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Autore: Nadine_Rose    07/03/2014    2 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 10

Verità negata

- Prima parte -

“La verità deve cadere come un fulmine, altrimenti non ha alcuna efficacia”.

Elias Canetti


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Foto Lucia Bosè

 

Città di Fürstenberg/Havel, 9 ottobre 1950

 

“Non mi sembra ancora vero che tu sia qui, Nadine.” Kurt distolse per un attimo lo sguardo dalla strada e lo rivolse a lei che guardava fuori dal finestrino. Nadine ricambiò lo sguardo e, con espressione serena, disse: “Anch’io ti guardo e non mi sembra ancora vero.” La donna osservava le strade deserte della città, i grandi palazzi sorti dalle ceneri della guerra, le boutique eleganti chiuse a quell’ora del pomeriggio e rifletteva sugli eventi da poco accaduti. Era partita credendo di consegnare la verità a un padre disperato, aveva rivissuto il suo tragico passato a Ravensbrück e adesso era in macchina e parlava con un uomo che dieci anni prima aveva esalato l’ultimo respiro della vita tra le sue braccia, l’uomo che aveva amato prima di Werner: Kurt, un fantasma, un uomo in carne ed ossa. Quella realtà le sembrava così irreale. Presto avrebbe conosciuto la famiglia dell’uomo incontrato dietro la rete di filo spinato, amato sul letto di una squallida infermeria, poi odiato e infine dimenticato tra il dolore e le fatiche del lager. Ma adesso non provava né odio né rabbia verso Kurt che, come lei, era miracolosamente scampato alla morte ed era riuscito a costruirsi una nuova vita. La realtà serbava tante sorprese. I loro sguardi s’incrociarono di nuovo e, in un rapidissimo istante, entrambi rividero tutte le immagini della loro breve e travagliata storia d’amore. In quel ricordo, svanirono i sensi di colpa di Kurt e l’impercettibile rancore di Nadine si dissolse.

La casa di Kurt non distava molto dalla sede del giornale e si trovava all’ultimo piano di un palazzo d’epoca. Parlando con respiro affannoso, i due giunsero sul pianerottolo e, subito, una donna – dai capelli biondi e gli occhi verdi da cerbiatta – aprì la porta. Guardò Nadine con meraviglia, poi rivolse uno sguardo interrogativo all’uomo che le disse: “Engel, lei è Nadine.” “Nadine?!” fece la donna scioccata e Kurt continuò: “Sì, è davvero incredibile … Nadine, lei è Engel, mia moglie.” Le due donne si strinsero la mano e, non appena entrarono in casa, una bambina dall’espressione felice corse verso di loro. “Papà!” urlò, aggrappandosi alla gamba di Kurt. Quest’ultimo la prese in braccio e, sorridendo, si rivolse di nuovo a Nadine: “E lei è mia figlia Brigit.” La donna accarezzò la guancia della piccola e disse: “Sì, è tale e quale a te.” E, improvvisamente, il sorriso di Kurt si spense …

“Ho adottato Brigit nell’estate del 1945, subito dopo la fine della guerra. Aveva soltanto tre mesi. I suoi genitori erano due ragazzini. Suo padre aveva diciotto anni, era un disertore, sua madre era una nipote di Franz e aveva soltanto sedici anni. Facevano parte della Resistenza, combattevano insieme a noi e persero la vita durante gli ultimi giorni del conflitto.” le raccontò Kurt. Lui e Nadine erano da soli nello studio davanti a una tazza di caffè. “Anche il mio Andrej è nato prima della fine della guerra ma dei suoi genitori so ben poco. So soltanto che erano di origine polacca, nient’altro.” ribatté la donna con gli occhi velati dalla commozione. I due parlavano con molta naturalezza e confidenza come se quei lunghissimi dieci anni fra loro non fossero mai passati. Non ancora trentenni e ancor prima di sposarsi, entrambi avevano capito di poter generare alla vita anche senza concepire: Kurt nelle persone – uomini, donne e bambini – che salvava insieme al signor Franz e Nadine nelle donne e nei bambini che aiutava a Ravensbrück. “L’anno successivo sposai Engel ma non abbiamo avuto più figli.” aggiunse il signor Hochmann e la donna iniziò a raccontargli dell’esperimento medico subito. “Dopo la perdita dell’utero, contrassi una grave infezione e subito dopo il tifo ma grazie a Dio la guerra finì, il campo fu liberato e un medico mi salvò la vita …” Anche gli occhi di Kurt si velarono di lacrime e, mentre accendeva una sigaretta, Nadine continuò: “… Si chiamava Werner, l’uomo che poi è diventato mio marito.” “Werner?” domandò Kurt con aria stranamente stupita. “Sì, si chiama Werner.” rispose Nadine, alquanto sorpresa per l’espressione dell’uomo e poi, di scatto, si alzò dalla poltrona chiedendogli di fare una telefonata.

La signora Hofmann si recò nel corridoio, dov’era il telefono e chiamò suo marito. “Werner, tesoro, non ci crederai ma … ma Kurt è … è ancora vivo.” gli disse con voce agitata “Adesso sono a casa sua e …” “Nadine …” Werner la interruppe “Io già sapevo che Kurt era vivo.”

 

Un giorno il cielo si aprirà

e mi racconterà che tu,

tu sei un’altra illusione.

 

Patty Pravo, Il vento e le rose

   
 
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