Capitolo
10
Verità
negata
-
Prima parte -
“La verità deve
cadere come un fulmine, altrimenti non ha alcuna efficacia”.
Elias Canetti
Foto Lucia Bosè
Città di Fürstenberg/Havel,
9 ottobre 1950
“Non mi sembra ancora vero che tu sia qui, Nadine.” Kurt distolse per un attimo
lo sguardo dalla strada e lo rivolse a lei che guardava fuori dal finestrino.
Nadine ricambiò lo sguardo e, con espressione serena, disse: “Anch’io ti guardo
e non mi sembra ancora vero.” La donna osservava le strade deserte della città,
i grandi palazzi sorti dalle ceneri della guerra, le boutique eleganti chiuse a
quell’ora del pomeriggio e rifletteva sugli eventi da poco accaduti. Era
partita credendo di consegnare la verità a un padre disperato, aveva rivissuto
il suo tragico passato a Ravensbrück e adesso era in macchina e parlava con un uomo che
dieci anni prima aveva esalato l’ultimo respiro della vita tra le sue braccia,
l’uomo che aveva amato prima di Werner: Kurt, un fantasma, un uomo in carne ed
ossa. Quella realtà le sembrava così irreale. Presto avrebbe conosciuto la
famiglia dell’uomo incontrato dietro la rete di filo spinato, amato sul letto
di una squallida infermeria, poi odiato e infine dimenticato tra il dolore e le
fatiche del lager. Ma adesso non provava né odio né rabbia verso Kurt che, come
lei, era miracolosamente scampato alla morte ed era riuscito a costruirsi una
nuova vita. La realtà serbava tante sorprese. I loro sguardi s’incrociarono di
nuovo e, in un rapidissimo istante, entrambi rividero tutte le immagini della
loro breve e travagliata storia d’amore. In quel ricordo, svanirono i sensi di
colpa di Kurt e l’impercettibile rancore di Nadine si dissolse.
La casa di Kurt non
distava molto dalla sede del giornale e si trovava all’ultimo piano di un
palazzo d’epoca. Parlando con respiro affannoso, i due giunsero sul
pianerottolo e, subito, una donna – dai capelli biondi e gli occhi verdi da
cerbiatta – aprì la porta. Guardò Nadine con meraviglia, poi rivolse uno
sguardo interrogativo all’uomo che le disse: “Engel, lei è Nadine.” “Nadine?!”
fece la donna scioccata e Kurt continuò: “Sì, è davvero incredibile … Nadine,
lei è Engel, mia moglie.” Le due donne si strinsero la mano e, non appena
entrarono in casa, una bambina dall’espressione felice corse verso di loro. “Papà!”
urlò, aggrappandosi alla gamba di Kurt. Quest’ultimo la prese in braccio e,
sorridendo, si rivolse di nuovo a Nadine: “E lei è mia figlia Brigit.” La donna
accarezzò la guancia della piccola e disse: “Sì, è tale e quale a te.” E,
improvvisamente, il sorriso di Kurt si spense …
“Ho adottato Brigit
nell’estate del 1945, subito dopo la fine della guerra. Aveva soltanto tre
mesi. I suoi genitori erano due ragazzini. Suo padre aveva diciotto anni, era
un disertore, sua madre era una nipote di Franz e aveva soltanto sedici anni.
Facevano parte della Resistenza, combattevano insieme a noi e persero la vita
durante gli ultimi giorni del conflitto.” le raccontò Kurt. Lui e Nadine erano
da soli nello studio davanti a una tazza di caffè. “Anche il mio Andrej è nato
prima della fine della guerra ma dei suoi genitori so ben poco. So soltanto che
erano di origine polacca, nient’altro.” ribatté la donna con gli occhi velati
dalla commozione. I due parlavano con molta naturalezza e confidenza come se
quei lunghissimi dieci anni fra loro non fossero mai passati. Non ancora
trentenni e ancor prima di sposarsi, entrambi avevano capito di poter generare
alla vita anche senza concepire: Kurt nelle persone – uomini, donne e bambini –
che salvava insieme al signor Franz e Nadine nelle donne e nei bambini che
aiutava a Ravensbrück. “L’anno successivo sposai Engel ma non abbiamo avuto più
figli.” aggiunse il signor Hochmann e la donna iniziò a raccontargli
dell’esperimento medico subito. “Dopo la perdita dell’utero, contrassi una
grave infezione e subito dopo il tifo ma grazie a Dio la guerra finì, il campo
fu liberato e un medico mi salvò la vita …” Anche gli occhi di Kurt si velarono
di lacrime e, mentre accendeva una sigaretta, Nadine continuò: “… Si chiamava
Werner, l’uomo che poi è diventato mio marito.” “Werner?” domandò Kurt con aria
stranamente stupita. “Sì, si chiama Werner.” rispose Nadine, alquanto sorpresa
per l’espressione dell’uomo e poi, di scatto, si alzò dalla poltrona
chiedendogli di fare una telefonata.
La signora Hofmann si
recò nel corridoio, dov’era il telefono e chiamò suo marito. “Werner, tesoro,
non ci crederai ma … ma Kurt è … è ancora vivo.” gli disse con voce agitata
“Adesso sono a casa sua e …” “Nadine …” Werner la interruppe “Io già sapevo che
Kurt era vivo.”
Un
giorno il cielo si aprirà
e mi
racconterà che tu,
tu
sei un’altra illusione.
Patty
Pravo, Il vento e le rose