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Autore: Mina_Von_Ess    26/02/2014    0 recensioni
“Non siamo mai stati assieme. Cioè, per un po’… Forse. Sta di fatto che sono stato innamorato di lei per anni. Perdutamente innamorato per giunta… Almeno, credo.”
“Beh, vorrei ben dire, caro Giulio. L’hai ritratta mezza nuda. Oppure mentre faceva le cose più normali, più futili, e questo faceva ufficialmente di te un innamorato. Hai scritto la data sui disegni… Sedici anni fa, eh? Fammi indovinare… Lei non ricambiava?”
Sposto il mio peso da una gamba all’altra, appoggiando la guancia sulla testa di mio figlio; anche lui sembra guardarmi con aria interrogativa. Beata infanzia, beata innocenza, beata ignoranza.
“E’ una storia lunga e complicata. Ha ricambiato all’ultimo, due settimane prima che io partissi per l’Inghilterra. Ma non è stata la distanza a dividerci… Ci eravamo promessi di trovare una soluzione, di aspettare l’l’uno l’altro… Di restare assieme.”
Jane finalmente alza lo sguardo verso di me. Il sorriso malizioso è scomparso dalle sue sottili labbra… Ha capito.
“E allora cos’è stato?”
Deglutisco, baciando delicatamente la manina di mio figlio- di sfuggita, come per trovare un’ultima distrazione al dolore che provo in questo momento.
“Lei morì.”
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1
 
 
Italia, diciotto anni prima.
 
Giulio.
 
Amra non assomiglia a nessuno dei suoi genitori- né fisicamente, né tantomeno psicologicamente. Me lo ha detto lei per prima, molto tempo fa, quasi con una punta d’orgoglio. Osservandola, prestando più attenzione a come parla, come si atteggia, ma anche a come si perde nelle sue fantasticherie e a come le brillano spesso gli occhi neri, nonché a una miriade di altre piccole cose insignificanti, me ne sono accorto anche io.
 
Non ha niente di Mirsad, un bisonte bosniaco alto e dal ventre alquanto pronunciato, che conserva qualcosa della sua vecchia bellezza negli occhi leggermente all’ingiù, di un verde spento ma insolitamente piacevole, e nei capelli biondo cenere. Cinquantatre anni e nemmeno un capello bianco.
Amra non ha niente nemmeno di Lejla, anche lei bionda, ma dagli occhi azzurri; più alta della media delle donne italiane, con un viso magro, come la parte superiore del corpo, ma dai fianchi larghi e le gambe robuste.
 
Ecco, forse Amra ha solo le stesse gambe atletiche, le cosce robuste e il seno modesto della madre. Per il resto è un mondo a sé. Ha bei genitori ed è bellina anche lei, ma loro tre non potrebbero essere più diversi.
È abbastanza bassa- come la maggior parte delle donne latine. Ma i suoi lineamenti slavi spiccano: gli zigomi alti e ben formati, il naso dritto e regolare.
Non ha né la carnagione olivastra di Mirsad né la pelle rosata, piena di nei e di piccole macchie della madre; Amra è bianca, non le piace esporsi al sole. Gioca a fare la dama ottocentesca dal pallore aristocratico.
La chiamano tutti Biancaneve. I capelli folti, corvini –tinti- e gli occhi quasi neri, nonché le sopracciglia scure, spesse, meravigliosamente arcuate contrastano con la sua carnagione chiara.
E poi c’è il rossetto. Amra non sa uscire di casa (e nemmeno stare in casa, ho il presentimento) senza tingersi le labbra di rosso; ha una bocca piccola ma le labbra sono molto più carnose di quelle della madre, che sembra più che altro avere un taglio sopra il mento.
 
E infatti Amra lascia chiazze rosse dappertutto; sua madre la rimprovera scherzosamente quando sono fuori a mangiare. “Sei l’incubo dei camerieri e delle lavastoviglie”, ridacchia, indicando l’impronta carminio lasciata sul bicchiere, ma anche sulle posate, sui tovaglioli…
 
Sto osservando anche io l’impronta delle labbra che Amra sta lasciando sul filtro della sigaretta; rigorosamente sottile, rigorosamente al mentolo.
Lei si volta di scatto, sorprendendomi a guardarla. Le sorrido, non posso fare altro. Mi sorride a sua volta dal terrazzo. Non c’è imbarazzo fra di noi.
 
Amra e io ci abbracciamo, a volte ci teniamo per mano senza problemi. Andiamo a pranzo assieme da soli (se ci capita), stiamo in aula studio da soli, andiamo a fare un giro in bicicletta da soli.
Ha sempre voluto un fratello più grande, qualcuno che la proteggesse ma che non fosse eccessivamente possessivo come i genitori. Ma Amra è figlia unica, non ha fratelli né sorelle, né che la proteggano né che la infastidiscano; le sue cugine più grandi stanno a Sarajevo, dove Amra si reca non più di tre volte l’anno. In fondo in fondo, penso che si senta sola, nonostante dica di gioire nei privilegi concessi ai figli unici.
E così ha trovato me; siamo cresciuti insieme (lei nell’appartamento al terzo piano, io al quarto), e, essendo io più vecchio di lei di ben tre anni, mi ha onorato con il titolo di fratello maggiore. È stato tutto molto spontaneo ed implicito, tanto che non ci è mai nemmeno passato per la testa di trasferirci dalla categoria famiglia o migliori amici a quella dei sentimenti più profondi.
Mio fratello gemello sa tutto, vede tutto e non approva. Scuote sempre la testa, mi fa sempre l’occhiolino. Ma per lui tutto è semplice, mentre per me e Amra tutto è complicato.
 
Per Tiberio piacersi significa solo una cosa: piacersi; essere attratti l’uno dall’altro, essere in una relazione, fare le cose che fanno tutte le coppie.
Io e Alma ci piacciamo, è evidente: A Tiberio, alle nostre famiglie, ai nostri amici.
Ma c’è qualcosa di incompleto, qualcosa che manca, almeno ai loro occhi, perché non siamo in una relazione né facciamo le cose che fanno tutte le coppie.
In realtà non manca niente: siamo semplicemente troppo affezionati per stare assieme, per quanto assurdo possa suonare.
Posso ammirare il suo viso, le sue labbra, ma non oserei mai baciarla – il solo pensiero mi turba; lei puo’ dirmi quanto sono bello, ma resterebbe un complimento casto e innocente, di quelli che fa anche ai suoi cugini maschi.
 
Se è tutto così, allora non mi spiego perché provo una punta di gelosia ogni volta che la vedo sorridere, scambiandosi SMS con qualche ragazzo; e perché Amra diventa insolente quasi ogni volta che una ragazza attira la mia attenzione.
 
“Quando finisce la partita?” chiede lei, chiudendosi la porta del terrazzo alle spalle.
“Fra poco”, la rassicuro. Amra odia il calcio.
“Bene, vado a cambiarmi, allora.”
“Guarda che stai bene così…” Ma so che è una battaglia persa: Amra non è esattamente una ragazza casual, non è la classica studentessa universitaria struccata, dai capelli raccolti in una coda disordinata e l’eskimo perennemente addosso; penso sia l’influenza delle sue cugine più grandi.
“No, sto da schifo e non esco vestita così.”
La guardo passarmi davanti, nel suo vestitino a fiori svolazzante e una felpa, mentre resto seduto sul tappeto con in braccio Oliver, il king charles spaniel della famiglia Begović. Mirsad e Tiberio sono sul divano con gli occhi fissi sullo schermo.
“Ma uscite?!” Lejla si volta dalla cucina. Sta preparando un dolce per domani.
Amra fa spallucce. “Certo”, risponde, corrugando la fronte.
“Ma è mercoledì.”
“E’ il mercoledì universitario, ed è da tre anni che noi tre usciamo ogni mercoledì. Non capisco cosa ci sia tanto da stupirsi.” Perde la pazienza molto velocemente con i suoi genitori.
Lejla fa roteare gli occhi, guardandomi, senza farsi vedere da Alma. Le sorrido. Mi sono ormai abituato all’idea che i genitori a volte provino più complicità verso gli amici dei figli che verso  figli stessi.
“Non fate tardi, ok?” mi bisbiglia, quanto Amra si è ormai allontanata.
“Non si preoccupi.”
 
Amra e i suoi genitori sono gli angoli di un triangolo, caratterialmente parlando. Amra non è riservata e rigida come Lejla, non ha paura di lasciarsi andare, ma non è nemmeno una filantropa come il padre, sociale e burlona.
Non sarebbe nemmeno un grosso problema; ma a volte sembra davvero che parlino tre lingue diverse: non si capiscono e, avendo paura di ciò, preferiscono stare in silenzio, ognuno nella propria camera, tenendone le porte chiuse, esattamente come tendono chiusi se stessi e i loro cuori.
 
*
 
Amra sta rifacendo la stessa strada, anche se pedalando nel senso opposto; la via è semideserta e male illuminata, ma io l’espressione del suo viso la vedo bene lo stesso.
L’espressione di Amra è l’unica cosa cambiata in lei: all’andata era leggermente imbronciata (era nervosa a causa di una discussione  con i genitori, tanto per cambiare), anche se mi regalava un sorriso ogni volta che si voltava nella mia direzione.
“Sei meglio di un’aspirina. Mi fai passare il mal di testa o il malumore…” Mi ha detto qualche tempo fa. Sono onorato di essere il suo medicinale omeopatico preferito, oltre che suo fratello maggiore.
 
La ragazza è decisamente trasparente- un grande pregio e un grande problema. Ora ha un sorriso beato stampato in faccia, e sembra non fare caso alle idiozie che diciamo io e Tiberio mentre pedaliamo dietro di lei.
So bene perché fa così. È persa nelle proprie fantasticherie, e pensa a lui, all’irlandese dai capelli ramati, alto e con le spalle larghe.
 
“Vero, Amra?”
“Eh?”
Tiberio ridacchia. In realtà stavamo solo borbottando senza parlare di nulla in particolare, ma lo scopo di mio fratello era quello di svegliare Amra dal suo torpore.
“E’ andata…”
La ragazza fa roteare gli occhi e schiocca la lingua, iniziando a pedalare più velocemente. Ma in fondo so che è contenta che i suoi sentimenti siano emersi in superficie: il suo sorriso è ancora lì.
 
È stato il primo mercoledì universitario di maggio. Piazza delle Erbe era gremita di gente, turisti giovani e studenti (studenti italiani, studenti in erasmus), ognuno con una bottiglia di birra in mano e una sigaretta fra le dita dell’altra.
Ha già iniziato a fare caldo- ed è umido, come sempre. Quando siamo arrivati, avevamo tutti e tre i visi lucidi.
Abbiamo lasciato le biciclette nelle vicinanze, legandole tutte e tre assieme con una catena. Poi, le nostre strade si sono separate silenziosamente: Amra è andata dalle sue amiche, io dai miei amici, Tiberio dai suoi. In ogni caso, eravamo tutti nelle vicinanze (tutti appartenenti alla stesso branco di Piazza delle Erbe), a lanciarci occhiate furtive di tanto in tanto.
Amra aveva i capelli legati in un modo che ho visto fare solo a lei (una specie di chignon leggermente ottocentesco) e un vestito lilla lungo fino alle ginocchia, di stile impero, che in qualche modo le metteva in risalto le clavicole e le spalle. Ho visto che diverse teste maschili si giravano nella direzione sua e delle sue amiche.
 
Mi ero allontanato per non più di dieci minuti per andare a prendere da bere. Al mio ritorno, Amra non era più con le sue amiche.
In sua compagnia c’era solo un uomo alto, snello ma con le spalle e il petto larghi, jeans e maniche di camicia.
Non volendo fissarli troppo a lungo, mi sono voltato. Dopo qualche tempo ho dedicato loro di nuovo la mia attenzione.
Questa volta, ho notato il colore dei suoi capelli. Ramati. Di Amra ho visto solo la schiena.
La terza volta che li ho guardati, ho notato i denti grandi, bianchi e regolari dell’uomo. Non potevo non notarli visto che non smetteva di sorridere. I suoi occhi scuri brillavano.
Fu anche la volta che decisi come definirlo: bello forse no, ma sicuramente attraente. E mi resi pure conto che era esattamente il tipo di Amra: nordico, casual e virile. Nonché decisamente più vecchio di lei, almeno da quello che potevo vedere nella semioscurità.
È stato forse questo ciò che mi ha fatto contorcere le viscere: l’aver capito che questo qua, a differenza di quasi tutti gli uomini nel giro di qualche chilometro, con Amra aveva una possibilità.
 
Riponiamo le bici nei rispettivi garage, cercando di non fare rumore; è quasi l’una.
Vedo Amra controllare il cellulare, e sorridere immediatamente.
“Ti ha già scritto?” chiedo, facendole il solletico su un fianco.
“Sì, ma io non ci penso a rispondergli subito.”
“Brava ragazza.”
“In ogni caso, il mio inglese è un po’ arrugginito”, continua lei, aprendo il portone principale del condominio. In realtà lo parla quasi alla perfezione, ma la facoltà di storia non è esattamente rinomata per la pratica delle lingue straniere.
“Inglese? Ma che inglese, con lui dovresti parlare il gaelico…” Si aggiunge anche Tiberio alla conversazione.
Amra ridacchia. “E allora lui dovrebbe imparare il bosniaco.” I nostri fiati si fanno via via più pesanti mentre saliamo le scale.
“E i vostri figli dovranno crescere parlando il bosniaco e il gaelico? Poveretti.”
La ragazza si ferma davanti alla porta del suo appartamento, facendo roteare le chiavi intorno al dito indice. “E’ un turista irlandese di trentacinque anni. Qualcosa mi dice che fra di noi non funzionerà.”
Tiberio le fa l’occhiolino. “Pensa a divertirti, intanto. Buonanotte!” Sale le scale, lasciando me ed Amra da soli. Lo fa sempre, e non ne capisco il motivo. Probabilmente spera in qualche romantica confessione dell’ultimo minuto.
 
Guardo Amra in viso. Il trucco le si è un po’ sbiandito, sia dal viso che dagli occhi. Ha gli zigomi illuminati da sudore, e sembrano ancora di più scolpiti.
“E’ un bell’uomo quello Sean, comunque. Devo essere sincero.”
Amra guarda per terra, sfilando un piede dalla ballerina. “Molto, ed è pure intelligente e simpatico. Ma tu sei più bello. Lui non ha i tuoi lineamenti.” Sorride, facendomi arrossire leggermente. Una birra di troppo e il buonumore causato da Sean la rendono inaspettatamente espansiva ed affettuosa.
“Beh, allora a questo punto bisognerebbe dire che lui è uno scorfano, paragonato a te.”
Amra ride. “Naaah. Tagliamola corta e diciamo che siamo un gruppo di persone di bella presenza.” Inizia a girare la chiave nel chiavistello. Nel silenzio della notte il rumore sembra risuonare per tutta la tromba delle scale.
Ci scambiamo due baci sulla guancia, un sorriso affettuoso e la buonanotte.
 
Il mattino seguente mi sveglio alle sei con una leggera nausea.
Ho sognato Amra e Sean che si scambiavano effusioni in un angolo buio di un pub.
Mi volto su un fianco, cercando di riaddormentarmi e sperando di dimenticare tutto. E’ incredibile quanto siamo in grado di imbarazzare noi stessi tramite i sogni, e leggermente inquietante.
 
 
 
Continua…
 
 
 
 
 
 
  
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