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Autore: Terre_del_Nord    30/03/2014    6 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
di Terre del Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.024 - Bramosia

IV.024


Rodolphus Lestrange
Trevillick, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972

Il castello era immerso nell'oscurità del novilunio, sinistra sagoma stagliata contro un gelido cielo stellato, inerpicato sulla scogliera, tra colline aspre che s'inseguivano fino a gettarsi nell'oceano. C’eravamo Materializzati nel parco di Trevillick, intabarrati nei nostri mantelli, in silenzio: avevo la bocca protetta dal bavero di pelliccia, il cappuccio calato fin quasi sugli occhi, la mente lontana, isolato persino da me stesso, in quel nido tiepido che tanfava di me, di fumo, di sudore.

    E di sangue.


Mi affrettai, muovendomi pesante sul ghiaccio, lo sentivo spezzarsi sotto di me. Fremetti: mi piaceva quel suono, il suono di qualcosa di puro e integro che si rompe, si corrompe, si distrugge.

    Grazie a me.

Mi mossi in silenzio tra i radi alberi scheletriti, diretto al portale di pietra antica, senza voltarmi, senza assicurarmi che lei mi stesse ancora dietro. Mi scansai il bavero, ormai sulla porta, respirai a fondo, la pelle bruciò per il freddo, l'alito si cristallizzò in spire che non caddero giù, dissolte all'istante dal vento, un vento che ululava rabbioso come il mio cuore, carico della salsedine strappata all'oceano, gonfio, sotto di noi. La giornata era stata lunga, infinita, eppure la furia degli elementi riaccendeva nelle mie membra una frenesia indomabile. I miei sensi erano quelli di un lupo non ancora appagato, spinto dal desiderio e dal bisogno della caccia. Spinsi di prepotenza la porta, infilandomi dentro, rapido. Dovevo reprimere quella bramosia, chiudermi la notte alle spalle.

    E questa vita. E lei... La mia vita con lei...

La schiera degli Elfi si presentò nell'oscuro vestibolo, ossequiosa, pronta a soddisfare qualsiasi richiesta. Abbaiai loro contro, di sparire e di lasciarmi in pace, non li volevo tra i piedi, non volevo nessuno tra i piedi, proseguii lasciandomeli alle spalle, consapevole che sarebbero corsi a rintanarsi negli antri più nascosti, come luridi ratti, prima che Bellatrix piombasse su di loro e ne centrasse uno a caso, con un Avada. L'ultima volta era toccato a Tinkly, troppo vecchio, troppo lento. E di certo, quella sera, nemmeno liquidarne una mezza dozzina sarebbe bastato a placarla. Ghignai.

*

Rodolphus Lestrange
Morvah, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972

   
«Mio Signore... comandate... ucciderò io stessa quella dannata Strega... per voi... »

Quando il Signore Oscuro ci aveva convocato, tra i ruderi di Morvah, io mi ero mantenuto nell'ombra, in piedi, mentre Bellatrix, preda del suo entusiasmo, esaltata dal sangue, era corsa quasi a prostrarsi di fronte a lui, senza curarsi dei presenti. Fino a qualche ora prima, un moto di gelosia mi avrebbe devastato, sarei stato offeso da quella mancanza di riguardo verso di me, di fronte a tutti, ma ora... ora che per me lei era solo carne, nemmeno la gelosia verso Milord era più un dolore tanto potente e insopportabile. Quelle scene erano solo la conferma, la riprova della vita miserabile che mi ero scelto, al suo fianco. Un continuo ammonimento perché aprissi gli occhi e recuperassi il senno. Mi sentivo anestetizzato, fuori dal mio essere, staccato dal mio sentire.
Bellatrix era convinta che uno dei Mangiamorte avesse trovato Lady Sherton, io che saremmo stati rimproverati per le libertà che c’eravamo presi col marito. Mi chiesi se non fosse morto, l'ultimo colpo alla nuca era stato tanto potente e devastante per lui, quanto liberatorio, per me. Il Lord era di certo infuriato con noi. Vibrai ma non di paura, sgarrare mi faceva solo sentire più vivo.
Per mia fortuna, però, Bellatrix ed io c’eravamo sbagliati. Entrambi.

    «Ho bisogno di voi ancora per poco qui... poi tornerete a Londra... Sarà più utile Abraxas, con gli Sherton, questa notte, visto quello che ho in mente per loro... Ma non consideratevi congedati... mi serve qualcosa di molto importante... qualcosa che solo voi due potete darmi... »
    «Qualunque cosa, Mio Signore... »
    «Ho bisogno di tuo zio, Bellatrix... Voglio... Orion Black... »
    «Mio zio? Mio Signore, io... quell'uomo... »

Trattenni a stento un ghigno, quando vidi l'ira infuocare gli occhi di Bellatrix. Con quel “Voglio”, pronunciato in un soffio, carico d’inesorabile urgenza, Milord non si riferiva certo al Sangue del caro zio Black, ma alla sua supina e preziosa collaborazione. Bellatrix non era portata per questo genere di aspetti del nostro “lavoro”, preferiva lo spargimento del sangue alla sottile arte della corruzione. Inoltre sapevo quanto disprezzasse i membri più moderati della sua famiglia, per questo, sentirsi dire dal Signore Oscuro che era necessaria la collaborazione di suo zio, agli occhi di mia moglie a dir poco un inetto, era un'offesa personale, un colpo al suo orgoglio. Nel suo cuore, con il suo impeto, la sua devozione, il suo furore, lei immaginava di compensare agli occhi di Milord tutte le mancanze della sua codarda famiglia. Evidentemente il Lord non la pensava allo stesso modo e, ad aggravare la situazione, aveva avuto cura di affermarlo di fronte a tutti.

    «Faremo visita a Black questa sera stessa, mio Signore... so come renderlo collaborativo... conosco un paio di argomenti con i quali ottenere la sua piena attenzione e collaborazione... »
    «Bene, Rodolphus... Black non deve sfuggirti... al pari della Strega ha informazioni preziose per la nostra causa... inoltre ha tergiversato anche troppo... deve scegliere... da che parte stare... »

Milord mi aveva chiesto di parlare in privato, sugli ultimi momenti passati a Londra; una volta congedati, Bellatrix era rimasta a lungo davanti al fuoco, inerte, silenziosa, gli occhi persi nelle fiamme: era furibonda e fuori di sé. Ed io... in cuor mio, vederla così offesa, delusa, infuriata per quell'umiliazione, di fronte a tutti gli altri, era fonte di soddisfazione e divertimento per me. Volevo che soffrisse, che fosse umiliata, come lei aveva umiliato me.

    E dall'unica persona che ammiri, mia cara, dall'unica che porti così a fondo nel tuo cuore.

*

Rodolphus Lestrange
Trevillick, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972

Il portale si richiuse con violenza, la sua voce ruggì maledizioni e insulti, contro tutti, di sicuro anche contro di me. Non me ne curai, guardai l'immensa scalinata che portava ai piani superiori, alla camera da letto che usavano i miei quando, d'estate, risiedevamo nella casa di mia madre, nel Cornwall, immersa nel profumo dei suoi roseti. Rabbrividii di disgusto e inquietudine, ricordando le urla di mio padre, i suoi passi pesanti, le lacrime di mia madre. Percependo l'alito freddo dei fantasmi e dei ricordi, mi trascinai lungo il corridoio, fino al salottino, disseminando a terra, dietro di me, uno dopo l'altro, il mantello, la toga, e via via strati e strati di vesti.

    Come facevo ai bei tempi, quando non ero ancora un uomo ma un ragazzo, quando tornavo in quella casa alle ore più impensabili, al termine di notti furiose, fatte di sesso, di sbronze... e di sangue… portandomi dietro qualche femmina o passando il tempo a perseguitare mio fratello.

    «Rodolphus!»

    Sì, la troia ce l'ha con me.

Ghignai, di nuovo. E, di nuovo, non mi voltai.
Afferrai alcune bottiglie di Firewhisky che occhieggiavano sul tavolino e puntai la bacchetta per chiudere la porta con un incantesimo, deciso a stare da solo, in pace, sbronzandomi fino a perdere non solo conoscenza, ma persino il ricordo di me stesso. Avevamo sistemato anche Black, ormai... Risi, osservando la lacerazione che mi ero procurato alle nocche, quando avevo messo le mani addosso a quel dannato damerino, perché mi consegnasse i ricordi che volevo della sua visita a Hogwarts e... non solo quello. C’era voluto più del previsto, credevo avrebbe ceduto molto più velocemente... ma anche con lui... io sapevo sempre come risultare... convincente.
Orion mi aveva bandito dalla sua casa, da alcune settimane, dopo i fatti di Herrengton, ma il fatto che fossi il nuovo Lord Lestrange di colpo aveva aperto delle opportunità nuove. L'idea di torturare emotivamente quell'uomo, di tenerlo sulle spine, mi aveva solleticato la fantasia e permesso di sopportare la tediosa cena con sua moglie, quella dannata piattola del figlioletto e quello stronzo di Pollux... prima o poi mi sarei vendicato di quella notte... e mi sarei preso la sua vita... e tutto il resto.

    Mio padre... Sherton... Black...
    Sì, dopo una giornata intensa come questa, mi merito riposo, pace e tranquillità.

Ciò che voleva la ragione, però, non era condiviso dall'istinto. L'irrequietezza mi palpitava sotto pelle, dotata di vita propria: sapevo che non avrebbe portato a nulla di buono, lo sapevo, ero troppo stanco per riuscire a governarla e indirizzarla in una missione coerente e fruttuosa… ma non stanco a sufficienza da spegnerla soltanto chiudendo gli occhi e abbandonandomi su quel divano. Era quel genere d'inquietudine che non ti lasciava in pace finché non le avevi concesso un'occasione.
Dovevo soffocarla in qualche modo. Sprofondai su una delle poltrone di broccato davanti al caminetto, con un colpo di bacchetta accesi il fuoco e lo aizzai, fissandolo stregato. Più lo fissavo, più lo aizzavo, ancora e di nuovo, sempre di più, lo alimentai fin quasi a sentire la carezza dolorosa delle fiamme sul mio corpo mezzo nudo, allungato com'ero lì davanti. Poco alla volta, scivolai in un senso di torpore, non sentivo quasi più nulla, non tanto per l'alcool che iniziava a ottenebrarmi i sensi, ma perché ero completamente preso nella danza delle fiamme, con gli occhi, con il ricordo, con la pelle. Il ghigno si affacciò di nuovo sul mio volto, mentre la vista di quelle fiamme si confondeva con un altro falò, ripensai ad altre cose che si muovevano nel fuoco. No, la mia bramosia non riusciva a trarre quiete, da quel calore e da quella sbornia, anzi... la mente era agitata, reattiva, sollecitata, desiderosa, bramosa di qualcosa di più, molto di più.
Avevo scolato la prima bottiglia in pochi minuti, il Firewhisky mi bruciava le viscere come il fuoco mi scaldava la pelle nuda. Estasiato da quelle sensazioni, le fomentai ancora, così posai la seconda bottiglia a terra, ancora più rapidamente. La voce di Bellatrix, sempre più alterata si percepiva appena di là della pesante porta di quercia, non me ne curai, ero impegnato nella contemplazione, mi compiacevo delle immagini che rivivevo nel fuoco, sentivo ancora quasi l'odore della carne che bruciava e si contorceva, ammiravo ancora quel volto devastato dal dolore e dalla sorpresa, che si distruggeva nelle fiamme, il sorriso sordido, il più odiato, quello legato ai peggiori ricordi della mia vita, distrutto per sempre in quelle folli urla disumane. Ed era opera mia. Risi.

    Oh sì... brucia... brucia... brucia... brucia...
    Brucia all'inferno...
    Brucia all'inferno...
    Brucia! Padre!

Avrei dovuto bruciarlo vivo, mio padre. Me ne resi conto solo in quel momento. Avevo avuto troppa fretta nel mettere fine all'incubo e al tormento di tutta la mia vita con un asettico Avada Kedavra. Ero stato troppo misericordioso. Era per questo che smaniavo ancora. Era per questo che non ero soddisfatto. Mi era lasciato prendere dall'impazienza. Non sarebbe accaduto più. In quel momento avevo tratto la forza, sufficiente a liberarmi dalle catene di una vita intera, nell'odio che aveva generato in me il tradimento di Bellatrix, l'unica creatura che avevo immaginato di poter amare… Ora ero consapevole che non era così, no... ero solo ottenebrato dalla lussuria che lei riusciva a scatenare in me, molto più potente e devastante di quella che albergava per natura nel mio animo. Lei era solo… lei riusciva solo a rendere ancora più devastante il mio fuoco, perché era lei stessa fuoco, era come me. Come uno stupido, avevo dimenticato di essere fuoco, anche senza di lei. Osservare quelle fiamme, ripensare, capire, mi faceva sentire di nuovo libero, potente. Ero di nuovo il padrone di me stesso e del mio destino. Dopo quelle inutili settimane passate a credere e a temere che lei fosse riuscita a trovare un cuore, nascosto nel mio petto, ero tornato in me.

    Niente più stupide romanticherie, niente più stupide debolezze.

Avrei salutato la mia nuova consapevolezza e la mia libertà progettando una vendetta feroce e inesorabile verso quei due, sì... era lo stesso intento che mi aveva perseguitato per tutto il giorno, ma se prima ero mosso dalla rabbia e dalla disperazione, ora... aprii il medaglione che avevo al collo, trasfigurai la foto che c'era nascosta dentro, accarezzai la pergamena preziosa che avevo strappato a Black. Non risi, mi limitai a ghignare. Sarei andato fino in fondo nella mia volontà di distruggere e vendicarmi di Mirzam... l'avrei fatto impazzire dal dolore, dalla paura, dall'angoscia... dal senso di colpa. Avrebbe pregato di ottenere la morte, pur di smettere di pensare, di sapere, di soffrire: avrebbe pagato, notte dopo notte, ogni affronto che mi aveva rivolto. Fino alla pazzia.

    Sì, caro il mio Sherton... quello che ho fatto oggi... ho appena iniziato... con te...

*

Rodolphus Lestrange
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972

Nessuno di noi si era illuso che sarebbe stato semplice: nella nostra memoria era ancora vivida la notte di Herrengton, una vittoria semplice trasformata improvvisamente in un caotico e disperato tentativo di fuga. Così pieni di noi stessi, di entusiasmo e di sete di sangue, però, nessuno tra noi aveva preso in seria considerazione l'eventualità di poter sbagliare di nuovo. E invece…
Quando il Maestro era apparso, al massimo del suo maligno splendore, al centro del salotto del 74 di Essex Street, avevo ghignato... pochi istanti dopo, l'unica sensazione che provavo era confusione. Non sapevo come Sherton avesse fatto, ma Milord era rimasto imprigionato col nemico dietro una barriera di fiamme, investito dalla sua stessa Magia; all'inizio non ne ero certo, poi non ebbi più dubbi, era proprio la Magia scaturita dalla sua bacchetta, Sherton aveva gettato a terra la propria e si era buttato in ginocchio, pur senza essere ferito. Sembrava che gli incantesimi del Lord non sortissero effetto su di lui: tutti noi incitavamo il Maestro a colpire più forte, prima o poi quel bastardo avrebbe dovuto cedere, e Bellatrix prima, poi anche alcuni degli altri, andando contro gli ordini, avevano iniziato a scagliare Cruciatus contro il Mago del Nord per aiutare Milord, ma nessuno di loro riuscì a fermarlo. Io ero ammutolito, immobile, con la terribile sensazione che ci fosse un trucco e che colpirlo fosse esattamente ciò che Sherton voleva da noi: il Signore Oscuro in breve, dovette lottare contro fiamme che, subdole, avevano attecchito sulle sue vesti, Sherton si rimise in piedi, al centro della stanza, e continuò a non fare nulla, ignorando persino il fuoco che gli stava andando incontro. Lo fissai, con orrore vidi che sorrideva e salmodiava una delle sue dannate filastrocche gaeliche, era con quella che dominava il fuoco: Sherton era l'unico in quella stanza a sapere cosa stesse accadendo. Ne aveva il pieno controllo.
All'improvviso un boato ci investì, un tremore profondo ci fece crollare a terra, poi il risucchio dell'aria mi travolse, mi sollevò e mi schiantò contro la parete dietro di me, sentii qualcosa cadermi addosso, colpirmi in testa e stordirmi. Privo di respiro, soffocato dalla pressione e dal calore che pareva sprigionato dal centro infernale della terra, dolorante, per secondi interminabili pensai di essere in punto di morte poi, sempre confuso, avevo cercato di rimettermi in piedi, mi ero guardato intorno, e avevo visto Milord e Sherton presi tra fiamme ancora più alte, prossime ormai al soffitto. Gli altri, tutti schiantati come me contro le pareti, si stavano riprendendo lentamente, una voragine si era aperta nel pavimento tra il caminetto e la porta che dava sul giardino, parte della parete di fronte era venuta giù, il corpo inanimato di Emerson doveva essere stato inghiottito dalla terra, anche il tappeto, sul quale giaceva morto, era sparito. Tutti gli oggetti presenti poco prima nella stanza erano finiti contro le pareti, distrutti e accatastati. Bellatrix, come una tigre, si era rialzata per prima, urlando come un'ossessa ma, ancora assordato, non capivo le sue parole, potevano essere maledizioni o lamenti per se stessa e il suo Signore: rapida, aveva attirato con un incantesimo tutti gli oggetti affilati presenti, per scagliarli all'indirizzo di Sherton, sempre in piedi al centro della stanza, ma, ancora una volta, quella barriera parve proteggerlo, almeno quanto stava imprigionando il Signore Oscuro. Le lame di vetro si trasformarono in polvere e sabbia appena toccarono le fiamme dalla sinistra luce verdastra: l'ennesimo inutile attacco.
Una crepa sul soffitto si allargò, si trasformò in una breccia e parti del solaio ci crollarono addosso, Pucey urlò, colpito, e cercò di portarsi in un luogo più riparato, Sherton si mosse a sua volta seguendo con gli occhi le condizioni del solaio sopra la sua testa. Ghignai, era la prima volta, da quando era iniziato tutto, che il Mago lasciava l'istinto di sopravvivenza prevalere sulla ragione ed io mi tenni pronto ad approfittarne. Appena si ritrovò alcuni centimetri fuori dalla barriera, scoperto sul fianco destro e un oggetto, staccatosi dal soffitto, cadde e colpì Milord, attraendo la sua attenzione, estrassi la bacchetta dalla cintola, la stessa che gli avevo rubato al piano di sopra per ammazzare mio padre, e mi scagliai su di lui, centrandolo con una Cruciatus. Impegnato nel maleficio, Sherton non mi aveva visto e, raggiunto alle spalle, non riuscì a opporsi: finalmente cadde, il mio colpo tanto potente da fargli cedere le ginocchia all'istante.
Mi ero avvicinato, lui era ai miei piedi, si voltò per guardarmi, furioso, deviai la sua maledizione non verbale, lo fissai, gli soffiai contro una nuova Cruciatus, vidi i suoi occhi grigi diventare un lago di dolore represso a stento, mentre s’imponeva di non urlare, il suo corpo, però, privo di controllo, si contorceva negli spasmi: mai come in quell'istante avevo notato la somiglianza con suo figlio, con il riverbero rosso delle fiamme, i suoi capelli corvini apparivano rossastri come quelli di Mirzam. L'immagine s’impresse nel mio cervello, la reazione della mia mano e delle mie labbra fu istantanea, colpii, con più violenza, con tutta la furia e l'odio che mi montavano dentro, quasi a svenire per lo sforzo. Non traevo nemmeno piacere dalla sua agonia, continuavo per inerzia, assente, come se Cruciare fosse per me indispensabile quanto respirare.
Era già svenuto da un pezzo quando non ne potei più, mi avvicinai, lo toccai con un piede, vidi che non reagiva, pensai fosse morto, ma a me non bastava, non sentivo alcuna soddisfazione nella mente e nello spirito: di solito, per finire un avversario, colpivo con un asettico Avada, con Sherton era stato diverso. Avevo iniziato a prendere il suo corpo a calci, gli ero piombato sopra e l'avevo attaccato a pugni, mentre attorno a me continuavano a cadere macerie e chi poteva, fuggiva. Venuto meno il controllo di Sherton, le fiamme sembrarono placarsi, Bellatrix riuscì ad avvicinarsi a Milord tanto da sollevarlo, pronta a Smaterializzarsi via con lui: per un istante si era fermata, per guardarmi, avevo visto il suo volto illuminarsi di crudeltà e soddisfazione, ma subito mi aveva urlato di caricarmi Sherton in spalla e fuggire a mia volta. Io le avevo ghignato contro, avevo preso Sherton per i capelli, alla sommità della testa e l'avevo tirato su come un cencio, intendevo sferrargli un ultimo pugno dietro la nuca, proprio sotto l'orecchio, se ben assestato quello poteva essere un colpo mortale. Sentivo già le mie ossa scricchiolare, la mia pelle rompersi, il mio sangue uscire dalle nocche, pregustavo le sensazioni, immaginavo quanto dolore avrei provato, quanto mi sarei inebriato del tanfo della carne e del sangue che mi sarebbero schizzati addosso. Pucey, però, ricomparendo da chissà dove, aveva messo fine alle mie fantasie, mi aveva spinto, facendomi perdere la presa, mi aveva fissato come si guarda un pazzo, sibilando "Milord lo vuole vivo!", aveva preso Sherton, ridotto a un ammasso di carne sanguinolento, per poi Smaterializzarsi.
Ero scoppiato a ridere, liberando tutta la tensione accumulata: sì, l'ordine di Milord era di portar via vivi i prigionieri; a me però, esaltato com'ero, non importava delle conseguenze, se davvero il nostro prezioso prigioniero fosse morto a causa mia, sarei stato ben felice della punizione del Signore Oscuro. Bellatrix si smaterializzò con il Lord, io continuai per un po' a girarmi intorno osservando quella devastazione, continuavano a crollare pezzi di muro e ovunque c'era fuoco. Non mi bastava. Immaginavo la faccia di Mirzam quando avesse visto la sua casa ridotta in macerie, volevo che fosse consapevole delle proprie colpe, della rovina che aveva portato in famiglia. Ghignai malefico: avrei fatto di più... di meglio... non gli avrei permesso di soccorrere i fratelli, dovevano odiarlo, considerarlo responsabile! Vederlo per il miserabile traditore codardo che era.
Estrassi una boccetta dal taschino, ci infilai un capello trovato nella stanza del bastardo e la bevvi d'un fiato, aspettai di subirne gli effetti, poi uscii dal fumo di Essex Street con le sue sembianze; una volta fuori, respirai a fondo l'aria gelida e pulita e avanzai piano, alzai la testa e fissai lentamente, una dopo l'altra, le finestre che si aprivano sulla via, pregando gli dei che qualcuno si affacciasse per il trambusto e mi vedesse. Fuori, per la strada, nelle case intorno, però, sembrava tutto in ordine, l'esplosione non aveva sortito effetti fuori della dimora degli Sherton, quel cane bastardo aveva pianificato la morte di noi Maghi e la salvezza dei suoi dannati amici babbani. Arrivato all'arco che chiudeva la strada, in fondo alla via, ci fu una nuova esplosione, stavolta molto più potente, in grado di far cadere mattoni e comignoli per la strada, e farmi crollare a faccia avanti nella neve. Mi risollevai agitato, sentii le urla pervadere l'aria, proveniente da ogni direzione, vidi la gente fuggire dalle case. In lontananza, quasi subito, si sentirono ululare le sirene. Forse qualche dannato Babbano sarebbe morto, alla fine. Approfittai della confusione, levai il braccio e, nascosto nella penombra, invocai il Marchio del Signore Oscuro, tutta Londra doveva vedere e credere che la strage fosse opera di Mirzam Sherton, quel maledetto doveva essere considerato dei nostri dalla sua amata sorellina. Ammirai il serpente illuminare il cielo lattiginoso sulla città, scesi la scalinata e mi Smaterializzai al luogo convenuto.

*

Rodolphus Lestrange
Trevillick, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972

    «Rodolphus... »

Mi voltai. Bellatrix era dietro di me, era entrata grazie a uno dei suoi dannati sortilegi e ora era in piedi avvolta dal buio della stanza, l'orlo della veste ancora sporco di sangue messo in risalto dal rosseggiare del riverbero del caminetto. Mi chiesi di quanti anni si sarebbe accorciata la vita dei suoi adorati zietti se i loro occhi avessero colto quel delizioso dettaglio. Si avvicinò in silenzio, i suoi occhi, ossidiana nera, erano pozzi profondi di malvagità e lussuria.
Sapevo che cosa voleva da me. Aveva già provato a sedurmi tra i ruderi: Bellatrix era fatta così, amava festeggiare il sangue con la passione ed io ero sempre stato lieto di festeggiare con lei. Risi al pensiero di quella pappamolla di Mirzam, del suo terrore per il sangue, non riuscivo proprio a capire che cosa diavolo ci trovasse mia moglie in quel damerino inutile. Risi, una risata appena sommessa, all'inizio, poi sempre più vera, seria, corposa. Non riuscivo a smettere di ridere, e intanto lei si avvicinava, sinuosa e pericolosa come un felino.
La fissai ghignando, passai una mano sul mio volto, pronunciando un incantesimo che cancellasse il torpore dell'alcool. Non le staccai gli occhi di dosso, spavaldo, forse persino inquietante, volevo che capisse che non c'era più alcuna soggezione in me, nei suoi confronti.

    Non mi hai ancora davvero conosciuto… mai...

Le leggevo una domanda nello sguardo, una domanda che non aveva il coraggio di farmi.

    Bellatrix che manca di coraggio... con me... che giornata sorprendente...
   
Si avvicinò ancora, portandosi proprio davanti a me, si lasciò scivolare di dosso la tunica, perché fosse inequivocabile la sua intenzione, poi si chinò, si sedette su di me, appoggiandosi al mio petto, si strinse a me, a cercare il mio calore, a strusciarsi addosso come faceva a volte in piena notte, quando s’infilava nel mio letto, per svegliarmi, se voleva avermi...
Non la guardai, né la toccai, sospirai infastidito, le sue mosse si fecero più insistenti, nonostante la mia indifferenza non si diede per vinta, né mi attaccò con gli insulti, com’era capitato a volte, al contrario le sue mani iniziarono a insistere sulla mia barba, costringendomi ad alzare il volto su di lei, io m’imposi di guardare altrove, le sue dita scesero sul mio collo, seguite dalla lingua, graffiarono le mie braccia, che tardavano ad abbracciarla; continuò a fissarmi, languida; la guardai a mia volta, infine, minaccioso, e mi diede improvvisamente fastidio vedere le sue labbra stendersi in un ghignetto beffardo e provocatorio, i suoi occhi accendersi di trionfo: credeva stessi giocando a fare il difficile, credeva di avermi in pugno, credeva di sapere ogni cosa.

    Oh Bellatrix, neanche immagini, cosa ti farei in questo momento...

Quando le sue unghie mi scivolarono lente sul torace a graffiarmi la pelle, lottai per mantenermi lucido e indifferente, controllare il respiro, vincere quella guerra di sguardi, non lasciare che la furia che mi possedeva prendesse il sopravvento. Io ero ragione, non un burattino nelle sue mani.
Alla fine, però, la sua mano s'immerse inesorabile al di sotto della cintola, avviluppandomi con il suo calore: i suoi occhi sempre fissi nei miei urlarono la sua vittoria, quando mi strappò un gemito, il mio cervello sembrava di colpo vuoto, i miei propositi erano un ammasso di fili attorcigliati, la volontà vinta e abbandonata, dimentica, da qualche parte. Il mio corpo voleva tradirmi, rispondere alle focose lusinghe delle sue mani, del suo corpo, delle sue labbra. Mi ritrovai all'improvviso stretto sotto di lei, nudo, dominato, catturato dentro di lei, un topo nelle grinfie di una gatta, una gatta meravigliosa, sensuale, crudele, beffarda che si muoveva sopra di me, attorno a me, davanti a me, rendendomi impossibile qualsiasi pensiero... Compiaciuta del suo potere su di me. Delle mie mani costrette ad accarezzarla come voleva lei, quando voleva lei, come ogni volta.

    Non voglio, non è quello che desidero, non è quello che lei merita. Non da me.

La mano che le accarezzava docile la schiena salì alla base del collo e strinse le sue chiome, prepotente, tirandole la testa indietro, staccandola dalla mia pelle, sentii un gemito, forse di fastidio, forse solo di sorpresa, ma non mi fermai, anzi, continuai a tirare, salii con le labbra su quel collo così esposto e attaccai, la mia bocca non baciava più, dilaniava, stringeva la sua pelle tenera tra i denti fino a sentirla gemere, fino a sentirla rompersi sotto i miei denti, fino a imporporarmi con un sottile rivolo di sangue. Mi staccai e vidi i suoi occhi stupidi fissare le mie labbra, mentre lentamente mi leccavo via quel sangue. Mi sollevai, tirandomela dietro, senza alcun riguardo.
La stesi davanti a me, sul tavolino, volevo fissarla mentre il mio corpo smetteva di amarla per possederla. Volevo fissare il suo ghignetto altezzoso, compiaciuto di avermi ridotto ancora una volta a un giocattolino ubbidiente, spegnersi poco per volta, mentre capiva chi era il vero giocattolo, chi era nulla nelle mani dell'altro, come ci si sente a essere solo carne, da usare e gettare. Era tutto il giorno che desideravo veder cadere e bruciare le certezze di Bellatrix. Era quella la bramosia che mi rendeva folle, e ora... ora lei era sotto di me, in mio potere. Le bloccai i polsi con forza, strappandole un gemito di dolore, ma non era quello che bramavo, no, del suo dolore non sapevo cosa farmene, era della sua incertezza, della sua confusione che mi sarei nutrito. Ammirai i suoi occhi persi nell'improvvisa confusione, era a un passo dall'estasi, lo sapevo, quando avevo interrotto il suo solito gioco, mi sentivo forte e potente, a vederla così, confusa, privata per la prima volta di ciò che voleva e che non le avevo negato mai...

    Guardami... sì guardami... questo non è per niente un gioco. Non per me.

Ghignai, osservandola sotto di me, piccola, fragile, confusa, incapace di capire se fosse un gioco nuovo o se fossi impazzito. O, peggio ancora, se fossi ubriaco. La tenevo bloccata sotto di me, impedendole di muoversi, senza fare nulla, a parte fissare e ghignare mentre il suo torace si alzava e abbassava ritmico, veloce, segno della passione interrotta, certo, ma anche dell'incertezza che diventava paura... lasciai scivolare una mano sul suo corpo, dal ventre verso il collo, con inconsueta ruvidezza, senza alcuna intenzione di darle piacere, passai con il dito lungo le linee del mento e lo afferrai, poi scesi, lentamente, afferrando il collo... lo strinsi via via un po' di più, fino a vedere il suo colorito cambiare e una lacrima staccarsi dall'estremità dell'occhio. Non disse una parola.

    Quanto orgoglio Bellatrix Black... quanto orgoglio in questo tuo silenzio teso, mentre per la prima volta hai perso il controllo su tutto il resto. E non sai cosa ti accadrà.

Era simile… così simile… alla sensazione provata nella stanza di Mirzam, mentre la follia e il dolore mi mostravano di tutto sul letto di quel bastardo... E lei... era così concentrata sulla mia mano, sulla mia stretta forte attorno al suo collo, che quando la penetrai, ruvido e prepotente, non emise nemmeno un sospiro. Stringevo e la possedevo, con vigore, come avevo fatto infinite volte, con infinite donne, di cui non m’importava nulla, semplice calda carne che doveva soddisfare una voglia passeggera. La costringevo a tenere gli occhi fissi su di me, premendo un poco di più ogni volta che il suo sguardo tentava di scivolare altrove, occhi che non trasmettevano più nulla, a parte quel senso di confusione e di apprensione. Ce n'erano state tante di donne come lei, donne alle quali avevo imposto questo e altro ancora, della cui paura avevo riso, utili solo a ottenere quegli spasmi che mi facevano liberare i lombi. Ed io volevo vedere lei, Bellatrix Black, mia moglie, così, una come tante altre, volevo distruggere quel potere che aveva da troppo tempo su di me. Volevo rendermi conto che era solo una come tante.
Allentai la presa e la sollevai, trascinandomela dietro come un fuscello, stringendola senza alcun riguardo contro la parete, tenendola ferma, di spalle, non volevo guardarla più in faccia, volevo che quella storia finisse così, che lei fosse per me un corpo senza volto, che lei si sentisse usata come tutte le altre... La schiacciai sotto il mio peso, così piccola e fragile rispetto a me, le morsi la pelle tenera del collo, non per passione, ma per marchiarla, fino a sentire di nuovo il sapore del suo purissimo sangue, le tirai i capelli, rovesciandole la testa all'indietro, facendole male, impossessandomi della bocca per mozzarle il fiato. E finalmente affondai in lei, di nuovo, senza alcuna dolcezza, senza amore, con tutta la disperazione, la forza, la rabbia, il furore che avevo dentro. Consapevole di farle solo male e desideroso di fargliene, era così che volevo godere di lei... che da quel giorno in avanti avrei goduto di lei. Probabilmente non mi sarebbe capitato più, in quel momento potevo contare sull'effetto sorpresa, doveva essere davvero sconvolta, se non si ribellava, così dovevo approfittarne, volevo che si sentisse come mi ero sentito io quel giorno, tutti quei giorni, da quando c’eravamo conosciuti, usato, umiliato, deriso, volevo che si sentisse il mero trofeo che odiava essere, in pubblico, e solo carne da possedere nel segreto della nostra stanza.

    Ti sei sempre presa gioco della mia debolezza per te, della mia venerazione... d'ora in poi rimpiangerai ciò che hai disprezzato e infine perduto, non mi avrai più, mai più, avrai solo quella miseria che ho sempre concesso a tutti gli altri...

Sì, mi sarei preso ciò che mi spettava per diritto e l'avrei lasciata lì, dopo aver finito, come si fa con un piatto di avanzi: era questo che era, in fondo, lei mi aveva sempre e solo concesso gli avanzi di un altro. Risoluto, spensi infine il cervello, e mi lasciai andare, senza curarmi in alcun modo di lei, tutto teso a soddisfarmi fisicamente: non avrei mai immaginato che quella situazione mi avrebbe esaltato così tanto, sembrava che soddisfare la mia voglia di vendicarmi, di farle così male da ridurla in lacrime, rendesse le sensazioni ancora più potenti.

    Lei è Bellatrix Black, Rodolphus… le lacrime… almeno quelle… non te le concederà mai.

Ghignai, soddisfatto, mi staccai da lei: un brivido sconosciuto mi squassò dalla testa ai piedi, un impeto più forte dell'orgasmo, quando notai che il mio seme le scivolava lungo le cosce, rosso del suo sangue. Quando vidi le sue gambe tremare, trattenni a stento una risata. Avrei dovuto lasciarla lì, tremante, contro la parete, sola, mi sarei dovuto disinteressare di lei, mentre mi rivestivo e tornavo a pensare ai fatti miei, come avevo sempre fatto con le donne di cui non m'importava nulla.
Bellatrix però si voltò e i miei occhi videro i suoi. Ci si tuffarono dentro e si persero come non si erano mai persi prima, nemmeno in lei. La sua pelle divenne una calamita per le mie dita... lo era dal primo giorno, certo, ma ora sapevo che lo sarebbe stata fino all'ultimo, per quanto io mi maledissi e la maledissi. Per quanto io la odiassi e mi odiassi. Non provai rimorso, alcun rimorso, vero, come potevo provarlo? Ma mi ritrovai accanto a lei, a sorreggerla, a toccarla, a sfiorare la sua pelle con le labbra come un dono prezioso, a baciarle la testa, gli occhi, le labbra, a scivolare col mio corpo sul suo corpo, fino a trovarmi in ginocchio davanti a lei, a stringerle le gambe, con quelle braccia che per tutto il tempo si erano ostinate a negarle un abbraccio. La faccia contro le sue ginocchia, tremanti, le guance umide delle mie lacrime. E del mio seme e del suo sangue.

    Mi hai devastato, hai preso la mia mente, il mio cuore, il mio corpo e li hai ridotti in mille coriandoli.

    «Rodolphus... »

Risi, non potevo fare altro. Non potevo certo dirle

    Mi sono innamorato di te, Bellatrix, è questo che mi è successo... e ho appena scoperto che neppure ora che so che dovrei solo odiarti, riesco a strapparti via dalla mia anima...

Mi voltai, raccattai la sua toga che aveva gettato a terra per sedurmi e gliela drappeggiai addosso, cercai di recuperare la calma e impedirle e impedire a me stesso di guardarmi dentro... c'era un baratro oscuro, dentro di me, e avevo appena sperimentato che...
La avvolsi e le strofinai le mani nelle mie, gli occhi bassi, in silenzio.

    «Perdonami… troppo Firewhisky… Ho perso il controllo... »

Bellatrix rimase qualche istante in silenzio, poi sollevò la testa, e mi guardò beffarda, come sempre; le sue mani scivolarono di nuovo su di me... si sollevò sulle punte, fino al mio orecchio... mi leccò il collo. E la sua mano scivolò di nuovo su di me, in basso, ancora più in basso.

    «Sei il nuovo Lord Lestrange, dico bene? Ed hai ucciso tu tuo padre, non Alshain Sherton!»

La fissai interrogativo, non sapevo come l’avesse scoperto, ma rimasi in silenzio. Non capivo che cosa c'entrasse adesso. Forse voleva giustificare le mie azioni tirando fuori quella storia.

    «Questo significa che tutto questo è tuo... compresa la scrivania del tuo vecchio, di sopra... »
    «E allora?»
    «Dobbiamo festeggiare, non credi? Seguimi, Lord Lestrange... Seguimi e scopami ancora, da dio... »

Scivolò davanti a me, muovendosi felina come una gatta… Notai con una punta di sorpresa e d’improvviso divertimento che aveva arraffato almeno altre tre bottiglie.


*continua*



NdA:
Ciao a tutti, questo capitolo è un chap bonus nato come regalo per SeveraBarty Crouch, ieri finalmente l'ho consegnato a mano alla destinataria, perciò ora posso pubblicarlo. La vicenda è tutta incentrata su Rodolphus Lestrange ma ho inserito alcuni elementi che vi aiuteranno ad avere un quadro più esauriente di cosa è avvenuto in Essex Street a casa Sherton. La parte finale è un poco diversa dal solito, se dovesse creare problemi posterò questo chap a parte come OS. Ringrazio quanti hanno letto, commentato, aggiunto alle liste ecc ecc... A presto.
Valeria


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