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Autore: Shannonwriter    01/04/2014    2 recensioni
La mia è una specie di rivisitazione della storia di Alice In Wonderland in chiave moderna che però non segue necessariamente gli avvenimenti narrati nei libri o nel cartone. Alice ha diciassette anni e vive a New York. Apparentemente ha tutto quello che le serve, è stata ammessa alla Juilliard e potrebbe diventare una grande pianista un giorno, allora perché non è contenta? L'unico a stare sempre dalla sua parte è Hartley, il suo migliore amico. è buffo, uno spirito libero e un giorno si presenta con un cilindro in testa che, sostiene, potrebbe aiutarla perché è magico. Ma sarà vero? E c'è qualcosa di più di una semplice amicizia tra Alice e Hartley? Scopritelo leggendo (è la mia prima originale, omg!).
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Per la seconda volta quel mattino, Alice sentì il suo cuore più pesante. La vista del Wondercafè nel caos l'aveva fatta sentire malissimo, ma non era nulla in confronto a quello che le stava davanti nella stanza 18. Proprio come aveva detto Hartley, Jeff era messo male. Il suo braccio destro era ingessato e sul viso portava i segni della violenza subita, l'occhio nero che iniziava a gonfiarsi, il labbro rotto e una macchia violacea su una guancia. Quei segni orribili raccontavano una storia che Alice faticava a immaginare. L'uomo era completamente assorbito da Iris, distesa sul letto d'ospedale davanti a lui. Le teneva la mano tra le sue ed era così preso da lei da non accorgersi nemmeno di Alice in piedi sulla soglia con il tè.
La ragazza si fece notare chiudendo la porta. Jeff non accennò a muoversi ma spostò lo sguardo su di lei. Non era troppo sorpreso di trovarla lì o così pareva perché subito dopo tornò a dare tutta la sua attenzione alla moglie.

“Jeff” lo chiamò Alice senza alzare troppo la voce. Non voleva disturbare Iris che dormiva. Appoggiò il bicchiere sul comodino accanto al letto, al lato opposto rispetto a dove era seduto Jeff. “Hartley ti ha preso un tè”
Nessuna reazione dall'uomo, tanto che la ragazza si domandò se la stesse ascoltando o meno. “Mi dispiace così tanto per quello che è successo” continuò.
“Ero sceso di sotto per aprire il locale. Non ho fatto nemmeno in tempo ad avvicinarmi alla porta che loro la stavano giù sfondando. In un attimo è iniziato tutto. Uno di loro si è messo a spaccare tutto quello che poteva con una mazza mentre l'altro mi ha bloccato a terra e mi ha preso a calci e pugni. Non sono riuscito a contrastarlo più di tanto, ho provato ma...” Jeff parlava con voce roca, stanca. “poi lei è scesa e ha visto. Urlava, piangeva e allora il tizio con la mazza l'ha presa e l'ha tenuta ferma finché il suo compare si è stancato di pestarmi. A quel punto ho temuto che facesse del male anche a lei ma invece mi ha guardato e ha detto 'sei fortunato che non picchio le signore'. Poi ci hanno lasciati in pace” Jeff ripercorse l'accaduto come se cercasse di fare chiarezza all'interno della sua testa, quasi come se Alice non fosse lì ad ascoltarlo. Non aveva ancora finito però. “A quel punto lei era agitata e sconvolta...così sconvolta...” gli occhi gli brillavano, si portò la mano di Iris alle labbra e la baciò con dolcezza. “Non ha retto e ha perso i sensi”
Jeff era il ritratto della disperazione. Era sempre stato evidente quanto ci tenesse alla moglie e persino in quel poco tempo in cui li aveva visti insieme, Alice era riuscita a capirlo. Così cercò di risollevarlo. “Si è presa un bello spavento ma sono sicura che si riprenderà presto”.
Jeff prese un respiro. “No, purtroppo non è così” disse. “Ho parlato col dottore. Le ha fatto degli esami e mi ha informato che lei...sta male” pronunciò quelle ultime parole come se pesassero un quintale.
“Che vuoi dire 'sta male'?”
“Non è mai guarita. Me l'ha nascosto.”
Alice sbiancò. Le tornò in mente quello che le aveva raccontato Hartley su Iris. Aveva una malattia grave ed era tornata nel suo paese natale, l'Irlanda, per farsi curare usufruendo dell'aiuto economico dei suoi genitori. Ma poi era ricomparsa a New York, d'improvviso, e stava bene. Così aveva detto. “Ma le cure in Irlanda...?”
“Immagino non abbiano funzionato. Non ho ancora indagato” rispose Jeff. Ogni traccia di allegria e positività aveva lasciato il suo viso e, Alice lo sentiva, anche la sua anima. C'era posto solo per tristezza e amarezza.
Era terribile. Alice desiderava solo di trovare le parole giuste per confortarlo ma non sapeva se era possibile. Era arrivata lì sperando che nessuno dei suoi amici si fosse fatto troppo male, pensando che il furto al locale fosse la cosa peggiore che potesse capitare quel giorno. Ma si sbagliava.
“Grazie di essere passata, Alice” la congedò Jeff. Era tutto, non c'era nient'altro da dire.
“A presto Jeff” lo salutò lei desolata uscendo dalla 18.
La prima cosa che fece una volta fuori fu cercare Hartley. Grazie al cielo non era sparito, era seduto in attesa e anche lui la guardava. Sembrava un bambino spaurito, perso. Andò a sedersi accanto a lui e appoggiò la testa sulla sua spalla. “Oh, Hartley, non essere così duro con te stesso. Non è stata colpa tua”. Ora che aveva parlato con Jeff capiva perché il ragazzo si sentiva così colpevole.
“Avrei potuto aiutare Jeff se solo fossi stato lì.” bisbigliò.
“Forse. O forse no. Personalmente sono contenta che almeno tu non ti sia fatto male” gli confidò.
“Già ma questo non mi fa sentire meglio” rispose Hartley.
“Jeff se la caverà e anche Iris si riprenderà” disse Alice.
Hartley scuoté la testa. “Allora non te l'ha detto?”
“E invece si. Di Iris. È per questo che dovresti smettere di incolparti. Sarebbe stata male comunque un giorno o l'altro, sarebbe saltato fuori.”
Seguì una pausa. “Non è giusto”
“No, non lo è”
“Iris potrebbe morire di quella malattia”
Alice si rabbuiò. Aveva ragione. Se era grave come sostenevano e non era riuscita a guarire allora c'era una possibilità che...No, non era per niente giusto. Iris era una persona buona alla quale era capitato qualcosa di brutto senza meritarlo. Proprio com'era successo a suo padre...detestava l'idea che Jeff avrebbe provato quello che anche lei aveva provato sulla sua pelle. Era stata fortunata però; Hartley l'aveva trovata e da quel giorno non era stata più tanto sola. Posò la mano sulla sua e strinse forte. “Io non voglio mai separarmi da te. Non importa se andrò alla Juilliard o no, non importa quali segreti nascondi. Prometti che non ci perderemo?” gli chiese Alice.
Hartley mosse la testa e la ragazza sentì i suoi occhi su di lei. Si girò di poco per ricambiare il suo sguardo. “Lo prometto. Sarò sempre al tuo fianco” rispose solenne. C'era un'intensità nei suoi occhi che non lasciava spazio a dubbi.
Alice si sentì sollevata e si strinse più forte a lui.

-

“Sei sicura di voler saltare la scuola?”
Alice si era stesa sul vecchio divano verde. Le molle premevano contro la sua schiena da sotto i cuscini ed era anche un po' scucito in certi punti ma dopo una mattinata così stressante era la cosa più comoda che potesse immaginare. Dopo aver trascorso un paio d'ore all'ospedale infatti, Alice e Hartley avevano deciso di andare via. Normalmente sarebbero andati dritti al Wondercafé ma non c'era niente per loro là, era ancora troppo presto per rimetterci piede. Così erano finiti a casa di Hartley.
“Non ne ho proprio voglia. Stiamo qui” rispose la ragazza sistemandosi meglio sul divano. Era un'infinità che non entrava nell'appartamento e provò un moto di nostalgia.
Hartley stava in piedi davanti a lei con le mani nelle tasche dei jeans oversize. “Andiamo a fare un salto al parco magari?” propose.
“Nah, sono stanca. Tutta questa faccenda mi ha sfinita, ci credi?”
Hartley apparve pensieroso. “Si, anche a me. Ma se tua mamma scopre che hai saltato la scuola?”
“Ormai non so se ha più importanza.” disse Alice in un sospiro. “Le cose tra noi non sono più quelle di prima”
Hartley prese una sedia e la trascinò accanto al divano. “Che vuoi dire?” chiese sedendosi.
Alice si passò una mano tra i capelli. “Abbiamo avuto una discussione e sono state dette delle parole che non possiamo rimangiarci...insomma, lei ha insinuato delle cose su mio padre e io non ci ho visto più!”
Hartley si accigliò. “Cioè?”
“Non so, ha detto che papà non era come io credevo, che ero troppo giovane per capire...insomma, che significa secondo te?” chiese la ragazza frustrata.
Hartley scrollò le spalle. “Non ne ho idea, Alice. Forse dovresti cercare di fartelo dire. Senza litigare, intendo”
“Impresa non facile di questi tempi” commentò Alice. Poi si mise a sedere. “E tu invece? Non hai niente da dirmi?”
Hartley non capì “Mmh?”
Alice si armò di pazienza. “Sai, ricordo che stavi per raccontarmi qualcosa di importante due settimane fa e poi siamo stati interrotti. Allora? Cos'era?”
Finalmente si trovavano in un luogo dove nessuno li avrebbe disturbati e Alice si era decisa a tirar fuori l'argomento.
“Oh, quello.” disse Hartley fingendo di averlo completamente dimenticato.
“Già, quello. Quindi?” lo incitò.
La gamba di Hartley iniziò a tremare e il suo volto era indeciso. “Non è così semplice, non so da dove iniziare né se tu mi crederai”
“Hart, è tutto ok. Dopo quello che ci siamo promessi e dopo averti detto che terrò la mente aperta ancora non ti fidi?”
“Si, si, mi fido ma...”
“Ma niente. Parla” lo interruppe Alice decisa. Hartley la guardò fisso negli occhi per assicurarsi che fosse come diceva e iniziò. “Ricordi la festa per la tua ammissione alla Juilliard?”
“Si” rispose Alice presa in contropiede.
“Ricordi il cappello che volevo darti?”
“Si...”
Hartley fece un respiro profondo. “Ti ho detto che me l'ha dato un tizio. Questo tizio era incredibilmente magnetico e convincente, mi ha detto che il cilindro aveva dei poteri magici e poteva aiutarmi a risolvere i miei problemi, che mi avrebbe portato dove volevo...così gli ho creduto e l'ho preso. All'inizio l'ho usato per piccole cose, vestiti nuovi, saltare le file, arrivare più in fretta da qualche parte...anche per il pianoforte bianco” Alice ebbe un sussulto alla menzione del pianoforte apparentemente comparso dal nulla nel magazzino abbandonato. Continuò ad ascoltarlo sperando che alla fine tutto avrebbe avuto un senso. “Volevo regalartelo perché quell'uomo mi aveva consigliato di donarlo a qualcuno se mi fossi reso conto che ne aveva più bisogno di me, e per te era così. Eri sempre con la testa tra le nuvole, preoccupata. Forse il cappello ti avrebbe aiutata in qualche modo e saresti tornata felice” Alice sentì i pezzi della storia incastrarsi tra loro; si era sempre chiesta della vera provenienza del cappello e del perché lui ci tenesse tanto che lo avesse. Quel giorno però lei lo aveva rifiutato.
“Hartley...che cosa c'entra questo con la tua sparizione, con i tuoi comportamenti strani?”
“Dopo essere stati al magazzino a suonare il piano, quella sera, ho incontrato Jeff al locale. L'ho trovato ubriaco, amareggiato. Ti rendi conto? Il nostro Jeff ridotto in quello stato? Parlava di tornare a casa sua, lasciare New York per sempre, diceva di essere un fallimento e che nulla aveva senso senza Iris. Alla fine ha detto che se solo fosse riuscito a sistemare il Wondercafè magari avrebbe avuto un'ultima chance con sua moglie...Ho capito che lui era la persona che in quel momento aveva bisogno del cappello più di me. Così ho lasciato il café pensando di usarlo per dargli una mano. È stato allora che l'ho rivisto”
“Chi?” chiese Alice rapita dal racconto e allo stesso tempo combattendo contro l'incredulità.
“Il tizio che mi ha dato il cappello.” continuò Hartley. “Era come se sapesse già cosa avevo in mente o che avesse origliato i nostri discorsi. Mi ha detto che il cappello non era sufficiente per fare ciò che volevo. Dovevo andare a Wonderland a chiedere fortuna”
Alice tacque fissando Hartley. “Cos'è Wonderland?” chiese poi temendo la risposta, qualunque essa fosse.
“Un mondo diverso”


Note: ok, sono state rivelate alcune verità ma ovviamente c'è dell'altro che seguirà nella seconda parte. Ebbene si, esiste una Wonderland non metaforica e spero che la cosa non vi dispiaccia (infondo si tratta di una storia ispirata da Alice nel Paese delle Meraviglie quindi non credo). Aggiornerò il prima possibile, alla prossima! :)

   
 
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