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Autore: Yandeelumpy    03/04/2014    2 recensioni
Ispirata alla creepypasta di Jeff the killer. Perché non continuare la storia della sua vita ora che è diventato uno spietato assassino ricercato in America? No, la sua famiglia non è stata la sua unica banda di vittime. Conterà corpi come pecore, a ritmo dei tamburi di guerra.
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Eccomi qui con il quarto capitolo della storia! Innanzitutto, voglio scusarmi per quest'ennesima, lunga attesa. Nel tentativo di colmarla, ho cercato di fare un capitolo un po' più lungo, ed inoltre, visto che Jeff è -finalmente- libero, sarà un pezzo della storia decisamente più carico di "azione". Non vi spoilero, semplicemente, spero che questo capitolo vi piacerà! Inoltre, voglio approfittarne per ringraziare tutte le persone che nonostante le attese, continuano a seguirmi e a sostenermi con le loro recensioni! Grazie a tutti, questa cosa mi rende estremamente felice!
Detto questo, spero che questo quarto capitolo sia di vostro gradimento! Magari fatemi sapere cosa ne pensate, un commento è sempre gradito! Al prossimo capitolo, baci! :)


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Non mi piaceva. Non mi piaceva per niente stare lì, in mezzo a quel via vai di gente che controllava l'orologio al polso, parlava al cellulare, teneva per mano dei detestabili mocciosi con tanto di zainetto, che si lamentava per le troppe ore di lavoro  o che si concedeva di prendere un caffè al bar in compagnia.
Scrutai l'orizzonte dopo il parco: la strada, con qualche auto che si fermava ad aspettare al semaforo, qualcuno che invece non lo rispettava affatto, e dall'altro lato, due palazzi vicini che formavano un vialetto proprio nel centro. Avrei potuto entrare lì e nascondermi da questi occhi indiscreti, che addirittura chinavano il capo per guardarmi in faccia, quando passavo accanto a loro.
Mi fermai un attimo, giusto per capire come muovermi tra la gente, vicino alla zona per bambini, dove c'erano le altalene, uno scivolo ed una casetta di plastica, dove ogni tanto sbucava una patetica mocciosa che diceva all'amica di star cucinando per suo figlio, ovvero un inutile bambolotto. Sbuffai alla scena, distratto, senza notare minimamente il marmocchio che mi stava fissando da un paio di minuti, proprio al mio fianco. Lo guardai con la coda dell'occhio, e subito la sua bocca si trasformò in una "O" di stupore, sorpresa, o non sapevo di preciso cosa fosse.
Feci una smorfia con le labbra, raggiungendo lo squarcio destro accanto ad esse, prima di chinarmi avanti e scandire un sonoro:
« ...Buh. »
Com'era prevedibile, il marmocchio biondo fuggì urlando a squarciagola "mamma!", raggiungendo la donna bionda accanto alla sua amica, che venne prontamente disturbata da suo figlio. Il bambino, mi indicò più volte, con le lacrime agli occhi, mentre sua madre se lo caricò in braccio, facendo commenti che nemmeno sentì, dato che chinai subito il capo per non farmi guardare. Moccioso maledetto, mi ricorderò di fargli visita.
Quel parco era fottutamente grande, e solo quando fui davanti ad un cartello fatto di legno, piantato nel terreno, riuscì a realizzare di quanto fossi lontano da Milwaukee: "Central Park, New York city."

Sbigottito, scossi il capo. Mi avevano preso poco lontano dalla mia città, perché mi trovavo a New York, adesso? Come ci ero finito lì? Non l'avevo previsto, questo.
Tutte le mie sensazioni, tutti i miei dubbi, furono spezzati da un improvviso dolore all'altezza dell'addome. Sgranai gli occhi cerchiati di nero, e alzando di colpo la testa in un movimento quasi innaturale, feci vagare le mie pupille quasi bianche per quant'era chiaro il loro celeste, fissando le persone che adesso sembravano parlare un'altra lingua. No, non era un'altra lingua. Era la mia psiche che stava delirando, e tra poco lo avrei anche dimenticato. Dovevo uccidere, dovevo mettere le mani su qualcuno e...strozzarlo, pugnalarlo a sangue, vederlo morire terrorizzato sotto il mio sguardo...perfetto. 
Mi tenni la testa con entrambe le mani, cominciando a correre senza una meta precisa, ricordandomi di dover svoltare per raggiungere l'altro lato della strada, e più precisamente, per arrivare al viale in cui volevo entrare fin dall'inizio in modo da trovare riparo. 
Corsi il più velocemente possibile, senza guardare la gente in faccia. L'unica parola che avevo in testa, era il mio nome, ripetuto continuamente da una voce che non era la mia, ma sapevo bene di chi fosse in realtà...

Jeffrey.
Jeffrey.
Jeffrey.
Jeffrey.

...



« Mi scusi, sta bene? »

Un'altra voce, spezzò quella che in quel momento mi stava torturando il cervello, come un'improvvisa martellata alla testa, ma indolore fisicamente. Fu come risalire a galla da quel lago maledetto, e riprendere aria dopo tanto, troppo tempo.
Indietreggiai di tre passi, quasi inciampai rovinosamente, come un perfetto coglione sballato, ma poi rialzai appena il capo, lasciando che alcune ciocche nere mi coprissero gli occhi, e che l'ombra del cappuccio mi facesse da scudo sulla bocca.
Era una...ragazza? Mi stava fissando, ma non come stava facendo quel moccioso in precedenza, mi fissava con preoccupazione, con grandi occhi smeraldini che brillavano sotto il sole, ormai salito più in alto da un bel pezzo. I capelli castani, quasi ramati, lisci e che le ricadevano lungo le spalle, si muovevano al minimo soffio del vento leggero di quella mattinata. 
Pallida, ma non esageratamente, magra al punto giusto e poco più bassa di me, che insisteva per trattenersi sulle punte delle scarpe bianche. Aveva un modo di vestire casual, non era truccata, e per di più non aveva la stessa espressione di tutta quella gente che avevo visto fino ad adesso. Consideravo il fatto che avevo visto almento un centinaio di persone, da quando ero lì, e come poteva distinguersi una ragazza /come/ loro, TRA loro?
Perchè non si decideva ad andarsene? Perché se ne stava lì a fissarmi con quella disgustosa aria preoccupata!? Non capiva che era in pericolo, quella stupida...ragazzina...si stava preoccupando davvero, per me? Ah, ma che cazzo vado a pensare, se vedrà la mia faccia, scapperà a gambe levate. Come tutti, del resto! E lei NON E' diversa da tutti.

« ...Sto bene. Benissimo. Come dovrei stare? »

Sapevo perfettamente come suonava la mia voce in quel momento: bassa, scontrosa, con le corde vocali strette dal fumo delle sigarette che mandavo nei polmoni come un bisogno naturale. Per niente affidabile, insomma. Eppure, lei non accennò a spostarsi, né a fare un minimo per scappare, anzi, proseguì d'un passo avanti per guardarmi meglio.

« Non volevo disturbarla, è solo che mentre camminavo per andare a lavoro, ho visto che lei stava correndo tenendosi la testa, e così mi sono preoccupata. So che posso sembrarle strana, perché sono una perfetta sconosciuta...però... »

Preoccupata? Allora era vero, che dopo tanto, qualcuno si stava seriamente preoccupando per me? Voltai il capo, rialzando gli zigomi bianchi, così da assumere uno sguardo piuttosto seccato, e del resto lo ero seriamente. Non amavo conversare, non parlavo così con qualcuno da troppo tempo, e non ne avevo per niente voglia. Comunque, sarebbe stata una perfetta vittima, e fu quel pensiero a farmi sorridere il doppio, così come mi portò a voltare nuovamente la testa verso la ragazza dai capelli ramati. 
...Un momento, che stava facendo? Perché stava avvicinando la mano al mio cappuccio? Voleva...voleva...togliermelo!?

« ...Che stai facendo?! »

Il mio tono era disturbato, quasi isterico, per niente normale. Lei mi guardò con due occhi grandi così, che brillavano sotto la luce del sole, addirittura mi sembrò di vederci dentro la scintilla della colpa. Che diamine le era saltato in mente? Pensava che le avrei mostrato la mia faccia tanto facilmente?

« ...Io...nulla, mi dispiace. Volevo vedere i suoi occhi. »
« I miei non brillano sotto la luce del sole. »

La risposta che le diedi, fu praticamente automatica, ed era un chiaro riferimento ai suoi occhi. In risposta, lei mi sorrise a labbra chiuse, quasi parve accorgersene, e piegando appena il capo in un gesto delicato, mentre si portò entrambe le mani dietro la schiena per unirle, cominciò a dondolarsi sui talloni come se fosse una bambina ansiosa.

« Le assicuro che sarei più che felice di poterli vedere, ovviamente con il suo permesso. »

...Certo, avrei potuto ucciderla di nascosto, da qualche parte ed in silenzio, magari dietro quella grande quercia che avevo puntato con lo sguardo, e quasi non l'avevo nemmeno ascoltata. Tornai poi a guardarla, pensando che avrei potuto concederle l'onore di vedere il mio viso perfetto. Mi avvicinai a lei, e le sussurrai, come se fosse il segreto più grande di questo mondo:

« Allora vieni con me, lì. E dammi del tu, il lei mi fa sentire vecchio, e quello non lo sono per niente. »

Lei mi guardò stupita, annuendo semplicemente con il capo, più volte ed in modo lento. Sembrava attenta.
Camminai senza voltarmi per guardarla, sotto lo sguardo indiscreto dei passanti, sicuro che mi stesse seguendo come se fosse un cagnolino. Possibile che fosse talmente ingenua? Del resto io non mi fidavo di lei, e lei non si fidava certamente di me. Eravamo due completi sconosciuti, ma con due ruoli ben definiti: vittima e killer. Raggiunto il retro del grande albero, che riusciva a coprire entrambi, mi voltai verso di lei, sotto l'ombra che il tronco ci stava offrendo.

« Visto che vuoi essere accontentata, e sia. »

Non sapevo quale sarebbe stata la sua reazione. Forse sarebbe scappata via a gambe levate, forse avrebbe gridato, forse... ah, ma a me che importava? Tanto non le avrei neanche dato il tempo di urlare o fuggire, in un modo o nell'altro, l'avrei uccisa all'istante. Dopo la sua conferma, afferrai i lembi del cappuccio con entrambe le mani, tra pollice ed indice, chinando prima la testa per poter scoprire inizialmente i lunghi capelli corvini, che ormai superavano le spalle. Alzai lo sguardo, e sapevo bene cosa stava guardando. Mi conoscevo, mi conoscevo benissimo. Gli occhi contornati di nero, privi di palpebre, così chiari da sembrare quasi bianchi. La faccia completamente biancastra, tanto che sembrava dipinta, cosa che non era affatto, e particolare maggiormente evidente, i profondi solchi rossi ai lati delle mie labbra, che formavano quell'enorme sorriso che mi ero inciso lungo le guance.
Lei non si mosse. Lei rimase a guardare. Aveva ancora quegli occhi verdi che brillavano, anche se c'era ombra, le labbra appena schiuse e le sopracciglia aggrottate, il tutto formava un'espressione di puro stupore e curiosità. Tanto che mi venne da chiederle:

«...Che c'è? »
«...Nulla. Non capisco perché ti stai nascondendo. »

Perché mi stavo nascondendo? Stava forse pensando che mi fossi truccato? Eppure non eravamo ad Halloween, né c'era qualche festa particolare che permetteva di andare in giro conciati come me. Sapevo l'effetto che facevo sulle persone, ma perché, lei, non stava reagendo allo stesso modo? Non urlava, non stava scappando, non stava tremando e non stava nemmeno chiedendo disperatamente aiuto. 
Un'improvvisa scintilla di rabbia, si fece spazio nella mia fragile mente, forse stava semplicemente nascondendo quello che provava in realtà: disgusto, orrore, un urlo di terrore puro per non farsi aggredire.

« Lo sapevo. Sapevo che sarebbe andata così anche con te.
CHE C'E', NON TI PIACCIO!? »

Lei sussultò appena, posandosi una mano sul petto, per lo spavento improvviso. Avevo gridato, e lei si era spaventata. Oh beh, non lo era già abbastanza? Che cazzo di differenza faceva!? 
Se si prendeva un infarto adesso o dopo, la differenza non c'era. Lo sapevo, sapevo che...

« ...Io ti trovo carino. »

Quella risposta mi fece paralizzare. Letteralmente. Tanto da farmi tirare appena indietro, visto che mi ero bruscamente avvicinato a lei, in un modo forse eccessivamente aggressivo. La guardai per una frazione di secondi, il tempo di riprendermi. 
Non stava mentendo, lo vedevo nei suoi occhi, quella sembrava la verità più sincera di tutte, quella più vera, quella priva di peccato, la prima che mi capitava di sentire da quando ero diventato così.

« Non stai mentendo? »
« No, non vedo perché dovrei. Sto dicendo la verità, ti trovo carino, ed è per questo che prima ti avevo chiesto perché ti stavi nascondendo. »

Le sirene della polizia rieccheggiarono alle mie orecchie in continuazione. Le sentivo prima lontane, poi sempre più vicine. Non sapavo se fosse vero, o solo immaginazione.
...Che stavo facendo? Mi ero fermato? 
Jeff, così non va bene. Non va bene, riprendi la fottuta situazione tra le mani, e per quanto possa essere complicato per te, ragiona. Ragiona!
Cos'è che stavi facendo? A che scopo eri lì?
Feci vagare lo sguardo, lontano dalla presenza imbambolata davanti a me. Un uomo sulla quarantina, seduto sul bordo della fontana, con in testa un cappellino nero che sembrava avere più anni di mio nonno -morto anche lui, ma dettagli- stava reggendo tra le mani un giornale aperto.
"MINACCIOSO ASSASSINO ANCORA A PIEDE LIBERO."
E questa chi me l'ha mandata?
Qualunque cosa fosse, avrei avuto tutto il tempo necessario per ringraziarla, più tardi. Non potevo restare lì, quell'assassino ero io, e non ci misi molto a capirlo, dato che avevo ripreso la libertà solo quella notte e lo stesso annuncio era stato pubblicato anche a Milwaukee qualche anno fa. Ne avevo il chiaro ricordo, nonostante il fatto che fosse passato così tanto tempo. Passato a parte, ora dovevo sbarazzarmi della polizia che sembrava volersi introdurre nella zona.
Quell'agente, con molta probabilità, mi stava ancora alle costole. Sembrava più ostinata di un cane che si rifiutava di mollare la presa dei tuoi pantaloni per convincerti a giocare a palla. Dopotutto, era più che comprensibile. L'avevo sentita giurare ed imprecare contro di me, sapevo quanto mi volesse morto e quanto mi temesse, quanto la affascinassi e terrorizzassi allo stesso tempo.
Nulla sarebbe stato facile con quella donna di mezzo. Era diventata una grossa spina nel fianco di cui dovevo liberarmi. Dovevo staccare quella spina dalle mie carni e gettarla nelle fiamme, per carbonizzarla e non averne più neanche il ricordo.
Quella ragazza era rimasta lì ferma a guardarmi, come spaesata, in attesa di una mia risposta. Una risposta che non avrebbe mai avuto, perché appena trovai via libera, la sorpassai, quasi sfiorandole bruscamente la spalla sinistra.
In quel breve momento, la sentì sussultare e dire qualcosa, forse un probabile "Aspetta!" seguito da un "Non so neanche il tuo nome!", ma non mi voltai nemmeno. 
Avrei perso tempo, del resto. L'unica cosa che mi dispiaque, fu quella di non averla uccisa in quello stesso momento. Mi ero distratto, ed io non potevo permettermi distrazioni. 

Avevo puntato nuovamente a quel vicoletto che avevo individuato fin dall'inizio, poiché era l'unica via salva. 
Arrivai lì dopo una lunga corsa a ostacoli, rischiando anche di finire sotto qualche macchina, ma evitai questo particolare. Per non parlare di tutta la gente che avevo letteralmente travolto.
C'era un fastidioso odoraccio di spazzatura, ma di certo non potevo passare per le vie di classe A, data la mia posizione cittadina. Per un attimo, mi venne da domandarmi se quella ragazza dai capelli ramati fosse ancora lì, o se fosse andata via. Non che mi importasse particolarmente della cosa, questo è ovvio, ero semplicemente curioso della reazione che aveva avuto.
Tornando ai miei obiettivi, avrei dovuto trovare un posto dove nascondermi. New York era maledettamente grande, e sarebbe stato piuttosto difficile raggiungere i miei scopi inosservato. Che situazione seccante.
Innanzitutto, mi guardai intorno, andando ad incrociare lo sguardo con due cassonetti dalla vernice scrostata, del classico colore verde scuro, il tutto adorabilemente addobbato con due topi che se la spassavano con dei vecchi pezzi di pomodoro ammuffito.
Passai inosservato davanti a quella scenetta, tenendo la testa bassa, poiché non sapevo se avrei potuto incrociare qualcuno dall'altra parte. Ora che ci pensavo, non ero nemmeno armato, e non avrei potuto andare avanti in quel modo.
Avrei dovuto procurarmi un'arma, una qualsiasi cosa che poteva servire a difendermi o ad attaccare. Lì per terra c'era solo una bottiglia di birra abbandonata a metà, qualche mozzicone di sigaretta e una siringa. Per non parlare del preservativo celeste e nero per la sporcizia bellamente lasciato al suo destino dopo essere stato usato, lì gettato vicino ad un vecchio bidone.
Beh, probabilmente qualcuno si era divertito lì. Sul serio, quella roba sarebbe stata seriamente poco utile come arma...o forse no. No, non stavo pensando al preservativo, naturalmente, ma a quella bottiglia di birra. 
Mi avvicinai, chinandomi sulle ginocchia per raccoglierla, scorgendovi all'interno il liquido spumoso. Non sembrava essere molto vecchia, quindi la portai alla bocca per poterla assaggiare.
Sputai distrattamente sul muro ciò che avevo appena messo sulla mia povera lingua, decisamente disgustato. Era...schifosamente calda. Un altro sbuffo, prima di farla saltare una sola volta sulla mia mano destra, e scagliarla con forza contro l'asfalto. I cocci di vetro marroni si sparsero ovunque, e con lo sguardo cercai di individuare quello più grosso. Una volta trovato, raccolsi con cautela il pezzo che doveva essere di circa sette centimetri scarsi. Meglio di niente, probabilmente mi sarebbe tornato utile, e pensando a ciò decisi di salvarlo, conservandolo in tasca.

Delle voci, giunsero alle mie orecchie. Sembravano voci maschili che si avvicinavano, lo sapevo perché cominciarono a fare eco nel vicoletto.
Sapevo come usare quel pezzo di vetro tagliente.

*

« Ci abbiamo fatto un bel gruzzoletto, heh, guys? »
Il ragazzo dai capelli a spazzola, con gli occhi scuri ed un'aria da poco di buono, si voltò verso gli altri due che lo stavano seguendo a ruota, che prontamente ridacchiarano facendo grosse tirate su con il naso.
Gli rispose il più alto, uno con l'aria quasi da fesso, ma che sembrava volerla mascherare con quei tatuaggi che si trascinava sulla pelle. Aveva l'apparecchio fisso incastrato nei denti e gli occhi contornati da occhiaie nere.
« Ti pare che con la droga si faccia poco, Abee? Non per niente la vendiamo! »
E questo fece quasi grugnire il più basso dei tre, che sembrava aver passato la maggior parte della sua vita al McDonald, e con quei capelli rossicci che si ritrova con tanto di lentiggini non sarebbe stata una sorpresa venire a sapere che non aveva una gran fila di ragazze pronte a corteggiarlo e a venerarlo.
Quest'ultimo, accorse al posto in cui la bottiglia di birra era stata spaccata, rivolgendosi ai due compagni che fino ad adesso, lo avevano guardato con aria perplessa, per il fatto che si era allontanato rapidamente dal gruppo.
« Abee, Boyce! La nostra birra è andata a puttane! Ve l'avevo detto che lasciarla qui sarebbe stata un idea del cazzo! »
Il restante del gruppo, accorse per dare un'occhiata a quei cocci di vetro marrone sparsi sull'asfalto, il tutto contornato con una grossa macchia scura, che doveva essere proprio la rimanenza della birra, ormai secca.
Il più alto allargò le braccia, e stavolta quell'aria da perfetto idiota si trasformò in un'espressione di pura rabbia, sbottando come un vecchio pieno di debiti che non riusciva a saldare.
« Vaffanculo! Era ancora buona! »
« ...Calma, guys. Abbiamo abbastanza soldi per comprarcene una decina, qui, no? Che motivo c'è di incazzarsi così tanto? »
Ribattè il castano, con un sorriso sornione, mentre stringeva il sacchetto contentenente il gruzzolo di denaro che si era guadagnato insieme ai compagni.
« Abee ha ragione, calmati! Con quelli ci compreremo anche le sigarette! E se la cassiera penserà che sono soldi sporchi...il mio coltellaccio sarà utile! »
Il tutto fu seguito da una pacca sulla schiena data dal più grassoccio, che guardava Boyce con un sorriso paffuto e soddisfatto, ma non per questo conteneva qualcosa di buono. 
Il più alto incrociò le braccia al petto, acconsentendo a quell'idea con una risata sguaiata. 

Uno, due, tre. Contò il killer, ben nascosto tra i due cassonetti della spazzatura. Erano in tre, uno di loro avevano dei soldi, e magari erano anche armati, visto che il più alto aveva accennato ad un certo "coltellaccio".
Tutto poteva volgere a suo favore, se fosse riuscito a fare le cose per bene. "Come on, Jeff." si ripeteva in mente "Ora o mai più, è il classico trio di stronzetti bulli.".
A sinistra, lo sbocco del vicolo da cui era entrato. A destra, le alte mura di un grattacielo a chiudere quella che poteva essere una via di scampo. Perfetto.
Il largo sorriso del corvino si fece grande, ed i suoi squarci rossi si allargarono fino a scoprire la perfetta dentatura. Doveva solo aspettare.
Boyce, dopo aver fatto ripetute battutine sulla corporatura di Dean, si stava avviando verso l'entrata del vicolo, congedandosi con un "Un attimo, devo scaricare la birra.". Era diretto verso i cassonetti, mentre i due compagni, se la ridevano scherzosamente, accendendosi una sigaretta nell'attesa.
Il ragazzo più alto, si fermò proprio davanti a quello spazio abbastanza grande da farci entrare una persona, portando le mani sul cavallo dei jeans per sbottonarli, senza neanche chinare lo sguardo, troppo concentrato su qualcosa di invisibile sul muro ed il pensiero di dover liberare la vescica.
Quello che comparve proprio davanti alla faccia del killer, gli fece borbottare uno schietto e sincero commento.

« Giuro, il mio è decisamente più grosso. »

Commentò qualcuno sotto di lui. Quando chinò lo sguardo, ciò che vide fu...raccapricciante. Boyce spalancò gli occhi contornati dalle occhiaie, sentendo il suo sangue come congelato all'interno delle vene. 
La bocca si mosse ripetutamente, rilasciando degli ansiti interrotti dalla paura, dal terrore...dallo sbigottimento. Non capiva cos'era, non sapeva se quella cosa ai suoi piedi, rannicchiata lì come se fosse il diavolo stesso ad aspettarti, fosse umana o meno. 
Era la cosa più ripugnante che avesse mai visto in tutti i suoi vent'anni di vita. Sentiva che se non fosse morto aggredito, da un momento all'altro sarebbe morto di crepacuore. 
Trovò la forza di sputar fuori quello che in quel momento stava pensando, fremendo di terrore, mentre fece il gesto di afferrare qualcosa nei suoi pantaloni, molto probabilmente il coltello.

« ...E TU COSA CAZZO SE--!?! »

Un grido agghiacciante rimbombò nel vicolo, e subito giunse alle orecchie degli altri due, che si voltarono di scatto in direzione del suono. Il compagno era scomparso. Eppure, erano più che sicuri di averlo visto lì fermo davanti ai cassonetti, fino a qualche secondo fa.
Quell'urlo fu raccapricciante, in particolare per Dean, che era rimasto immobile sul posto, con la sigaretta accesa che gli pendeva dalle labbra, ma che per la presa poco salda, cadde miseramente sull'asfalto. 
Abee, stava fissando il punto in cui Boyce era scomparso, senza proferir parola. Passò un lungo attimo, prima che i due tornassero a guardarsi direttamente in faccia, seppur incosapevoli di ciò che era appena successo.
Avevano sentito quel grido, e poi...il nulla. Non c'era traccia di niente, solo il lungo vicolo che portava fuori in città, silenzioso, con loro due presenti.
« ...A-Abee...ha--hai sentito? »
« Porca puttana, Dean, non sono mica sordo! Si che ho sentito! »
La voce del più robusto era rotta dallo spavento, mentre quella dell'altro era più sicura, ma carica d'ansia... tanto che dovette deglutire per riprendere la calma, cosa che non riprese affatto, invece.
« Va a vedere. »
« ...Perchè io!? »
« Perché sono il capo, e tu devi andare a vedere per dirmi dove cazzo è finito Boyce. »
Dean serrò le labbra, spiazzato dalle parole del compagno. Senza pronunciare un'altra parola, diede prima un passo, poi un altro, verso il punto in cui il compagno era letteralmente sparito senza lasciare una singola traccia. Le grida di Boyce, inoltre, erano state coperte dal clacson delle auto che si facevano sempre più numerose, lì fuori.
Camminava a tentoni, rischiando di inciampare un paio di volte, cosa che fece sghignazzare Abee, divertito, ma allo stesso tempo in ansia. Comunque, era certamente più sicuro che non fosse successo nulla di grave, che magari Boyce fosse andato a farsi un giretto, solitamente era Dean quello sempre terrorizzato dalle storielle che leggeva sui giornali. Ne parlava anche in continuazione, quando se ne presentava l'occasione. L'ultima che i tre avevano letto, era quella di un serial killer dal volto sfigurato, ancora a piede libero poiché era riuscito ad evadere dal carcere. Ma lui era un tipo che difficilmente credeva al fatto che sarebbe stato una sua potenziale vittima.
Perché doveva capitare proprio a lui, insomma? Era questo che il castano diceva ai compagni, quando leggeva di certe cose.
Mentre era assorto nei pensieri, un secondo grido spezzò quella sua linea di pensieri, facendolo girare con tutto il corpo verso quella direzione.
Dean era steso a terra, con il corpo di Boyce addosso, che gridava in preda al terrore verso quella cosa che si stava fiondando su di lui con un coltello di medie dimensioni.

« ABEE! AIUTAMI! BOYCE! LA FACCIA...!! ABEE!! »

Strabuzzò gli occhi, paralizzandosi a quella vista. Il compagno era stato scaraventato contro il muro da quella cosa, con una potenza inaudita: probabilmente gli aveva rotto un osso. Adesso stava piantando ripetutamente il coltello dell'addome di Dean, che gridava in modo straziante.
Le coltellate erano ripetute e precise, sembrava quasi che quell'essere disumano sapesse dove colpire e come colpire.
La morte di Dean, fu quasi istantanea e piena di dolore fisico e mentale. Ad Abee gli si era come paralizzato il corpo, mai aveva visto una scena talmente violenta, così brutale da risultare quasi irreale. Sotto gli occhi di quella cosa nell'ombra, il compagno, doveva sicuramente avere il valore di una pezza, di un fantoccio da infilzare e colpire dove si voleva, fino a fargli esalare l'ultimo respiro nella sofferenza più grande.
Il ragazzo indietreggiò, barcollando incredulo e sconvolto, mentre, dando un'occhiata a quello che sembrava Boyce, inerme sull'asfalto e con il viso voltato verso di lui, pareva avere due grosse cicatrici accanto alle labbra ed un taglio profondo sul collo, da cui sgorgava ancora del sangue fresco.
I suoi compagni erano morti. 
Quella cosa li aveva uccisi. 
Era andata così, e molto probabilmente, per lui non sarebbe andata in modo diverso, adesso che riuscì a notare che quella cosa si era alzata tranquilla, con disinvoltura, e che adesso si stava avvicinando pericolosamente a lui, con movenze lente ed una risatina raccapricciante che rimbombava nel vicoletto. 

« ...Che...cazzo...sei...cosa...vuoi... »

Abee assottigliò lo sguardo, ed un lampo gli attraversò la mente. Quella notizia che aveva letto sul giornale quella stessa mattina: "Un serial killer con il volto sfigurato, circola a piede libero a New York."
Fu in quel momento che capì di avere davanti quella stessa persona di cui il giornale e la gente parlava tanto. Il viso tumefatto, la violenza con cui aveva fatto fuori i suoi compagni senza la minima traccia di sentimento umano, né pensiero razionale delle cose. Si sentiva scioccato, sconvolto...segnato, finito. Morto.
Tanto, che riuscì perfino a mormorare...

«...Jeff...The killer...esiste...»

...Il suo nomignolo, in un flebile mormorio appena udibile, se non da vicino. Per Jeff non fu un problema, perché adesso si trovava ad un soffio dal viso del ragazzo, paralizzato dalla vista di quel volto bianco, quelle grosse cicatrici rosse e quegli occhi privi di palpebre, che sembravano scavargli direttamente nell'anima.
Poteva sentire il respiro gelido del killer sulla pelle, vedere le iridi scolorite, precedentemente azzurre, al punto d'esser diventate quasi bianche. Se non fosse così pericolosamente vicino, avrebbe giurato che quella cosa, non avesse nemmeno le iridi, oltre le palpebre, soltanto due piccoli punti neri a segnargli la direzione dello sguardo. Sfortunatamente, la cosa su cui quello sguardo era puntato, era proprio lui.

« Ma come siamo perspicaci, ehh, Abee? Lo sai, il tuo amico aveva un pisello da far schifo, così ho pensato di poter rendere bellissima almeno la sua faccia. »

Tant'era la paura, che non riuscì nemmeno a controbattere, alla sfacciatagine di quelle parole, né a rispondergli in modo chiaro e preciso, ma solo con lettere saltate e la voce balbettante.

« Per non parlare di quell'altro...Dean, right? Ahh, la chirurgia plastica non sarebbe bastata, ho lasciato perdere...e l'ho fatto passare a miglior vita. Sono stato così gentile, ehe? Oh, che c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Vuoi farmi dare un'occhiata? »

Il killer avvicinò una mano al volto del ragazzo tremante, con le lacrime agli occhi che non si sarebbe mai sognato di avere davanti a qualcuno. Era sempre stato il capo dei tre, e mai avrebbe pensato di poter provare la paura.
Jeff, premette sulle guance chiare di Abee, con pollice ed indice, forzandolo ad aprire la bocca. Gli fece scoprire i denti, e la lingua si muoveva a tratti, come se stesse cercando di farla muovere per dire qualcosa, ma il respiro era mozzato dal trauma di quel volto. 
Jeff lo osservò a lungo, piegando il volto corvino sul lato destro, come un medico che stava cercando di valutare la situazione delle tonsille infiammate di un suo paziente. Tenendo saldamente il manico del proprio coltello, lo avvicinò alla bocca della vittima, ticchettando grezzamente la lama sul labbro di quest'ultima, che accusò il dolore, lamentandosi.
A Jeff scappò un flebile sogghigno.

« Guarda, guarda...questa lingua deve avere seri problemi. Che dici, la togliamo? »

Il castano spalancò gli occhi, preso dal terrore, e con un sussulto, quasi simile ad un grido rimastogli in gola, cercò di spingersi avanti per sovrastare il killer, che prontamente, lo afferrò saldamente alla gola, sbattendolo con violenza contro il muro.
Aveva una forza sovraumana. Quella cosa /non era/ umana. 
Seccato da quella reazione, il killer, senza né preavviso né annuncio, pianto la punta del coltello nella lingua del ragazzo, che sentì un forte bruciore sul punto colpito e al palato. Ora le sue grida erano buttate fuori a tratti, più preso da quel dolore, che dal volto di Jeff, che lo fissava insistentemente, godendo di quell'atto tanto brutale, a cui lui stesso aveva dato il via.
Imitò il gesto di creare una linea retta sulla lingua del castano, da cui vide sgorgare del sangue scuro e liquido, decisamente più fluido di quello che fuoriusciva dalle semplici ferite su pelle. La sostanza colò lungo il mento del ragazzo ormai inerme per il dolore, con gli occhi sgranati e fissi al cielo, come ad invocare chissà quale santo per aiutarlo.

« Ho notato che parli troppo, lo sai? Con il tuo parlare, hai condotto il tuo caro amichetto verso una morte lenta e dolorosa...devi essere sicuramente una persona molto leale, molto sincera...o forse tanto...bugiarda. »

Fu dopo quelle parole, che il ragazzo, ancora con gli occhi rivolti verso il cielo, si sentì colpito all'altezza dello stomaco, con una forza tale da penetrare la carne con una sola botta. Solo il manico del coltello poteva essere ancora visto, seppur sporco di sangue colante, dopo un grosso spruzzo del liquido rossastro che andò a sporcare gli indumenti del serial killer.
Quest'ultimo, si avvicinò all'orecchio della vittima, ormai priva anche di lingua, oltre ad avere la lama intera di un coltello piantato nello stomaco.
Quando fu con la bocca accanto a quella parte del capo, vi sussurrò sopra, con voce lenta e penetrante:

« ...Ed io odio i bugiardi. Go to sleep... and never wake up again... Abee. »

E tirò fuori la lama del coltello con uno scatto secco, puntando gli occhi sulla vittima, che cadde a terra con un tonfo sordo.
Lì sull'asfalto, si formò una terza pozza di sangue in poco tempo, che portò l'ultimo ragazzo ad un'altra morte lenta, e probabilmente, più dolorosa delle precedenti.
Jeff rispose a quella reazione, con un largo sorriso, spalancando le braccia in un gesto fiero e soddisfatto. Aveva il cuore a mille per la felicità. La sensazione di tornare ad uccidere in libertà, era...perfetta. 
Non prestò particolare attenzione al suono delle sirene in lontananza, perché in quel momento, stava semplicemente pensando al fatto che quelli erano solo tre corpi. Tre corpi contati in una sola giornata, e che ne avrebbe contati altri dieci, venti, trenta, forse cinquanta...

« ...E questo finchè sarò fottutamente libero! »
  
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