Storie originali > Favola
Segui la storia  |       
Autore: Beauty    27/02/2014    5 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Black Swan – Odile’s Plan
 
La principessa alzò gli occhi al cielo.
Sì, come no…meraviglioso, certo…
Inutile dire che era stata sua madre a scegliere quel travestimento. Odette avrebbe voluto vestirsi come uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda – aveva anche già organizzato tutto, e sir Lionel che fra tutti era il più magro si era persino offerto di prestarle la sua casacca blu con ricamata la croce bianca; le era sembrata una bella idea, che le avrebbe permesso di distinguersi in mezzo a tutto quello stormo di damine imbellettate e incipriate, e sarebbe anche stata originale.
Ma naturalmente quando ne aveva parlato ai suoi genitori l’effetto era stato lo stesso che avrebbe ottenuto con una delle sue fughe. Ginevra si era messa le mani nei capelli e le aveva detto che mai e poi mai una principessa avrebbe fatto una cosa simile e che lei, Odette, non si sarebbe azzardata a fare il suo ingresso nella sala da ballo conciata in quel modo fino a che fosse stata in grado di impedirglielo. La reazione di suo padre fu di gran lunga più pacata, ma di fatto aveva ricevuto un rifiuto anche da parte sua: Artù le aveva spiegato che non sarebbe stato decoroso da parte sua presentarsi mascherata in quel modo, senza contare che molti avrebbero potuto scambiare uno scherzo innocente per una vera e propria beffa ai danni dei cavalieri – non poteva accadere una cosa simile, dato che essi erano legati a un serio e profondo codice d’onore che imponeva loro di porre il bene del regno e dei suoi sudditi prima che del proprio; erano una categoria molto rispettata e ammirata a Camelot, dunque non era proprio il caso che lei e la sua mania di protagonismo mettessero a repentaglio la loro reputazione.
Odette non aveva replicato solo perché Artù era convalescente e ancora debole, ma in condizioni differenti non avrebbe esitato a rispondergli per le rime. In ogni caso, le parole di suo padre erano state sufficienti per porre fine alla discussione, e in capo a cinque minuti Ginevra aveva già fatto chiamare sarte e domestiche e ordinato loro di cucire alla principessa un vestito su misura.
Odette non aveva neppure avuto modo di mettere bocca nella questione. Perlomeno, se proprio non poteva fare come voleva lei per amor della rispettabilità, sarebbe stato giusto che le lasciassero la possibilità di trovare un compromesso fra i suoi gusti e il suo status. Non c’era stato verso. Ginevra aveva stabilito tutto senza consultarla, e alla fine si era ritrovata con quell’affare tutto pizzi e fronzoli in mano, affare che sarebbe stato il suo costume per il ballo in maschera.
Alla richiesta da parte di Odette di spiegazioni su una tale scelta, sua madre aveva risposto che il cigno bianco era perfetto per lei, bionda, bella, regale, snella e aggraziata.
Sul bionda, snella e regale, la principessa non aveva nulla da dire…ma dove diamine li aveva presi sua madre quel bella e quell’aggraziata?
In ogni caso, la sostanza cambiava di ben poco: cigno bianco doveva essere, e cigno bianco sarebbe stata.
…Mordred non si era dato per vinto. Ora si era azzardato perfino a scivolare sulla sedia in modo da poter colmare la distanza che la principessa aveva creato fra di loro accavallando le gambe. Odette sussultò, infastidita, non appena avvertì il ginocchio del cavaliere sfiorare il proprio. Provò a spostare ancora le gambe, ma non avrebbe potuto sottrarsi in eterno standosene seduta.
Avrebbe anche potuto scattare in piedi e denunciare a gran voce quello che stava succedendo, ma Mordred avrebbe sempre potuto negare. C’era quella maledetta tovaglia a coprire i suoi misfatti, e sarebbe stata la sua parola contro quella del cavaliere. E, visto quello che lei combinava pressoché ogni giorno, non ci sarebbe stato da stupirsi se Artù e Ginevra avessero creduto al figlio di Morgana, invece che a lei.
Pregò che la smettesse.
Sir Galvano, seduto accanto a Merlino, quasi di fronte a lei, parve accorgersi che qualcosa non andava, e smise di mangiare, sollevando lo sguardo. Lancillotto l’imitò, anche se non riuscì a comprendere immediatamente a cosa fosse dovuto il comportamento del cavaliere.
Chi invece aveva capito tutto era Merlino. Il mago fulminò Mordred con un’occhiata truce, imponendogli silenziosamente di smetterla. Tuttavia, questi replicò con un sorrisetto sghembo.
Odette prese ad agitarsi nervosamente sulla seggiola.
A quel punto, anche ad Artù fu chiaro che qualcosa non andava. Ma sia sir Galvano che sir Lancillotto stavano guardando lei, Mordred appariva più rilassato che mai e lei continuava ad agitarsi come se avesse avuto una combriccola di goblin che saltellava sul suo grembo.
- Odette, che ti succede?- domandò il re, inarcando le sopracciglia.- Ti senti bene?
- Io…- no, non sto bene! Questo idiota continua a infastidirmi!.- Sì, certamente, padre. Sto bene.
- Sei sicura?
- Sì…
Ora tutti i presenti tenevano lo sguardo puntato su di lei. Odette si accorse che Mordred aveva smesso di colpo di tormentarla; pensò che ciò fosse dovuto al rischio di venire scoperto, ma poi intercettò lo scambio di sguardi che stava intercorrendo fra lui e sua madre: Morgana fingeva di essere concentrata sul suo piatto, ma continuava a fulminarlo di sottecchi con sguardi di fuoco.
Era l’unica ad aver compreso cosa stesse succedendo in realtà insieme a Merlino, ma era ovvio che non dicesse nulla: si trattava di suo figlio, in fin dei conti, era naturale che non volesse che gli fosse gettata addosso infamia.
Odette inspirò a fondo, cercando di rilassarsi. Artù le scoccò un’occhiata sospettosa, ma non disse nulla, e riprese a parlare con sir Galvano. Mordred non l’infastidì più, ma né Ginevra né Morgana avevano terminato la loro conversazione.
- Desideravo parlarti di tua figlia, Morgana - disse la regina.
- Cos’ha combinato quella disgraziata?- la donna si mise sulla difensiva.- Qualunque cosa sia accaduta, Vostra Maestà, vi posso giurare che…
- Non ti agitare, Morgana. Non è successo nulla. Tua figlia è una ragazza deliziosa - Ginevra sorrise.- Volevo parlarti di lei proprio a proposito del ballo. Ha diciannove anni e lavora tutto il giorno senza mai fermarsi. Tu e Mordred parteciperete, ma se anche tua figlia desidera venire, ti prego di dirle che saremo ben lieti di averla con noi.
Morgana si rilassò, e il suo volto non più giovane e un poco segnato dalla sua vita passata si distese, aprendosi in un leggero sorriso.
- Vi ringrazio, Vostra Maestà, siete infinitamente gentile, ma mi vedo costretta a rifiutare. Mia figlia non è certo il genere di ragazza abituata a queste occasioni. Non è mai stata a un ballo in vita sua.
- Beh, questa sarebbe un’ottima occasione per iniziare…- insistette Ginevra.- Ha diciannove anni e non è ancora sposata. Magari, se partecipasse, potrebbe conoscere qualche giovane che fa al caso suo…
- Ancora mille grazie, Vostra Maestà, ma devo declinare. Voi siete molto buona, ma conoscete mia figlia: è goffa, per nulla attraente, e pressoché priva di qualsiasi virtù che gli uomini ricercano in una donna, senza contare che non sa danzare. E poi…- Morgana sogghignò e si rivolse a Odette.- Come tutti ben sappiamo, questa serata è in onore della principessa. Spetta a lei avere l’attenzione di tutti i gentiluomini su di sé, dico bene?
- Non è nelle mie priorità - replicò Odette, pentendosene un secondo dopo. Ammutolì, mordendosi la lingua, ma ormai era troppo tardi. Con la coda dell’occhio, vide che suo padre aveva preso a fissarla insistentemente, e che sua madre aveva iniziato a illividire per la rabbia.
Morgana sbatté più volte le palpebre, perplessa.
- C-come avete detto, Vostra Altezza?- domandò.
Odette prese un lungo e profondo respiro. Si era messa nei guai da sola, lei e la sua dannata boccaccia. Perché non stava mai zitta?! Ormai non avrebbe più potuto cavarsene fuori…e forse, nemmeno lo voleva. Ne aveva abbastanza di fingere.
Beh, pensò, ora che sei in ballo, Odette, tanto vale che cominci a ballare.
- Intendo dire che non rientra nei miei obiettivi avere su di me l’attenzione di tutti i partecipanti uomini del ballo - spiegò, nel modo più pacato e risoluto che le riuscì, ma poteva avvertire la tensione montare fra se stessa e i suoi genitori.- Ho ben altro a cui pensare, in questo momento.
- Vostra Altezza mi perdonerà se ho inavvertitamente pronunciato qualcosa che non intendevo - si scusò Morgana.- Stavo solo constatando che per voi questa sarà l’occasione per poter scegliere un marito, ecco tutto. E la vostra modestia vi fa onore…
- Al contrario, Morgana, non hai detto nulla di sbagliato - Odette bloccò sul nascere l’ennesimo tentativo di adulazione della donna che, ne era certa, se stavolta fosse andato in porto le avrebbe dato il voltastomaco.- Stavo semplicemente mettendo in chiaro che né tu né nessun altro dobbiate aspettarvi che io scelga un marito dopo averlo visto solo una sera…
- Odette…- sibilò minacciosamente Ginevra, intimandole con lo sguardo di stare zitta, ma la principessa fece finta di nulla. Era sempre così: poteva anche fingere che tutto andasse bene per un certo periodo, ma presto o tardi la verità sarebbe venuta a galla. Ormai era scatenata, e non aveva alcuna possibilità di fermarsi, neppure se l’avesse voluto.
- Temo di non capire…- Morgana azzardò un altro dei suoi sorrisi melliflui, ma era chiaro come il sole che faticasse a far fronte a una situazione in cui un paio di moine e una frasetta dolce non bastavano a chetare gli animi.
- Credo di essermi spiegata sufficientemente bene - ormai Odette avvertiva su di sé lo sguardo di tutti, in particolare quelli di sir Galvano e di sir Lancillotto. E di Merlino, ma a differenza loro lui sembrava più uno spettatore interessato ma emotivamente distaccato di un torneo.- I miei genitori hanno organizzato questo ballo nella speranza di affibbiarmi un qualche damerino danaroso e di nobili natali perché mi considerano troppo stupida per poter sopravvivere senza un marito, ma come è già accaduto altre volte, ho messo in chiaro che non ho alcuna intenzione di scegliere uno di quegli idioti solo per renderli felici.
- Odette, bada a come parli!- l’ammonì sua madre; la regina ora era completamente livida di rabbia e, Odette avrebbe potuto giurarlo, moriva dalla voglia di darle un ceffone. Ma non si sarebbe mai azzardata a farlo, non in presenza di ospiti. Questo le diede maggiore coraggio.
- Non ho detto nulla di male - ribatté, ostentando innocenza.- A meno che dire la verità non sia considerato un male.
- Odette, ora basta!- ordinò Ginevra.- Smettila. Sai che quello che stai dicendo non è assolutamente vero…
- Io so solo che volete impormi la vostra volontà senza chiedermi nulla!
- Lo stiamo facendo per te!- la regina si alzò in piedi fra lo sgomento di tutti.- Sai che prima o poi ti dovrai sposare, nessuno t’impone di scegliere ora, ma…
- Ma, cosa?- Odette le lanciò uno sguardo di sfida.- Non tutte sono fortunate come lo siete stata voi, madre!
- Odette, questo non te lo permetto!- tuonò improvvisamente Artù, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio ad assistere al diverbio. Sulle prime appariva come una delle solite discussioni inutili fra sua moglie e sua figlia, ma dopo quell’allusione non aveva intenzione di farla passare liscia a Odette.- Stai parlando con tua madre, è bene che le porti rispetto!
- E voi, a me, di rispetto ne portate?- ringhiò la principessa.- E’ rispetto quello che mi state facendo da anni? E’ rispetto farmi vivere come una reclusa, impedirmi di vivere la mia vita per poi scaricarmi sulle spalle del primo di passaggio?
- Noi vogliamo solo il tuo bene, lo sai…- mormorò Ginevra, colpita sul vivo.
- E il mio bene sarebbe lasciarmi marcire in queste dannate quattro mura?!- Odette imitò il gesto di sua madre, e scattò in piedi a sua volta.- Non ve ne importa niente di me! Per sedici anni non avete fatto altro che rovinarmi la vita!
- Odette…- iniziò Artù.
- Mio signore, forse sarebbe opportuno…- provò a intromettersi Lancillotto, ma il re lo fulminò con lo sguardo.
- Questi sono affari di famiglia, sir Lancillotto, non v’immischiate!- lo redarguì Artù, al che il cavaliere ammutolì e volse lo sguardo altrove. Odette vide che era impallidito dalla rabbia.
- Odette, non credere che questo tuo comportamento resterà…- Artù s’interruppe di colpo, e sbiancò in volto, cominciando a tossire furiosamente. Il re si portò una mano alla bocca nel tentativo di frenare i colpi di tosse, ma a nulla servì; anzi, questi aumentarono e si fecero sempre più forti, brevi e secchi come l’ascia di un boia che mozza di netto la testa di un condannato. Artù si accasciò sulla sedia, scosso dai colpi di tosse e dai tremori.
- Vostra Maestà!- Merlino si alzò repentinamente in piedi, raggiungendo il sovrano.
- Artù!- esclamò Ginevra, precipitandosi verso suo marito. Un attimo dopo, tutti i presenti la imitarono, accompagnati da mormorii sgomenti. Morgana si portò le mani al volto con espressione sconvolta. Galvano disse che forse era opportuno chiamare il medico di corte, ma dopo poco Artù parve calmarsi. Il colpi di tosse diminuirono in numero e in intensità, fino a divenire sporadici; ma il re era pallido come un cencio, e tremava. Ginevra gli massaggiò le spalle con aria preoccupata, cercando di aiutarlo a calmarsi.
Odette non si era mossa. Era rimasta immobile in piedi al suo posto, assistendo alla crisi di suo padre senza dire o pensare nulla, come se un incantesimo l’avesse congelata. Boccheggiò, muovendo timidamente un passo verso Artù.
- Padre…- mormorò con un fil di voce, cercando di avvicinarsi, di toccarlo, ma non appena ci provò sua madre le rivolse uno sguardo talmente feroce da farla arretrare.
- Tu per stasera hai finito!- ringhiò Ginevra, senza allontanarsi da suo marito.- Razza di egoista! Sapevi che tuo padre stava male, e guarda che cos’hai combinato!
- Io…io non volevo…- pigolò la principessa. Si accorse che le stava pizzicando il naso, segno inconfutabile che le lacrime erano dietro l’angolo.- Padre…madre…mi dispiace tanto, io…
- Vai in camera tua!- ordinò Ginevra.- Esci da questa stanza, immediatamente!
Odette non rispose, rimanendo a fissare ancora per qualche istante suo padre che stava iniziando a riprendersi. Il pizzicore al naso era aumentato. Si voltò, cercando di trattenersi dal correre mentre si avviava verso la porta, cosa che le costò uno sforzo immane.
Una volta raggiunta la porta sgusciò fuori con rapidità, richiudendosi i battenti alle spalle. Mosse qualche passo nel corridoio deserto, e il rumore dei tacchi delle sue scarpe contro il pavimento rimbombò sui muri di pietra. Odette raggiunse una colonna poco distante, aggrappandovisi e lasciandosi scivolare contro la parete fino a ritrovarsi seduta sul pavimento.
Si sfregò con forza il volto per debellare quel pizzicore al naso, inspirando profondamente.
Non l’aveva fatto apposta. Davvero. Mai e poi mai avrebbe voluto far star male suo padre, ma quando aveva iniziato a litigare con Ginevra era stato come se il mondo intorno a loro due fosse scomparso. C’erano solo lei e sua madre, un rancore mal sopito, e nulla più. Il suo risentimento era stato in grado perfino di farle dimenticare il malessere che aveva colpito Artù negli ultimi giorni.
Odette si portò le ginocchia al petto, abbracciandosi le gambe. Avrebbe voluto piangere, di certo l’avrebbe aiutata a sfogarsi, ma si sarebbe sentita ancora più egoista.
Rimase seduta in quella posizione senza pensare a nulla per un tempo che le parve infinito, e a riportarla alla realtà fu il rumore della porta della sala da pranzo che si apriva e si richiudeva un attimo dopo. Odette sollevò appena il capo quando l’udì. E’ mia madre che viene a darmi una strigliata, pensò istintivamente, e ne era talmente sicura che si stupì non poco di ritrovarsi di fronte Merlino.
Odette alzò lo sguardo su di lui, perplessa. Il vecchio mago aveva un’espressione seria ma allo stesso tempo calma e composta, non esattamente quella di chi è intenzionato a farti una lavata di capo. Anzi, per un attimo la principessa fu quasi certa che stesse sorridendo.
La regola avrebbe voluto che lei si alzasse immediatamente – a dirla tutta, la regola non avrebbe nemmeno previsto che lei si sedesse per terra nel bel mezzo del corridoio come un gatto domestico –, ma in quel momento Odette non ci pensò; e fu ancora più stupefatta quando Merlino si chinò verso di lei e le tese una mano, aiutandola a rialzarsi.
La principessa non lo guardò negli occhi, ripulendo il proprio abito dalla polvere per prendere tempo.
Fu il mago a parlare per primo.
- Come vi sentite?- le domandò, con pacata gentilezza.
- Non sono andata in camera mia come mi ha ordinato mia madre, ma penso che lo farò presto- replicò amaramente Odette, stringendosi nelle spalle. Merlino sospirò, incrociando le braccia al petto, facendo sparire le proprie mani rugose e affusolate sotto le ampie maniche della tunica nera con il cappuccio che indossava.
- Non prendetevela per ciò che ha detto la regina. Lei vi vuole bene, principessa…
- Non volevo far star male mio padre - disse Odette, mordendosi il labbro inferiore.- Ve lo giuro, Merlino, non avevo alcuna intenzione di…
- Lo so - l’interruppe il mago.- Lo so, principessa. Ma, se posso permettermi di darvi un consiglio, è bene che voi e i vostri genitori, in particolar modo vostra madre, riusciate a trovare un punto d’incontro. La vita è già abbastanza complicata, e litigi e incomprensioni sono naturali fra le persone, specialmente all’interno di una famiglia, e spesso si rivelano anche utili; ma, se sono troppi e soprattutto ingiustificati, la rendono ancora più difficile.
- E’ che a volte mi sembra di essere una prigioniera in casa mia!- sbuffò Odette, allargando le braccia con fare esasperato.- Non posso uscire dalla mia stanza da sola, non posso vestirmi come voglio, non sono libera nelle mie azioni, e tutte le volte che apro la bocca è come se si scatenasse una tempesta. Non sono mai nemmeno uscita dalle mura del castello!
- Tutto ciò che posso dirvi in merito, principessa, è che i vostri genitori, specialmente la regina, non si comportano in questo modo senza una motivazione - Merlino sospirò nuovamente.- Vorrei aiutarvi, ma non so proprio come fare…
- Beh, io invece lo saprei - Odette incrociò le braccia al petto, scoccandogli un’occhiata accusatoria.- Se mi permetteste d’imparare la magia da voi, forse le cose migliorerebbero.
- I problemi non si risolvono con la magia, principessa.
- D’accordo. Ma se non altro, potrebbe aiutarmi - insistette Odette.- E’ da quand’ero bambina che vi chiedo di diventare la vostra apprendista, e voi continuate a rifiutare. Ditemi la verità: anche voi mi considerate una bambinetta stupida e incapace come i miei genitori?
- Nessuno qui ha mai pensato una cosa simile di voi, Vostra Altezza; e, per quanto riguarda il farvi diventare la mia apprendista, ho sempre avuto i miei buoni motivi per negarvelo.
- Riguarda il mio status, per caso?
- Il fatto che io continui a rifiutarmi di insegnarvi la magia, non ha nulla a che fare con voi o la vostra appartenenza alla famiglia reale. Ho fatto voto di non prendere più alcun apprendista molto tempo fa…
- Perché?
Merlino parve essere non poco turbato da quella domanda, e non le rispose. Odette si avvicinò a lui di un passo, guardandolo negli occhi.
- Avete promesso di rispondere sinceramente a ogni mia domanda, Merlino. Tenete fede alla vostra promessa, adesso.
Il mago sospirò, annuendo mestamente.
- Avete ragione. Ve l’ho promesso…- fece una pausa, come se stesse cercando le parole adatte.- In vita mia ho avuto solo due apprendisti, ed entrambi mi furono sottratti dalle forze oscure. Le tenebre strapparono via la vita del primo, mentre il secondo si lasciò sedurre dalla magia nera. Non voglio che una cosa simile accada di nuovo…
- C’era una connessione fra di loro? Intendo dire…ecco…l’Oscurità colpì entrambi, sebbene in modo diverso, ma…proprio per questo mi chiedo se ci fosse qualcosa che li unisse, come un vincolo o…
- Un vincolo?- fece eco Merlino.- Oh sì, principessa. Un vincolo molto più stretto di quanto si possa immaginare…
- Che cosa…
Odette non poté terminare la frase, dal momento che un rumore di passi e di sedie spostate accompagnato da un mesto vociare iniziò a provenire da oltre i battenti serrati della sala da pranzo, segno che suo padre si era ripreso e che la cena stava per concludersi prima del tempo.
Sua madre le aveva ordinato espressamente di recarsi nelle sue stanze, e lei era ancora lì. Senza scorta, peraltro, anche se molto probabilmente con quel che era successo Ginevra dovesse essersene dimenticata. Odette fece una rapida riverenza a Merlino, accompagnata da un’occhiata eloquente che il mago comprese al volo, e si allontanò in fretta, svoltando l’angolo. Non aveva voglia di farsi rimproverare ancora da sua madre…ma ciò non significava che aveva intenzione di obbedirle.
Non sarebbe andata in camera sua, non per il momento. Quella sera aveva combinato parecchi disastri, e non si riferiva solo all’aver fatto star male Artù. A quel punto, sentiva di dovere delle scuse anche a un certo bacchettone di sua conoscenza…
 
***
 
Suo marito sembrava essersi ripreso ma, sebbene per tutto il tragitto che lo separava dalle sue stanze non avesse fatto altro che cercare di rassicurare lei, le guardie e i cavalieri che lo accompagnavano, era ancora molto pallido e qualche sporadico colpo di tosse si faceva ancora sentire. Ginevra aveva ordinato alle guardie e ai domestici che il re fosse lasciato riposare, e aveva fatto chiamare il medico di corte: questi aveva rassicurato i due sovrani dicendo che si trattava solo di un piccolo malore, che non c’era nulla per cui inquietarsi, e se n’era andato raccomandando tanto riposo e tranquillità. Dopo le sue parole, Ginevra si era un poco tranquillizzata, e anche Artù sembrava stare meglio, tanto che in capo a un paio d’ore si era addormentato, ringraziando tutti quanti per l’aiuto e il supporto. Quel tesoro di Morgana era stata così gentile da preparargli perfino una tisana per dormire.
Ginevra trovò il coraggio di allontanarsi da suo marito solo a notte fonda, facendosi riaccompagnare nella propria camera da letto da un drappello di dame assonnate almeno quanto lei. Morgana e altre due serve l’aiutarono a spogliarsi e a indossare la camicia da notte di seta bianca; la sua protetta le aveva persino pettinato i capelli e glieli aveva acconciati in una treccia per la notte, offrendosi di restare ancora un poco con lei se l’avesse desiderato, ma la regina di Camelot l’aveva congedata quasi subito. Non voleva abusare della gentilezza di Morgana, né sottrarle ore di sonno preziose. E poi, aveva bisogno di stare sola. Di riflettere. Crollava dal sonno, ma sapeva che il ricordo di quel che era accaduto quella sera le avrebbe impedito di riposare.
Ormai Odette stava diventando ingestibile. Ginevra non sapeva proprio più cosa fare con lei: da sempre, sin da quando sua figlia era poco più che una lattante, aveva sempre intuito che il rapporto che la legava a suo padre era molto più saldo e affettuoso di quello che aveva con lei, e aveva accettato la cosa con muta rassegnazione. Sapeva che in parte era colpa sua, che forse, se fosse stata una madre meno oppressiva, Odette sarebbe potuta crescere con un modo più sereno nel rapportarsi con lei. Ma ormai quel che era fatto era fatto, anche se Ginevra non era disposta a tollerare un comportamento come quello che aveva esibito poche ore prima.
Qualche piccola ribellione poteva sopportarla; poteva passare sopra a risposte impertinenti, comportamenti maleducati, e anche al rancore che sua figlia nutriva nei suoi confronti. Ma stavolta Odette aveva esagerato, era arrivata al punto da far star male suo padre pur essendo a conoscenza delle sue condizioni di salute.
L’indomani stesso avrebbe provveduto a…
- Chi sa chi lo sa, il mio nome qual sarà…
Quella cantilena querula e ossessiva proruppe nella stanza così inaspettatamente che Ginevra sobbalzò, aggrappandosi ai braccioli della poltroncina su cui era seduta e conficcando le unghie nell’imbottitura tanto da lacerarla. La regina boccheggiò, sentendo che il cuore aveva spiccato un balzo nel suo sterno fino a raggiungere la gola. Si guardò intorno freneticamente: la porta era chiusa, le imposte sbarrate. Non c’era modo che qualcuno fosse entrato.
Ginevra continuò a far dardeggiare lo sguardo tutt’intorno, con il cuore che batteva a mille e il respiro affannoso. Non c’era nessuno. E ora tutto era immerso nel silenzio.
La regina tirò un lungo sospiro, allentando la presa intorno ai braccioli. Forse l’aveva immaginato, pensò. Sì, certamente era stato così: con tutto quel che era accaduto, Artù, Odette, non ci sarebbe stato da stupirsi se…
- Chi sa chi lo sa, il mio nome qual sarà…
Di nuovo, all’improvviso, quella specie di filastrocca risuonò fra le pareti della stanza, stavolta più chiara, più nitida, più forte. Ginevra si sentì invadere dal panico, e si alzò precipitosamente in piedi, aggrappandosi con le mani al bordo della toeletta. Fece nuovamente dardeggiare lo sguardo per la stanza, ma non vide nulla: ma stavolta ne era certa, sapeva di non stare sognando, sentiva di non essere sola.
E le era bastato risentire quella voce una volta sola per ricordarsela, a distanza di sedici anni.
Iniziò a sudare freddo, a respirare affannosamente.
No…no, per favore…No, ti prego, vattene…
Serrò le palpebre istintivamente, quasi come se non vedendo nulla potesse anche non udire, potesse scacciare la presenza oscura e sinistra che si trovava in quel momento nella stanza insieme a lei. Era stupido e inutile, ma non le restava altro.
- …lo so soltanto io che Tremotino è il nome mio!
- No!- lo strillo le uscì dalla bocca tanto acuto quanto disperato; Ginevra spalancò gli occhi, iniziando ad affannarsi nella stanza, freneticamente. Era pallida, madida di sudore, tremava e aveva lo sguardo spiritato: sembrava fosse stata colta dalla follia.
Spalancò le ante del guardaroba e tirò via alcuni vestiti per controllare che non ci fosse nascosto qualcuno dietro, ma non trovò nessuno. Sollevò le lenzuola e guardò sotto al letto, ma anche lì non c’era nessuno. Ginevra si precipitò verso la porta e girò la chiave nella serratura, quindi vi si appoggiò contro, con gli occhi febbricitanti e spalancati a scrutare la stanza vuota.
Chiamare le guardie, suo marito…sarebbe stato tutto inutile. L’avrebbero presa per pazza. In quel momento, le sembrava che neppure l’aiuto di Merlino sarebbe servito a qualcosa.
C’erano solo loro due. Lei e quel…quel…quel mostro.
- Dove sei?- soffiò con un filo di voce.
Per tutta risposta, una risatina maligna rimbombò contro le pareti, originando un eco che parve non estinguersi mai. Ginevra si sentì invadere dal terrore, e credette di stare per morire quando la voce di Tremotino risuonò nella stanza, stavolta non più strascicata e cantilenante, ma chiara e minacciosamente reale.
- Hai sentito la mia mancanza, Ginevra figlia del mugnaio?
- No!- questa volta l’urlo della regina fu ancora più acuto, ancora più disperato; si mise le mani nei capelli, si graffiò il volto con furia lasciandosi cadere in ginocchio e iniziando a singhiozzare furiosamente, scossa da tremiti.- No! No, ti prego, no!
Un’altra risata giunse in risposta alle sue suppliche. Ginevra gridò, un grido sordo di paura mista a pura e gelida disperazione, quella disperazione che non ti permette neppure di reagire, di pensare, di vedere una via d’uscita. Perché una via d’uscita non esisteva: lui era tornato, e lei era precipitata di nuovo in quell’incubo, l’incubo che l’aveva tormentata quando era solo una sposa diciassettenne e incinta, l’incubo che l’aveva perseguitata per ben sedici anni facendola vivere nel terrore di risvegliarsi un giorno e scoprire che quello stesso brutto sogno fosse la realtà.
E quell’incubo adesso era tornato, e si era rivelato spaventosamente reale…e con la stessa crudeltà della realtà, avrebbe inghiottito nel buio tutto ciò che restava di buono e luminoso.
- Chi sa chi lo sa, il mio nome qual sarà! Lo so soltanto io che Tremotino è il nome mio…- la cantilena era ricominciata, terribile e ossessiva, e Ginevra gridò ancora più forte.
- No! No, ti prego! Ti prego, basta!- implorò fra le lacrime.
- Tremotino io mi chiamo, ma la regina non lo sa…
- No! Basta!
- …il mio nome mai indovinerà, e la principessa mia sarà…
- Maledetto!- gridò Ginevra al vuoto, con furia disumana.- Maledetto! Che tu sia maledetto!
Un’altra risata. Ormai la regina non poteva fare altro se non singhiozzare istericamente, senza freno. La sua mente riusciva ad articolare solo due parole: è tornato.
- Va’ via! Maledetto! Vattene via!
- Chi sa chi lo sa, il mio nome qual sarà…Lo so soltanto io che Tremotino è il nome mio…Tremotino io mi chiamo, ma la regina non lo sa…Il mio nome mai indovinerà, e la principessa mia sarà…
Ginevra svenne.
 
***
 
Odile consumò in cucina la sua minestra di porri come ogni sera, prima di scendere agli alloggi dei domestici per raggiungere la propria stanza. Grazie all’interesse della regina Ginevra per la sua famiglia, aveva avuto la fortuna di poter avere una camera tutta sua e, anche se quelle di sua madre e di suo fratello erano molto più comode e lussuose, non se ne lamentava. Preferiva stare un po’ scomoda, ma quantomeno il più al riparo possibile dagli scherzi e dalle canzonature degli altri domestici e degli altri servi, che invece avevano a disposizione due camerate, una per le donne e l’altra per gli uomini, dove dormivano tutti insieme.
La maggior parte di loro doveva già essere a letto da un pezzo, ma per lei quella sera non era ancora il momento di dormire. Era scesa nella sua camera solo per togliersi il grembiule e darsi una sistemata: quella sera la principessa era dovuta stare alzata più tardi del solito come sempre accadeva in occasione di feste o banchetti, e lei doveva prima recarsi nelle sue stanze per aiutarla a prepararsi per la notte, prima di potersi riposare a sua volta.
Odile aprì piano la porta della camera e vi sgusciò dentro attenta a non fare rumore per non svegliare gli altri servi. Una volta era accaduto che uno dei garzoni si svegliasse perché lei aveva fatto cadere inavvertitamente una scodella di ferro sul pavimento. Lei non se n’era nemmeno accorta e lui si era rimesso a dormire quasi subito, ma la mattina seguente era entrato in cucina come una furia e le aveva rovesciato in testa il bicchiere di latte che stava bevendo, dicendole di stare più attenta la prossima volta. Non le andava di ripetere un’esperienza simile.
La cameretta era stretta e angusta, e semibuia. Odile accese una candela e la pose sul tavolo contro il muro. Il restante spazio era sufficiente appena per un letto, una seggiola, un catino dove si lavava tutte le mattine e una cassapanca appena sotto l’unica finestrella, in cui teneva riposti tutti i suoi abiti. Là dentro ci si muoveva appena: la regina aveva proposto più volte di fargliene avere una un po’ più grande, ma sua madre si era sempre opposta dicendo che una fanciulla onesta deve sempre imparare ad essere modesta e umile. Come no.
Odile si sfilò rapidamente le vecchie scarpette logore e si slacciò il grembiule da intorno alla vita, stendendolo sul letto. Prese a piegarlo con accuratezza, quando un insolito sibilo attirò la sua attenzione. Odile si guardò intorno per capire cosa fosse e da dove provenisse, per nulla allarmata, ma trasalì quando vide qualcosa muoversi sotto le coperte, a pochi centimetri dalla sua mano.
Si ritrasse di scatto, ma tenne lo sguardo fisso sul letto. Non aveva visto male: qualcosa si stava muovendo sul materasso, nascosto dalle lenzuola e dall’unica coperta. E stava emettendo lo stesso sibilo che aveva udito poco prima.
Odile deglutì, afferrando le lenzuola con le punte delle dita e tirandole via di scatto. Sgranò gli occhi: sul materasso, raggomitolato sulla propria coda, c’era un serpente. Il rettile fischiava e si agitava come se stesse per attaccare, e fece sibilare la lingua biforcuta.
Odile lanciò uno strillo acuto, allontanandosi velocemente dal letto e correndo in direzione della porta. La spalancò e si precipitò fuori nel corridoio senza guardare, andando immediatamente a sbattere contro qualcuno.
- Odile!- esclamò una voce maschile, in parte sorpresa e in parte irritata. La servetta credette di essere sul punto di cadere a terra, ma due braccia forti la sostennero.
- Odile, ma che stai combinando?!
La ragazza alzò lo sguardo, riconoscendo sir Lancillotto nell’uomo che aveva appena urtato. Il cavaliere la stava squadrando accigliato, confuso e insieme anche un poco esasperato. Indossava la divisa dei Cavalieri della Tavola Rotonda, segno che doveva essere reduce da qualche evento importante. Odile si aggrappò a essa come una naufraga si aggrappa a un’asse di legno che può mantenerla a galla, e prese a guardare ora Lancillotto ora la porta spalancata della sua stanza.
- Un serpente!- gridò, in preda al panico.
- Che cosa? Ma che stai…
- Un serpente!- ripeté Odile, ancora avvinghiata a lui.- C’è un serpente nel mio letto!
- Un serpente?
In quel preciso istante, il rettile strisciò velocemente fuori dalla camera, passando di fronte a entrambi prima di sparire in fondo al corridoio. Odile lanciò un gridolino, aggrappandosi a una spalla di Lancillotto, il quale sbuffò, un po’ infastidito.
- Odile, non era niente!- borbottò, cercando al contempo di calmarla e di staccarsela di dosso.
- Era là!- ansimò la servetta.- Il serpente! Era nel mio letto!
- Era solo una biscia, Odile.
Quelle parole ebbero lo stesso effetto di una secchiata di acqua gelida in una nevosa mattinata d’inverno. Era solo una biscia, Odile. Solo una biscia. Solo una maledetta, schifosa biscia.
- Una…una biscia?- boccheggiò la ragazza, stralunata e incredula.
- Sì, una biscia - ripeté Lancillotto, inarcando un sopracciglio.- E’ un serpente delle campagne, dei fossi e degli stagni. Non è velenoso, né pericoloso in alcun modo. Una biscia è assolutamente innocua, a meno che tu non sia un grillo o una rana.
L’ultima frase recava tracce di malcelata acidità. Odile boccheggiò, cercando di metabolizzare ciò che Lancillotto le aveva appena detto; quindi, avvampò furiosamente, sentendosi una perfetta idiota. Si era messa a strillare e a dare di matto per una biscia. Una dannata biscia.
Era solo una biscia, Odile. Sei veramente una povera stupida, Odile.
Si staccò da Lancillotto, allontanandosi da lui di un passo, e chinò il capo, vergognosa. Avrebbe voluto morire all’istante. Il cavaliere non disse nulla, ma si lisciò le pieghe della manica della tunica a cui lei si era avvinghiata.
- Perdonatemi…- pigolò la ragazza, con le guance rosse come mele mature.
- Non è nulla - replicò Lancillotto, senza alcuna sfumatura nel tono della voce. Questo fu forse la goccia che fece traboccare il vaso: a Odile fu chiaro che la credeva una sciocca paurosa, e questo le bruciava. Senza pensare, si lasciò sfuggire dagli occhi alcune lacrime di frustrazione, asciugandole rabbiosamente.
- Sono stati loro!- ringhiò; i riccioli castani le erano finiti di nuovo di fronte agli occhi.- E’ uno dei loro scherzi! Sono pronta a giurare che sono stati i garzoni dello stalliere a mettere quel serpente nel mio letto!
- Hai paura dei serpenti?
Odile annuì.
- E’ da quando sono nata che quei maledetti non fanno che tormentarmi!- singhiozzò.- Prima il sale nel latte, poi lo sgambetto mentre porto l’acqua dal pozzo, e ora anche una biscia nel letto! L’idea gliel’ha data mio fratello, ne sono sicura…!
- Domani parlerò io con lui.
Quella promessa buttata lì all’improvviso fu in grado di far cessare immediatamente i suoi singhiozzi. Odile sgranò gli occhi, sollevando il capo per poter guardare meglio Lancillotto: il cavaliere teneva lo sguardo puntato sul luogo in cui era scomparso il serpente, pensieroso. Per un attimo Odile si chiese se avesse davvero avuto intenzione di dire quello che lei aveva appena sentito, ma subito ogni suo dubbio venne fugato. Lancillotto era un cavaliere…e i cavalieri mantengono sempre la parola data.
Come spesso le accadeva, si ritrovò a fantasticare nella sua mente, a immaginarsi scene in cui Lancillotto andava da suo fratello, lo prendeva per il bavero della casacca e lo minacciava di chissà quali sofferenze se solo si fosse azzardato a farle ancora del male. Arrossì nuovamente, e stavolta fu molto più piacevole.
- Lo farete davvero?- domandò speranzosa, sperando di non aver compreso male.
- Se questo potrà aiutarti, sì - confermò Lancillotto.
Odile si aprì in un largo sorriso, avvampando ancora di più. Avvertì come una brezza calda e confortante attorno al suo cuore, e sperò di non svenire per l’emozione. Non era mai capitato che sir Lancillotto facesse qualcosa per lei.
- Come…come mai eravate da queste parti?- domandò, nel tentativo di prolungare la conversazione. Pessima scelta della domanda. Il cavaliere si voltò a guardarla, accigliato.
- La mia stanza è poco più avanti - rispose con naturalezza, al che Odile si diede nuovamente della stupida. Con tutto quel che era successo, aveva dimenticato che la camera di sir Lancillotto era completamente isolata rispetto a quella degli altri cavalieri.
Quella era una delle tante cose che lo rendeva diverso dagli altri. La maggior parte dei Cavalieri della Tavola Rotonda erano nobili che, quando non venivano convocati a corte per qualche questione importante, trascorrevano il loro tempo a casa propria, nei loro castelli e manieri, vicino ai loro possedimenti. Solo dodici di loro – i più fedeli al re – avevano degli appartamenti privati all’interno della reggia, e fra di essi vi erano anche sir Galvano e sir Lancillotto. Ma, se il primo come gli altri dieci possedeva delle camere eleganti e comode, il secondo aveva sempre preferito dormire nella stanzetta in cui aveva trascorso la sua ultima sera da scudiero, la veglia d’armi prima dell’investitura e della nomina a cavaliere. Questa si trovava nei pressi degli alloggi dei domestici – anche se era un poco più distanziata da essi, dal momento che sir Lancillotto apparteneva a uno status superiore, in quanto cavaliere –, ma per il resto somigliava in tutto e per tutto alla stanza di un monaco: piccola e stretta, con le pareti di pietra, arredata con solo un letto, un catino e una cassapanca.
In molti si chiedevano perché diamine un cavaliere, con tutti i privilegi che poteva avere, avesse deciso di dormire in un luogo simile. Così, una volta Odile – all’epoca doveva avere circa quindici anni, non di più – aveva preso il coraggio a due mani e glielo aveva chiesto. Lui le aveva risposto che fino all’età di dodici anni aveva dormito su un pagliericcio umido, e in seguito su un letto di legno durante il periodo come scudiero; in un letto comodo, su un materasso e con dei cuscini non sarebbe mai riuscito a riposare. E poi, aveva aggiunto, essere cavaliere voleva dire farsi difensore del popolo e dei più deboli, e mettere il loro bene prima del proprio: ciò di cui poteva fare a meno, preferiva darlo a chi ne aveva veramente bisogno. Lui stava bene così.
A Odile era sembrato un comportamento molto nobile, ed era andato ad aggiungersi alla lista dei pregi che lei ritrovava costantemente in Lancillotto.
Provò a dire qualcos’altro, magari di più intelligente, ma l’arrivo di una terza persona glielo impedì.
Sia Lancillotto sia Odile strabuzzarono gli occhi quando si videro venire incontro la principessa. La servetta per il fatto che la figlia dei sovrani non era mai scesa negli alloggi dei domestici; il cavaliere perché…
- Che ci fate qui senza scorta?- l’apostrofò.
- Mia madre se ne deve essere dimenticata, e vedete di non scocciare almeno stavolta che sono venuta da voi con intenzioni pacifiche - Odette si piantò le mani sui fianchi.- Oh! Ciao, Odile…
- Vostra Altezza - la servetta fece una riverenza un po’ impacciata.- Stavo giusto venendo da voi.
- Perché?
- Beh, per…per aiutarvi a prepararvi per la notte…
- Non ho tre anni, Odile, posso farlo da sola.
- La regina vostra madre insiste, Altezza.
- A questo proposito…lo sa che siete qui?- Lancillotto incrociò le braccia al petto.
- E va bene!- Odette sbuffò.- Odile, va’ pure a prepararti, mi raggiungerai dopo. Io sistemo un paio di cose con sir Lancillotto e mi levo di torno.
Odile esitò un attimo, quindi annuì rapidamente ma di malavoglia, e rientrò nella sua stanza. Finse di chiudersi la porta alle spalle, ma lasciò semiaperto uno spiraglio per poter sbirciare all’esterno. Premette una guancia contro il legno, rimanendo in ascolto.
Odette imitò il gesto del cavaliere incrociando le braccia al petto e guardandolo negli occhi.
- Sono venuta a chiedervi scusa - dichiarò orgogliosamente.
- E per che cosa?- Lancillotto si schernì.- Per avermi messo in difficoltà di fronte a vostro padre? O per avermi fatto umiliare pubblicamente dal re?
- Ho…combinato un po’ di pasticci, stasera - la principessa si umettò nervosamente le labbra.- Domanderò scusa anche a sir Galvano, ma ho preferito parlare prima con voi perché…
- …perché sapete che una minima mancanza potrebbe rispedirmi nel fango dove sono nato?
Odette si corrucciò, punta sul vivo.
- Sapete benissimo che mio padre è un uomo clemente, e che in ogni caso un rimprovero banale come quello di questa sera non sarebbe sufficiente a farvi degradare. E poi, siete ossessivo: non siete voi l’unico cavaliere non nobile, siete a conoscenza di questo?
- Sono a conoscenza di tutti i sacrifici che ho fatto per arrivare fino a qui, e del fatto che voi non potrete mai immaginare nulla di tutto ciò - ribatté Lancillotto.- In ogni caso, accetto le vostre scuse.
Odette si aprì in un sorriso compiaciuto.
- Credevo avreste opposto più resistenza…
- Io di norma non amo portare avanti discussioni futili su questioni altrettanto inutili.
- Vorrei che fosse lo stesso anche con mia madre…- sospirò la principessa.- Non sarà altrettanto facile scusarmi con lei. Se le cose vanno bene, mi terrà il muso per una settimana…
- Parlate come una contadina - constatò Lancillotto, prendendola sottobraccio.- Venite, vi riaccompagno nelle vostre stanze. Non voglio passare dei guai perché voi ve ne andate in giro da sola nel cuore della notte…
- Rimanete sempre un bacchettone…- Odette fece un sorrisetto.- Ma di tanto in tanto risultate un po’ meno noioso.
Lancillotto non rispose, e insieme si allontanarono lungo il corridoio.
Non vista, Odile richiuse piano la porta, vi si appoggiò contro e scoppiò a piangere.
 
***
 
Non appena mise piede nella stanza, la prima cosa che Mordred ricevette fu un sonoro schiaffo da parte di sua madre, ma non si lasciò sfuggire né una parola né un gemito di dolore. Sapeva perfettamente a che cosa era dovuto.
- Idiota!- sputò rabbiosamente Morgana.- Razza di imbecille! Non capisci niente! Sei senza cervello, proprio come tua sorella! Mesi e mesi di lavoro e tu con la tua stupidità stavi per mandare tutto in malora!
- Non se n’è accorto nessuno, madre - tentò di difendersi Mordred, massaggiandosi la guancia offesa.- Non è la fine del mondo. La principessina starà zitta…
- Lo spero per te che starà zitta!- strillò la donna, inviperita. Aveva sciolto i capelli, e ora questi le ricadevano in ciocche disordinate e spettinate sulle spalle, sul collo e sugli occhi, e il volto era arrossato e contratto in una smorfia rabbiosa. Sembra proprio una strega, pensò Mordred.- Se qualcuno ci scopre tu non solo puoi dire addio alla carica di cavaliere, ma anche all’unica possibilità che hai per diventare re!
- Se andiamo avanti di questo passo, lo diventerò solo quando sarò un vecchio decrepito!- ribatté il cavaliere.- Quanto deve durare questa messinscena della malattia, prima che Artù si decida finalmente a crepare? Non possiamo ucciderlo subito e basta?
- Allora non capisci proprio niente!- Morgana lo guardò.- Qual è il tuo piano? Tendergli un agguato alle spalle e tagliargli la gola? Pugnalarlo nel sonno? Se facessimo di testa tua immediatamente sarebbe chiaro che c’è un regicida a Camelot. Ginevra sarà anche la figlia di un plebeo, ma non è stupida: lei e Merlino chiuderebbero subito le porte della reggia, nessuno potrebbe uscire, e non ci vorrà molto prima che i sospetti si estendano anche a noi.
- Non è detto che ci scoprano. Ci saranno almeno cinquecento persone che abitano qui, senza contare quelle che entrano ed escono tutti i giorni. E poi, io e te siamo nelle grazie della regina…nessuno sospetterebbe mai di noi…
- Non ho nessuna intenzione di mettere a repentaglio la missione che la Regina Cattiva mi ha affidato solo perché tu non hai la pazienza di aspettare - dichiarò Morgana.- Lei ne sarebbe oltremodo contrariata. E poi, è importante che Artù muoia senza troppo clamore. Deve essere qualcosa in qualche modo di preannunciato, e cosa meglio di una malattia misteriosa? Ginevra non potrà accusare nessuno della sua morte, e in tal modo le acque si manterranno calme. Così la Regina avrà modo di ottenere ciò che cerca, e quando la guerra scoppierà, la regina e sua figlia saranno impreparate. Camelot cadrà rapidamente, e nessuno, nemmeno i cavalieri potranno fare qualcosa per fermare il disastro…
- Spero solo che la Regina Cattiva non decida di raderlo al suolo completamente - disse Mordred, con pungente sarcasmo.- Non ho molto interesse nel governare un regno che non esiste più.
- Non devi preoccuparti di questo - Morgana si diresse verso la finestra, sistemandosi i capelli. Sembrava essersi un poco calmata, ma il volto rimaneva contratto.- Te l’ho detto, l’unica cosa che devi fare è attendere e pazientare. La Regina Cattiva ci ha promesso questo regno, ricordi? Quando Artù sarà morto, resterà solo Merlino da togliere di mezzo, e presto i Grimm ritorneranno. Dopodiché, nulla ti impedirà di diventare il nuovo re di Camelot.
- Lo spero - disse Mordred, con una smorfia d’incertezza.- Ma perché la Regina non si libera da sé di Artù? E poi, cos’è che brama tanto e che non riesce a ottenere?
- Questo non me l’ha spiegato. Quanto ad Artù…lei sa che Ginevra ha fiducia in me, e che ho una grande dimestichezza con i veleni. Io sono la persona più indicata per questo compito.
- Non ti senti mai in colpa? Nei confronti di Ginevra, intendo - la provocò suo figlio.
- E perché mai dovrei?
- Beh, dopo tutto quello che ha fatto per te devi esserle pure un poco grata. Non mi verrai a dire che ti piaceva prostituirti…! - ghignò Mordred.
- Bada a come parli, figlio ingrato che non sei altro!- Morgana si rivoltò come una vipera.- Vuoi diventare re, o no? E allora la prima cosa che devi imparare è che in questa vita la lealtà e la compassione sono solo le armi dei perdenti!
Mordred non rispose, indietreggiando di un passo. Scoccò un’occhiata di sottecchi a sua madre, con aria truce. Morgana si gettò indietro una ciocca di capelli, passandosi i palmi aperti sul volto come per calmarsi. Mordred pensò che un tempo doveva essere stata una bella donna, ma adesso alcune lievi rughe stavano iniziando a spuntare sulla sua pelle, raggrinzendola. Fra pochi anni, si sarebbe tramutata in una vecchia orrenda e decrepita.
- Dopo che ho perso tuo padre sono scesa a tantissimi compromessi, e solo per poterti vedere un giorno sul trono di Camelot. Ginevra è stata solo un’altra pedina nella scacchiera, importante, certo, ma come tutte le altre sostituibile. Impara a pensare a te stesso, figlio mio, o non farai mai strada nella vita.
Mordred non disse nulla. Rimase a osservare sua madre mentre si avviava verso un cofanetto che teneva sempre chiuso a chiave, in bella vista sopra la sua toeletta. Estrasse dalla tasca dell’abito una piccola chiavetta d’oro e la girò nella serratura.
Quando aprì il cofanetto, ciò che Mordred vide furono decine e decine di piccole fiale, molto simili a quelle che le dame utilizzavano per contenere i loro profumi, e all’apparenza sembravano proprio quello: profumi e unguenti colorati e sgargianti, riposti ordinatamente in una scatola. Ma sapeva che non era così: sua madre non poteva essere definita una vera e propria strega; certo, era in grado di far levitare alcuni oggetti e di tramutare qualcuno in un animale, se lo desiderava, ma non ne sapeva più di una comune fattucchiera. Più che una strega, Morgana era un’erborista: era in grado di compiere qualsiasi cosa con solo poche gocce di uno dei suoi intrugli, dal guarire un malessere, al far fiorire una pianta, fino a causare la morte di un uomo.
E il suo cavallo di battaglia erano proprio i veleni. Morgana li preparava personalmente, spendendovi anche molte ore o giorni interi fino a che non ne era completamente soddisfatta. Li distillava a partire da alcune erbe che raccoglieva di notte, a volte ortiche, ma spesso anche oppio e cicuta, e riusciva a creare filtri che erano in grado di uccidere con un solo sorso.  
- Stasera a cena ho versato dell’altro veleno nel boccale di Artù senza che se accorgesse, e ne ho aggiunta qualche goccia nella tisana che gli ho portato. Anche se volessi smettere ora, per lui non ci sarebbe più nulla da fare. Dobbiamo solo avere pazienza, Mordred…
 
***
 
Odette era distesa sul suo letto in una posizione ben poco principesca, fissando il soffitto del baldacchino senza pensare a nulla. La sua mente era sgombra, e stava cercando di mantenerla tale fino all’indomani, quando avrebbe inevitabilmente dovuto affrontare sua madre con tutte le conseguenze del caso. Si riscosse solo quando qualcuno bussò alla porta, e si sollevò sul materasso puntellandosi sui gomiti.
- Avanti…
Odile entrò lentamente nella stanza, dando le spalle alla principessa per chiudere la porta e nel contempo asciugarsi i residui di lacrime che le erano rimasti. Aveva pianto ininterrottamente per quasi mezz’ora, e adesso aveva gli occhi gonfi e arrossati, ma sperava comunque che Odette non se ne accorgesse. Fece una riverenza, tenendo il capo chino e nascosto dai riccioli.
- Sono venuta per aiutarvi a prepararvi per la notte, Vostra Altezza…
- Sì, lo so…- Odette sospirò, alzandosi dal letto di malavoglia.- Forza, facciamo in fretta, così io posso andarmene a letto e tu pure…
Si posizionò di fronte allo specchio e allargò le braccia, in modo che Odile potesse slacciarle il corsetto. La servetta iniziò ad armeggiare con i lacci, sempre tenendo il capo chino. Odette la squadrò dallo specchio.
- Odile, hai per caso pianto?
- Che? No, principessa, io…Credo che mi stia venendo un po’ di raffreddore.
Odette non replicò, ma si lasciò sfuggire un altro sospiro.
- Stasera ho litigato con mia madre - mormorò dopo qualche minuto, quando ormai il corsetto era già stato slacciato; in genere non si confidava con Odile, ma quella sera sentiva l’inspiegabile bisogno di farlo.
- Ho sentito alcune cameriere che ne parlavano - disse la servetta, tirando su con il naso.- Sono cose che possono succedere…- buttò lì, anche se non ne era molto convinta, dato quel che doveva passare ogni giorno con la sua, di madre.
- Vorrei solo che riuscisse a capirmi un po’ di più…- fece la principessa.- Non mi lascia respirare. Sta facendo di tutto per affibbiarmi un marito, e ha anche scelto il mio abito per il ballo…
- Io lo trovo molto bello…
- Ma andiamo! Bello? Quella palandrana?
Odile seguì lo sguardo di Odette che le indicava il proprio vestito per il ballo in maschera, sistemato in un angolo della stanza. Ormai se ne stava lì da più di un mese, esposto su di una stampella dal momento in cui le sarte di corte avevano terminato di confezionarlo. La servetta non poteva fare a meno di osservarlo ogni volta che entrava nella camera della principessa, e ogni volta ne rimaneva affascinata: si trattava di un vestito confezionato interamente in seta, bianco come la neve con alcune sottili linee di stoffa argentate che luccicavano alla luce, dalla gonna stretta e leggermente scollato, che avrebbe certamente messo in risalto le forme di colei che avrebbe avuto la fortuna di indossarlo. Le maniche erano a sbuffo, e intorno alla vita una fascia dello stesso colore che accentuava ancora di più i fianchi ma sempre mantenendo una linea delicata e casta, senza scadere nella volgarità. A esso erano stati abbinati un paio di guanti bianchi, e una collana di perle con una coroncina di brillanti. E naturalmente, una maschera bianca dai bordi argentati.
Odette sarebbe stata un cigno bianco, così aveva detto la regina.
Ogni volta che Odile vedeva quell’abito doveva fare uno sforzo immane per non toccarlo, ma ancora più dura era trattenersi quando sentiva la principessa criticarlo. Negli anni, Odile aveva imparato che era facile disprezzare quando si poteva avere tutto; lei avrebbe firmato con il sangue per poter indossare un abito del genere anche solo per una sera. Per poter essere Odette solo per una sera.
Il ricordo della scena a cui aveva assistito poco prima la pugnalò improvvisamente, e Odile si sentì sul punto di scoppiare di nuovo a piangere.
La principessa sia avvicinò al vestito, squadrandolo con sufficienza.
- Non riesco a credere che a qualcuno possa davvero piacere una cosa simile. Forse solo a mia madre…
- Io lo trovo splendido. Siete molto fortunata a poterlo indossare al ballo.
- Credimi, Odile, piuttosto che indossare quest’affare e andare a quel maledetto ballo preferirei vestirmi da uomo e rifugiarmi in qualche taverna…
- Potreste farlo.
A quelle parole, Odette si voltò a guardarla con gli occhi sgranati. Odile stessa si rese conto in quel momento che a parlare non era stata lei; o piuttosto, non era stata la sua testa, la sua razionalità. Si era lasciata sfuggire una frase che veniva dritta dritta dal cuore. Da tutta l’invidia e la gelosia che covava in quel momento.
Lancillotto…
- Cos’hai detto?
- Penso che potreste farlo - ripeté Odile, cercando di mantenere la voce ferma e di mostrarsi sicura di sé. Ormai aveva parlato, e non aveva più senso tornare indietro; e, forse, non voleva neppure farlo. Un’idea pazza, folle, assurda aveva iniziato a farsi strada nella sua mente, ma forse proprio perché era così folle risultava anche tanto eccitante, eccitante come lo erano solo le cose proibite.- Andare in città. Nessuno vi obbliga a partecipare al ballo, se non lo desiderate.
- Ti prego di perdonarmi, ma devo dissentire: mia madre mi obbliga. E poi, Odile, lo sai benissimo che non posso andare in città. Di’ un po’, per caso sir Galvano ti ha coinvolta in una delle sue bevute?
- No, Vostra Altezza - replicò la servetta, ignorando il sarcasmo.- Io…stavo solo pensando che non sempre dobbiamo sottostare a delle regole…- stava per dirlo. Oh sì, stava davvero per dirlo.- Potreste disubbidire e andare in città.
- E mi spieghi come potrei fare?
Odette era scettica, era palese. Odile non demorse, e cercò di mostrarsi ancora più sicura di sé. Ora non era più solo un’idea vaga e astratta: era un piano ben congeniato, progettato d’impulso in pochissimo tempo, ma che avrebbe funzionato a meraviglia se fosse andato in porto. E Odile non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire quell’occasione.
Fatti da parte, principessa.
- Il pomeriggio del ballo dovreste trascorrerlo interamente in questa stanza, con me, a prepararvi - spiegò.- Nessuno vi vedrebbe per diverso tempo, e la festa senza dubbio sarà già iniziata da almeno due o tre ore prima del vostro arrivo. Io sarei l’unica a sapere la verità, quindi…se voleste…potreste arrivare al ballo un po’ più tardi e prima andare in città di nascosto…
- Dici davvero?
Il volto di Odette si era illuminato, e anche gli occhi di Odile ebbero uno scintillio. Ci stava cascando, poco ma sicuro. Annuì con vigore.
- Nella mia stanza ho degli abiti smessi di mio fratello che vi starebbero a pennello. Posso portarveli, e farvi uscire di nascosto dagli alloggi della servitù. Poi, dopo un paio d’ore dall’inizio della festa ritornerete, indosserete l’abito e vi presenterete al ballo come se nulla fosse…E, se qualcuno chiederà di voi, penserò io a coprirvi le spalle…
- Faresti questo per me?
Odile annuì nuovamente, certa di averla in pugno. Sapeva che vedere la città era ciò che la principessa desiderava di più, e ora le stava offrendo quella possibilità su un piatto d’argento. Aveva come la sensazione che loro due fossero come delle amiche che progettano una marachella; Odile aveva sempre desiderato essere amica della principessa come sua madre lo era della regina, ma si era sempre trovata di fronte a un muro. Fino ad ora, che le tornava utile; ma il suo aiuto non era disinteressato.
Anche lei avrebbe avuto un tornaconto.
Odette le gettò le braccia al collo.
- Oh, Odile! Grazie, grazie, grazie!
La servetta non rispose, ma sorrise.
Si aprano le danze!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Per una volta sono davvero riuscita a essere puntuale come un orologio svizzero. Dal prossimo capitolo vedremo il cigno nero in azione ;). Lo so che qui il PoV di Odile è molto ridotto e sembra che abbia preso una decisione così alla cavolo, ma nel prossimo ci sarà una parte descrittiva dedicata solo a lei che spiegherà meglio un bel po’ di cose. Dopo l’ultimo capitolo sul cigno nero torneremo ad Anya ed Elizabeth con un bel po’ di Vinya. Siete felici? :D. Ah, e alla fine del prossimo capitolo ci sarà anche un piccolo accenno della Tremeth (Tremotino/Elizabeth, ship gentilmente coniata e concessa da Jessica21) che verrà…;).
Ringrazio x_LucyW, _EllaZaZa_, SognatriceAocchiAperti, Jessica21, LadyAndromeda (ora sto recuperando le recensioni che devo a Jessica21, ma appena finisco passo da te, giuro!) e Sylphs per aver recensito :).
Ciao a tutti, al prossimo capitolo!
Un bacio,
Beauty
 
P. S. La cantilena di Tremotino è un mix fra quello che ho inventato io e la filastrocca nella fiaba originale. Così, giusto per precisare ;).
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Beauty