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Autore: Angie Mars Halen    12/03/2014    1 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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26) GRACE

Era passata una settimana dall’ultima volta in cui ero stata a casa di Nikki e adesso volevo tornarci per assicurarmi che stesse bene. Per fare in modo che tutto andasse secondo i piani, Beth e io avevamo inscenato la solita recita: tutti sapevano che saremmo andate in giro per i locali di Hollywood e che avremmo dormito a casa di Anne, un’amica in comune e nostra fedele alleata che viveva dall’altra parte di Van Nuys. Solo così Elisabeth avrebbe potuto sgattaiolare a casa della sua nuova fiamma e io da Nikki.

Quando Nikki mi aprì la porta, vidi il suo viso illuminarsi dalla gioia. Gli corsi incontro e, quando feci per abbracciarlo, mi ritrovai sollevata da terra.

“Da uno a dieci, quanto ti diverti a ricordarmi che sono più bassa della media?” gli domandai ironica, il volto premuto contro la sua spalla.

Nikki mi fece tornare con i piedi per terra e sogghignò. “Almeno venti. Tu però dimmi perché in sette giorni non ti sei fatta viva nemmeno una volta.”

“Ho avuto molto da fare,” spiegai, ma ero sicura che fosse consapevole della ragione per cui era successo. “Sono stata molto impegnata con lo studio ed Elisabeth non riusciva mai a coprirmi.”

“Non ti preoccupare, non si può sempre fare tutto,” rispose piano.

“Prima di entrare voglio chiederti una cosa. Perché sabato scorso mi hai chiesto di provare la tua roba quando sai benissimo che quel genere di cose non mi interessa?”

Nikki trasalì e diventò piuttosto nervoso. “Quando sei arrivata ero già partito per la tangente da un pezzo, e quando succede dico cose che non dovrei dire. In un momento come questo, non ci penserei nemmeno a chiederti se vuoi farti una sniffata. È colpa di quella merda, io non avrei voluto.”

“Lo sai che sei l’unico che può fare in modo che tutto questo finisca.”

Nikki si imbronciò e incrociò le braccia sul petto. “Sono due giorni che non mi faccio e sto fottutamente male. Ho paura di cedere.”

Gli mostrai la borsa di stoffa blu scuro che avevo portato con me. “Puoi essere certo che fino a domattina non accadrà perché sarai sotto la mia stretta sorveglianza. Mi sono attrezzata per restare qui.”

Nikki sollevò un sopracciglio con atteggiamento ironico. “Lo fai perché ti interessa veramente di me oppure perché Elisabeth deve uscire con Tommy e aveva bisogno che tu l’aiutassi nella vostra solita scusa?”

“Non scherzare,” lo rimproverai severa. “Sono qui esclusivamente per te. Nessuno mi obbliga ad aiutare Beth tutte le volte, e se non avessi voluto non lo avrei fatto.”

Nikki si fece da parte per farmi passare e abbozzò un sorriso. “Ti stavo solo prendendo in giro. Lo sai che sei sempre la benvenuta.”

Notai con dispiacere che il salotto era tornato un porcile e che i vestiti sporchi erano stati lanciati ovunque, così come i giornali, non più ordinatamente impilati come li avevo sistemati. Salii al piano superiore per lasciare la borsa nella camera degli ospiti e, quando tornai giù, trovai Nikki impegnato a prelevare due compresse da una confezione di antidolorifici. Mi spiegò che gli servivano per placare il dolore che l’astinenza gli causava, poi mi raggiunse in salotto. La televisione era sintonizzata su MTV, che in quel momento stava trasmettendo il video di una canzone dei Queen e, mentre ero concentrata a guardare la celebre scena di Freddie Mercury in minigonna che passa l’aspirapolvere nel salotto, Nikki si dava da fare per ripulire quell’angolo della casa da tutto lo schifo che aveva sparpagliato. Raccolse alla meglio le diverse copie di giornali, stipò delle bottiglie vuote in uno scatolone e cacciò qualcosa sotto al divano, probabilmente i resti del suo armamentario che, stando alle sue parole, non era stato utilizzato per un paio di giorni.

“Dopo dobbiamo per forza dormire?” domandò rompendo il silenzio. Mi ricordò Grant quando, da piccoli, passavo la notte a casa sua e pianificavamo di restare svegli tutto il tempo per raccontarci le storie di paura o giocare a carte, finendo poi per assopirci sul divano prima ancora che fosse veramente ora di andare a letto.

Scrollai le spalle più per distrarmi dai ricordi che per esprimere qualcosa. “Non è necessario. Se vuoi puoi stare sveglio e raccontarmi altri aneddoti interessanti del periodo in cui avete vissuto in North Clark Street.”

Si trattava per lo più di idiozie, festini all’insegna della trasgressione e guai seri che ascoltavo solo per fare in modo che si distraesse, ma ammetto che qualche volta saltava fuori qualcosa di divertente. Era capace di parlare per ore, divagando anche in altri argomenti che solo lui sapeva perché erano collegati a quello principale.

“Potrebbe essere un’idea,” approvò, poi mi abbracciò, cogliendomi di sorpresa. “Sai cosa, Grace? Mi fa molto piacere che tu sia qui, ma la cosa che mi fa più piacere in assoluto è che mi stai vicino perché tieni a me e non ai miei soldi o alla mia fama.”

Aveva ragione. A me del personaggio che si era creato non interessava. Gli volevo bene e basta, e non sapevo nemmeno se ci fosse un motivo specifico. Ricambiai l’abbraccio poi corsi a prendere la sua chitarra per cimentarmi in uno dei pochi pezzi che sapevo suonare.

“Se vuoi possiamo andare al magazzino e fregare un’elettrica a Mick, così ti diverti di più,” propose Nikki, e io saltai in piedi emozionata al solo pensiero di sfiorare un’altra volta le corde della chitarra con la cover di Theatre of Pain. Volai al piano superiore per prendere la borsa e un attimo dopo eravamo già in sella alla sua motocicletta, diretti a Hollywood. La Kramer mi aspettava sul suo solito piedistallo, coperta da un telo e abbandonata in un angolo come se fosse destinata a restare là per sempre.

“Perché non se la porta a casa? Lasciarla qui è un peccato,” domandai mentre la scoprivo. Nikki fece spallucce e bofonchiò qualcosa di incomprensibile su quanto a volte facesse fatica a capire Mick.

Collegai la chitarra a un amplificatore e tentai di regolarlo in modo tale da ricreare gli stessi effetti utilizzati nella canzone che volevo suonare, e nel frattempo Nikki continuava a gironzolare per il magazzino, guardandosi intorno. Mi raggiunse poco dopo e si sedette sul divano, pronto ad ascoltare qualsiasi cosa avessi proposto.

“Forza, Mick Mars Secondo, stupiscimi!” esclamò. “Chissà che tu non sia migliorata dall’ultima volta?”

Gli rivolsi un sorriso furbo, girai la rotella del volume e cominciai Louder Than Hell, estraniandomi totalmente da tutto ciò che mi circondava finché non suonai l’ultima nota

“Hai fatto notevoli progressi! Ormai questa canzone è tua,” si complimentò Nikki dopo essere riuscito a tacere per l’intero pezzo.

“Non pensavo di fare questo effetto.”

“Hai talento e, soprattutto, hai cuore. Conta molto, sai?” disse serio, poi si alzò dal divano e sparì dietro alcuni scatoloni. “Non ti resta che suonarla ancora, però stavolta ti accompagnerò col basso.”

A pensarci bene, nonostante ci conoscessimo da poco più di un mese, non mi era ancora capitato che mi accompagnasse col basso mentre suonavo la chitarra. Lo aspettai tutta contenta e, appena si avvicinò al suo amplificatore per premere il tasto dell’accensione, il rumore di qualcuno che batteva i pugni contro la porta principale attirò la nostra attenzione. Nikki mi disse di lasciar perdere perché probabilmente si trattava di qualche ragazzino di passaggio, ma ci fu sufficiente avvicinarci di più per sentire anche una voce femminile che strillava il suo nome. Feci una battuta sull’accanimento delle sue fan, convinta di essere divertente, ma Nikki continuava a fissare la porta con gli occhi spalancati, incredulo di quello che stava accadendo.

“Va tutto bene?” domandai preoccupata.

“Oh, merda, no, per niente,” disse sottovoce mentre indietreggiava. “Presto, Grace, stacca quella chitarra e spegni le luci. Dobbiamo fare finta che qui non ci sia nessuno.”

“È inutile. Chiunque sia, si è già accorta che c’è qualcuno,” obiettai ancora calma.

Nikki mi abbracciò all’improvviso, ma quello non era l’abbraccio affettuoso di poco prima, bensì uno protettivo, quasi terrorizzato. “Voglio che se ne vada, non deve farsi vedere quando ci sei tu.”

“Chi è, la tua ragazza?” domandai. “Non mi avevi detto che avevi una ragazza.”

“Non è la mia ragazza. Peggio,” ringhiò. “È la mia compagna di buco, se può interessarti. Non mi vede da tre giorni ed è furiosa.”

Sentii il sangue congelarsi nelle vene: se quella aveva intenzione di convincerlo a farsi un’altra volta ed era venuta lì per quello, allora non si sarebbe arresa facilmente.

I colpi si facevano sempre più forti e il portone di metallo vibrava, rimbombando all’interno del magazzino. “Nikki, lo so che sei lì. Ti prego, aprimi!”

Chiunque fosse, aveva una voce stridula e isterica.

Dopo dieci minuti di botte e grida, Nikki si decise ad alzarsi dal divano per aprire, ma solo dopo avermi detto di chiudermi nell’ufficio e di non fiatare per evitare di essere scoperta. Obbedii e mi accovacciai accanto alla porta per origliare più facilmente, nel buio di uno stanzino occupato da pochi mobili e da un cestino della spazzatura nel quale giaceva una siringa usata. Sembrava l’arma di un delitto nascosta dal colpevole. Appoggiai l’orecchio alla porta e trattenni il fiato nel tentativo di capire cosa si stessero dicendo. La donna sembrava veramente arrabbiata: gridava come un’ossessa perché sosteneva che Nikki si fosse rifiutato di risponderle al telefono e di aprirle quando andava a casa sua, e lui continuava a ripetere che stava cercando di uscire dalla situazione penosa in cui si trovavano entrambi e che non sarebbero mai riusciti a superare se avessero continuato a frequentarsi.

“Bastardo!” berciò la donna. “Se ti volevi inventare una scusa per lasciarmi, sappi che non ci sei riuscito.”

Allora stanno insieme per davvero?, mi domandai, poi rimossi delicatamente la chiave dalla serratura e vi premetti contro l’orecchio.

“Piantala, Vanity, lo sai benissimo che non sei la mia fidanzata.”

“Sì che lo sono!” ribatté.

Sembrava che la donna si chiamasse Vanity, e quel nome mi era fin troppo familiare. Se ricordavo bene, era lo stesso di una cantante pop del momento.

“Ti prego...” piagnucolò quella che, a quanto pareva, si chiamava Vanity. “Vieni a casa con me.”

“No, non posso,” si rifiutò Nikki, il tono abbattuto.

“Ti prego...”

Avevo capito che quando un tossico può rimediare un po’ di roba è disposto a mollare tutto e tutti per correre a prenderla e, siccome sapevo che questo era il punto debole di Nikki, temevo che potesse uscire dal magazzino per andare con lei, lasciandomi lì e fallendo nel suo intento. Raccolsi tutto il coraggio di cui disponevo, aprii di scatto la porta dell’ufficio e uscii fuori. Davanti a lui c’era una bellissima ragazza dalla carnagione olivastra e i capelli scuri e vaporosi, ma con gli occhi allucinati e un’espressione rintontita. Non avevo bisogno di presentazioni: era veramente la Vanity che avevo visto su MTV, solo che stavolta non sorrideva né ammiccava. Mi faceva paura e avevo anche intuito che probabilmente mi sarebbe saltata addosso.

“E quella chi è?” esclamò puntandomi contro un dito. “Una delle tue puttane?”

“Non ti azzardare mai più a parlare così di Grace,” sibilò Nikki con un tono minaccioso che intimorì persino me.

Vanity barcollò un po’ sui tacchi a spillo e si appoggiò al muro. “Così ti chiami Grace, eh? Be’, cara Grace, hai sbagliato posto. Lui è mio e non devi mai più provare a portarmelo via.”

“Smettila e sparisci,” tuonò Nikki.

Vanity pestò un piede e strillò ancora più forte di prima. “Dimmi immediatamente chi è questa dannata ragazza che ti sei portato in questo cazzo di magazzino!”

“Non sono cose che ti riguardano. Adesso fammi il piacere di sparire all’istante prima che sia costretto a usare la forza,” le ordinò Nikki mentre si avvicinava per prenderle un braccio, ma Vanity si divincolò e si diresse a grandi passi verso di me, i pugni serrati lungo i fianchi sottili, i capelli gonfi e gli occhi iniettati d’ira e capillari gonfi. Si fermò a pochi centimetri dal mio naso e io mi sentivo come se fossi stata pietrificata. Emanava effluvi di qualche profumo da centinaia di dollari misto ad alcol e tabacco.

“Tu...” biascicò puntandomi contro un dito tremante. “Piccola, maledetta puttana, non farti più vedere con il mio fidanzato. Non immagini neanche lontanamente quello che potrei farti!”

“Non sono qui per portartelo via,” mormorai con un filo di voce e attaccata alla parete fredda dietro di me. Quella donna faceva paura e pena allo stesso tempo.

Vanity strabuzzò gli occhi scuri come la notte, inspirò profondamente e mi assestò una sberla sulla guancia. Il viso prese a bruciarmi e sentii gli occhi gonfiarsi di lacrime. Per fortuna ero stata abbastanza forte da non farmi spintonare rischiando di sbattere contro il muro. Nikki schizzò verso di lei e la afferrò per un polso già alzato a mezz’aria prima che potesse colpirmi un’altra volta.

“Adesso basta!” gridò. “Muoviti ed esci subito da qui! Ogni volta che ti vedo porti solo dei casini.”

Vanity si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e aggiustò la minigonna di vernice nera. “Io mi sono fatta accompagnare qui apposta per te e tu cosa fai? Mi cacci? Sei proprio uno stronzo.”

“Chi ti ha accompagnata?”

“Il mio autista.”

Nikki le immobilizzò entrambe le braccia e la trascinò letteralmente verso l’uscita. Non lo avevo visto così furioso nemmeno il giorno in cui gli ero entrata in casa ed ero salita fino al piano di sopra, trovandolo nella sua cabina armadio.

“Muoviti, Vanity, non ho tempo per queste stronzate,” le ripeteva sgarbatamente Nikki mentre continuava a tirarla. “Adesso ti accompagno dal tuo autista e gli dico di portarti dritta a casa.”

“Sì, certo!” strillò lei. “Così tu e la puttanella non mi avrete tra i piedi, vero? Sei un bastardo e un bugiardo!”

Nikki aprì la porta di ferro con un calcio e si fermò sulla soglia. “Dov’è la tua fottuta macchina?”

Vanity tentò di divincolarsi agitando i capelli e il suo corpo filiforme e rovinato dal consumo eccessivo di droghe. “Mi sono fatta lasciare qui perché credevo che mi avresti portata con te, invece ti ho trovato con quella. Che poi, dove l’hai trovata? Sembra una mocciosa. Come puoi pensare che sia più bella e migliore di me?”

Nikki sbuffò e si passò una mano tra i capelli senza lasciare andare Vanity, poi si affacciò dalla seconda porta e attirò la mia attenzione con un fischio. Mi disse di aspettarlo nel magazzino mentre la accompagnava a casa, promettendo di impiegarci non più di un’ora. Annuii debolmente e mi accasciai sul divano mentre ascoltavo il rumore della sua motocicletta che si allontanava rombando. La guancia mi pulsava ancora per colpa della sberla e si arrossava sempre di più, allora decisi che avrei fatto meglio a provare a distrarmi. Imbracciai la chitarra di Mick e suonai per ingannare l’attesa, ma dopo due ore Nikki non era ancora tornato. Cominciarono ad assalirmi dei pensieri cupi e decisi di riporre gli strumenti al loro posto per concentrarmi su qualcos’altro, ma l’idea che Nikki si fosse lasciato sedurre dalle proposte di Vanity non mi abbandonava. Lasciai passare un po’ di tempo con la speranza di sentire la porta aprirsi, ma due ore e mezza dopo la sua partenza, Nikki non era ancora rientrato. Mi stavo agitando: ero in pensiero per lui e a questo punto cominciavo anche a chiedermi come avrei potuto fare per tornare a casa senza far cadere la mia copertura. Mi imposi di mantenere la calma e di ragionare senza farmi prendere dal panico, così tornai a sedermi e mi presi la testa tra le mani. Mi venne in mente che avrei potuto chiamare Anne, l’amica mia e di Elisabeth, per farmi venire a prendere, così corsi nell’ufficio dove tempo prima Nikki mi aveva detto che c’era un telefono, ma non lo trovai, poi mi ricordai che ce n’era uno dall’altra parte del magazzino, seppellito sotto fogli e riviste. Digitai il numero di Anne, che però non rispose, e al terzo tentativo sbattei la cornetta sull’apparecchio e abbracciai la borsa. Non sapevo chi chiamare: non potevo assolutamente contare sui miei genitori, Beth era a casa di Tommy, e Grant non aveva una macchina. Aprii la borsa per prendere un fazzoletto per asciugarmi le lacrime che stavano cominciando a rigarmi il viso e mi imbattei nel mio portafoglio, dentro il quale c’era il biglietto che mi aveva lasciato Vince una settimana prima. Non gli avevo ancora telefonato, ma ciò non significava che non avessi passato buona parte delle mie mattinate a lezione a ricordarmi della serata a casa sua. Decisi che lo avrei chiamato anche se sapevo già che non lo avrei trovato. Se fosse stato veramente così, allora avrei spulciato tra tutte quelle scartoffie finché non avessi trovato il numero di Mick. Lui non mi sembrava uno di quei tipi che passa tutta la notte a far baldoria con i suoi compagni, e forse – anche se probabilmente era più no che sì – avrebbe potuto aiutarmi. Composi il numero di Vince e mi sedetti sul pavimento, mordicchiandomi il polpastrello del pollice.

Dopo vari squilli, rispose la voce roca e seccata di qualcuno che è appena stato svegliato. “Pronto?! Chi è che chiama a quest’ora?”

“Sono Grace. Parlo con Vince?”

Ci fu un attimo di silenzio, poi riprese con voce sorpresa e totalmente diversa da quella con la quale mi aveva risposto. “Grace Murray?”

“Sì, proprio lei,” confermai sollevata dal fatto che Vince fosse in casa e che si fosse ricordato di me.

“Qual buon vento?” esordì sarcastico. “L’altro ieri ho chiamato a casa tua, ma mi ha risposto un bambino. Mi ha detto che stavi studiando e mi ha promesso che ti avrebbe informato della telefonata, però non ti ho più sentita. Volevi sbarazzarti di me?”

Sospirai e appoggiai la testa a una gamba del tavolo. “Era mio fratello James. Purtroppo è un tipo poco affidabile e non mi ha detto niente. Non te la prendere, ha solo sette anni.”

“Ci manca solo che me la prenda con un moccioso!” esclamò divertito.

Feci un respiro profondo e decisi di arrivare subito al sodo. “Scusa se ti disturbo a quest’ora, ma mi trovo a Hollywood, nel vostro magazzino, e non so come fare per tornare a casa. Sei l’unica persona che può portarmi indietro che sono riuscita a raggiungere. Apprezzerei se non mi lasciassi qui.”

“Una cosa alla volta,” disse Vince, piuttosto confuso. “Innanzitutto, voglio sapere cosa ci fai lì.”

“Ero venuta qui con Nikki perché volevamo suonare, poi si è presentata una tipa, una certa Vanity, e ha cominciato a fare scenate senza senso appena mi ha vista. Nikki l’ha riaccompagnata a casa e mi aveva detto che avrebbe fatto presto, ma sono passate quasi tre ore non e è ancora tornato.”

“Oh, dio, non ancora lei,” borbottò Vince, e anche se non potevo vederlo, immaginavo che stesse scuotendo la testa.

Decisi di giocare la carta della voce dolce. “Riusciresti a venirmi a prendere? Qui è tutto buio.”

“Quando una ragazza chiama, Vince arriva!” esclamò, poi si rese conto di aver fatto una battuta spropositata data la situazione e si ricompose. “Aspettami nel magazzino senza provare a scassinare porte. Cercherò di essere lì in tempo record.”

Riagganciai e mi andai a sedere vicino alla porta principale. Quaranta minuti dopo era già arrivato, raggiante come sempre. Mi rivolse un sorriso smagliante e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi dal pavimento, dove mi ero seduta mentre parlavamo al telefono e dal quale non mi ero ancora spostata.

“Che fine avevi fatto?” domandò Vince mentre chiudeva a chiave la porta del magazzino. “Aspettavo una tua telefonata.”

“Troppi impegni,” mentii prontamente, ma lui mi sorrise ancora mentre salivo in macchina.

Mise in moto e uscì dal cortile con un rombo. “Solito parcheggio?”

Annuii debolmente e Vince si sporse per guardarmi in faccia, mostrandosi sorpreso quando notò la guancia arrossata.

“È stata Vanity,” spiegai.

“Non doveva azzardarsi,” disse con tono severo, poi posò un palmo sul mio viso, che diventò immediatamente rovente.

Mi appoggiai istintivamente alla sua mano. “Non sapevo niente di lei.”

“Pensavo che Nikki te lo avesse detto.”

“Credo che abbia evitato perché aveva paura che non andassi più a trovarlo,” Vince alzò le spalle senza sapere cosa dire in merito e io abbassai un parasole per osservarmi allo specchietto nella parte interna. “Spero che a casa non mi facciano domande, ma mi sembra impossibile. Mi tartasseranno abbastanza chiedendomi perché non sono rimasta a dormire da Anne. È un’amica mia e di Elisabeth e ci copre sempre sempre. Diciamo che andiamo da lei, poi Beth va da Tommy e io vado a trovare Nikki. Senza Anne saremmo spacciate.”

“Credevano che avresti dormito fuori?” domandò Vince mentre fissava la strada.

“Sì. Sai, speravo che la mia presenza avrebbe potuto essergli d’aiuto ma, a quanto pare, è stato tutto inutile.”

“Be’,” cominciò, “visto che hai fatto una promessa, mantienila. A casa mia c’è spazio.”

Scossi il capo. “Non vorrei essere di troppo.”

Naah... lo sai cosa penso di te. Non mi darai fastidio, anzi, sarei felice di ospitarti.”

Abbracciai la borsa che tenevo in grembo. Mi imposi mentalmente di non fare cazzate e mi dissi che, se ci fossi riuscita, avrei dimostrato a me stessa di avere un ottimo autocontrollo, fondamentale in molte occasioni, poi accettai. “D’accordo, però–”

Vince sollevò le mani in segno di resa e completò la frase al mio posto. “Però ti lascerò in pace. Promesso.”

Annuii e mi misi a guardare fuori dal finestrino, pensierosa. Nikki mi aveva sempre detto che loro quattro avevano la tendenza a non mantenere le promesse e a fare l’esatto contrario di ciò che veniva loro chiesto, e io non avevo alcun dubbio a riguardo.



N. d’A.: Ciao, gente!
Ebbene sì, questo capitolo è un pochino più lungo rispetto agli altri, e spero che non sia stato troppo pesante da leggere visto che sono accadute un po’ di cose.
Anyway... non perdetevi il prossimo perché ne vedremo di belle anche lì. Mi raccomando, non slacciate ancora le cinture di sicurezza perché siamo nel pieno della turbolenza – e dalla torre di controllo mi dicono che durerà a lungo.
Grazie a chi segue/recensisce/legge in silenzio! ♥♥♥
Un bacione glam con tanto di gloss fucsia alla ciliegia,

Angie

   
 
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