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Autore: daisy05    14/07/2008    2 recensioni
Harry Potter si prepara a concedere in sposa la sua unica figlia a Scorpius Malfoy. Draco Malfoy si prepara a digerire il rospo di unire la sua purissima famiglia ad una sottospecie di deposito di impurità e batteri Muggle gratuiti. Ronald Weasley si prepara al ritorno della sua bambina e ad accettare che, spesso, la vita può prendere delle svolte inaspettate.
Liberamente ispirata a "Father of the Bride".
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Pansy, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Primo: ~ Il ritorno del figliol prodigo.

• • •

Era una mattina come tante, quella appena sorta al Saint Louis Boulevard. Per amor del vero, occorre specificare che la scelta di attribuire un nome straniero alla via in cui trovava sede la dimora di Harry Potter, vera e propria iconoclastia del neonato mondo magico, aveva riscosso accesi dibattiti e rimostranze al Primo Ministro.

Assolutamente inconcepibile che l’orgoglio dell’Inghilterra Magica risiedesse nel quartiere francese. Merlino, non gli bastava avergli sottratto la coppa, all’ultimo Mondiale di Quidditch? Ora volevano tenersi anche Potter?

A nulla era valsa la fiacca replica di Arthur Weasley, a quelle dichiarazioni. Il fatto che ogni cittadino fosse libero di abitare dove preferiva era un concetto che esulava la comprensione dei suoi concittadini. E, dal canto suo, non poteva certo aggiungere che Ginevra, in gravidanza, sembrava gradire in modo particolare Baguette e Crepes Suzétte. E che, per evitare alzatacce lesive al suo addestramento, Harry aveva preferito trasferirsi lì, piuttosto che farsi traversate che richiedevano un tempo ed una pazienza che non gli appartenevano.

Insomma, non era il genere di dichiarazioni alle quali il Primo Ministro poteva lasciarsi andare. D’altronde, se quello risultava essere l’argomento di principale discussione nella comunità, meglio parlassero di quello piuttosto che della nuova tassa approvata dall’esecutivo.

Tornando a noi, il sole brillava prepotentemente, squarciando il manto celeste del cielo di Maggio. Divisa d’ordinanza inappuntabile, come d’abitudine del resto, Harry si chinò a raccogliere il “Leaky Cauldron Times” depositato sull’uscio della porta.

Avvicinò la tazza di caffè alle labbra, sorseggiandone un goccio corroborante e dando una scorsa distratta all’editoriale di Ian Summers che, come da copione, spiccava al lato della pagina. Non che non ne conoscesse alla larga il contenuto; Ginny era comproprietaria del giornale, assieme a Ian e ad Andrei Bradley. Corrugò le sopracciglia, tentando di scorrere a pagina sedici, non senza qualche difficoltà dato l’uso della sola mano sinistra.

Fu litigando con la carta, oramai straccia, che fece il suo ingresso in cucina, dove la moglie era impegnata ad impilare qualche frittella sui piattini da dolce. Ginny nascose il largo sorriso che andava formandosi, sulle labbra, con le nocche della mano.

“Interessante, oggi?”, chiese, la solita malizia in volto. Harry replicò con un mugugno indefinito, appoggiando il Times su un angolo del tavolo sgombro da burro, marmellate e sciroppi d’ogni genere, riuscendo finalmente nell’intento di giungere alla pagina degli annunci. E di rovinarsi, così, quella che sembrava essere una mattina iniziata con lo step giusto.

Harry Potter e Ginevra Weasley sono lieti di annunciare il matrimonio della loro unica figlia, Lilian Ginevra Potter, con il giovane Scorpius Lucius Malfoy”, recitò, lezioso, il naso arricciato dal disgusto.

Ginny per poco non si strozzò con la prima forchettata di Pancakes, quando lo vide strappare il foglio in questione. A tutt’oggi, non avrebbe saputo specificare se per il disappunto di non poterlo conservare o se per la ridicolezza della faccia di suo marito.

Saltò dallo sgabello, sottraendogli al volo la pallina di carta e stirandola sull’oasi al centro della sala, con la mano. Detto fatto. Il volto di sua figlia era di nuovo disteso, con buona pace alle grinze di carta che sembrava averne raggrinzito la pelle liscia.

Harry la fissò con cipiglio severo, prima di lasciarsi crollare contro la panca, a braccia incrociate.

“Non mi piace”, biascicò, dirottando il suo sguardo altrove.

Ginny si sedette innanzi a lui, distribuendo una generosa dose di sciroppo d’acero sulle frittelle di Harry, per poi mettergli il piatto davanti.

“Ne avevo la vaga impressione, sì”, replicò, sorseggiando il proprio latte macchiato.

Harry inforcò un quadrato di frittelle, rigirandosi la posata tra le dita e fissandola con aria critica, del tutto deciso ad evitare gli occhi nocciola della compagna.

“Veste come se dovesse andare a sfilare per Ralph Lauren. Sempre con quella camicetta retrò, con quei golfini fumè e quei calzoni in fil de Scoziè”. Ingollò il primo boccone, ancora torvo in volto.

“E’ un uomo che presta molta attenzione al suo aspetto fisico, sì”, concordò Ginny, appoggiando la tazza.

Harry, per la prima volta dopo un bel pezzo, la fissò negli occhi, sarcastico.

“E’ un bambino a cui piace ancora giocare con creme e cremine. Ci scommetto le mutande di Ron, quello ha la lozione antirughe nel bagno” sillabò, puntandole l’indice della mano che reggeva la forchetta contro, per poi illuminarsi in volto.

“E se fosse Gay?!”

Ginny per poco non sputò fuori il proprio caffè.

“Ciao Mà, Ciao Pà”. James fece il suo ingresso in cucina, avventandosi contro il frigo e raccattando al volo la bottiglia di latte.

“Non ci sperare Potter”. Il maggiore dei fratelli Potter spostò lo sguardo da suo padre a sua madre, bevendo direttamente dalla bottiglia.

“Ma che ne sai, che ne sai tu?”. Harry prese a sbrindellare la propria focaccina, decidendosi dopo qualche istante di torture ad inforcarne un altro pezzetto. “Secondo me gli puzza anche l’alito”

James rigirò gli occhi al cielo, chiudendo la bottiglia e depositandola di nuovo nel frigo, per poi uscire dalla cucina.

“Ciao Mà, Ciao Nonnetto”.

Ginny allungò le gambe sotto il tavolo, afferrando una forchetta e mangiando dal piatto del marito.

“Fidati. Se il ramo non va troppo lontano dal tronco non ha di questi problemi”, aggiunse, con un sorrisetto malizioso.

Harry strabuzzò gli occhi.

“E con ciò che diavolo vorresti dir-”.

“Ohhh, le focaccine!”.

Il dado era tratto. Uno degli oggetti della discussione in questione aveva fatto il suo ingresso nella sala, salutando i genitori con un’ode alle frittelle e gettando le braccia al collo del padre.

Era troppo anche per il Comandante Potter, tutto quello. Non c’era divisa o distintivo che potesse salvarne la risolutezza, quando si trattava della sua piccola. Sebbene ci provasse da ventidue anni a dirle che non poteva gettargli le braccia al collo così, che gli si sarebbe spiegazzato il colletto e che, no, non era consigliabile, Lily continuava imperterrita a farlo.

E per nulla al mondo, lui, se ne sarebbe privato. Al diavolo l’etichetta, ci sono cose a cui l’onore di un uomo si può piegare, per Merlino.

“Di cosa parlavate?”, biascicò Lilian contro la guancia irsuta di Harry, in direzione della madre.

Ginny si scambiò uno sguardo d’intesa con il marito, per poi riportare gli occhi vivaci in quelli smeraldini di Lily.

“L’annuncio. Zio Andrei ha calcato un pochino la mano, suppongo”, spiegò, scrollando una spalla. Lilian sorrise divertita.

“Credi la calcherà anche zia Wayne?”

“Ne sono certa. Ritornerà in ufficio con l’orgoglio sotto i tacchi perché Hopkins gli ha comunicato che è più diabetico di una femmina”.

Che poi la dolcezza di Andrei controbilanciasse la praticità della compagnia, erano dettagli trascurabili.

Lily prese posto a tavola, attirando a sé il piatto delle frittelle ed addentandole con un lieve senso di colpa. Non era quel che si poteva definire filiforme e le sue guance piene confermavano la tendenza alla morbidezza. Quel che si diceva pacchetto genetico madre in Weasley; se il cromosoma dei capelli rossi l’aveva graziata quello delle curve morbide aveva colpito lei, come accaduto per la madre e la nonna.

Scorpius non avrebbe approvato il menù della prima colazione di quella mattina. Non faceva che ripeterle che doveva perder peso, per entrare nel vestito.

Ma, di questo, Lily avrebbe accuratamente evitato di parlare. Soprattutto in presenza del padre. Harry non avrebbe mai capito che Scorpius parlava così perché l’amava e voleva il meglio per lei.

“Planning per oggi, tesoro?”, le chiese la madre, servendole del latte bollente.

Lily fece per agguantare la zuccheriera, ma in ultimo dirottò la mano sul miele. Era un compromesso, infondo.

“Fiori ed addobbi per chiesa e sala per il ricevimento”. Deglutì il boccone che aveva precedentemente ingoiato. “Ah, e la terz’ultima prova finale del vestito”.

Harry aggrottò le sopracciglia, in un visibile moto di disappunto. Tutte quelle prove e non aveva ancora avuto il piacere di vedere la figlia fasciata nell’abito da sposa.

Quando lui e Ginevra si erano sposati, il piacere dell’anteprima gli era stato negato dalla consuetudine che vuole essere sfortunato il matrimonio in cui lo sposo assiste alla prova d’abito per la sposa. Non che fosse mai stata una persona superstiziosa, ma non occorreva certo essere delle cartomanti per prevedere che un certo mattarello si sarebbe avventato sulla sua nuca, se solo si fosse azzardato a sbirciarla nell’ultima prova.

Le minacce di Molly avevano avuto il loro perché, però, col senno del poi, perché nessuna anteprima avrebbe saputo mozzargli il fiato in gola come il vederla camminare al centro della navata, avvolta in nuvole di Tulle e Taffettà.

Si era detto che avrebbe avuto modo di seguire da vicino le prove d’abito della loro prima figlia. E, come da copione per Harry Potter, era stato abbondantemente smentito dal corso degli eventi.

Non che gli dispiacesse poi molto, a dirla tutta. Nel corso di vent’anni sembrava che il modo di sposarsi si fosse completamente rivoluzionato, a partire dalla proposta stessa.

Se la ricordava eccome, la sua, di proposta. Cena a lume di candela, passeggiatina sul lungomare, sassi che perpetravano impietosi le sue ginocchia a terra, una mano che gli sembrava troppo lontana e la sensazione che il braccio si fosse rimpicciolito. Per non parlare della voce, che sembrava non uscirgli. E, ah, il famigerato mostro del suo intestino che, per l’occasione, aveva deciso di fargli una visitina, dopo essersi volatilizzato quando, per la prima volta, le sue labbra avevano toccato quelle di Gin nel dormitorio.

Da quel poco che Ginny gli aveva spizzicato, era stata Lily a proporre di sposarsi a Scorpius. Del tutto ridicolo, visto e considerato che da che mondo è mondo, erano i maschi a doversi fare avanti. Ma la sua bellissima figlia, quella sera, aveva fatto tutto da sé, a cominciare dal Sufflè di asparagi che si era sgonfiato per il ritardo dell’altro. Per non parlare poi della fedina sottile in ora bianco, acquistata alla modica somma di seicento Galeoni e nascosta sotto il tovagliolo.

Una fedina che, tra parentesi, era ruzzolata nell’erba del giardino dove Lily aveva allestito la cena, perché il fidanzato non si era accorto della presenza di un cofanetto sotto il tovagliolo. E che, sempre tra parentesi, si era dovuta piegare a raccogliere lei, sporcandosi il vestito di fango ed inginocchiandosi lei, davanti al futuro sposo.

Fatto vuole che Malfoy aveva accettato. E, sebbene non potesse dirsi scontento nel vedere la figlia realizzata nelle sue aspettative, fosse stato compito suo siglare la fine di quella storia avrebbe forse preferito che lui la rifiutasse.

La sua bambina meritava di meglio.

“Decisamente, concordo appieno”, annuì Ginny, che aveva seguito dall’inizio alla fine il filo del discorso di Lil.

Decisamente, concordava appieno con sé stesso.

Ginevra si alzò dal tavolo, infilando i piatti nella lavastoviglie Muggle che Hermione le aveva regalato per il compleanno.

“Penso che Neville sia la persona più adeguata. Il migliore, nel suo campo”. E, anche su questo, Harry concordava pienamente. “Sono certa che ti saprà indicare quali sono i fiori migliori per l’addobbo”.

Volse il capo, gettando un’occhiata a Lily. “E poi sono dieci anni che non ti vede. Sarà più che felice di rivederti, ne sono certa”.

Lily annuì, allontanando da sé i Pancakes e afferrando la borsa capiente.

“Ne sono certa anche io”. Soffiò un bacio in direzione della madre, per poi chinarsi a stamparne uno sulla guancia del padre.

Il broncio di Harry si addolcì, anche se solo per una frazione di secondo.

Lily farfugliò un saluto e, con la dolcezza che aveva contraddistinto la sua entrata, si dileguò.

Ginny si appoggiò al banco, le braccia conserte al seno ed un’espressione radiosa sul volto. Per Harry, riempirsi gli occhi con quel volto, fu come innamorarsi di nuovo.

“E’ raggiante”, affermò sicura lei, abbassando lo sguardo sul volto di lui. Harry sospirò, torcendo la schiena verso l’uscio e scorgendo l’ondeggiare dei capelli della figlia.

“Se lo dici tu”. Cercò a tastoni la tazza di caffè, finché la mano non incontrò la brocca di latte.

Sbattè le palpebre, per qualche secondo, in religioso silenzio, per poi girarsi verso la moglie.

TUO FIGLIO MI HA CHIAMATO NONNETTO?!”

• • •

Ogni famiglia di lungo corso ha un cerimoniale privato.

Malfoy, Chang, Hopkins, Summers, Bones, Parkinson, Zabini, Nott, Davies, Weasley.

Onorate famiglie di onorate stirpi il cui la filosofia di vita era stata tradita da quella adottata dai loro discendenti.

Aveva sempre pensato che l’associazione di “Puro” a “Sangue” non fosse da attribuirsi soltanto alla musicalità che quei due termini accostati producevano, quanto al curioso paradosso che concorrevano a creare.

Se doveva pensare a qualcosa di puro, intoccato, era la neve quella che si palesava nella sua mente. Viceversa, l’uso della parola “Sangue” rievocava quell’istinto atavico della macchia e della deturpazione. Forzatura, violenza. Porpora che macchiava biancore indistinto.

La tutela del Puro era il cerimoniale al quale la sua famiglia era più fedele. Ogni unione, anche quella più fugace ed insoddisfacente, non doveva infrangere quel rigido protocollo.

E, questo, Delilah lo sapeva bene. Diciott’anni compiuti ad ottobre, un corredo di solidi valori ed un paio di occhi indaco capaci di penetrare l’animo altrui, la ragazza aveva presto appreso l’arte dell’osservazione.

I numerosi Gala in cui sin da piccola i genitori l’avevano scorazzata avevano avuto il merito di insegnargli tre cose: la prima, che le persone per strafogarsi di pasticcini, salatini e champagne non mangiavano per almeno due giorni. La seconda, che con uno solo di quei vestiti si sarebbe potuto sfamare l’intero quartiere di Capeside –e che senso di onnipotenza, nella consapevolezza di quella verità-. La terza, che il principale agente di contaminazione della purezza del proprio sangue era l’amore.

Dio, quant’era ridicola quella parola. Amore. A – M – O – R – E. Benchè da sempre dichiarati babbanofili, come suo padre soleva ricordare disgustato, i Weasley si erano compromessi solo con il matrimonio di Ronald ed Hermione Granger.

Un’ unione assolutamente compromettente, che non aveva tenuto in considerazione né la dote di lei né le sue origini poco raccomandabili. Un matrimonio che quei pochi estranei al circolo di Slytherin che il padre le consentiva di frequentare definivano dettato dall’amore.

Posò la spazzola in legno di ciliegio contro la Toilette d’argento, rimirando il proprio riflesso allo specchio, con aria critica. I lunghi capelli nero pece lambivano una figura affusolata, dalla pelle diafana, curatissima in ogni dettaglio. A partire dalle onde che, vezzose, le arricciavano la camicia di un candore immacolato.

Sollevò la stoffa di seta in corrispondenza del bacino, abbassando di qualche centimetro la gonna tanto vaporosa quanto elegante. Arcuò un sopracciglio, osservando le ossa del bacino che sporgevano dalla pelle tesa dell’addome. Era tutto nella norma. Anche quella settimana, il suo peso non aveva subito alcuna variazione.

Riabbassò la camicia, inforcando la scala di marmo appena fuori dalla sua camera e portandosi, aggraziata come d’abitudine, nel salone da pranzo. Il padre, seduto a capotavola, non si limitò che ad arricciare l’angolo del labbro, scorgendola con la coda dell’occhio.

“Bonjour Mon Petite”, sussurrò, quasi scivoloso. Nella voce arrochita dall’annoso vizio del fumo e dal delicato profumo di menta era ancora possibile rintracciare la nota di velenosa mellifluità del Draco Malfoy che fu. Un Draco Malfoy che era stato piegato dal fato e ammorbidito da due figli giunti inaspettatamente.

Il tempo si era rivelato clemente, con lui. I capelli se ne stavano ancora tutti lì, mantenuti in un taglio corto che si addiceva alla sua età e, dalla trama di rughe che si era aperta nel volto, si scorgevano taglienti i suoi occhi grigi. Se solo fosse stato possibile, il suo fascino si era accentuato, piuttosto che ridotto.

Delilah gli offrì un sorriso trattenuto, per poi lasciare che la domestica le offrisse la sedia su cui prender posto. I posti della madre e del fratello erano ancora vacanti, seppure per poco, ma non se ne fece un cruccio. Il privilegio di condividere qualche istante in solitudine con il padre era il solo motivo che la spingeva ad alzarsi dal letto prima del tempo.

Mantenne la schiena rigida, in una posa che le era stata impartita sin da piccina alla scuola di Galateo in cui i genitori l’avevano iscritta, mentre Chantelle le serviva il Thè. Il padre sembrava particolarmente preso dalla lettura di una pagina del suo quotidiano preferito.

Non ci voleva di certo un genio per comprendere il motivo del disgusto che contraeva i suoi muscoli facciali. E, dal canto suo, non poteva che comprenderlo. Per quanto i Potter potessero essere considerati i più puri tra gli impuri, la loro contaminazione era un rospo che con difficoltà si poteva digerire.

Il matrimonio tra suo fratello e la figlia di Potter era un ricevimento al quale avrebbe fatto volentieri a meno di prender parte. E, se conosceva bene suo padre, la pensava tale e quale a lei.

Afferrò la tazza tra le dita, prestando attenzione alla posizione assunta dal mignolo.

“E’ almeno all’altezza del loro cognome?”. La voce le uscì poco più di un soffio.

Draco ripiegò con eleganza il giornale, guardandola per la prima volta negli occhi. Per lei fu un tuffo al cuore. Il numero di occhiate che il padre le riservava era così limitato da non poter essere altrimenti. Ed i sentimenti che si fondevano negli occhi dell’uomo, osservando la ragazza, tanto contrastanti dal risultare intellegibili per chi non fosse a conoscenza del suo trascorso. Amore e ribrezzo si facevano tutt’uno, in quel piombo fuso. L’orgoglio di un uomo tradito si fondeva a quello di un padre che non avrebbe saputo muovere un solo appunto alla figlia. Il passato al futuro, lasciandosi dietro solo le ceneri di un uomo addolorato.

Delilah era croce e delizia, nel suo volto, per lui.

Si trattenne a stento dal mordersi le labbra, leggendo per l’ennesima volta quell’inspiegabile disgusto in Draco. Abbassò lo sguardo sul proprio piattino, concedendosi una cucchiaiata di Porridge.

“Sì. E’ stato all’altezza, se non altro”, confermò, freddo, giusto in tempo per salutare l’ingresso di Astoria.

Astoria Greengrass era quel che si poteva definire il prodotto di una ricchezza improvvisa.

Volgare. Tracotante. Arrogante. Inappropriata.

Erano solo alcuni degli aggettivi che salivano alla mente per poterla definire.

Leziosa. Tediosa. Kitsch. Oppressiva, quelli che Delilah annegò nel tazza in Limoges, prima che potessero strepitare, neonati, in faccia alla madre.

“Oh, tesoro, sarà assolutamente meraviglioso, gioia. Devo assolutamente contattare Penelope, quella sciocca ha delle scarpe raccapriccianti ma sa il fatto suo in materia di confetti”. Una risata argentina spezzò il silenzio ovattato che regnava nella sala da pranzo mentre, gettandosi a capofitto contro la sedia che la Chantelle aveva appena staccato dal tavolo, la donna sollevò la propria vestaglia.

I tacchetti violentarono il marmo bianco del salone, ricordando a Draco e Delilah che se continuava così avrebbero presto dovuto cambiarlo.

“E, beh, è talmente grassa che non potrebbe essere altrimenti. D’altronde, per un lavoro così volgare come la pasticcera non può che avere un aspetto volgare, non trovi Caro?”, chiese, retorica, al marito. Draco decise di sorseggiare diplomaticamente il proprio The.

Delilah versò il capo a lato, sicura che le chiacchiere della madre non erano state dirette al vento. Ben presto, avvolto nel suo pullover d’ordinanza e nei suoi calzoni dal taglio classico, Scorpius Malfoy fece il suo ingresso nell’ala destinata alla prima colazione.

Il fratello era quel che si poteva definire il baluardo della dinastia Malfoy. I capelli lisci e dorati erano acconciati con maestria in una riga a lato che gli conferiva un’aria da Bohemien, elegante e al contempo sbarazzina. Gli occhi color argento ricalcavano, come se l’eleganza di cui madre natura lo aveva provvisto spontaneamente non bastasse, la sua appartenenza alla famiglia Malfoy, in ogni vena di vivace intelletto e di acuta furbizia di cui si costituivano.

Scorpius era il degno erede per una degna famiglia.

E, sebbene la sua razionalità si rifiutasse di accettarlo, si stava per unire per sempre ad un palloncino lentigginoso e con le mani di pastafrolla, capace di far cadere a terra ogni oggetto che si trovasse nel raggio di un chilometro.

Gettò un’occhiata alla propria tazza, dopo averla abbassata. Aveva vita breve, povera porcellana.

Scorpius prese posto a lato della sorella, concedendo un freddo sguardo di cortesia alla domestica quand’ella gli servì il The con un goccio di latte, come d’abitudine.

“Buongiorno Padre”.

Draco gli fece un breve cenno, da dietro la tazza. Oh sì, ci poteva giurare. Anche il padre si stava accomiatando dalla sua tazza il cui destino, come per ogni pezzo di valore in quella casa, era segnato da Miss Pallone Aereostatico Potter.

Di nuovo, un fiotto di bile si mescolò alla teina che ancora gli albergava la bocca. Non voleva crederci. Non poteva, crederci. Scorpius, il suo eroe personale, che si sposava. E a soli ventidue anni. E con una quarantaquattro. Una quarantaquattro che era anche una Potter.

Inconcepibile.

“Dunque? Quali impegni ti attendono, oggi, Figliolo?”. Scorpius abbassò le palpebre, per un istante che parve eterno, forse nell’intento di racimolare la pazienza necessaria per rispondere.

Non amava parlare del suo matrimonio. Delilah lo indovinava dal moto compulsivo della vena che aveva sulla tempia, quando il discorso rispuntava inaspettatamente.

Sebbene, il termine inaspettato non poteva accordarsi a quell’evento. Per un matrimonio previsto a soli dieci giorni di distanza, tutto si poteva usare fuorchè il termine inaspettato, se il discorso prendeva piede a tavola, no?

Scorpius servì al padre un freddo sorrisetto di cortesia, appena più partecipe di quello offerto alla domestica.

“L’azienda, Padre. Lo dovresti sapere meglio di me, che oggi c’è il Brunch con i McAvoy”.

Vogliamo le loro azioni. E vogliamo le loro azioni per accrescere la quota. E vogliamo accrescere la quota per accrescere il nostro potere decisionale nella baracca. E vogliamo accrescere il nostro potere decisionale perché siamo dei figli di Puttana con deliri d’onnipotenza e smaniosi di ricchezza.

Ma questo, Scorpius, si trattenne dal dirlo ad alta voce. Troppo fiato richiesto per un animo di natura pigra. Troppi rischi a cui sottoporre la propria vita per mano del padre.

“Ma non puoi!”. Astoria per poco non sparse la sua saliva addosso al marito. “Non puoi! Non vorrai certo lasciare a Tilly il compito di decidere delle decorazioni?!”. Scorpius non si prese la briga di ricordarle che non era “Tilly” ma “Lily”. Non era affar suo, dopotutto, quanto mai di Lilian. Che, si dava il caso, non era lì ora.

“Quella sciacquetta sceglierà gli addobbi più brutti! Non vedi, come si veste sua madre?!”. Ancora una volta, Scorpius si guardò bene dal metterla a tacere. Aveva la bella abitudine di farsi gli affari propri. E benché si stesse parlando della sua fidanzata, non si stava parlando di lui.

Delilah, per una volta, concordò con Astoria. Se il matrimonio era in mano a quella, c’era da mettersi le mani nei capelli.

Rigirò gli occhi, sollevandosi dal tavolo.

“Se mi volete scusare, devo procedere alla raccolta dei finanziamenti per il dipartimento pediatrico del San Mungo”.

Stronzate. Lo sapeva lei, lo sapeva suo padre, lo sapeva suo fratello e si rifiutava di riconoscerlo la madre. Pura immagine, per convincere il mondo che i tempi in cui i Malfoy erano dei fottutissimi e dannati snob con la mania per teschi e Cruciatus era finita.

Qualche migliaio di galeoni ben speso, in nome dell’opera di persuasione che, ora, li voleva semplicemente dei fottutissimi e dannati Snob.

Inforcò la porta, lasciandosi alle spalle i farfugli dissennati della madre, la cortina di gelido silenzio in cui il padre si rintanava e l’incomprensibile relazione che legava il fratello alla giovane Potter.

Infilò le ballerine ai piedi e, con passo leggero, si serrò nella Toilette del piano inferiore. Ancora uno sguardo allo specchio, prima di stringersi i capelli tra le dita e piegarsi contro il Water.

Fissò con sguardo vacuo la superficie liscia dell’acqua. La mano libera corse a frugare nella gola, mentre la stanza si colmava di gemiti strozzati.

Trascorse qualche istante, prima che l’acqua si macchiasse di una poltiglia dall’indefinito color ambra.

Tese l’orecchio, cogliendo la risata vuota di Astoria, solitaria nel soggiorno.

Un’ultima occhiata alla Toilette, prima di tirare lo sciacquone.

Tutto regolare. Tutto nella norma.

• • •

“Non è regolare! Come posso uscire conciato così?!”. Hermione rigirò gli occhi, gettando un’occhiata esasperata a Ron, da dietro gli occhialini da lettura.

“Ron, non penso che qualcuno dei tuoi ragazzi presterà attenzione al tuo nuovo taglio di capelli”. Scosse ancora la testa, sfilandosi gli occhiali e puntandoli in direzione dell’uomo. “E se mai lo facesse, beh, preoccupatene, perché significa che ti sta puntando. Te lo assicuro”.

Rimarcò quelle parole con un cenno di assenso, cercando di dedicare la sua completa attenzione al trafiletto con cui combatteva da un quarto d’ora buono. Una nipote sposata non era cosa da tutti i giorni e meritava senza ombra di dubbio la massima devozione.

Ronald scese rumorosamente le scale che portavano alla cucina, prendendo a correre da un capo all’altro della stanza, come un boccino impazzito.

“Aha-Aha-Aha. Davvero molto spiritosa”. Hermione sorrise da dietro il giornale, scorgendo la lotta che il marito aveva ingaggiato con il bollitore del caffè. “Non me ne importa un accidente dei miei ragazzi –la cui attività sessuale sono certo è controllata e in buona salute, grazie per l’interessamento, sebbene ti invito ad interessarti maggiormente a quella del loro allenatore- ma del-”

Il fiume in piena che sgorgava dalla sua bocca incontrò un ostacolo nell’arrivo del figlio, Hugo.

“Papà, il caffè non zuccherato, eh?”, si affrettò a specificare il loro figlio minore, lanciandosi sulla sedia vicino a quella della madre e scoccandole un sonoro bacio sulla guancia.

Ron riprese da dove si era interrotto, versando il caffè nella tazza di Hugo e mettendoglielo sotto il naso.

“…fatto che oggi arriva e mi seccherebbe che mi vedesse in condizioni disparate, insomma, sono sempre un uomo distinto, con un distinto lavoro, con una distinta prestanza fisica, con un-”

Il ragazzo afferrò al volo la tazza, soffiandoci sopra vigorosamente. “Sono in ritardo, sono in ritardo, sono in ritardo, sono in ritard-”

“…e quei maledetti cosi, i Paleonani, che vorrei capire perché diavolo non ti smaterializzi se alla fine ne sei capace, insomma, non-”

“Scottascottascottascottascott-”. Hermione ci rinunciò, gettando l’annuncio di Lilian e Scorpius all’angolo del tavolo ed afferrando al volo la bacchetta per raffreddare il caffè del figlio. Quando si trattava di lavoro e di ritardi, Hugo perdeva la testa.

“…e fai correre me, e mi fai stare in ansia che con quei Babbani che che ne sai che non crollino a terra, e poi mi scazzo che devo aspettare tutto quel tempo, e mi chiedo perché diavolo una che ha preso il massimo in tutti i M.A.G.O. si sia voluta andare a sporcare le mani di merda di drago, e mi chiedo che miseriaccia l’abbiamo lasciata a fare con Charlie tutto quel tempo, e poi mi ricordo che è colpa tua e della tua dannata politica di tolleranza che i figli non vanno mai forzati, e mi sovviene che è sempre per questa politica di tolleranza che tuo figlio è finito a Ravenclaw e respira ancora-”

“E poi c’è quel Meeting, Mamma. Quello gran figlio di puttana di un Malfoy tenterà di accaparrare le quote della società e hai presente il culo che lo studio legale mi fa se glielo lascio far-”

Il cigolio della porta pose fine alla momentanea logorrea di Hugo.

“…e non solo non ha voluto neppure imparare a giocare a Quidditch, lui, no!, ha deciso che vuole seguire le orme di mamma, lui, fare l’avvocato, lui, delle cause perse che è pure meglio, lui, e quell’altra che avrebbe potuto farlo lei, l’avvocato, se ne sta dispersa in Romania a giocare a fare lo zio Charlie, lei, e nessuno tiene in considerazione i miei poveri nervi, qui, nessun-”

E a quella abituale di Ronald che, caffè tra le dita, si interruppe per una volta da sé, fissando l’uscio della porta d’entrata.

Spalmata contro la porta, un metro e sessanta di eco-pelle, boots raso terra e zainetto logoro alla spalla lo fissava, gli occhi nocciola ridenti, come d’abitudine.

Ron fece appena in tempo a scorgere il gioco a cui il sole partecipava, con i riflessi dorati dei suoi capelli rossi, quando quell’onda al profumo di vaniglia gli lambì la pelle del collo.

Dopo sei anni di assenza dalle scene, la sua bambina era tornata a casa.

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Ed eccoci di nuovo qui. Ben ritrovati, se avete il dispiacere di rileggermi dopo parecchio. Benvenuti, se siete stati tanto coraggiosi dal giungere fino a qui, a capo pagina. Specifico sin da principio che è una storia che mi ha colto all’improvviso ieri notte ed è in parte ispirata ad un celeberrimo film che suppongo conosciate tutti, “Il padre della sposa”. Per amor del vero, il plot della storia prende spunto da quella vicenda, ma ci tengo a precisare che “The Marriage” si staccherà da quel filone narrativo (e sennò che gusto ci sarebbe, a leggere, no?). Diciamo che mi sono voluta togliere lo sfizio di giocare con la New Generation, dopo averla tanto attesa, come in molti tra voi. Un’altra precisazione a cui tengo è quella che verte sui Pairing e/o sui personaggi. Mi dispiace, ma per me Lily ha i capelli scuri quanto quelli di Harry (e perdonatemi, ma la vedo così) così come Rose ha i capelli rossi di Ron. So che in molti la vedono diversamente, ma al cuor non si comanda, indi per cui scusate e chiudete un occhio. Per quanto concerne i nuovi Pairing…beh, la rete si sbizzarrisce, come al solito. E io tento di tenermi al passo, ecco. Altra precisazione u_u non pensiate mi dimentichi delle vecchie coppiette. Se c’è una cosa che amo è quella di poterci giocare in versione Adult!Ron / Adult!Hermione e quanti altri Adult! volete XDDD

Vi avviso che non sarà in cima alla lista delle mie priorità. Al momento sono impegnata in un progetto che ruba tre quarti del mio tempo e di cui vi parlerò, assieme ad altre cinque persone, a tempo debito se sarete tanto gentili da ascoltarmi/ci. Non aspettatevi aggiornamenti speedy, insomma ^_-

Grazie per il tempo che avete dedicato a questa sciocchezzuola. E se sarete tanto gentili dal lasciarle un commentino…beh, non potrete che far felice una povera autrice in semi-pensione >___<

  
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