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Autore: Fiamma Erin Gaunt    28/02/2014    2 recensioni
Harleen Quinzel è una giovane e brillante psicologa ritrovatasi a lavorare nel manicomio criminale Arkham Asylum. Durante una delle sue tante sedute fa la conoscenza di Jack Napier, criminale di eccezionale fama che risponde al nome di Joker, e finisce con l’istaurare un rapporto particolare con quell’uomo che, malgrado tutto, esercita un forte ascendente su di lei.
Dal testo:
- Sai, Harley Quinn, mi piaci. –
Dal modo in cui lo dice sembra che non sia necessariamente una cosa buona. Infatti, subito dopo, aggiunge: - Prometto che, quando deciderò che sarà meglio ucciderti che chiacchierare con te, lo farò in fretta. –
Ecco fatto, e tanti saluti all’andare d’amore e d’accordo.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Catwoman aka Selina Kyle, Due Facce aka Harvey Dent, Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier, Poison Ivy aka Pamela Isley
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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Cap 1

 

 

 

 

Proprio come avevo pensato. Napier risponde in pieno al profilo che avevo elaborato di lui. Però c’è una cosa che mi ha stupito, l’unica che non avrei mai preso in considerazione. È affascinante, persino le terribili cicatrici che gli deturpano il volto non diminuiscono questo aspetto della sua personalità. Anzi, forse sono proprio loro a catturare l’attenzione. Un’attenzione morbosa, insana, ma pur sempre calamitante. Sospiro, recuperando carta e penna e facendo partire il nastro con la registrazione della nostra seduta. Come previsto, non gli ha dato fastidio l’uso del registratore; ha una personalità talmente egocentrica e narcisista, propria degli uomini come lui, che l’idea che le sue parole rimangano impresse non può che fargli piacere.

 

 

 

“Allora, Mr J, perché non mi racconti come mai sei finito qui dentro?”

Napier agita una mano con noncuranza, come se il motivo della sua detenzione non fosse chissà che.

“È una storia noiosa. Perché invece non lasci che ti racconti una storia molto più interessante?” aggiunge, guardandomi con uno strano luccichio negli occhi.

“Che storia?”

“Ma quella delle mie cicatrici, naturalmente.”

Lo dice come se fosse una cosa ovvia, qualcosa a cui sarei dovuta arrivare da sola, e sembra contrariato dal fatto che non ci sia riuscita.

“La conosco già.” ammetto, spiando la sua reazione.

Di nuovo quel broncio da bambino. Sarebbe quasi un’espressione tenera se non fosse impressa sul volto di uomo grande e grosso. Su di lui invece è solo inquietante, rimanda a pensieri che nessuno vorrebbe mai conoscere.

“Perché continui a cercare di spaventarmi, J?” domando.

Il broncio scompare, sostituito da un’espressione neutrale, ma il suo sguardo mi dice la verità. L’ho spiazzato. È solo un attimo, però, e si riprende in fretta. Batte le mani, gioioso.

“Ma allora sei davvero brava, bambolina. L’ultimo strizzacervelli che mi ha visitato non riusciva proprio a capirmi, mi faceva sentire stupido. E poi era così serio, mi sarebbe piaciuto disegnargli un bel sorriso.”

Deglutisco, sforzandomi di ignorare l’ultimo commento. Sto lentamente conquistando il suo rispetto e non posso cedere alla prima insinuazione violenta.

“Un pipistrello.”

Lo guardo perplessa.

“Mi hai chiesto come mai sono qui. Bè, la colpa è di un pipistrello. Uno bello grosso, un vero guastafeste.”

Già, Batman. A quanto ho potuto capire dalle indicazioni lasciate dal mio predecessore, si tratta dell’ossessione ricorrente di Napier. Nutre un vero disprezzo per quell’uomo, chiunque esso sia.

“Non mi sono mai piaciuti i pipistrelli.”

Non so neanche io perché lo dico, ma sembra che quell’affermazione renda felice Napier. Mi rivolge un sorriso ampio, di apprezzamento.

“Non preoccuparti, bambolina, quel pipistrello non vivrà ancora a lungo.”

 

 

 

 

 

Il nastro registratore emette un rumore secco. Ho smesso di registrare in quel punto, perché non voglio che una prova della volontà di uccidere Batman rimanga impressa da qualche parte. Tutti lo sanno, ma le parole senza prove non possono reggere in tribunale. Una registrazione trafugata invece sì.

Metto via le mie cose, riponendo con cura la cassetta nello schedario personale di J. È strano come mi senta già in stretta connessione con lui, non mi era mai capitato con gli altri pazienti. Scrollo le spalle. Magari è tutta una mia impressione, o forse il fascino di J sta lentamente facendo presa su di me. È una sorta di voce della coscienza quella che aggiunge l’ultima parte della frase. Sembra quasi un monito, un messaggio che il subconscio mi sta lanciando: “Harleen, mantieni la lucidità”.

  
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