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Autore: _Princess_    27/07/2008    31 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Avere Nicole per Georg significava molto di più che avere una ragazza. Con lei aveva imparato ad essere grato per le cose che aveva, e a sentirsi fortunato quando gli veniva concesso di più; aveva capito quanto alto fosse il piedistallo su cui viveva e lo aveva abbassato di un poco per farci salire anche lei, che aveva tanta paura delle altezze, e con lei la sua straordinaria bambina; aveva fatto un po’ di pulizia nella propria vita, buttando via vecchie manie e lasciando spazio a nuove, più positive e benefiche. Non aveva cambiato se stesso, non aveva subito una trasformazione radicale e repentina: era ancora lo stesso Georg di sempre, disordinato, distratto, paziente ma deciso, maturo e a tratti ancora capriccioso. La differenza però c’era, e non sapeva se da fuori, ad occhi estranei, fosse visibile o meno, ma lui dentro la sentiva.

Essere il membro più adulto della band gli aveva sempre calamitato addosso una discreta quantità di preconcetti, tra i quali una razionalità e maturità superiori a quelle dei compagni, che, a onor del vero, forse non gli si addiceva poi così tanto come la gente credeva, ma di una cosa era certo: se essere maturo voleva dire riuscire a provare quei sentimenti per una persona – la sola, l’unica, la più importante – allora era felice di essere cresciuto.

Si strinse Nicole più vicina, godendo del sorriso che questo le provocò.

Camminavano per i viottoli selciati dell’Hamburg Park, fortunatamente meno affollato del previsto, seguiti a distanza da un paio di guardie del corpo che David gli aveva praticamente imposto di portarsi dietro, e Georg non aveva potuto rifiutare, soprattutto dopo che David aveva giocato l’invincibile carta ‘Pensa alla sicurezza di Nicole’.

Ormai era mezzanotte passata, la serata era quasi conclusa, ma era contento per come era andata: una cena tranquilla e rilassata, in cui lui non aveva potuto fare a meno di fare l’idiota con lei, ogni tanto, solo per poter veder comparire quelle due bellissime fossette sulle sue guance.

Quando erano usciti dal ristorante, erano passati a salutare BJ e lo avevano trovato a ridere a crepapelle assieme a Belinda, mentre le raccontava di qualche cosa che gli era successa in una radio qualche giorno prima. Georg e Nicole si erano trattenuti poco con loro, sia per non disturbare, sia per non perdere tempo prezioso che avrebbero potuto trascorrere da soli, ma le due chiacchiere che avevano scambiato di sfuggita con BJ avevano fatto capire a Georg che lui e Vibeke erano, in modo più evidente di quel che aveva creduto, palesemente gemelli.

Al momento lui e Nicole stavano costeggiando il laghetto. C’era una coppia di cigni addormentati sulla riva, poco lontano da loro, accoccolati l’uno accanto all’altro, ed un altro scivolava lento e silenzioso sullo specchio d’acqua, riflettendo la luce della luna. Nicole ebbe un piccolo fremito quando uno dei due cigni sulla riva si svegliò e sollevò di scatto il collo. Sorridendo, Georg la strinse un po’ più forte e, senza un motivo specifico se non la voglia di farlo, si chinò verso di lei e le posò un bacio sulla tempia.

Nicole guardò in su, restituendo il sorriso.

“E questo per che cos’era?” domandò. Lui ne approfittò per lasciarle un bacio a fior di labbra.

“Per essere stata brava tutta la sera,” le rispose suadente. “E per aver avanzato metà tiramisù.”

La battuta, nemmeno troppo scherzosa, le strappò una risatina.

“Mi hai costretta a prenderlo apposta, perché sapevi che non lo avrei finito.”

Ora fu Georg a ridere. Si fermò sotto ad un lampione, reso pressoché inutile dalla luminosissima luna quasi piena, e le poggiò le mani sui fianchi, facendola avvicinare.

“E così il nostro primo San Valentino è agli sgoccioli…” rifletté.

Nicole gli avvolse le braccia attorno alla vita.

“Così pare.”

“E non mi hai neppure permesso di farti un regalo come si deve.” Si lamentò. Lei roteò gli occhi con impazienza.

“Mi sembra che la cena e l’auto con autista siano più che sufficienti,” replicò Nicole. “Senza contare i due energumeni laggiù,” aggiunse, facendo un cenno verso le guardie del corpo, ferme a parlottare diversi metri dietro di loro. “E poi lo scopo di feste come questa è stare insieme, non farsi regali.”

Georg non poté che concordare, pur dovendo riconoscere che, come chiunque altro al mondo, aveva sempre adorato il Natale per le montagne di doni che trovava sotto l’albero.

“È vero.”

“Anche se…”

L’attenzione di Georg scattò immediatamente all’erta nel vedere l’espressione furba di Nicole. Non era un ‘Anche se…’ casuale.

“Fuori il rospo, Sandberg.” Le intimò, bruciante di curiosità.

“Lo so che sono stata io ad insistere perché non ci facessimo regali,” disse, sfilandosi la borsetta dal braccio e mettendosi a frugarci dentro. “Però…”

Georg si vide mettere in mano una piccola scatoletta blu con un fiocchetto bianco sopra, che a stento gli occupava il palmo.

Piccola bugiarda, pensò, incredulo ma divertito, volevi proprio fregarmi, eh?

La fissò perplesso, chiedendosi cosa ci poteva mai essere per lui dentro ad uno spazio così ristretto.

“Non è un vero e proprio regalo,” spiegò Nicole, mentre lui scioglieva con cura il nastro e sollevava il coperchietto. “Quindi, in caso tu lo stessi pensando, non ho barato.”

Georg le scoccò un’occhiatina maliziosa, che un tempo la avrebbe fatta avvampare all’istante, ma che ora aveva imparato a sostenere e addirittura ricambiare. Scostò un foglietto di carta velina, e sotto vi trovò tre chiavi di tre misure diverse. Una vista che lo fece sorridere da dentro.

“Sono le chiavi di casa mia,” gli comunicò Nicole, indicandole una per una. “Portone, garage e appartamento,” Lo guardò negli occhi con un lieve rossore sul viso. “Così quando vieni senza preavviso, non sei costretto ad aspettare in macchina.”

Georg ammiccò.

“Molto generoso, da parte tua, devo dire.”

So quanto sia importante per te questo passo, le disse dentro di sé, richiudendo la scatolina per infilarsela nella tasca interna della giacca, ma non prima di aver estratto a sua volta una sorpresa davanti allo stupore di Nicole.

La guardò sornione, incapace di credere che fossero davvero arrivati a quel punto – non senza fatica e senza difficoltà – ma felice come non mai di essere riuscito a trovare almeno una costante, oltre ai Tokio Hotel, nella propria vita. Era stato spesso deluso in amore (se così si potevano chiamare le sue cotte adolescenziali), e dopo essere diventato famoso aveva smesso di cercare dei sentimenti nelle ragazze che incontrava; come Tom, aveva preferito prendere quello che gli veniva offerto, senza porsi il problema che potesse esserci qualcosa di più in cui sperare. Diversamente da Gustav e Bill, così restii a concedersi notti di piacere con le belle ragazze che smaniavano dalla voglia di andare con uno di loro, lui e Tom si erano goduti ogni occasione, avevano approfittato di ogni momento, fino a che non era arrivato un piccolo terremoto di nome Emily a scombussolare le carte in tavola, e con lei anche la sua gentile, introversa mamma, che ci aveva impiegato poco a far dimenticare a Georg tutte le altre ragazze dell’universo.

Ora, dodici mesi più tardi, vincevano una scommessa su cui nessuno, forse nemmeno loro stessi, avrebbe mai puntato: un anno insieme. Una cosa che Georg aveva creduto impensabile – a cui non aveva affatto pensato, anzi – prima di incontrare lei. Secondo i ragazzi, doveva tenersela ben stretta, perché era probabile che non esistesse un’altra ragazza in grado di sopportarlo e addirittura apprezzarlo con annessi tutti i suoi difetti, e Georg era sempre stato allegramente d’accordo con loro.

“Ora ti sembrerà banale,” disse a Nicole, porgendole il pacchettino di carta rossa. “Ma mi hai bruciato sul tempo, perciò…”

Lei aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non emise alcun suono. Afferrò semplicemente il dono e lo osservò senza fiato.

“Prima che tu lo apra e mi accusi di essere il solito esagerato,” premise Georg, cominciando a sentirsi vagamente nervoso. “Sappi che non è una cosa che ho visto e comprato nel giro di trenta secondi,” Nicole cominciava a sembrare preoccupata, ma lui le sorrise rassicurante. “Credo che non sia nulla che tu ti possa immaginare, sai, ma ormai ho la presunzione di definirci – come dire? – consolidati… Non è una cosa che devi accettare per forza, però…” Aveva creduto che fosse una cosa sensata, ma ora che era lì non gli sembrava più così. Era una pazzia, la avrebbe messa in imbarazzo e basta. “È solo un’idea,” disse, scrollando le spalle per alleggerire l’intensità del momento, le mani in tasca. “Un’idea nemmeno immediata, per la verità. Diciamo una proposta per un futuro variabilmente prossimo.”

Era ovvio che Nicole non ci stesse capendo niente, e non c’era da stupirsi, visto il garbuglio che Georg era riuscito a tirare fuori da una frase potenzialmente essenziale, ma questo era lui, il casinista di professione, e infondo lei ci era abituata.

“Ora che ti ho confusa per bene, lo puoi aprire.” La invitò.

Le dita di Nicole ci misero un po’ a cominciare a strappare delicatamente la carta e lo fecero piano, quasi fosse intimorita dalle mille possibilità che si nascondevano al sotto. Georg la guardò aprire titubante la scatolina di plastica nera e sgranare gli occhi sul suo contenuto, niente di nuovo, almeno per gli ultimi dieci minuti: tre chiavi, di tre misure diverse, tenute insieme da un anello di metallo.

“Una delle ultime volte che sono venuto a Lipsia ho notato questo nuovo quartiere residenziale,” le raccontò, mentre lei fissava ora lui ora le chiavi. “È una bella zona, vicino a dove lavori tu, si può raggiungere le scuole a piedi, e il complesso ha un parchetto privato… Uno degli attici era ancora libero, e ho pensato che… Insomma…”

“Georg,” espirò Nicole, attonita. “Dimmi che non hai comprato un attico da mezzo milione di euro.”

Sembrava una supplica, più che una domanda, ma era stata perfettamente prevista.

“Non ho comprato un attico da mezzo milione di euro,” le confermò tranquillo. “Era in vendita, ma io l’ho solo preso in affitto.”

Nicole parve rilassarsi almeno un po’, ma non altrettanto fece il suo shock.

“Tu sei pazzo,” decretò, un accenno di risata repressa a risuonarle nella voce, osservando le tre chiavi. “Cosa te ne fai di un appartamento a Lipsia, si può sapere?”

Io niente,” rispose. “Noi tutto.” La testa di Nicole scattò in su. “Il tuo appartamento è piccolo e fuori mano,” disse Georg. “Ci metti quasi un’ora per andare al lavoro e non molto meno per raggiungere il centro, senza contare che il prossimo anno Emily comincia le elementari e sono a dieci isolati da dove stai ora.”

“Da quando in qua sei così informato sulla topografia di Lipsia?” si incuriosì lei.

Lui intrecciò le proprie mani alla base della sua schiena e sfiorò la punta del proprio naso contro la sua.

“Da quando ci abitano la ragazza che amo e la sua bambina.”

La risposta meccanica di Nicole le morì sulle labbra, in concomitanza con il ritorno di quello stupore nei suoi occhi.

“Non so perché ti stupisca tanto sentirmelo dire,” sussurrò Georg, posandole le mani ai lati del viso. “Credevo che ormai fosse chiaro…”

“Non è che non fosse chiaro,” mormorò Nicole con un lieve tremito. “Ma sentirtelo dire ad alta voce è tutta un’altra cosa.”

Georg sapeva che, anche sentendoglielo pronunciare mille, duemila, infinite volte, lei sarebbe rimasta comunque sempre restia ad abbandonarsi del tutto alla loro storia – a lui – e non poteva negare che questo gli facesse un po’ male.

Non te lo potrò mai dire abbastanza perché tu ci creda fino in fondo, vero?

“Non te l’ho mai detto perché… Non lo so, forse non ne ero sicuro nemmeno io,” le disse. “È la prima volta che mi capita, infondo, però…” Però, pur essendo una cosa del tutto nuova, era sicuro di quello che provava. “Be’, credo che fosse ora di ammetterlo, no?”

“E l’appartamento?” fece lei, mordicchiandosi un angolo del labbro inferiore. Georg sollevò le spalle.

“Tu ed Emily vi ci potete trasferire quando volete, anche subito.”

Il sorriso che Nicole tirò fuori era lusingato, ma per niente convinto.

“Georg, io apprezzo,” rispose, appoggiandogli le mani sul petto. Esitò un istante, poi scosse debolmente il capo. “Ma non voglio vivere sulle tue spalle… Non ha senso che tu paghi il vertiginoso affitto di un appartamento in cui nemmeno abiterai!”

Lui inarcò le sopracciglia perplesso: forse non ci avrebbe abitato in pianta stabile, ma aveva tutta l’intenzione di starci il più a lungo possibile.

“A dire la verità contavo di trascorrerci almeno qualche settimana all’anno,” le comunicò. “Abbiamo impegni fissati fino al prossimo maggio, ma dopo di quello ancora non c’è niente di deciso…”

Le pupille di Nicole si restrinsero lievemente alla luce biancastra del lampione.

“Stai dicendo che potremmo viverci insieme?”

Georg annuì semplicemente, ma lei abbassò lo sguardo.

“Lo sai che mi piacerebbe da morire,” disse in un fil di voce. “Ma se…”

Ecco, c’erano arrivati. La conosceva troppo bene per non prevedere anche quel punto. Si stava giusto domandando quando sarebbe andata a parare lì.

“Se finisse?” completò per lei, e lei annuì timidamente.

“Sì.”

“Al di là del fatto che dipenderà da te, visto che io non ho la minima intenzione di lasciarti scappare,” Georg le fece sollevare il viso e la costrinse a guardarlo. “Credi veramente che sarei capace di dirti ‘Fuori dai piedi, questa è casa mia!’ e sbatterti in mezzo ad una strada?”

Nicole sospirò.

“Certo che no, ma… È comunque un bel salto.”

“Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi per decidere,” le assicurò lui. “Se alla fine non vorrai, lasceremo perdere.”

“E tu nel frattempo sprecherai soldi per tenere un appartamento vuoto.” Disse lei, in tono scettico.

“Lo sai che i soldi non sono un problema.” Insisté lui.

Lei sospirò di nuovo.

“Lo sono per me,” affermò decisa. “Tu sei diventato ricco e famoso troppo presto per sapere cosa voglia dire preoccuparsi delle spese e delle bollette, ma quello che per te può sembrare niente, per me sono un sacco di soldi, e non posso davvero permetterti di buttarli al vento solo per me.”

“Solo per me.”

Nicole non capiva.

Solo per lei, Georg avrebbe fatto qualunque cosa, non solo comprare un appartamento, ma ogni suo tentativo di farglielo capire sembrava destinato a sfumare nel suo pensare che esagerasse nel volerla viziare. In realtà tutto quello che lui voleva era che lei ed Emily avessero il meglio, che non mancasse nulla a nessuna delle due, e visto che poteva fare in modo che fosse così, non smetteva mai di tentare, anche se Nicole, orgogliosa ed abituata all’autonomia, non era mai stata incline a dipendere da lui, e forse era anche per questo che Georg insisteva tanto: gli sembrava che lei, per proteggersi, non volesse lasciarsi proteggere.

“Va bene, allora, sai che ti dico?” decretò alla fine. “Lo compro e lo metto in affitto, consideralo un mio investimento personale. Se poi un giorno avrai voglia di andarci a vivere, me lo dirai e ci sistemeremo, che ne dici?”

Non l’avrebbe persuasa fino in fondo, ma sicuramente non gli poteva impedire di comprarsi un attico, e gli fece piacere vederla rilassarsi e sorridere impotente.

“Dico che sei davvero pazzo.” Lo prese in giro, ma a lui non importava. Era sicuro che il tempo le avrebbe fatto cambiare idea.

“Ci stai?”

“Non ti posso vietare di comprarti un appartamento,” si rassegnò Nicole. “Come del resto non ti posso nemmeno giurare che prima o poi non vorrò davvero abitarci con te, quindi… Diciamo che ci sto.”

E mentre Georg la baciava di nuovo, fregandosene altamente di essere sorvegliato a vista da due guardie del corpo impiccione, si chiese se anche gli altri sarebbero stati fortunati quanto lui, prima o poi.

 

***

 

Tom si sentiva strano. Gli girava un po’ la testa ed aveva un anomalo sfarfallio nello stomaco, che lo stava annoiando non poco. Vibeke gli camminava affianco, il naso sollevato verso l’alto, verso quel cielo di uno stranissimo grigio verdastro, con un braccio di lui ancora avvolto attorno alle spalle. La loro andatura non era esattamente stabile: sbandavano di qua e di là ogni tre metri, ma Tom doveva ammettere che si stava divertendo, nonostante tutto. Quando non faceva la bisbetica lagnosa, Vibeke sapeva essere di discreta compagnia. Si era comportato da egoista con lei, non poteva negarlo, soprattutto vista la gentilezza che gli era stata riservata, e forse un po’ gli dispiaceva.

Si rese conto di quanto avessero camminato solo quando svoltarono l’angolo ed infilarono la via di casa. Un’altra cosa di cui si rese conto solo in quel momento, molto più destabilizzante della prima, era che non aveva voglia di veder finire la serata così presto.

“Eccoci giunti a destinazione.” Annunciò Vibeke, scortandolo verso il palazzo.

“Mmm.” Gorgogliò Tom, inciampando in una sporgenza nell’asfalto, strappandole una piccola risata.

“Sarà il caso che ti accompagni di sopra.” Gli disse, aprendo il portone con le proprie chiavi. Tom si lasciò trascinare nell’androne, barcollandole dietro.

Mentre Vibeke richiudeva, le ginocchia gli cedettero per un momento, facendolo accasciare su se stesso, ma lei lo resse prontamente. Sentirsi le sue braccia addosso fece sentire Tom ancora più ebbro di quanto già non fosse. Era bastato averla appena più vicina del normale per fargli venire voglia di baciarla, nel suo appartamento; ora che erano praticamente incollati l’uno all’altra, quest’istinto risorse in lui amplificato di mille volte.

Capì che anche lei avvertiva qualcosa, perché non si era ancora mossa: se ne stava con la schiena al muro, tenendolo in piedi con uno strano abbraccio scomodo ed instabile. Tom la guardò, scoprendo di essere a propria volta guardato, le mani strette attorno alla sue spalle, e dimenticò il monito severo che lei gli aveva rivolto con lo sguardo dopo quel famigerato bacio sfuggitogli pochi giorni prima. Dimenticò la sbronza e i giramenti di testa, dimenticò che in principio aveva deciso che non sarebbe mai riuscito a guardarla senza farsi irritare, e ricordò invece la morbidezza delle sue labbra, il suo sapore amarognolo di fumo misto ad un retrogusto dolce inclassificabile, e realizzò che il semplice ricordo non gli bastava.

Vide lo stupore negli occhi di Vibeke prima ancora di muoversi: come se gli avesse letto il pensiero, lei dischiuse appena le labbra, come per dire qualcosa – protestare, forse – ma Tom glielo impedì.

La incontrò in un bacio che nacque rigido ed incerto, ma che ben presto si sciolse in qualcosa di più caldo e profondo. Se prima era stata lei a sostenere lui, ora era Tom a tenerla. Le sue mani si erano spostate dalle spalle ai fianchi di Vibeke, e la tenevano stretta, avide, possessive, intrappolandola contro la parete senza una reale necessità: lo stava assecondando senza esitazioni.

Tom non era abituato al contrasto sensoriale tra la tenerezza della carne e la durezza del metallo, ma la sua lingua esplorava con viva curiosità quelle labbra che ormai, in un modo o nell’altro, cominciavano ad essergli familiari. Non smise di baciarla nemmeno per respirare, prendendo fiato tra una carezza e l’altra, facendo scivolare le dita oltre la giacca aperta e poi al di sotto della maglietta, senza incontrare proteste. Sfiorò la pelle calda e liscia della schiena, poi quella del ventre, incapace di comprendere se il ritorno del senso di vertigine fosse dato dai residui di alcol o dal sangue che gli pulsava a velocità folle in ogni millimetro del corpo, reso iperrecettivo dall’eccitazione crescente.

Il suo cervello era in blackout totale, Tom nemmeno si fermò a pensare a che ora avrebbe attaccato il custode. Scese con le mani lungo la vita di Vibeke, tornò sui fianchi, premendo involontariamente contro di lei con il bacino, guidato da una voglia cieca e completamente priva di razionalità. Quando la sua esplorazione spaziò al di sotto della minigonna, scoprì con una punta di perverso piacere che i collant che lei indossava erano dei provocanti autoreggenti che gli permisero di raggiungere con estrema facilità gli slip, non di pizzo stavolta, ma di semplice cotone. La sentì calda ed eccitata quanto lui, sotto al proprio tocco.

Scese a baciarle il collo, le clavicole, ed infine seguì il bordo della scollatura, sentendola fremere ad ogni bacio che la stuzzicava, e questo lo rese ancora più desideroso di soddisfare quella bruciante urgenza di avere di più, già pericolosamente alimentata dagli ansiti di piacere che giungevano dal fondo della gola di Vibeke.

Se avesse aspettato ancora un solo minuto, non sarebbe stato più in grado di rispondere delle proprie azioni. Si sentiva sul punto di impazzire.

Tom tornò febbrilmente a baciarle il viso, le mani già impegnate a cercare la propria cintura, e per un attimo i loro occhi si incontrarono.

Occhi disarmonici, ma magnetici, occhi brillanti ed insolenti. Occhi sensuali.

Gli occhi giusti.

Tom capì che lo stava sfidando a continuare, fissandolo con le braccia avvolte attorno ai suo collo, il petto premuto contro il suo, quasi nessun ostacolo tra loro e il passo successivo.

Era intrigante, e stimolante, un inequivocabile invito a portare a termine quello che si era cominciato, e Tom non era uno che tollerava che le cose fossero fatte a metà.

Inchiodò Vibeke al muro con tutto il corpo, la sua eccitazione che premeva avidamente tra le sue gambe appena divaricate, e si infilò una mano nella tasca posteriore dei jeans, dove le sue dita sfiorarono la consistenza familiare della bustina di un preservativo.

Cristo, non ce la faccio più!, imprecò internamente, immerso in un turbine di sensazioni soverchianti, il respiro ormai completamente fuori controllo, ma proprio mentre la sua mano afferrava il preservativo, la serratura del portone d’ingresso si aprì con uno scatto secco che riecheggiò assordantemente, o così parve a Tom, tra le pareti.

Merda!

Prima che potesse rendersi conto della situazione, Vibeke gli era sgusciata via dalle braccia come un’anguilla, lasciandolo solo con le mani contro il muro ad ansimare in preda alla frustrazione.

“Ma dove sono le luci, qui dentro? Non si vede niente…”

Nel microsecondo che servì ai suoi neuroni storditi per riconoscere la voce di Nicole, Tom riuscì, in qualche inspiegabile maniera, a riprendere abbastanza controllo di sé da richiudersi a fatica la lampo dei pantaloni e sforzarsi di riacquisire una respirazione approssimativamente regolare. Vibeke stava in piedi a pochi passi da lui, seminascosta dall’oscurità, senza guardarlo.

“Aspetta, prendo il cellulare.” Disse la voce di Georg. Un istante dopo un lampo di luce azzurra illuminò l’androne, Tom e Vibeke compresi.

“Hey, ciao,” fece Georg, leggermente accigliato. “Che ci fate voi due qui a quest’ora?”

Tom non riuscì nemmeno a mettere in moto l’elaborazione di una risposta: Vibeke ebbe una prontezza nettamente migliore.

“Siamo usciti a bere qualcosa,” disse vaga, avvicinandosi all’uscita. “È un po’ brillo,” Aggiunse, fermandosi accanto a Georg. “Stavo per accompagnarlo di sopra, ma forse è meglio che lo facciate voi, è piuttosto tardi.”

“Certo, d’accordo.” Acconsentì Georg, ancora un po’ disorientato.

“Bene,” disse lei. “Buonanotte.”

La luce del cellulare si spense, riaccendendosi subito dopo per mano di Georg, ma Vibeke era già sparita.

Georg andò da Tom, il quale se ne stava ricurvo su se stesso, e non certo per via della sbronza, intento a restituire un ritmo normale al proprio respiro. Sentì una mano toccargli la spalla e vide che Georg lo studiava preoccupato.

“Sei ridotto male, per i tuoi standard alcolici.”

Tom emise un rantolo dolente, i nervi a fior di pelle per il modo brusco in cui era stato lasciato insoddisfatto.

“Fammi un favore, amico,” lo supplicò, ignorando la faccia attonita di Nicole. “Portami su e basta.”

 

***

 

Dopo la caritatevole compassione dimostrata da Georg e Nicole durante il breve tragitto ingresso-ascensore-casa, Tom aveva blaterato qualche ringraziamento non troppo sensato e si era blindato in bagno, anelando spasmodicamente ad un solo ed unico scopo: alleviare tutta quella tensione che gli era rimasta addosso dopo la provvidenziale – per così dire – interruzione inattesa.

Odiava prendere quel tipo di misure drastiche, anche perché fondamentalmente non ne aveva quasi mai bisogno, ma se non altro, dopo quello e una bella doccia gelata, si sentiva meglio, e sicuramente più lucido, anche per merito della bella dose di ibuprofene che si era sparato, che aveva spazzato via il mal di testa ormai quasi del tutto.

Serata di merda.

Uscì dal bagno in boxer, un asciugamano buttato sulla testa mentre cercava di asciugarsi i capelli. Era decisamente più rilassato, ma ancora frustrato per via di quello che era successo nell’androne, e non era tanto perché era stato lasciato insoddisfatto ed eccitato (fortunatamente al buio) davanti a degli ignari Georg e Nicole, quanto piuttosto perché sembrava che, qualunque cosa fisica facesse con Vibeke, lei finiva sempre per svignarsela prima ancora di dare a lui il tempo di capire cose fosse successo. Era una cosa che Tom trovava insopportabile, e che lo lasciava sempre con un orribile senso di irritabilità addosso.

Si chiuse la porta alle spalle con un colpo secco, poi si diresse verso la propria stanza, ma, a metà strada, intravide Bill seduto sul proprio letto a leggiucchiare qualcuna delle sue riviste con una strana aria abbacchiata con i Placebo nello stereo, unico suono all'interno dell'appartamento addormentato.

Si affacciò alla porta, fregandosene dei rasta che spargevano acqua tutt’intorno. Onestamente, non aveva voglia di mettersi a discutere con Bill, ma lo doveva fare, altrimenti le cose sarebbero solo peggiorate. Glielo doveva, se non altro.

“Bill.” Esclamò, sorpreso di vederlo così. Doveva essere ancora offeso per la storia dell’intervista.

“Ciao.” Borbottò lui, cupo, senza nemmeno guardarlo.

Ok, ha ragione, pensò Tom, chiudendosi la porta alle spalle per andargli a sedere accanto. Restò lì per un paio di minuti senza fare nulla, aspettando un segno che Bill avesse voglia di starlo a sentire, ma fu ignorato senza riguardi.

“Come va?” gli chiese allora, azzardandosi ad appoggiargli una mano sulla testa, come faceva sempre quando doveva lavorarselo per bene, ma Bill ignorò anche quello. Tom già temeva che avrebbe dovuto cavargli le parole di bocca, quando finalmente Bill gli rispose:

“Come vuoi che vada?”

Secca e acida, come risposta, ma avrebbe potuto andare peggio. Perlomeno aveva un punto di partenza.

Tom decise che era ora di passare alla modalità ‘fratellone coccoloso’.

“Sei ancora arrabbiato con me?” domandò mogio.

Bill voltò pigramente un paio di pagine.

“Sì che sono arrabbiato con te,” mormorò. “Sei uno stronzo di fratello quando ti ci metti.”

Quella frase ferì molto Tom, esattamente come Tom stesso doveva aver ferito Bill. Effettivamente era vero: sapeva essere veramente stronzo, in certi frangenti, ma in genere riservava la gretta maleducazione a tutti, meno che a suo fratello. Con lui ci litigava, e anche spesso, ma le offese gli sfuggivano di rado. Rispettava Bill con tutto se stesso.

“Sono venuto a chiederti scusa.” Gli disse con tutta l’umiltà di cui era capace. Bill smise improvvisamente di leggere e piegò il collo verso l’alto, guardandolo stupefatto con gli occhi sgranati.

“Puoi ripetere?”

Tom non chiedeva mai scusa a nessuno, almeno non di sua spontanea volontà. A parte Bill, c’erano solo quattro persone al mondo con cui si fosse mai scusato volontariamente, e con sincero pentimento: sua madre, il suo migliore amico Andreas, Georg e Gustav. Oltre a loro, non esisteva nessun altro che per lui fosse abbastanza importante da farlo piegare.

“Mi dispiace di aver detto quelle cose,” borbottò, ammettendo implicitamente la sconfitta. “Ero di cattivo umore, sai che non lo penso davvero.”

L’espressione di Bill si addolcì impercettibilmente.

“Da quando in qua chiedi scusa?”

Tom si sbarazzò di cappellino e fascia e li gettò a terra incurante.

“Da quando ho torto ed ho offeso il mio fratellino.” Dichiarò, pregando – invano – che Bill se lo facesse bastare.

“E da quando ammetti di avere torto?”

A Tom premeva solo chiudere la questione alla svelta, ma se Bill avesse fatto il puntiglioso, era sicuro che avrebbero finito per bisticciare di nuovo.

“Ma insomma, mi sto scusando, non ti basta?” si lamentò.

“Sì che mi basta.” Disse Bill, mettendosi seduto a gambe incrociate. Tom gli rivolse un piccolissimo sorriso ruffiano.

“Sono perdonato?”

Bill lo spintonò scherzosamente giù dal letto.

“Ma sì che sei perdonato, scemo.” Rise.

Tom allargò il proprio sorriso con riconoscenza. Non era certo di meritarsi un perdono così facile, ma tanto meglio per lui.

“Grazie.”

Arruffò affettuosamente i capelli di Bill, provocandogli una crisi di gridolini isterici e beccandosi anche un paio di graffi accidentali da parte delle unghie di Bill, che tentava di difendersi. Alla fine Tom lo lasciò a dimenarsi ed allisciarsi freneticamente ogni singola ciocca, raccolse l’asciugamano, il cappellino e la fascia e si diresse soddisfatto verso la porta.

“Tomi…” lo bloccò la voce di Bill. Lui si fermò a pochi passi dalla soglia e si voltò indietro, attendendo. Bill si inumidì le labbra prima di proseguire:

“Quella ragazza con cui ti stai vedendo…”

Tom non gradì il nuovo spunto di conversazione.

“Lara?” domandò evasivo. Le ragazze – le sue, soprattutto – erano il suo argomento preferito, ma solo quando era lui a decidere quando, come e soprattutto perché parlarne. Aveva la netta, fastidiosa sensazione che il tono usato da Bill non promettesse alcunché di buono.

“Sì,” confermò Bill, tranquillo. “Perché?” chiese poi.

“Perché cosa?”

“Perché esci con lei?”

Che razza di domanda è mai questa?, pensò Tom, mentre cercava di capire dove Bill volesse arrivare.

“Sei geloso?”

Quesito stupido, ma non avrebbe saputo cosa rispondere.

“Dovrei esserlo?” fece Bill, corrugando leggermente la fronte.

“Ma non scherziamo!” esclamò Tom, divertito dall’idea che Bill potesse anche solo avere il dubbio che Lara significasse veramente qualcosa per lui. “È solo uno sfizio, come tanti altri.”

Bill si guardò le mani le sue dita presero a giocherellare con un anello che portava.

“Be’, dovresti cominciare a rifletterci bene sui tuoi sfizi,” disse con apparente casualità, occhieggiandolo rapidamente. “Prima o poi qualcuno si farà male.”

Tom si sentì ingiustamente accusato. Ammesso e non concesso che il suo tatto nei confronti del prossimo poteva qualche volta dimostrarsi non proprio infallibile, si considerava una persona cristallina in quanto ad intenzioni, e le sue intenzioni con le ragazze – quelle come Lara, soprattutto – erano le stesse da anni, e sempre inequivocabilmente trasparenti: divertimento sì, impegni no, e se qualcuna non era d’accordo, poteva anche andarsene al diavolo.

“Che cosa vorresti insinuare?” replicò, offeso.

“Niente,” disse Bill. “Solo che magari sei talmente abituato ad avere tutto quello che vuoi, che potresti non essere più in grado di distinguere un capriccio da qualcosa che desideri davvero.”

Parole simili ce le si poteva aspettare da un animo serio e riflessivo come quello di Georg, o anche da Gustav, ma sentirle da Bill, il centro dell’universo che viveva immerso ed abbagliato dalla sua stessa luce, era quasi inquietante. Eppure, nel profondo, Tom sapeva che forse poteva aveva un barlume di ragione.

“Mi fai paura quando fai certi discorsi,” Blaterò, messo a disagio dalla piega che stava  prendendo il discorso. “Piuttosto, com’è andata al cinema?”

Bill gli scoccò un’occhiata penetrante, trasmettendogli tutta la sua disapprovazione per lo sleale tentativo di deviare la conversazione, ma, stranamente, gliela lasciò passare liscia.

“Bene,” rispose. “Abbiamo guardato L’Era Glaciale 3.”

Non era difficile immaginare Bill inchiodato davanti ad un megaschermo a sganasciarsi dalle risate per un film simile. Forse per Gustav potevano esserci intrattenimenti migliori, ma Bill ed Emily dovevano essersela spassata alla grande.

“Gustav ti ha comprato le caramelle?” gli domandò Tom, arricciando gli angoli della bocca, mentre si sistemava l’asciugamano attorno al collo. Bill gli fece una linguaccia.

“Me le sono comprate da solo,” ribatté compunto. “E le ho comprate anche ad Emily.”

“Immagino la faccia del tizio della cassa quando gli hai allungato una banconota da duecento euro per pagare quattro orsetti gommosi...”

“Quella è stata la faccia del tizio della biglietteria,” precisò Bill. “Quando siamo arrivati al bar avevo già qualche spicciolo del resto. Tu cos’hai fatto, invece?” contrattaccò poi, toccando un altro tasto che Tom avrebbe preferito sorvolare. “Non sarai mica stato fuori da solo tutta la notte?”

Tom batté le palpebre, cercando di decidere se fosse il caso di mentire e venire sconsideratamente smascherato, oppure essere vago e attirare ulteriori indagini.

“No, ero con… Con una ragazza.” Confessò, optando per la seconda scelta.

“Che non era Lara.” Dedusse Bill.

“No.”

Bill sembrò rimuginarci sopra per un po’, ma la sua faccia diceva chiaro e tondo che, in quanto ad onniscienza sulla mente di Tom Kaulitz, dio ed il diavolo gli facevano un baffo.

“Perché non me lo vuoi dire?” mormorò piattamente.

Pur consapevole dell’inutilità del perseverare a fare lo gnorri, Tom preferì rischiare. Magari, per una volta, Bill non aveva capito un bel niente. E magari la terra era piatta.

“Dire cosa?”

Gli occhi di Bill, inchiodati seriamente nei suoi, stavano praticamente urlando ‘Ma chi cazzo vuoi prendere in giro?’.

“Che sei uscito con lei.”

Tom si chiese se un battito cardiaco saltato fosse da aggiungere alla lista di strani sintomi che da qualche giorno aveva cominciato ad accusare.

“Ma se ti ho detto che non era Lara!”

“Non sto parlando di Lara, Tom.”

E a quel punto Tom seppe che, tolte le bugie, non aveva più alternative.

 

***

 

Tentare di parlare seriamente con Tom quando Tom era a mollo nella sua beata aura di negazione era un’impresa molto vicina all’impossibile, che soltanto Bill generalmente aveva qualche speranza di riuscire a portare a termine, però stavolta aveva serie perplessità: se si fosse trattato di una qualsiasi delle ragazze su cui suo fratello aveva messo gli occhi durante la sua esistenza, non ci sarebbe nemmeno stato da discutere, la storia si sarebbe spontaneamente esaurita in breve tempo e senza ripercussioni degne di nota, ma trattandosi di Vibeke, la faccenda era completamente diversa, nonché sorprendentemente nuova.

“Allora,” Guardò Tom paziente. “Cosa mi dici?”

“Bill, ma cosa vuoi che ci sia da dire?” scattò lui, senza ricambiare la pazienza. “Volevo svagarmi un po’, tutto qui, e lo sai che lei è il mio passatempo preferito.”

Bill sospirò. Avrebbe potuto provarci quanto voleva, ma senza mezzi espliciti quella testa dura non avrebbe mai compreso nemmeno un irrisorio frammento di tutta la storia.

Non riuscirò mai a farti capire, vero?

“Allora perché non me lo hai detto e basta?” insisté. Tom, però, sembrava spiazzato.

“Perché… Be’, perché non era importante!”

Non era importante…

Bill si permise di dissentire.

“Tom,” Il suo sguardo si fece più serio. “In genere le cose non importanti sono le uniche che racconti.”

“Oh, che palle!” Si arrabbiò Tom, stritolandosi tra le dita la fascia e il cappellino. “Comincerò a tenere un diario tutto per te su cui annoterò anche quando vado al cesso, contento?”

“No, per niente,” controbatté Bill, picchiando due pugni infuriati contro il materasso. “Ci siamo sempre detti tutto – tutto! – e non capisco perché questo non dovesse rientrare in quel tutto!”

Tom rimase immobile accanto alla porta, solenne e pallido in volto.

“Non era rilevante, punto.” Sentenziò perentorio.

Bill si arrese. Forse era troppo presto per farlo ragionare, forse non sarebbe mai stato il momento giusto. In fin dei conti, Tom non rispondeva che a se stesso, e con questi ritmi avrebbe capito cosa stava succedendo solo quando sarebbe stato troppo tardi. Ciò che fece desistere Bill fu il nervosismo che stava cominciando ad emergere nel proprio fratello: non aveva senso affrontare logoranti botta e risposta se mancava la volontà di collaborazione da una delle due parti.

“Ok,” mollò impotente, sollevando le mani. “Come vuoi tu.”

“Bene.”

Soddisfatto, Tom abbassò la maniglia e dischiuse la porta.

“Tomi…” Lo fermò Bill per la seconda volta, e, di nuovo, lui si voltò per starlo a sentire:

“Cosa?”

Bill si chiese quanto male poteva andare a finire tutto quanto, e per chi.

Sei un cretino.

“Hai ancora del rossetto vicino al mento.” Gli rivelò, picchiettandosi un dito su quel punto preciso.

“Oh,” Tom si sfregò precipitosamente una mano sul mento, “Grazie,” Si fissò brevemente la mano, poi lasciò perdere ed aprì del tutto la porta, uscendo. “Buonanotte.” Disse a Bill, prima di richiudere la porta dietro di sé.

Rimasto solo, Bill si lasciò cadere all’indietro sul letto e si mise ad osservare il soffitto a braccia spalancate, un’infinita concatenazione di pensieri a scorrergli brulicante nella testa, i Placebo che suonavano imperterriti dal loro cd.

Days before you came
Freezing, cold and empty…

Quella particolare strofa gli ricordava molto Tom e tutto quello che stava succedendo.

Days before you came
It always seemed enticing
To be naked and profane
There is no denying…

Bill si sfilò il cuscino da sotto la testa e se lo premette sul viso, soffocando un’imprecazione.

Apri gli occhi, razza di idiota…

 

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Note: Scusatescusatescusatescusatescusatescusatescusate! Sono davvero desolata per il ritardo mostruoso, ma la stesura di questo capitolo è stata funestata da tragici eventi (quali un paio di vacanzucce meritate, tra l’altro u___u) e ci ho messo secoli più lunghi del solito a finirlo. Sono sinceramente addolorata, spero solo che l’attesa sia stata almeno in parte ripagata.

Come al solito, ringrazio tutti quanti per i commenti e le aggiunte in MSN. Probabilmente senza il vostro entusiasmo e supporto non sarei mai nemmeno riuscita a scrivere un’intera ff, figuriamoci due (o più :3). Comunque, vi annoierò poco con le note, fa caldo e sono stanchina, quindi vi lascio solo il link al bellissimo disegno che la nostra talentuosa disegnatrice CowgirlSara ha fatto di Vibeke. Specifico anche che la canzone citata alla fine del capitolo è la bellissima Days Before You Came, ovviamente dei Placebo, la cui traduzione magari può essere meno immediata delle altre, quindi ve la metto: “giorni prima che arrivassi tu, sembrava sempre eccitante, essere nudi e profani, impossibile negarlo…” (e se non è Tomi questo… XD)

Ciò detto, vi saluto con un grosso bacio au Tokio Hotel, e vi do appuntamento al prossimo capitolo!

P.S. un grazie ai miei due Angeli del Concerto (sigh), Ladynotorius e Lady Vibeke, rispettivamente per aver preso posto davanti a Georg ed averlo difeso per conto mio (e anche per non averlo consumato troppo con pensieri peccaminosi) e per aver fatto delle foto assolutamente stupende che, sì, mi hanno un po' fatto male al cuore, ma anche fatto venire le palpitazioni. Ich liebe euch, anche se voi magari mi amate un po' meno (vero, milady? XD)Dedico questo capitolo a loro e ad Ale, perché è un amore e prima o poi la sposerò. XD

   
 
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