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Autore: Ignis_eye    26/04/2014    3 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte di metà giugno, Elsa non ne voleva proprio sapere di dormire. Si rotolava nel letto per trovare la posizione ideale, ma pur avendole provate tutte, non riusciva a prender sonno.
C’era caldo, è vero, ma quelli come lei non fanno troppo caso alla temperatura.
Guardò l’ora sulla sveglia digitale: era l’una di notte.
“È tardi, ormai. Forse, se facessi un giretto, mi verrebbe un po’ di sonno” pensò la ragazza.
Così si alzò dal morbido materasso, s’infilò un paio di pantaloncini, una t-shirt bianca e aprì la finestra di camera sua.
 Anche se il buio era rischiarato solo dalla pallida luce della luna, lei vedeva tutto molto bene: gli uccelli assopiti tra le fronde dell’albero davanti alla finestra, i giornali svolazzanti abbandonati sui marciapiedi, i topi nei bidoni della spazzatura della casa di fronte… tutto, praticamente.
Per carità, certi particolari non li vedeva, ma i suoi poteri non erano ancora completamente sviluppati e lei doveva ancora finire di crescere. Alla completa maturazione mancavano ancora tre o quattro anni, e per raffinare i suoi poteri le ci sarebbero voluti ancora due decenni, ma lei era una diciassettenne promettente e non avrebbe avuto nessuna difficoltà a superare gli standard. Senza contare il fatto che il suo maestro era il migliore della zona.
Saltò sul ramo più vicino e scese silenziosamente. Per strada non c’era nessuno.
Si incamminò lentamente verso il bosco che confinava con la sua città, capendo il perché della sua insonnia: la luna piena.
“Appena ho guardato fuori non ci ho nemmeno fatto caso, mi ero dimenticata che ci sarebbe stato il plenilunio. Meglio per me”.
La sua casa distava mezzo chilometro dal bosco, quindi lo raggiunse in fretta, anche senza usare la sua velocità sovrumana. Per sicurezza, si addentrò ancora un centinaio di metri nella boscaglia prima di mettersi a correre.

 


 Correva velocemente, saltando i tronchi caduti e le rocce che la ostacolavano; i suoi capelli ricci e castani volavano liberi nell’aria per poi ricaderle sparpagliati sul viso quando rallentava o atterrava dopo un lungo salto.
Quanto le piaceva la libertà, la faceva sentire viva, la rendeva sé stessa.
Quando arrivò a una radura, si fermò. I suoi occhi bruni ammiravano la luna piena in tutto il suo magnifico e magico potere.
Pensò a quanto era fortunata: i lupi mannari dovevano aspettare il plenilunio per trasformarsi nella loro forma più brutale, ma lei no. Lei era un licantropo e poteva dare luogo alla metamorfosi ogni volta che voleva. Era una differenza sostanziale tra le loro due razze, una diversità che a volte li metteva in conflitto.
“Adesso basta pensare ai nostri problemi, non questa notte”.
Sentì un calore intenso diffondersi prima dalla testa, dallo stomaco e dal cuore, poi verso tutto il resto del corpo, braccia e gambe.
Le sue ossa si spostarono e deformarono, tutto il suo corpo si ingrandì. Sentiva la muscolatura aumentare, i denti allungarsi, i sensi farsi ancora più acuti, il suo corpo ricoprirsi di calda pelliccia.
In meno di un secondo, si ritrovò trasformata in un lupo grande quasi quanto un cavallo.
Doveva liberare l’energia rimasta dentro di lei, doveva… doveva urlare!
«Auuu! Auuu!». Ululò.
I suoi ringhi squarciarono l’aria e i suoi ruggiti, simili più a quelli di un leone che a quelli di un lupo, fecero scappare tutti gli animali che si trovavano vicino alla radura.
Dopo questo sfogo si calmò e si sdraiò sull’erba. Era ancora giovane, perciò dopo la metamorfosi le riusciva difficile non ululare.
La luna la illuminava in tutta la sua bestiale maestosità: una lupa di grandi dimensioni con la pelliccia marrone scuro, quasi nera, due occhi attenti e profondi, fisico perfetto, artigli taglienti e bianchissimi denti affilati.
Ora che si era trasformata, l’effetto della luce lunare era ancora più forte: sentiva che si depositava lentamente sul suo pelo come se fosse stata di nebbia, entrando nel suo corpo e donandole un’energia nuova, diversa, particolare, che poteva essere usata in tanti modi diversi.
Perché è anche questo che distingue lupi mannari e licantropi: la capacità di guidare e servirsi dell’energia della luna.
I primi vengono trasformati e quasi perdono coscienza di sé, vengono rapiti da un’aggressività incontrollabile; i secondi possono ricorrere a questo particolare mana per diventare più forti, violenti, rabbiosi, oppure per calmarsi, meditare, riposare o per percepire meglio l’aura degli altri.
Insomma, lei, come tutti i suoi simili, poteva gestire quell’enorme potere per gli scopi più svariati.
Si alzò sulle quattro zampe possenti, attraversò la radura e rientrò nel bosco, attraversandolo a una velocità spaventosa. Gli alberi le sfrecciavano accanto: a un umano sarebbero sembrati solo macchie sfocate, ma lei li vedeva perfettamente, come tutto quello che la circondava.
Faceva balzi enormi, atterrando elegantemente sulle zampe e mantenendo l’equilibrio con la coda.
La poca luce che filtrava tra le chiome degli alberi s’insinuava sotto il pelo e la pelle, finendo nel suo sangue e propagandosi in tutto il corpo, donandole quasi una sensazione di onnipotenza.
Corse per qualche chilometro, finché non fu allertata da degli strani versi, versi che non appartengono alle creature non magiche.
Si bloccò di colpo e rizzò le orecchie per ascoltare meglio. Sentì ancora quei rumori. Erano lontani, ma le pareva di riconoscerli…
“Cazzo, è un lupo mannaro! Cosa ci fa qui? Loro non dovrebbero stare in queste zone!” pensò allarmata.
Per limitare i conflitti tra le due razze, i quarantotto anziani della tribù Italicum avevano creato delle zone sicure, luoghi frequentabili solo dai licantropi. Se un mannaro si fosse trasformato in uno di questi siti, avrebbe provocato solo guai, e per chi trasgrediva le regole, c’era la morte.
“Dovrei avvertire gli anziani, ma io non dovrei nemmeno essere qui!” .
Stava per ritornare a casa, quando un grido d’aiuto la allarmò di nuovo. Era chiaramente un urlo femminile.
“Che cosa ci fa una donna a quest’ora in mezzo al bosco?! Cavolo, che situazione… non posso lasciarla nelle grinfie di uno di quei mostri!”.
Ecco un’altra differenza tra le due razze: il senso dell’onore, dell’orgoglio, della morale e di tutti gli altri sentimenti nobili che non di rado ti cacciano nei guai; i licantropi sono campioni in cavalleria, mentre gli altri sono solo dei farabutti.
Invece che procedere a balzi come prima, preferì avanzare di corsa nella foresta buia, ma più silenziosamente. In neanche un minuto le grida la portarono a destinazione, e quello che vide non le piacque neanche un po’: un lupo mannaro aveva braccato una povera ragazza ed era questione di secondi prima che le saltasse addosso per ucciderla.
“Certo che sono proprio brutti” pensò. Tutti quelli come lui,infatti, si trasformano in esseri metà lupo e metà uomo: sono alti quasi tre metri, camminano su due zampe lupesche, hanno il muso peloso e schiacciato, pelle dura come il cuoio e ciuffi di pelo ispido su tutto il resto del corpo, coda spelacchiata, mani grosse con lunghe unghie nere, occhi rossi e una bocca bavosa dai denti aguzzi e storti. Degli esseri repellenti, in poche parole. I mannari possono mutare la propria forma anche quando la luna piena non c’è, ma solo di notte, e sono forti un quarto rispetto alla trasformazione con il plenilunio.
Elsa, quatta quatta, si avvicinò ulteriormente lungo una serie di cespugli e massi, pronta a saltar fuori al momento giusto.
“Deve essere un mannaro giovane o appena trasformato, si vede da come si muove. Posso farcela senza troppi problemi”.
Il  mostro si avventò sulla ragazza con un salto, ma quando era ancora in aria, Elsa gli balzò addosso facendolo cadere rovinosamente per terra qualche metro più in là.
Si mise tra il mannaro e la giovane, dando le spalle a quest’ultima. Ringhiò e abbassò la testa, pronta ad attaccare di nuovo.
«Quella ragazza è mia!» urlò la bestia «Non ti devi intromettere!».
«Lei non ti appartiene! Lasciala stare e vattene, altrimenti dovrai vedertela con me!».
«E allora preparati a morire, nessuno può rubarmi la preda!».
Lui l’attaccò tentando di morderla alla gola, ma lei fu più veloce, spostandosi a destra e saltandogli sulla schiena. Si rialzò velocemente pronto a reagire, ma Elsa lo addentò ad una gamba, sbattendolo contro un albero e spezzandogliela con un sonoro schiocco.
«Maledetta!» urlò rialzandosi sulla gamba sana «Questa me la paghi!». E così i due si azzuffarono per qualche minuto, guaendo ogni tanto per il dolore dei morsi e dei graffi, fino a quando Elsa non gli sfregiò la faccia con una zampata, accecandolo ad un occhio.
Il mostro ululò di dolore e si coprì il viso con entrambe le mani.
«Ahhhh! Che tu sia dannata!».
Elsa abbaiò così forte da zittirlo.
«Taci, bestia schifosa! Vattene dal mio territorio, altrimenti ti ucciderò e porterò la tua testa agli anziani del mio clan!».
Il lupo mannaro, gravemente ferito, scappò nel fitto della foresta, non senza qualche minaccia di vendetta.
Elsa perdeva sangue da alcune ferite superficiali, aveva preso delle belle botte e in bocca sentiva ancora il sapore del sangue del nemico, ma il dolore per lei era facilmente sopportabile, quindi decise di pensare prima alla sfortunata ragazza.
La vide rannicchiata ai piedi di un albero: era spaventata, tremava e respirava affannosamente.
Le si avvicinò lentamente, zoppicando impercettibilmente.
Contrariamente a quanto si aspettasse, le giovane non scappò, anzi, si mise in piedi sulle gambe tremanti e fece un passo verso di lei.
Adesso erano a un metro di distanza e si guardavano dritte negli occhi: la lupa era così grande che la sua testa arrivava alla stessa altezza di quella della ragazza in piedi di fronte a lei.
“Perché non scappa?! Che sia... no, che io sappia non ci sono creature del genere nei dintorni. Tuttavia non ci sono altre spiegazioni”.
«Sei una maga cercatrice, vero?» le chiese. La sua voce era profonda, rauca, completamente diversa da quella che aveva in forma umana.
«S-sì. E tu se un licantropo, giusto?».
«Licantropo femmina» specificò Elsa. Chi non apparteneva alla sua specie difficilmente riconosceva il loro genere.
Si fissarono immobili per qualche istante. La sconosciuta era una ragazza minuta che, una volta ritrasformata, le sarebbe arrivata al naso. Forse non era così bassa, era abbastanza nella norma per quelli come lei, così come il metro e settantacinque di Elsa era nei giusti canoni di una ragazza-lupo.
I capelli erano lunghi fino alle scapole e un ciuffo ribelle le cadeva morbidamente sul viso. Erano castano chiaro e liscissimi, scalati e più corti attorno al viso.
Gli occhi erano due smeraldi incastonati sul suo viso bellissimo e senza l’ombra di imperfezioni.
Elsa non poté fare a meno di restare un attimo imbambolata. Praticamente la ragazza era il suo esatto opposto: alta e androgina, ricci ribelli, pelle un po’ pallida, viso dai tratti affilati con uno sguardo serio e duro.
Stava per perdersi in altri pensieri, quando la giovane ridestò la sua attenzione:
«Grazie per avermi salvata, sono in debito con te» disse in un sussurro.
«Di nulla. Questo è il territorio del mio clan ed è mio dovere difendere le creature magiche minacciate dai lupi mannari e dagli altri demoni» rispose Elsa con onore.
«Posso…posso sapere come ti chiami?» domandò titubante.
«Sono Elsa Desdemoni, della tribù Italicum» rispose gonfiando il petto di orgoglio. Amava la sua famiglia, andava fiera di farne parte.
«Capisco, quindi fai parte di una stirpe guerriera. Prima di trasferirmi qui ne avevo sentito parlare, è abbastanza conosciuta al nord. Io invece mi chiamo Sefora Scida». Parlava piano, forse aveva paura così Elsa decise di riprendere la sua forma umana per non turbarla. Il suo muso ritornò una faccia umana, le sue zampe divennero mani e la coda scomparve completamente.
Adesso l’altra sembrava più tranquilla, non doveva aver visto molti lupi giganti nella sua vita.
«Dove vivi?» chiese Elsa «Ti riaccompagno a casa».
«Non ce n’è bisogno, ti ho disturbata già abbastanza, posso tornare da sola» tentò di spiegare «non abito molto lontano, solo una decina di kilometri».
«Per una cercatrice non sono molti, ma il lupo mannaro potrebbe portare a termine quello che ha cominciato, è meglio che io ti accompagni. Non puoi rifiutare» disse Elsa sporgendosi un po’ verso di lei «perché avrai sicuramente sentito parlare della testardaggine della mia gente e sai che ti scorterei anche se tu non fossi d’accordo» finì di spiegare sorridendo.
«Allora mi toccherà accettare per forza».

 

 
Camminarono di buon passo nel bosco fino a raggiungere un ruscello dove Elsa volle pulirsi le ferite. Erano superficiali e stavano già rimarginandosi, ma la saliva dei mannari è leggermente tossica e rallenta la guarigione.
Si lavò la faccia e tutti i graffi, ma una ferita piuttosto profonda sul braccio sinistro la stava mettendo in difficoltà.
Sefora  le prese dolcemente la mano, la tirò verso di sé per stendere l’arto e con un fazzoletto ripulì delicatamente il taglio sanguinante.
Elsa aveva dapprima irrigidito il braccio e stretto il pugno in una mossa istintiva, ma pian piano, mentre l’altra le tamponava lo squarcio che percorreva tutto l’avambraccio, si era lasciata andare e attendeva pazientemente  che finisse.
«Grazie, Sefora».
La cercatrice non ci aveva fatto caso nel buio del fitto bosco, ma adesso, sulla riva illuminata dalla luna, aveva notato che Elsa aveva dei canini insolitamente lunghi per una persona normale.
«Non c’è di che, è il minimo che potessi  fare. Senti…come mai hai i denti così lunghi?» domandò ingenuamente.
«Ahahah! Perché sono una ragazza-lupo, ovviamente!» disse Elsa. Dischiuse le labbra e sorrise mostrandole tutta la sua dentatura perfetta.
«Noi li abbiamo tutti così. A scuola ho raccontato che è una malattia genetica e boiate simili, così nessuno fa troppe domande o va a indagare dove non dovrebbe. È una scusa credibile perché esiste davvero una malattia del genere e i miei canini, al contrario di quelli dei vampiri, non sono troppo lunghi».
Sefora si sentiva un po’ in imbarazzo, non voleva sembrare un’impicciona.
«Scusa se te l’ho chiesto, ma non avevo mai visto un licantropo. Sai, io vengo da Milano e là non ce ne sono».
«Già, so che in Lombardia ci vivono in pochi. Qui in Veneto, invece, ci sono cinque clan» spiegò Elsa «ma ne parleremo un’altra volta. Adesso vorrei sapere che cosa ci facevi nel bosco».
La maga distolse lo sguardo e disse:
«Beh, ecco sì, insomma io stavo… raccogliendo bacche!».
“Sì, come no. Però è carina quando è in imbarazzo… cosa? Ma cosa vado a pensare? Mah, sarà l’effetto del veleno”.
«Dimmi la verità, Sefora. Stai tranquilla, non giudicherò» la rassicurò sorridendo.
«Va bene. In realtà volevo solo fare un giro perché il trasloco mi ha stressata un po’. Vedi, a noi maghi è proibito andare in giro di notte con la luna piena prima dei diciannove anni. Io l’ho fatto pochissime volte in vita mia e solo in boschetti minuscoli…».
«Così non hai pensato agli eventuali pericoli» la interruppe Elsa «e non ti sei portata né il tuo libro di incantesimi né un’arma».
«Già, niente di niente» rispose Sefora in imbarazzo per la sua ingenuità.
«Anche voi cercatori avete un’età di maturità?» chiese Elsa molto curiosa.
«Sì, diciannove anni. Quanto è per voi licantropi?».
«Vent’anni».
Per le loro specie, raggiungere quest’età significa essere maggiorenni e poter partecipare all’assemblea delle tribù, possedere armi e artefatti magici, e avere piena responsabilità di sé.
«Quindi nessuna di noi due dovrebbe essere qui adesso» concluse Sefora «Forse sarebbe meglio tornare a casa».
«Sì, ma non parlare a nessuno del mannaro e del nostro incontro, semmai lo farò io».
«Va bene, non lo saprà nessuno».

 

 
Elsa e Sefora correvano nel bosco. A dire il vero, più che correre, la licantropa trottava e tentava di non superare l’altra, ma la velocità era comunque considerevole.
Più volte Elsa si era girata verso di lei per guardarla e non poté fare a meno di notare che anche il suo modo di spostarsi era diverso: in ogni passo metteva la giusta potenza, non una goccia di più.
“Che eleganza” pensò “si muove come si conviene a una cercatrice: leggera ma energica”.
Da parte sua, Sefora non riusciva a staccare gli occhi dalla sagoma scura di Elsa: movimenti rapidi, sguardo sempre fiero e attento, schiena un po’ incurvata in avanti come se stesse per trasformarsi in lupo da un momento all’altro; il tutto, nell’insieme, dava un’idea di potenza trattenuta.
 
Dopo un’ora erano già al limitare del bosco e abbandonarono la corsa in favore della camminata, per non attirare l’attenzione di eventuali nottambuli.
«Dove abiti Sefora?».
«In centro, tu?».
«Qui in periferia» rispose Elsa.
«Non c’è bisogno che mi accompagni fino a casa, posso procedere da sola. Ormai, non corro alcun pericolo».
Le due camminarono in compagnia fino a un incrocio dove si separarono prendendo strade diverse, dandosi però appuntamento per il giorno seguente.
Elsa rientrò in camera sua di soppiatto, passando sempre dalla finestra.
“Mamma e papà non devono assolutamente venire a sapere della mia gita notturna. Cavolo… me lo hanno sempre proibito, se lo scoprissero finirei  nei guai”.
Avrebbe voluto dire ai suoi genitori del mannaro, ma non poteva in nessun modo giustificare la sua uscita; tuttavia, un mostro del genere non era una cosa su cui scherzare o tacere e il suo braccio sinistro lo dimostrava: la ferita stava guarendo più velocemente, ma i lembi di pelle superficiali non erano ancora rimarginati e per di più erano piuttosto irregolari.
“Devo ricorrere alle mie pozioni, ma devo stare attenta: se la mamma le scoprisse le sequestrerebbe, perché un licantropo non ancora maturo non può possedere simili intrugli”.
Prese una piccola scatola di legno nascosta nell’ultimo cassetto del comò e lo portò nel suo bagno che era adiacente alla camera da letto.
Non accese nemmeno la luce, quella che entrava dalla finestrella era più che sufficiente per lei.
Aprì il cofanetto, grande poco meno di una scatola da scarpe, e tirò fuori una boccetta di vetro con la scritta “MORSUS LUPINOTUUM”, una in peltro con inciso “Cruentis Vulneribus” e una in rame che riportava la dicitura “contra odorem de sanguine”.
Prese la prima pozione per neutralizzare del tutto l’effetto del veleno, versando poche gocce di liquido violaceo sulla ferita, poi usò la seconda per farla rimarginare più velocemente e infine la terza per neutralizzare l’odore del sangue. Si fasciò il braccio per non sporcare le lenzuola, ripose le piccole boccette nella scatola che nascose al suo posto e poi andò a dormire.
Forse a causa dell’effetto benefico della luna o per la nottata avventurosa e stancante, Elsa si addormentò subito.



Angolo dell'autrice:
Eccoci alla fine del primo capitolo!
Questa sarà una storia abbastanza lunghetta, e lo svolgimento potrebbe risultare un pò lentino, ma a me piace essere precisa u.u .
Aggiornerò una volta ogni sette giorni circa, vedrò di essere sempre puntuale.
Mi farebbero piacere delle recensioni, in modo che possa miglirare :)
Per concludere (anche se forse andava scritto prima), voglio ricordare che questo è un racconto che tratta l'amore omosessuale tra donne, anche se non è il tema principale, perciò se siete omofobi o roba simile, siete gentilmente invitati a non stressare me o chi legge il racconto e a non lasciare recensioni negative solo perchè non condividiamo le stesse idee sul concetto di amore. Se non vi va bene, non leggete.
Ogni altra recensione è ben accetta, bella o brutta che sia, perchè, ribadisco, mi servono per migliorarmi :)
Spero che il primo capitolo sia piaciuto, alla prossima.

Ignis_eye
 
 
 
  
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