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Autore: lamialadradilibri    25/04/2014    2 recensioni
«Ciao, Emma. Sono io, Cara. È da un po’ che non ci sentiamo, perché... Be’, ti potrà sembrare strano, ma ora ti sto scrivendo da un altro mondo. Il Mondo Al Di Là, più precisamente. È ancora tutto un po’ confuso, e... Non ho idea di come tornare indietro. Non c’è nessuno che può aiutarmi, qui. Ricordi Alec Mitchell, l’agente di polizia, il dio greco? Be’, è qui anche lui. Questo è il suo mondo, in realtà.
È iniziato tutto in modo così normale (per quanto sia normale finire in commissariato alla mia età a causa d’una sparatoria...!), ma ora nulla è come prima. Abbiamo litigato, lo so. Ma ti chiedo un’unica, piccola, cosa: Aiutami. Fammi uscire di qui. Qui c'è qualcosa di sbagliato, malsano. L'unica cosa che mi tiene in vita è ciò che provo per Alec Mitchell, che credo sia... Amore, sì. Lo è, anzi. Nonostante ciò... Vivere qui è terribile, mi costringono a combattere ogni giorno. Ad uccidere, Emma. E non so nemmeno il perché. Ho paura! Salvami. Tu puoi farlo.»
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 3.

Vedremo”.

NdA. Questo capitolo è assurdamente lungo, almeno per quanto riguarda i miei standard. Quindi, se avete intenzione di leggerlo, prendetevi un po' di tempo e calma, va bene? Vi piacerà molto, spero; c'è un graduale aumento di tensione finché l'agente Mitchell... A-ah. Meglio star zitta. Leggerete voi, se arrivate fino all'ultima riga. Buona lettura! Mi raccomando recensite in molti!


Restai in quella stanza per un bel po’ di tempo.
Non così tanto da farmi diventare una psicopatica, ma abbastanza da rendermi più nervosa e scontrosa che mai. Per di più ero certa che l’agente Rossi e Alec Mitchell, proprio in quel momento, stessero parlando con mia madre – con mio padre sicuramente no, visto che se n’era andato in Argentina più di due anni fa.
«Che situazione di merda» sussurrai. La voce mi uscì dalle labbra piano, ma sembrò sferzare l’aria e far scendere di qualche grado la temperatura della stanza, tant’era gelata e tagliente.
Non ero certo la tipica cocca di mamma che si preoccupa anche solo se prende un brutto voto, ma non potevo ignorare semplicemente fino all’ultimo momento il fatto che mi avrebbe linciata non appena avesse messo piede nella mia stessa stanza. Era un rischio considerevole, visto che mia madre all’età di venticinque anni aveva preso lezioni di boxe da uno dei maestri migliori della città – ora morto, pace all’anima sua. Avrebbe potuto tagliarmi a metà come un pezzo di burro!
Il cellulare vibrò nella tasca anteriore dei jeans. Non me l’avevano requisito, e non sapevo se l’avrebbero fatto. Certamente dovevano averne l’autorità.
Fortunatamente avevo già cancellato tutti i messaggi che mi aveva inviato Gabriele, essendo una persona molto previdente e pessimista, così almeno quel problema non mi si poneva.
Accesi lo schermo: Emma mi aveva inviato un messaggio. In rubrica l’avevo salvata come “Migliore amica pazza <3” quindi forse, semmai mi avessero preso il telefonino, non l’avrebbero riconosciuta. Potevo permettermi di scriverle.
 
Mi spieghi?
 
Be’.
Normalmente le avrei detto di sì e le avrei spiegato tutto subito. Ma ora? Non ero così sciocca da scavarmi da sola la fossa.
Così, seppur riluttante, risposi solo con poche righe e senza fare riferimento né a Gabriele né a ciò che avevo fatto.
 
Sono in commissariato. Penso ci sia stato un malinteso... Credo che uscirò al più presto. Vedi se puoi venirmi a trovare?
(PS: se mia madre mi ammazza, voglio una bara bianca. Grazie mille.)
 
La risposta non tardò ad arrivare – non passò neanche un secondo, ed il telefono stava già vibrando -, ma non potei leggerla perché tre persone entrarono nella mia stanza. Infilai il cellulare in tasca, mentre l’atmosfera diveniva tesissima.
«Cara.»
«Mamma.»
Mia madre non sembrava poi così tanto una mamma. Aveva ancora indosso la sua divisa da lavoro – gonna a tubino scura, camicia vaporosa bianca e girocollo di perle chiare –, e sembrava più che altro una diva di Broadway. Chissà, magari lei ed Alec Mitchell, in un futuro prossimo, avrebbero potuto girare un film assieme.  Il giudice e il poliziotto, un nuovo film poliziesco che vi emozionerà. Da maggio in tutte le sale!
Anche mamma, vestita così, incuteva un po’ di timore, proprio come gli agenti. Sicuramente il più spaventoso – e stupendo – era l’agente Mitchell, comunque; era di nuovo seduto davanti a me e mi fissava con un’espressione a dir poco adirata. Ma c’era dell’altro che non riuscivo a comprendere. Cosa gli passava per la testa?
Quando mi accorsi che lo stavo fissando, spostai lo sguardo su un volto più tranquillizzante: quello dell’agente Rossi. Lui però non osò guardarmi e, anzi, cominciò a parlare con mia madre – lei era ancora in piedi a pochi passi dalla porta, con le braccia incrociate ed un’espressione d’odio superbo. L’odio diventa superbo, se è mia madre a provarlo. Ed è micidiale.
«Signora Elizabeth...» cominciò l’agente Rossi. Aveva un’aria da cucciolo bastonato, adesso, e non osò guardarla negli occhi. A quanto pare, quella donna non spaventava solo me.
«Signorina.» puntualizzò mamma. Io ero l’unica, lì dentro, a sapere che l’aveva fatto non perché era pignola, ma perché stava soltanto prendendo tempo e allontanando il momento nel quale le avrebbero posto la domanda. Era un vizio che s’era presa al lavoro e non aveva più perso.
«Oh... D’accordo... Ad ogni modo, sua figlia è accusata dal mio compagno – l’agente Mitchell – d’uso d’arma da fuoco contro un’autorità. E non solo: è pure scappata da un agente, gli ha mancato di rispetto...»
Mancato di rispetto?!
Lanciai un’occhiata d’odio superbo all’agente Mitchell. D’accordo, avrei potuto risparmiarmi la battuta sull’uscire assieme, ma lui era davvero così pignolo? Pazzesco.
«Ed inoltre vorremmo sapere cosa conteneva la borsetta di sua figlia, mercoledì scorso.»
Oh. Ottima proposta. Chi sarebbe andato a recuperarla in mare – o comunque dove altro sfociava quel torrente?
Quasi dissi qualcosa di sarcastico a riguardo, ma mia madre mi anticipò: «Avrei delle perplessità. Sappiate che non la difenderò in maniera differente perché è mia figlia, ma pretendo di poterle parlare da sola – in quanto sua madre, d'altronde –, tra un po’.»
L’agente Rossi annuì, quasi rapito dalle parole di mia madre. Chissà, magari era un suo fan. «D’accordo. E’ comprensibile, d’altronde. Ma certo. Perplessità riguardo a...?»
«Un po’ di cose» rivelò mia madre, con sguardo enigmatico.
«Prego, sieda!» sbottò Alec Mitchell, sbattendo con forza il palmo della mano sul tavolo della stanza. Un rimbombo risuonò nell’aria e rimbalzò nelle parenti e, quando fu calato il silenzio, mia madre andò a sedersi accanto all’agente Mitchell. L’agente Rossi si accomodò accanto a me e mi lanciò un’occhiata truce.
«Mi spieghi le sue perplessità.» Cominciò l’agente Mitchell, guardando la sua mano, arrossata per il colpo.
«Alec.» lo riprese mia madre. L’aveva chiamato Alec. Quella cosa fu così imbarazzante e fuori luogo, che per un po’ nessuno parlò; mamma, però, non sembrava affatto in imbarazzo e, anzi, scrollò le spalle con dispiacere. «Qualsiasi cosa è successa... Farò in modo che te la dimentichi.»
Cos’era quell’intimità? Perché mia madre gli parlava come se lo conoscesse da una vita? D’accordo, poteva averlo intravisto un po’ di volte al lavoro, ma cos’era questo? Questo comportamento era assurdo, non riuscivo a comprenderlo.
«Hai già infranto una promessa, Anna, non farne altre.» bisbigliò Alec Mitchell – o semplicemente Alec –,  nascondendo il volto tra le mani. La sua frase mi disorientò ancora di più, lasciandomi perplessa. Decisamente, quei due non s’erano visti solo al lavoro.
Cominciai ad avere seri dubbi – dubbi superbi – su mia madre. E non m’era mai capitato. Per me era sempre stata l’eroina, la Donna, la Super Mother e così via.
Ma ora?
Non che io fossi la figlia modello, ovviamente.
In ogni caso, mamma non ribatté a quell’affermazione così poco chiara.
Fu l’agente Mitchell a riprendere parola, sempre nascondendo il volto tra le mani. «Allora... Su cos’hai dubbi?»
«Tutto».
L’agente Rossi s’intromise. «Tutto? Tutto cosa? La prego d’essere più chiara, signora... Signorina...»
Mamma gli lanciò un’occhiata di fuoco. «Se mi lascia finire, agente Rossi, sarò più chiara. Ora, posso andare avanti?»
L’agente Rossi incassò la testa tra le spalle e mormorò qualcosa come «sì» e «scusi».
«Il mio dubbio maggiore è che stiate sbagliando ragazza. Ma!» sbottò, prima che l’agente Rossi potesse interromperla ancora «è una supposizione, la mia. Stia buono, agente, sant’Iddio!».
Alec Mitchell tornò a mostrare il suo volto ed i suoi stupendi occhi a tutti noi. «Forse dovresti solo parlarle. E vedere che è cambiata. Cattive compagnie, magari? Droga, alcol? Si comportava strana ultimamente? E tutto ciò è sfociato in un atto di rabbia repressa a danno di un’autorità, ricordo a tutti voi».
Non riuscii più a sopportarlo. Primo, aveva già trovato il tasto dolente. Alcol, cattive compagnie. Alla fine non è sempre quello a distruggere un adolescente? Se poi ci si mette di mezzo la droga, è finita. E per Gabriele era così: finita. Per di più, da mezz’ora tutti parlavano di me come se non esistessi.
Ed ora Alec Mitchell mi accusava d’averlo colpito così, per scherzo! Per sfogare la rabbia!
La mia rabbia – vera rabbia, rabbia superba – uscì fuori in un fiume di alate parole che ferirono il diretto interessato: «Rabbia repressa? La mia era paura!» urlai, senza rendermi conto che, così facendo, avevo confermato a tutti d’essere stata io ad aver colpito il biondo, il dio greco. «Non sono una stupida bambina che spara per divertirsi o perché è sbandata! Io, io...»
«Magari sei davvero sbandata» ribatté prontamente l’agente Mitchell, con voce lievemente alterata, «E perché avevi paura? Dimmi la verità, ragazzina: cosa c’era nella borsa?»
Boccheggiai.
Mamma osservò la mia reazione senza averne di sue. Alzò soltanto un sopracciglio e, con voce calma, m’invitò a parlare. «Digli cosa c’era. O non c’era. Agenti, dovete sapere che l’adolescenza è un’età difficile. Si è un po’ strani, mettiamola così. Mia figlia si  sarà spaventata. Qualsiasi altro ragazzo della sua età avrebbe reagito così! Ciò ovviamente non la scusa, sia chiaro. E non è sbandata.» Mi difese come se fosse in tribunale, aggiungendo l'ultima frase dopo un secondo d'esitazione.
Credeva che fossi sbandata? Be', io ero certa al cento per cento di non esserlo. Avevo agito così solo per quel bastardo di Gabriele, nient'altro. Non avevo problemi in testa, dannazione!
«Se è soltanto così» intervenne ancora Alec Mitchell. Probabilmente era un uomo – bellissimo! – che doveva sempre dire la sua ed avere l’ultima parola. Sì, doveva essere così. Ma anche mamma era una persona del genere e, sinceramente, non avevo idea di chi avrebbe messo punto e a capo a questa conversazione così aliena. «non sarà così difficile dire ciò che c’era nella borsa».
E tradire un amico.
Un amico caro, con cui ne ho passate tante.
Lo tradirò?
Mi schiarii la gola.
«Vorrei poter parlare un po’ con mia madre » annunciai, fingendo d’essere docile e spaventata. «E’ tutto così strano.»
L’agente Rossi ci cascò con tutt’e due le scarpe. Ma l’agente Mitchell no. Mi scrutò con quei suoi occhi celesti per un po’, poi s’alzò ed uscì dalla stanza. L’altro poliziotto lo imitò.
 
Mamma m’impedì di parlare. Mi zittì subito. «Rispondi solo sì oppure no.»
Annuii. Avevo il cuore in gola e le mani sudate. Per di più, il mio telefono stava squillando in tasca da mezz’ora. Chissà quanti SMS mi aveva mandato Emma?
«Hai sparato?»
Inutile mentire. «Sì».
Mamma sospirò pesantemente, nonostante dovesse aver già più o meno capito cos’era successo quel mercoledì. Dovevo averla delusa più che mai, soprattutto perché lei sembrava adorare Alec Mitchell. Chissà come si sentiva, ora. Divisa a metà tra il dover scegliere me, sua figlia, oppure l'agente... Ed Alec Mitchell cos'era, poi? Non ero così sicura di volerlo sapere.
«D’accordo» mormorò, massaggiandosi le tempie. Io mi sentii un’idiota, un’inadatta, una sciocca. Una sbandata.
«Per questo ‘sta mattina eri così agitata, è vero?», domandò senza guardarmi.
«Sì.» Non riuscii a fermare le parole. Dovevo sfogarmi dicendo la verità a qualcuno e quella era mia madre... Quindi, perché non dirle ciò che provavo? Era la cosa più naturale e giusta. «Mamma, dio mio! Credevo d’ averlo ucciso e tutto questo perché... Per...»
Lei alzò un sopracciglio, scocciata. «Non fai mai come ti dico.» Ringhiò quasi, a voce bassissima. Quasi non la udii.
Un secondo dopo l’agente Mitchell entrò nella stanza, zoppicando. «Continua»
 mi esortò, guardandomi dritta negli occhi.
Cazzo. Aveva sentito tutto, ovviamente. Ed ero un’idiota, ovviamente.
Lo guardai negli occhi . «Per un amico».
È il momento di tradire il traditore.
 
Tempo mezz’ora e avevo detto tutto all’agente Mitchell. Alla fine lui mi guardò senz’alcuna emozione e volle parlare solo con mia madre e l'agente Rossi. Quando uscirono, io mi alzai e camminai un po’ per la stanza, stiracchiandomi. Ero stata seduta così a lungo che camminare mi sembrò un’azione strana.
Presi il mio cellulare e aprii lo schermo.
7 messaggi non letti. Be’, pensavo peggio.
 
Cara. Sei in commissariato? È un ERRORE? Oddio, dimmi che è un errore.
 
Cara. Rispondimi. Chi tace acconsente, quindi... è un errore ? Dimmi di sì. Scrivimi..
 
Ops. Forse non puoi scrivere. Ma dài, ti basta solo un SMS breve. Solo un ‘sì’.
 
Perché è un sì, no?
 
Comincio a pensare che dovrò chiamare l’agenzia funebre. La bara la volevi bianca, giusto?
 
Rispondimi.
 
Non era un errore.
 
Quando lessi l’ultimo messaggio il cuore mi balzò nel petto. Mi affrettai a digitare come una forsennata, fregandomene del fatto che qualcuno sarebbe potuto entrare da un momento all’altro.
 
Come lo sai? Non potrò parlare a lungo. Non giudicarmi.
 
Nessuna risposta. Emma s’era volatilizzata.
Ed un’altra volta eccomi lì, sola.
Il mio stomaco brontolò. Ero comunque umana e, dopo diverse ore passate senz’acqua né cibo, stavo iniziando a sentire i miei bisogni. Per di più, avevo un terribile bisogno d’andare in bagno – non appena ne avessi visto uno, mi ci sarei buttata a capofitto, senza curarmi di mantenere contegno.
«Agente Rossi?» chiesi ad alta voce, rivolta al nulla. Niente, nessuna risposta. Chissà se c’era qualcuno di là, qualcuno che mi stava osservando? «Mamma?» riprovai, con voce più esitante. Ero davvero sola, allora. Non c’era niente e nessuno lì... Mi avrebbero lasciata morire di fame, di sete e di stenti? Questa era la punizione?
«C’è qualcuno?» chiesi ancora, mettendomi a sedere. Niente. Il rumore del silenzio sembrò assordarmi. «Agente...» la mia voce morì in gola. Chiamare l’agente Mitchell sarebbe stato un errore, poco ma sicuro.
«Cosa diavolo ti serve, ora?»
Sobbalzai. Alec Mitchell mi aveva risposto, alla fine. E la sua voce era seducente, suadente, sembrava avvolgermi in un caldo abbraccio. I miei muscoli s’irrigidirono di scatto e dolorosamente per la sorpresa. Mi sfuggì un gemito.
«Stai bene?...» domandò sempre la sua voce, piuttosto riluttante.
L’agente Rossi mi aveva detto che Alec Mitchell si sarebbe comportato freddamente, se non con malvagità, nei miei riguardi. In realtà era soltanto stato un po’ stronzo – probabilmente era solo il suo carattere –, ma niente di più. Ora si stava pure preoccupando per me, o così pareva.
Probabilmente era frutto della mia fervida immaginazione.
Ero così dannatamente confusa da tutto! Non c’era un punto fermo al quale fare appello – neppure mia madre era più d’aiuto!
«Sì... No. Potrei uscire? Ho fame, sete e...»
«D’accordo» tagliò  corto, con voce fredda. «T’accompagno».
 
«Non ce n’è bisogno... Può andare, se ha da fare».
«Ho da fare te» mi zittì senz’alcuna emozione l’agente Mitchell, appoggiato alla macchinetta delle bevande con una spalla. Io ero lì davanti a lui a scegliere cos’avrei mangiato, con due spiccioli in mano, ma in realtà l’idea d’abbuffarmi davanti all’uomo al quale avevo sparato non m’ispirava poi granché fiducia.
«Bene.» Esclamai con un po’ troppa forza, per poi gettare le mie monete all’interno della macchina, premendo il tasto «83». Un delizioso pacchetto di patatine fritte, probabilmente risalente all’epoca di Alessandro Magno. Quando uscì dal distributore con un leggero tonfo, mi piegai per raccoglierlo; nell’alzarmi notai che l’agente Mitchell mi stava fissando con quei suoi grandi occhi azzurri, senza nemmeno tentare di nasconderlo. Dire che il suo sguardo era penetrante e magnetico, in quel momento, sarebbe stato un eufemismo.
Con tutto il coraggio del quale disponevo, aprii il pacchetto e glielo avvicinai. «Ne vuole un po’?».
Lui accennò un sorriso falso e di circostanza. «No.» Grazie?
Ignorando la sua maleducazione, mi portai una patatina in bocca. Il sapore del sale per un momento mi zittì – adoravo il sapore del sale. Così... salato!
Fu lui a parlare, anche se probabilmente io avrei potuto porgli molte più domande – per esempio: Perché e come diavolo conosce mia madre? Cos’è la storia della promessa? Siete amanti, eh? Ci scommetto una mano! Ovviamente non gliene avrei posta nessuna. Già con la mia battutina patetica mi ero guadagnata un’accusa in più, perché aggravare ulteriormente la mia posizione?
«Perché mi hai sparato?» domandò, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi. Il suo sguardo non era cambiato, anzi, e per sostenerlo dovetti sforzarmi molto. Alla fine vi rinunciai, limitandomi ad osservare il mio pacchetto di patatine pressoché intatto. «Voglio dire, se è vero che avevi con te della droga che non era tua, perché non me l’hai detto?», precisò, prima che potessi dargli la mia risposta standard sulla paura.
«Oh.» Il mio sguardo s’incupì. Già, perché non avevo tradito Gabriele prima? Non era stato poi così difficile farlo, oggi – anzi, subito dopo aver detto le fatidiche paroline, m’ero sentita libera. «Penso che...» D’un tratto le mattonelle del pavimento si fecero molto interessanti. «Penso che credessi ancora in Gabriele, o qualcosa di simile. È ovvio che mi sbagliavo.»
Alec Mitchell non rispose subito. Sentivo i suoi occhi su di me, e cominciai a muovermi irrequieta sul posto. Questo colloquio stava prendendo una brutta piega, davvero.
«Cosa credevi, esattamente?» domandò infine, con voce satura di curiosità. Ma non sembrava comprendermi. D'altronde gli avevo sparato, non mi avrebbe mai perdonata e sicuramente non l’avrebbe fatto per una sciocchezza simile.
E poi... Sembrava starsi trattenendo dal dire qualcos'altro. C'era dell'altro che non voleva farmi sapere - almeno, non ora.
Scrollai le spalle, osando guardarlo negli occhi per un secondo. Riabbassai lo sguardo, intimorita dal suo. Dovevo sembrargli un’adolescente patetica... E lo ero.
«Credevo nell’amicizia tra me e Gabriele.»
La calma era durata abbastanza. La quiete prima della tempesta è destinata a morire, prima o poi.
L’agente Mitchell batté un poderoso pugno contro il distributore, la cui luce si spense con uno sfarfallio sinistro.
Sobbalzai involontariamente e il sacchetto di patatine mi volò di mano. 
Non provai neppure a raccoglierlo.
Alzai lo sguardo, preoccupata. Ed ora, cos’avevo detto? Mi ero soltanto aperta un po’ con lui!
«E così al giorno d’oggi per un’insulsa amicizia si può anche sparare, vero?! Hai almeno la minima idea di ciò che ho passato?! Sai che avresti potuto uccidermi là, no? E che sarei potuto morire dissanguato? Ti è passato almeno per la mente? Ah no, giusto! Tu eri troppo occupata a gettar via la tua cazzo di borsetta, per coprire il culo al tuo amico drogato! Sentimi, stupida ragazzina..» La sua voce era impregnata da una rabbia ed un odio che aveva represso così bene per troppo tempo. Non c'era modo di placarlo e scusarmi lo avrebbe fatto solo innervosire di più. Anche se fin dal principio avrei voluto farlo, scusarmi con lui.
S’avvicinò d’un passo. Io non osai nuovamente guardarlo negli occhi e, con il cuore a mille, posai lo sguardo sul suo collo muscoloso.
«Farò il possibile per farti soffrire, lo giuro.»
«Io...»
Dannazione!
Non potevo farmela addosso per così poco! Un uomo mi minacciava ed io che facevo? Me ne stavo lì zitta a sentirmele? Oh no, col cazzo!
Io non ero così! non ero certo attaccabrighe, ma non ero sottomessa!
Alzai il volto, guardandolo dritto nelle palle degli occhi. «
Ottimo, s’impegni pure. E sappia che sbagliare è umano e che, se avesse almeno un po’ di capacità di comprensione, sarebbe stato perlomeno ad ascoltare ciò che avevo da dirle! Ma sa che c’è? Può provare a farmi soffrire quanto vuole, non ci riuscirà!»
Lo sbalordimento sostituì l’ira. Per poco. «Vedremo» sussurrò malignamente Alec Mitchell, chinandosi su di me. Per qualche secondo, l’unica cosa che vidi furono le sue iridi azzurre. Senz’anima. Non arretrai.
«Vedremo» ripetei anch’io, con sguardo sfrontato.
In realtà avrei soltanto voluto chiedergli scusa.
E poi lui aveva già cominciato a farmi soffrire.
In un certo senso, aveva già vinto. Ma, pensai mentre lui se ne stava andando velocemente, lasciandomi sola, avrei potuto nascondergli i miei sentimenti, così come lui faceva con me. L’agente Mitchell non si sarebbe nemmeno accorto d’averla avuta vinta.


 
  
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