembrava esserle stata permanentemente scolpita sulla faccia: smarrita, quasi istupidita, sempre con quegli occhioni castani spalancati come se tutto il mondo intorno a lei fosse qualcosa di magico e sconosciuto. Odile aveva la perenne aria di una che è appena cascata dalle nuvole, e non appena le si faceva notare qualcosa – non necessariamente una mancanza, anche una semplice piega del vestito – pareva precipitare nello sconforto più nero, e iniziava ad affannarsi per risolvere il problema…il più delle volte peggiorando la situazione.
Era maldestra, questo non lo poteva negare nessuno ma – Lancillotto questo doveva concederglielo – non avrebbe fatto male a una mosca. Odile lavorava dalla mattina alla sera: grazie all’aiuto da parte della regina Ginevra alla sua famiglia, era divenuta la dama di compagnia personale della principessa, ma Odette era un tipo solitario e a volte anche un po’ scontroso, così quando non stava insieme a lei per aiutarla a vestirsi o assisterla durante le lezioni con i precettori, Odile dava una mano agli altri domestici in cucina o in giardino. Purtroppo il suo carattere la faceva spesso diventare bersaglio di alcuni scherzi che, tuttavia, si rivelavano sempre bonari e innocenti.
In ogni caso, lei per tutti non era altro se non la piccola Odile.
- L’avete trovata voi?- pigolò la ragazza, puntando lo sguardo su Lancillotto. Galvano inarcò un sopracciglio, abbozzando un sorrisetto; Odette si schiarì nervosamente la voce.
- Odile, non sono un oggetto. Non ho bisogno di essere trovata.
La servetta arrossì violentemente, e smise di scostarsi i riccioli che le cascavano continuamente sugli occhi.
- Io…ehm…certo, certo…naturalmente, principessa, io non avevo nessuna intenzione di…
- L’abbiamo capito cosa volevi dire, Odile, non ti affannare - Lancillotto le rivolse un sorriso che aveva metà del bonario e metà dello scherno.- In ogni caso…sì, l’abbiamo ritrovata noi.
Per tutta risposta, Odile gli rivolse un gran sorriso, avvampando ancora di più. Lancillotto guardò altrove, mentre Odette inarcò un sopracciglio e sir Galvano soffocò una risata.
- Ehm…Odile, non dovresti tornare al lavoro?- le chiese infine quest’ultimo.
- Io…a dire il vero, sir Galvano, la regina ha ordinato espressamente che la principessa venisse condotta da lei, quando fosse stata…ehm…quando l’avessimo…
- Ho capito!- Odette sbuffò, gettandosi all’indietro la chioma bionda.- Avanti, andiamo da mia madre, così potrà sgridarmi anche oggi e porremo fine a questa buffonata…
- Non dovreste parlare della regina in questo modo!- obiettò Odile.- E’ vostra madre ed era in pensiero, sono certa che…
- E falla finita, Odile!
 
***
 
- Posso parlarti di una questione, amico?
- Di che si tratta?
- Del fatto che, a mio parere, dovresti provare a essere più gentile…
- A chi ti riferisci?
- Beh, al mondo intero in generale…e alla piccola Odile in particolare.
A quella precisazione, Lancillotto smise bruscamente di camminare a fianco di Galvano, e si arrestò a guardarlo, sinceramente sorpreso. Non era raro che il suo amico gli facesse la morale, ma era la prima volta che tirava in mezzo la servetta.
- Odile?- fece eco Lancillotto.- Che cosa c’entra Odile?
- Andiamo, la tratti sempre come se fosse un cagnolino - Galvano riprese a camminare lungo uno dei tanti corridoi della reggia. Erano trascorse diverse ore dall’incidente intercorso con la principessa Odette, e il sole stava iniziando a tramontare all’orizzonte. Entrambi avevano trascorso la giornata impegnati nei rispettivi compiti, ma quella sera il re aveva convocato dodici dei suoi cavalieri a cena: Galvano e Lancillotto sapevano che non c’era un motivo particolare. Non era raro che Artù volesse trascorrere la sera in compagnia della sua famiglia e dei suoi cavalieri più fedeli, e spesso si rivelavano delle occasioni piacevoli…ma non quella sera. Sia sir Galvano che sir Lancillotto lo sapevano: c’erano tutte le carte in regola perché la serata trascorresse immersa nella tensione. Innanzitutto, le grida della regina e della principessa erano state udite in tutto il castello per due ore filate dopo il ritrovamento di Odette; in secondo luogo, ultimamente il re non era stato bene: loro non conoscevano i dettagli della sua malattia, ma stando alle voci che circolavano si diceva che si trattasse di una lieve febbre e un po’ di debolezza. Nulla di grave, all’apparenza, ma per ora nessun medico era riuscito a comprendere a cosa fosse dovuto quel malessere.
In pratica, un’atmosfera per niente rilassata; senza contare che quasi certamente sarebbero stati presenti anche Morgana, la protetta della regina, e suo figlio. E, se sir Galvano tendeva a non dare troppo peso alla cosa, Lancillotto aveva sempre faticato a tollerare Mordred e sua madre.
Tutti sapevano che Morgana, a suo tempo, era stata una cortigiana, e che Mordred, divenuto cavaliere solo grazie alla benevolenza della regina e all’influenza di sua madre su di essa, era più insidioso di un serpente: sino a quel momento non era mai riuscito a coglierlo sul fatto, ma Lancillotto non si fidava di lui. Mordred aveva un comportamento strano, sempre a bisbigliare al vicino invece di parlare ad alta voce, a fare commenti ambigui, a lasciare sempre i discorsi provocatori in sospeso come a voler sfidare l’interlocutore. Una serpe, ecco che cos’era, secondo Lancillotto; e sua madre non era da meno, sempre a lodare chiunque con le sue moine, ma nel frattempo perennemente a sussurrare chissà cosa nell’orecchio della regina.
A Lancillotto non piaceva quel genere di persone: poteva anche darsi che avessero le migliori intenzioni, ma non ne potevi avere la certezza. Mordred amava macchinare alle spalle altrui, piuttosto che parlare apertamente e cercare di collaborare per risolvere un problema. Era lontano dagli ideali cavallereschi con cui lui era cresciuto e che rispettava tutt’ora: Lancillotto forse era stato più sfortunato di Mordred, dato che aveva trascorso i primi dodici anni della sua vita vivendo in una povera catapecchia ai bordi della capitale fino a che non aveva trovato lavoro come sguattero al castello. Ma a differenza sua, il suo ruolo di cavaliere se l’era guadagnato con fatica e sacrificio, non grazie ai favori dei regnanti e di una madre dalla dubbia moralità. E forse a Mordred neppure sarebbe importato qualcosa di essere un cavaliere, se questa sua posizione non gli avesse fornito dei privilegi.
Lancillotto era diverso da lui. Era diverso, e mai avrebbe messo in gioco il proprio ruolo per tessere delle trame di corte come Mordred e Morgana. O per correre dietro alle gonne di una ragazzina.
- Io non la tratto come un cane - si difese, tenendo lo sguardo puntato di fronte a sé.- Io nutro il massimo rispetto nei confronti di Odile. E’ lei che con il suo comportamento permette alle persone di prendersi gioco di lei.
- Il suo comportamento?- ripeté Galvano.- Lancillotto, stiamo parlando della piccola Odile, ricordi? Molto probabilmente lei non si accorge neppure delle risatine che gli altri servitori si fanno alle sue spalle, o del fatto che…
- E’ un poco fastidiosa a volte, lo ammetto…- Lancillotto lo guardò.- Ma non sono mai stato brusco né offensivo e, se talvolta sono distaccato con lei, è solo per non illuderla.
- Ah, allora te ne sei accorto anche tu!- Galvano rise, estraendo da una tasca della casacca una piccola fiaschetta d’idromele sotto lo sguardo esterrefatto del compagno.- Allora, come ci si sente a essere l’amato della piccola Odile?- ghignò, buttando giù un generoso sorso di alcool.
Lancillotto gli strappò malamente la fiaschetta di mano, guardandolo con aria di rimprovero.
- Non dovresti bere quando sei in servizio.
- Non cambiare discorso. E restituiscimi la fiaschetta, l’ho pagata un occhio della testa!
Il cavaliere, per tutta risposta, si allontanò da lui di un passo, e si assicurò la fiaschetta semivuota alla cintura intorno alla casacca, nascondendola con il mantello. Tornò a guardare Galvano.
- Riesci a immaginare che cosa potrebbe succedere se qualcuno ci scoprisse con dell’idromele?
- La cosa più terribile che mi viene in mente è una ramanzina. Non ti accuseranno di certo di tradimento per una piccolezza simile…!
- Forse no, ma non ho intenzione di farmi rovinare la reputazione per colpa tua!
Lancillotto sospirò. Aveva trent’anni, e Galvano invece quarantacinque; erano amici da tanto tempo, loro due, eppure spesso si sentiva lui quello più anziano e maturo.
Non si poteva dire che Galvano fosse un cavaliere di seconda categoria o una cattiva persona, tutt’altro: era forse il migliore di tutti loro ed aveva un animo buono, ma nonostante l’età aveva sempre dichiarato di non voler rinunciare anche a quel poco di piacevole che la vita ti offriva. Era molto più espansivo di lui e si faceva molti meno problemi quando si trattava di parlare con familiarità anche alla regina o alla principessa – l’episodio di quella mattina ne era un esempio. E, sebbene Lancillotto sapesse che dietro a tutta quella giovialità si nascondesse qualcosa di più profondo, un dolore che Galvano mai avrebbe lasciato trapelare, spesso si sentiva in dovere di riportarlo all’ordine.
- Riuscirò comunque a procurarmene un’altra, stanne certo!- promise Galvano.- E, per tornare al punto…Non serve che tu ti affanni per non illudere Odile. S’illuderebbe benissimo da sola. Lo sta già facendo.
- Qualcuno dovrebbe parlarle - osservò Lancillotto, pensoso.
- Puoi farlo tu - ammiccò il compagno.
- No, non credo proprio.
- Cos’è che ti spaventa? Odile in fondo è innocua - Galvano si aprì in una gran risata.
- Mi spaventano le malelingue. L’etica dei cavalieri non prevede una cosa simile. Se si venisse a sapere sarei rovinato per sempre…
- Perché una servetta s’è invaghita di te?
- Deve smetterla. Deve cercare di darsi un contegno, o finirà per gettare fango addosso anche a se stessa.
- E’ mai possibile che sia solo il tuo ruolo e la tua reputazione a importarti?!- sbottò sir Galvano.- Non capisci che c’è solo da ridere, in questa faccenda? La piccola Odile innamorata di un cavaliere! Anche il re si farebbe delle grasse risate, se lo venisse a sapere…
- Alle mie spalle, certamente.
- Sai, potresti anche prendere in considerazione l’idea - Galvano ammiccò.- Hai trent’anni, lei diciannove. Molte persone si sposano alla vostra età…
- Non ho tempo per il matrimonio, tantomeno se le nozze in questione venissero celebrate con Odile.
- Sarebbe la volta buona in cui Mordred ti prenderebbe in simpatia.
- Questo è un altro motivo per cui voglio che Odile la smetta di rendersi ridicola.
- Spera solo che la madre della ragazza non ti somministri qualche intruglio per farti innamorare di sua figlia…Non sto insinuando che sia una strega, ma…
- Non avresti torto, sebbene credo che i filtri d’amore non facciano parte delle sue capacità.
- Credi davvero che la madre di Odile sia una strega?
- Non lo so. Certo è che non mi fido di lei, e delle streghe ancor meno…
- Anche Merlino pratica la magia.
- La magia di Merlino è bianca, mentre è raro trovare una strega che non domini le arti oscure…
- Quindi, mi stai dicendo che non metteresti mai la tua vita nelle mani di una strega?
- Per niente.
- E nelle mani di sua figlia?
Lancillotto non rispose, preferendo che la conversazione si spegnesse senza concludersi propriamente. Non perché le chiacchiere di Galvano riguardanti Odile lo stessero turbando – per lui quella ragazza non rappresentava niente –, ma perché la piega che aveva preso il discorso stava diventando oltremodo pericolosa per tutti. Non aveva idea se la madre di Odile fosse una strega…ma se così fosse stato, allora tutti loro avrebbero fatto meglio a guardarsi le spalle.
 
***
 
Stava per sbottare.
Odette sbuffò senza farsi notare, scivolando ancora di più sulla sedia. Non si stupì del fatto che nessuno le dicesse di assumere una posizione più composta: se fossero stati solo loro tre, lei e i suoi genitori, di sicuro non avrebbero mancato di rimproverarla, ma c’erano anche altre persone e non stava bene iniziare una scenata di fronte a tutti. E poi, suo padre era arrabbiato con lei.
Le parlava il meno possibile, quando era arrabbiato.
Erano in pochi, intorno a quel tavolo, e non c’era nulla di quell’allegria e festosità che caratterizzava i banchetti. Non che l’atmosfera fosse tesa – se si escludeva il fatto che sua madre tendeva a non incontrare il suo sguardo –, ma era chiaro che si trattasse di una cena fra pochi intimi. Odette piantò maleducatamente un gomito sul tavolo, appoggiando una guancia contro il mento e mescolando svogliata la propria minestra. Morgana teneva praticamente da sola la conversazione, e si rivolgeva specialmente a sua madre, parlandole a bassa voce, in maniere confidenziale quasi fossero state due amiche di vecchia data: Ginevra sembrava apprezzare la conversazione, e rispondeva con un sorriso proponendo a sua volta altri argomenti. Quando non erano annoiati dalle chiacchiere di Morgana, Artù si permetteva di alzare un po’ di più la voce per rivolgersi a Merlino, Galvano, Lancillotto, Mordred e i pochi altri cavalieri presenti. Parlavano tranquillamente, ma gli argomenti che sfioravano riguardavano tutti la politica del governo, amministrazioni dei terreni e cose simili, di cui Odette non capiva nulla; avrebbe voluto poter parlare un po’ con Merlino – l’anziano mago era praticamente uno di famiglia e l’aveva sempre incuriosita con i suoi racconti di magia, sebbene avesse sempre respinto le sue infinite richieste di diventare la sua apprendista; e, agli occhi di Odette, aveva il grande merito di non trattarla come una bambina sciocca e capricciosa né di considerarla una perfetta incapace come invece facevano i suoi genitori –, ma non poteva farlo.
In primo luogo perché Merlino era seduto a diversi posti di distanza da lei, e per parlargli la principessa avrebbe dovuto alzare la voce così da farsi notare da tutti – non esattamente un’idea brillante, visto e considerato che aveva appena litigato con sua madre. E poi, quella sera la sfortuna l’aveva colpita ben due volte facendola capitare seduta proprio accanto a Mordred.
In quel momento, non le sarebbe potuta capitare disgrazia peggiore.
A Odette lui non piaceva, e non ne aveva mai fatto mistero con nessuno, sebbene suo padre le avesse sempre ripetuto che non avrebbe potuto trovare alleati e amici migliori dei cavalieri. Forse era anche vero, ma ciò non toglieva che stentasse a fidarsi del figlio di Morgana. E aveva le sue buone ragioni.
Non solo con lui non c’era mai stato il rapporto di complicità e fiducia che vigeva con Galvano e con la maggior parte degli altri cavalieri – e anche con Lancillotto, sì –, ma accanto a lui Odette aveva sempre avvertito una sorta di campanellino d’allarme, proprio come quelli che sua madre impiegava per chiamare le serve nella sua stanza.
Era un ragazzo ancora giovane, anche più di Lancillotto – doveva avere circa venticinque anni, se non di meno; aveva un colorito pallido, un volto allungato incorniciato da una chioma di capelli neri e lisci che gli arrivavano sino alle spalle. Gli occhi grigi avevano una forma allungata, e in essi era sempre presente una sorta di brillio perverso, una luce che sembrava volerti dire stai attenta, io sono qui e posso farti tutto ciò che voglio. Nulla di rassicurante, poco ma sicuro.
Odette gli lanciò solo un’occhiata di sottecchi, sospirando di sollievo quando lo scoprì impegnato a rispondere a una domanda di sua madre; abbassò lo sguardo, ingoiando due o tre cucchiaiate di minestra, quando…
…qualcuno la stava toccando da sotto il tavolo. Più precisamente, qualcuno stava strusciando una gamba contro il suo ginocchio approfittando della tovaglia che copriva il misfatto. Odette smise di mangiare di botto, tanto che Ginevra le lanciò una rapida e indagatoria occhiata, e poco ci mancò che la minestra le andasse di traverso. Sgranò gli occhi, a metà fra il sorpreso e lo sconcertato.
Si chiese per un attimo se non fosse stata solo un’impressione, ma subito ogni suo dubbio venne fugato: qualcuno stava veramente strusciando una gamba contro la sua coscia, in barba a ogni forma di decenza e di rispetto.
E Odette aveva l’assoluta certezza dell’identità di questo qualcuno.
Si drizzò sulla sedia, scoccando non vista un’occhiataccia a Mordred. Il cavaliere intercettò il suo sguardo ma, invece di smettere immediatamente d’infastidirla e assumere un’espressione di pentita vergogna, le rispose con un sogghigno e non accennò a cessare le sue molestie. Odette s’impose di mantenere la calma, e accavallò le gambe in modo da sottrarsi al suo tocco ben poco gradito.
- E…quale vestito indosserete in occasione del ballo in maschera, Vostra Altezza?- cinguettò all’improvviso Morgana, rivolgendosi a lei. Odette ringraziò mentalmente che avesse pronunciato la domanda con dovizia di particolari, dal momento che non aveva ascoltato una parola della conversazione.
- Odette sarà un cigno bianco - sua madre rispose per lei.- Abbiamo fatto preparare un abito apposta per lei. E’ meraviglioso…
 
CONTINUA…
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Il capitolo che avete letto l’ho praticamente già scritto tutto e ho calcolato che venivano fuori ben 37 pagine! Per questo motivo ho deciso di dividerlo. Non fraintendetemi, forse penserete che ci sto prendendo gusto ma vi assicuro che ODIO spezzettare i capitoli; tuttavia, a volte ritengo opportuno farlo perché troppe pagine scritte possono annoiare chi legge. In ogni caso, pubblicherò il seguito di The Black Swan la settimana prossima, in modo di arrivare a marzo con il ritorno sulle scene di Anya e Liz. Il capitolo per intero comprende la suddetta parte (di “presentazione” diciamo) più la parte del ballo in maschera e dell’intervento di Tremotino (che, faccio un piccolo spoiler, qui non combinerà gran che, ma approfitterà della nuova situazione creata dal ballo per intervenire). La prossima parte riprenderà direttamente dall’ultima frase di Ginevra. Ringrazio x_LucyW, Jessica21, SognatriceAocchiAperti, _EllaZaZa_, Gaia_neve_, Princess Vanilla e Sylphs per aver recensito :).
A presto (MOLTO presto :).
Beauty
  
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