Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
Segui la storia  |       
Autore: Thiare    17/05/2014    3 recensioni
Era stato strano ritornare alla normalità. Le catastrofi, si diceva, sono meno drammatiche se affrontate insieme.
L'agente Meyers era stata così gentile ad affiancarli nella lotta finale, e lei e il suo gemello sembravano una strana riproduzione dei FitzSimmons. Serena e Jeff Meyers erano in gamba, sì, ma la loro squadra era perfetta così com'era.
Ora non lo è più.
Lo S.H.I.E.L.D. è morto, tutti sono in lutto.

[Storia scritta a quattro mani con Becky_99] [Come secondo noi dovrebbe finire la Season One] [A Paoletta76 per il suo compleanno]
Genere: Azione, Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Grant Ward, Nuovo personaggio, Skye
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Start from something good




 
"Le battaglie possono essere combattute con le armi ma esse verranno vinte o perse dagli uomini." 
- Col. George S. Patton





Era stato strano ritornare alla normalità. Le catastrofi, si diceva, sono meno drammatiche se affrontate insieme. 

L'agente Meyers era stata così gentile ad affiancarli nella lotta finale, e lei e il suo gemello sembravano una strana riproduzione dei FitzSimmons. Serena e Jeff Meyers erano in gamba, sì, ma la loro squadra era perfetta così com'era. 

Ora non lo è più.

Ora Skye è sul divanetto del Bus a gambe incrociate, guarda il pavimento e il morbido tappeto bianco. Quell'aereo, pensa, ha più acciacchi di una novantenne pensionata che durante la sua giovinezza ha fatto la pugile; tra se stessa e il Bus non si sa chi stia messo peggio.




"Il vostro aiuto è stato prezioso." sorrise finta a quella mano stretta, dall'altra parte l'agente Arturi soffocava una risposta di condoglianze. 


Lo S.H.I.E.L.D. è morto, tutti sono in lutto. 



Si trovavano in una piazzetta poco frequentata, dietro di essa un parco si estendeva in tutta la sua verde fioritura. 

"L'ultima volta che sono stato qui l'agnellino asgardiano stava andando via tra le braccia di Superman." Tony rideva, davanti a lui, però, la schiera degli agenti SHIELD si apriva come una corte marziale, carente di soldati come spiccioli per un miliardario, dilaniata come una preda nella savana.

"Loki è morto, Tony. Sarebbe meglio non nominarlo in presenza di suo fratello." Steve sussurrava qualcosa al suo orecchio, dalla schiera di spie,

Skye sorrideva amaramente. 

Supereroi e non, gli uni di fronte agli altri, solo per ringraziare di un aiuto.





"Non tutti gli eroi sono super." Skye ritorna alla realtà e in diretta televisiva un giornalista annuncia la vittoria dei buoni e la 'scarcerazione' dello S.H.I.E.L.D. 

Poche settimane prima si erano trovati a confrontarsi, supereroi e agenti, poi il ritorno alla normalità era stato sfiancante.



"Siamo fantasmi in un mondo di timori." aveva affermato Skye sconsolata davanti ad un Phil Coulson deciso a ricominciare.
"No Skye, siamo gli angeli di coloro che hanno paura di non essere protetti."





Come si fa a vivere serenamente dopo quello che è successo? Non si può, e l'insonnia della ragazza perdura già da tempo, da prima che il Bus venisse rimesso a nuovo, da prima che la battaglia contro l'Hydra finisse e in quella piazzetta tutti i buoni si ritrovassero a complimentarsi per l'ottimo lavoro fatto. Da prima ancora che Garret le puntasse contro una pistola e che dovesse decidere se salvare la sua vita o quella del suo team. Da prima che tutto accadesse e che portasse via quel piccolo angolo di felicità che si era costruita. 




"Ovunque io vada porto distruzione."
"Le cose crollano solo quando non hanno fondamenta abbastanza resistenti per reggere. Ovunque vai tu riesci a smascherare il male e distruggere quelle cose che di buono, alla base, non hanno niente."





Stanca, Skye si stende in avanti e agguanta dal tavolino davanti al divano un album di fotografie, le loro fotografie, di quello strambo gruppo di amici. Lo apre e comincia a sfogliarlo, e da quelle pagine la vita che viveva prima comincia a proiettarsi davanti ai suoi occhi come un flashback dalla cinepresa in bianco e nero.

Era così che era iniziato tutto, con il buio del cappuccio con cui le avevano coperto la testa per portarla a bordo, non che non si fosse accorta di dove stessero andando, ed era con il buio che tutto si concluse, almeno con il buio che vide lei, dall'intensità del suo sonno, mentre al di fuori dei sogni la grande luce di un'esplosione si espandeva intorno. C'erano state grida, pianti, Simmons si era stretta forte a Fitz come a cercare energia vitale, Coulson e Ward erano piegati sul corpo dormiente di Skye, May era immobile, ogni muscolo del suo corpo lo era davanti a quello spettacolo, Trip aveva le braccia incrociate e si era voltato verso i suoi nuovi compagni di squadra. 

Ecco come tutto finì, con una grande luce che si espanse intorno. Per loro fu solo una grande esplosione, per altri l'arrivo in Paradiso, per altri ancora quello all'Inferno. 







Un mese prima...




"Le scale sono ancora bagnate, zucchero, sta' attenta." Karen, la governante del palazzo in cui abitava, le rivolse lo stesso, monotono, avvertimento mentre con i tacchi a spillo che la rialzavano dieci centimetri in più dal suolo, camminava a tentoni sul pavimento fradicio. 

"Grazie, cara, tenterò di no- AAHAHHH" Troppo tardi, era finita di nuovo col sedere a terra.

"Eppure non è la prima volta che te lo dico, dolcezza." La rimbeccava Karen abbandonando il mocio zuppo e raggiungendola. 

La ragazza ancora indolenzita si tolse i tacchi e prese a massaggiarsi il posteriore con una smorfia di dolore. Raccolse l'aiuto che la signora le rivolgeva, mascherato da quella mano tesa svogliatamente, e notò la fede scolorita che giaceva tra i piccoli rotoli di grasso delle dita.

Si rialzò in piedi, si risistemò il completo di giacca e gonna di seta blu e prese in mano le scarpe. Non era particolarmente alta, infatti superava la governante solo di pochi centimetri, ma era bella, la bellezza tipica delle persone buone. 

Rimase qualche secondo in silenzio a contemplare quel dito.

"Sei sposata, Karen?" domandò perplessa.

"Mio marito è morto lo scorso mese..." la cinquantenne le voltò le spalle e riafferrò il mocio, ricominciando a lavare il pavimento di marmo.

"Mi dispiace, io non sapevo ch-" 

"...degli infami me l'hanno portato via." la interruppe la donna, e il sudore del lavoro le si mescolò alle poche lacrime che riuscì a sfogare.

"Karen, io.." la ragazza non seppe più che cosa dire e si avvicinò a passi svelti all'amica.

"Sta' tranquilla, il vecchio agente Conrad non avrebbe voluto rimpianti, né niente di svenevole, avrebbe solo voluto che questa guerra terminasse e che fossimo noi i vincitori." la signora Conrad si passò una mano sugli occhi rossi e represse il suo dolore in un ultimo sospiro. 

La giovane donna le posò una mano sulla spalla dolcemente e le sussurrò qualcosa all'orecchio. "Ma di che guerra parli?" 

"Ho già detto troppo," la allontanò la donna con una mano e fare innervosito. "meno sai più sei al sicuro." 

"Non sapevo neanche fossi sposata!"

"Ed è meglio che lo dimentichi, George sarebbe felice così."

"Karen, sai che non posso farlo! Come posso pensare a stare bene quando so che in gioco c'è la mia sicurezza?" alzò lievemente la voce lei.

"Pensa solo a questo: le persone cattive tu le sai riconoscere. Bè, non smettere di farlo."

E cadde il silenzio tra le due.
"Ora entra a casa, zucchero, e sta' attenta a non scivolare un'altra volta."

E lei non disse nulla; salì le scale per il piano superiore e di spalle disse:"Un giorno la pace ritornerà, Karen, lo giuro sulla mia stessa vita."




*



Il profumo del sugo al ragù si diffuse per tutto il monolocale e nella piccola cucina la ragazza mescolava scalza la ricetta con fare pensieroso. La luce della stanza accesa si notava anche dall'esterno, infatti era l'unica in un palazzo di sedici piani. 

Erano da poco passate le nove e neanche Johnatan, il suo vicino, si era degnato a passare a salutarla quella sera, come faceva tutte le sere, e ripeterle che quando se ne sarebbe andata avrebbe affittato il suo appartamento per ricordarsi del suo buonissimo profumo. 



"Si è proprio innamorato." la prendeva in giro Jessica, la sua migliore amica.
"No, non è vero."
"Se non è vero allora prova una grande simpatia per te."
"Chi ti ha detto che non sia ricambiato?"




Assaggiò il sugo che bolliva in pentola con il mestolo di legno e spense il gas, abbandonando una mano sul fianco pensierosa.

"Karen non mi ha mai nascosto niente..." sussurrò sovrappensiero. "E allora perché si comporta così? Sarà forse per-" ma la frase le morì in gola quando sentì dei passi provenire dall'ingresso. 

L'unico che aveva le chiavi di riserva era Fred, il portinaio, e lei dubitava fortemente che un così brav'uomo potesse introdursi in casa sua senza un motivo più che valido.

Si affacciò leggermente alla porta della cucina tenendo stretto a sé il mestolo sporco di sugo e tirò un sospiro di sollievo quando vide la faccia scura del facchino avanzare nell'entrata.

"Oh, grazie a Dio! Fred, che ci fai qui? C'è qualche problema?" chiese andandogli incontro.

"In realtà sì..." le rispose sorridendo maligno. "Lei è un problema." sussurrò l'uomo dal suo metro e ottanta di muscoli mentre estraeva dalla tasca posteriore dei pantaloni una pistola.

La ragazza si ritirò indietro all'istante cercando di scappare verso la cucina, ma fu troppo tardi quando si accorse di trovarsi in trappola. Infatti era parecchio difficile buttarsi dalla finestra dell'ottavo piano e uscirne indenni.
Si strinse in un angolo della sala ancora impugnando il mestolo e si chiuse nella sua camiciona bianca, pregando quello che fino a pochi minuti prima era stato il suo più fidato conoscente.


"Ti prego" sussurrò con la voce rotta dai singhiozzi. Fred avanzava a passi lenti verso il bersaglio tenendo puntata la pistola in avanti. "Ti prego, Fred, ti prego, noi siamo amici." continuò terrorizzata.

Si strinse ancora di più contro il muro all'avanzare di quella figura enorme che sovrastava la sua corporatura minuta.

"Ti prego, Frederick, Frederick Roy, io ti conosco, non avresti nessun motivo per farlo." Ora l'uomo le stava a meno di un metro di distanza. "Non hai nessun.." si lasciò scivolare poche parole sulla punta delle labbra mentre buttava gli occhi a sinistra, come ad aver visto qualcosa di sconcertante. Fu proprio quel gesto che distrasse il portiere, e quando l'uomo di colore guardò a sinistra, allora lei gli si fiondò contro cercando di colpirlo con il mestolo zuppo di sugo - che non valse a niente se non ad un'ulteriore lavatrice extra per la sua camicia bianca sporca di rosso -. Quel gesto non migliorò la sua situazione, infatti l'uomo la sovrastò prendendola per i capelli e gettandola all'indietro, e mentre la giovane sbatteva il capo contro il frigorifero, Fred le puntava una pistola alla testa.

"Hail Hydra."

In quella notte fredda, uno sparo rimbombò tra le mura della casa.





*



La donna caricò la pistola e se la rimise nella fondina sospirando.

"Mi chiedo perché lo fai sempre... Ti fa stare bene? Ti tranquillizza? Non l'ho mai capito veramente." seduto sul parapetto di un terrazzo completamente vuoto, un uomo sulla trentina la guardava pensieroso.

"Cosa faccio sempre?" domandò monocorde.

"Que-quello." continuò l'uomo indicando freneticamente il movimento che aveva fatto per caricare la pistola. 

"No Barton, non mi fa stare bene. Pensa solo che quella pistola potrà salvarti il culo un giorno, e sarebbe un bel problema se fosse scarica al momento!"

"Devi rilassarti, Natasha. Non mi pare che sei una che si arrende facilmente." cercò di consolarla Clint guardando di sotto dal palazzo di venti piani e ammirando la consueta vita mattutina dell'ignara gente di New York.

La Vedova Nera lo fissò truce e si guardò intorno sovrappensiero: il tetto di quel palazzo non era il luogo migliore dove nascondersi ma aveva una visuale perfetta. Era completamente vuoto e piastrellato, solo loro due le uniche figure che si intravedevano, e il sole cocente di Manhattan picchiava sulle loro teste peggio del più crudele dei nemici.

"Dopo che quel bastardo di Pierce ci ha traditi non riesco a stare calma. E poi non mi è ancora andato giù il fatto che abbia tentato di uccidermi. E' finito come meritava: con una pallottola dritta a squarciargli la carne; dopotutto avevi ragione, le piovre vengono uccise e mangiate." sospirò Natasha raggiungendolo vicino al parapetto, il suo corpo stretto in quella aderentissima tuta nera. - E' comoda da morire. - aveva detto una volta. Contenta lei.

"Allora da dove cominciamo?" domandò Clint. "Lasciamo a loro il primo colpo, tanto per essere gentili nei confronti degli ospiti, o passiamo direttamente al contrattacco?" 

"L'Hydra non avrà scrupoli, perché risparmiarli? Sitwell era un brav'uomo, almeno il Jasper Sitwell che conoscevo, eppure non si è fatto scrupoli nel venderci in questo modo. L'Hydra è nettamente superiore allo SHIELD, questo dimostra il gran numero di bastardi che preferiscono allearsi col male che con la giustizia..." sbottò innervosita Natasha.

"...ma la giustizia fa pagare il conto. Più sono e più soldi ci devono." terminò Clint.

Si guardarono contemporaneamente e ognuno affondò nell'azzurro degli occhi dell'altro.

"Contrattacco sia." sussurrarono insieme.

Rimasero qualche minuto in silenzio guardando l'orizzonte, e in quella pace tutti i timori si risvegliarono, anche per due assassini come loro.
"Cosa faresti se questa fosse l'ultima battaglia?" chiese ingenuo Clint.

Natasha sospirò e si accovacciò a sua volta contro il parapetto del terrazzo. "Non farei niente semplicemente perché non è l'ultima."

"Ma se lo fosse?"

La donna rimase in silenzio per qualche secondo, fissando lo squarcio di cielo davanti a lei. "Allora combatterei fino all'ultimo secondo per evitare che quei pezzi di merda la facciano franca." bisbigliò Natasha.

Clint annuì lievemente. "E se ti dicessi che sono dell'Hydra?" continuò seduto spalla a spalla con la donna.

Natasha posò la testa sul suo braccio. "Non lo sei, e anche se me lo dicessi non ti crederei. Ti conosco meglio di quanto ti conosca tu stesso."

Clint sospirò. "Finirà, Natasha, lo giuro sulla mia stessa vita."

E aveva ragione. Sulla sua vita.




*




Labbra piene e rosee, capelli neri come carbone, occhi azzurri e pallidi di dolore, è questo tutto ciò che Grant ricordava della sua famiglia, solo una piccola testolina che dal basso del suo metro e trenta e dai suoi sei anni lo guardava addolorata.

Gridava impaurita, una vocina sottile e mortificata, mentre nei suoi occhi lucidi si riflettevano le lingue di fuoco della casa in fiamme. La piccola si gettò carponi con la testa tra le mani piangendo lacrime amare, quando, accompagnate da grida spaventate, due mani la stringevano per le spalle e la scuotevano forte. 

"Mi dispiace, Grant, mi dispiace tanto." mormorava tra i singhiozzi. "Non ce la facevo più. Lui era di nuovo lì, aveva preso l'attizzatoio e Joseph.. lui non poteva reagire, lo sai." sussurrava ad occhi chiusi, immersa tra le braccia del fratello che guardava la casa in fiamme. "Non potevo sopportarlo, non potevo più!" piagnucolava ancora.

"Sta' tranquilla, ok? Andrà tutto bene, Kim, andrà tutto bene." la strinse momentaneamente forte e la posò di lato sull'erba secca del prato davanti casa, in quella radura circondata dagli alberi di pino, mentre cominciava a correre velocemente verso la casa incendiata.

"Chiama mamma e papà!" aveva gridato dietro di sé fermandosi di scatto. "Va', corri a chiamarli!" continuò indicando i campi estesi del pendio della collina su cui si ergeva la casa. 

Dall'altra parte incontrò solo il flebile dissenso di una bambina. "Mi picchieranno per quello che ho fatto, mi manderanno via." ripeteva tra i singhiozzi. 

"Non oseranno toccarti, nessuno ti farà niente, lo giuro sulla mia stessa vita. Ora VA'!" urlò incitando la piccola col braccio teso. 

Kim si alzò di scatto e cominciò a correre verso la distesa verde, l'unica vista piacevole in quel mondo d'inferno; nello stesso momento, Grant si allontanava verso la parte opposta, andando ad abbracciare le fiamme. 

"Luke! LUKE!!" chiamava raggiungendo la casa dalle cui finestre le tende sventolavano completamente in fiamme. Spalancò la porta e cercò di avanzare in quel locale nero dal fumo, mentre annaspava per prendere un po' d'aria. 
"Luke! Dove sei?" continuò raggiungendo il piano di sopra. Il legno con cui la casa era stata costruita scricchiolava sotto i suoi piedi.

 



"L'amore sussurrato" gli aveva svelato un giorno il parroco di famiglia "è il vero segreto. Non ti aspettare niente di magico dalla vita, figliolo: si nasce, si vive, si lavora e si muore. Chi verrà dopo di te avrà soltanto imparato a farlo meglio."

"Allora qual è il senso della vita, padre?"

"Il senso della vita è saper rompere questo schema, cambiarlo per una volta, e non diventare schiavo della finta felicità. La felicità, quella vera, non esita a soddisfarti, non ti chiede se può inebriarti, lo fa e basta. Figliolo, la vita è fatta per vivere al meglio. Impara ad essere felice, ad amare come solo tu puoi fare. Ama la tua famiglia come se fosse la tua sposa, ama la tua sposa perché sarà la tua famiglia, ama tutti incondizionatamente perché è questo che ti riserverà un posto in Paradiso." aveva terminato Don Giosuè schiarendosi la gola.

"Padre...?"

"Sì?"

"Ho paura di non sapere come si ama."






Per un momento aveva pensato di lasciarlo lì, suo fratello, raggomitolato come un serpente su se stesso, steso per terra nella camera dei loro genitori, l'ultima ad essere ancora intatta. In fondo lui non aveva mai voluto bene a nessuno, non li aveva mai trattati come veri fratelli, non li aveva mai amati come era degno che facesse.
 



"Ogni persona nasce sapendolo già fare. Ognuno lo porta dentro di sé, l'importante è saper tirarlo fuori e non tenerlo mai nascosto."




Ma lui non era un mostro, e, nello stesso momento in cui riuscì a tirar fuori suo fratello prima che la casa esplodesse, si ripromise che non lo sarebbe mai stato. 
Non lo fu nemmeno quando suo fratello si svegliò tossendo dopo che entrambi erano crollati sul selciato per l'esplosione e lui gli si era scagliato contro incolpandolo di tentato omicidio. 
Non lo fu neanche quando, accarezzando le gote rosse e rigate di lacrime di sua sorella, rivide la sua anima piangente e le disse che la colpa se la sarebbe presa lui, perché lui le voleva bene più della sua vita. 
Non fu un mostro neanche quando Joseph, il fratello minore, lo guardava con disperazione prima che i suoi genitori arrivassero al capezzale della loro casa e cominciassero a picchiarli. 


Grant Ward non è un mostro. 


Aveva inciso queste parole nella sua mente. Nient'altro che la verità.







Labbra piene e rosee, capelli neri come carbone, occhi azzurri e pallidi di dolore, è questo tutto ciò che Grant ricordava della sua famiglia, solo una piccola testolina che dal basso del suo metro e trenta e dai suoi sei anni lo guardava addolorata.

"No Grant! No! Non andare! Non devi andare per forza! Grant!" Kim gridava aggrappata alla sua felpa e il ragazzo la abbracciava forte.

"Mi dispiace piccola, devo andare."
Marie Julianne, sua madre, non aveva osato rivolgergli un solo sguardo mentre veniva portato via. Caarl, suo padre, aveva avuto la stessa idea di sua moglie come punizione abbastanza dolorosa per l'incendio colposo alla loro dimora. 

Kim però era ancora inconsapevole di quello che sarebbe accaduto, non aveva realizzato che il fratello si era esposto per evitare che quella punizione venisse inferta a lei. 

Grant alzò lo sguardo alla volta della schiera di famigliari che lo guardava disgustato, a differenza dei suoi genitori e di suo fratello maggiore Luke, Joseph teneva lo sguardo basso. Non aveva idea di come sarebbe riuscito a sopravvivere senza una presenza più o meno amica nella famiglia.

"Non mi lasciare, fratello." aveva sussurrato in quell'abbraccio a metà tra la morsa della nostalgia e l'attaccamento all'ultima speranza. "Non sopravviveremo senza di te." 

Un uomo dai lineamenti ingannevoli l'aveva strattonato per un braccio via da quella figura fraterna e l'aveva spintonato verso l'auto blindata. 
I suoi genitori avevano pensato che quella sarebbe stata la punizione migliore: che c'è di meglio di un addestramento militare in un'agenzia che teoricamente non esiste?

Dietro all'uomo che lo stringeva per un braccio, un altro signore dalla pelle scura e dall'occhio bendato avanzava incurante degli sguardi della famiglia Ward. Affiancò Grant e lo guardò per solo pochi istanti, poi si rivolse alla famiglia.

"Quando questo giovanotto ritornerà non sarete più in grado di riconoscerlo. Porteremo la sua forza e disciplina oltre il normale." annunciò.

"Fate quello che volete," commentò aspra la madre "basta che lo portate via dalla mia vista." 

Mentre si incamminavano verso il furgoncino nero, Grant sentiva chiaramente le urla di sua sorella implorarlo di restare. Garret, aveva capito si chiamasse il suo nuovo supervisore, e sarebbe stato lui la sua famiglia da allora in avanti.

Stretto tra gli agenti di scorta in quell'auto, Grant poteva benissimo vedere l'agente Garret sussurrare qualcosa all'orecchio dell'uomo al suo fianco. "Teniamo d'occhio la ragazzina, la sorella." ghignò "E' una debolezza... e possiamo sfruttarla a nostro vantaggio."




*




Ward era seduto sul bordo del letto quando l'allarme squillò e lo riportò alla realtà. I sogni, diceva sempre 'John', sono solo un diniego della realtà, un allontanamento dalla verità, qualcosa di vulnerabile per tutti coloro che li applicano. 



"Sono inutili. Rimanere nel passato non ti farà vivere il presente, e noi dobbiamo avere dalla nostra parte tutte le variabili che possono rimarcare l'esito positivo di una missione. La concentrazione è la prima, sognare non ti aiuterà." 




Era stato così che ad un ragazzo veniva strappato anche quel piccolo mondo tutto suo, proprio di ogni persona, in cui si rifugiava quando smarriva la sua vita. Adesso non aveva più neanche quello, si era trasformato in un robot.

L'allarme del sensore suonò un'altra volta e Grant si alzò svogliato dal letto sospirando e guardando fuori dalla finestra dalle tende fine. La sveglia non segnava che le nove passate da una decina di minuti. 

Aprì le vetrate della finestra dell'hotel e vi si affacciò: davanti all'edificio, al primo piano dell'albergo di fronte, un uomo di colore e molto muscoloso chiamava l'ascensore.

"Uhm.."




*







People killin', people dyin' 
Children hurt and you hear them cryin' 
Can you practice what you preach 
And would you turn the other cheek 

Father, Father, Father help us 
Send us some guidance from above 
'Cause people got me, got me questionin' 
Where is the love (Love) 

Where is the love (The love) 
Where is the love (The love) 
Where is the love 
The love, the love
 *




"Davvero?" Fitz la rimbeccava disteso a massaggiarsi la fronte sul divanetto del Bus. "Seriamente?" continuava davanti ad una Skye risentita.

"Cosa?" 

"I Black Heyed Peas come colonna sonora?" la riprendeva ascoltando quella lieve melodia di sottofondo.

"Hai mai sentito parlare di 'drammatizzazione', Fitz?" sbottò ragazza.

"Questo si tratta di pessimo senso dell'umorismo! Siamo rinchiusi in quella che è stata la nostra casa per mesi, braccati dalle più importanti agenzie governative legali, a combattere contro un mostro che gli altri non sanno nemmeno che esista. E non venire a dirmi che.." ma già Skye non lo ascoltava più, infatti aveva cominciato a cantare noncurante del farfuglio irrequieto dell'amico.

"Where is the love? The love, the love..." canticchiava intonata.

"L'amore ognuno lo porta dentro di sé, l'importante è saper tirarlo fuori e non tenerlo mai nascosto. Ecco dov'è l'amore!" Fitz le rispose semplicemente avvicinandosi al tavolo olografico con in mano un Icer in riparazione.

"Va tutto bene, Fitz?" domandò a quel punto premurosamente Skye, accorgendosi che c'era qualcosa che non andava in lui.

"Andrà tutto bene quando tutto sarà finito e saremo usciti vivi. Ma per adesso ci conviene-" ma l'ingegnere non riuscì a finire nuovamente la frase che lo schermo della sala riunioni cominciò a lampeggiare di rosso e una voce meccanica iniziò a parlare.

- C'è un nuovo messaggio. - gracchiava l'A.I.

"Indica il mittente e leggilo." ordinò Fitz al computer.

- "Abbiamo trovato una civile ferita su una linea di fuoco, la cosa potrà sembrarvi interessante." Proviene dalla Virginia, signore, il mittente è una certa Natascia Roosvelt. -


















N.d.a.

*Gente che uccide gente che muore 
i bambini che soffrono, li sentiamo piangere 
vogliamo mettere in pratica le teorie che predichiamo 
o preferiamo porgere l'altra guancia? 

Padre Padre Padre aiutaci 
mandaci un segnale dall'alto che ci serva da guida 
le persone mi fanno, mi fanno riflettere e pensare 
dov'è l'amore...

Il ritornello firmato Black Eyed Peas mi sembrava azzeccato ^^


Alluuuuraaa. INNANZITUTTO dedichiamo questo capitolo alla meravigliosa Paoletta che il giorno 14 ha compiuto gli anni (un anno in più cara mia!!), e che non c'è bisogno di conoscere per essere colpiti dalla sua bontà e gentilezza, anche solo attraverso le parole che scrive. Quindi ti dedichiamo questo capitolo, che spero ti sia piaciuto, e ti abbracciamo forte forte io e Becky!


POI... non so voi ma il season finale di Agents of S.H.I.E.L.D. mi ha lasciato un po' con l'amaro in bocca, per questo ho voluto scrivere questa long, sapientemente betata e giudicata dalla nostra fantastica Becky_99, per sfogare i miei poveri feels e anche per mettere in parole quello che per noi sarebbe dovuta essere la vera conclusione. Mi dispiace ma saremo molto [MOLTO] cattive, sorry in precedenza a tutte quelle dolcezze di fangirl che ogni volta seguono queste storie. Vi lovviamo un mondo!

So che questo primo capitolo crea molte domande, ma è solo l'inizio. L'inizio di cosa? Della fine. XD

Just words, fantasies and fortune

Erika & Rebecca







 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D. / Vai alla pagina dell'autore: Thiare