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Autore: Joy_jest    17/05/2014    3 recensioni
Clopin legge tutto, almeno, tutte le persone. Tranne una. Lei è la sua nuova sfida.
Sono agli opposti, ma gli opposti si attraggono... o forse no?
--nota--
1.Sì, un'altra storia con Clopin e una ragazza. No, non è una storia sdolcinata.
2.Alcuni personaggi (come Frollo) prendono ispirazione anche dal libro, che li rende più complessi. Comunque il contesto resta quello del film.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Claude Frollo, Clopin, Esmeralda, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Silenzio.
Regnava nella camera.
Regnava nella testa.
Il silenzio, così imponente nella sua assenza, rendeva tutto vuoto, perfino i pensieri di Cécile. Erano irrotti fuori tutti assieme, come i mali scappati dall'antico vaso di Pandora, rimasto vuoto, e così era rimasta la sua mente. Vuota.
Di tanto in tanto solo le grida che avevano riempito le interminabili ore della notte passata le riecheggiavano nella testa.
Accoccolata dietro al letto tra le coperte cadute, le guance pallide, la gola dolorante per le grida, ora stava lì, con gli occhi rossi e gonfi dal pianto che guardavano il silenzio immobile davanti a sé. Tutto era immobile, tutto pareva essersi fermato, ma Cécile non voleva che tutto si fermasse, voleva che tutto tornasse indietro.
Lei lo sapeva.
Nessuno gliel'aveva detto, ma lo sapeva.
Sua madre era morta. Morta. Forse anche il bambino, chissà. Sì, bambino: era un maschio, il maschio tanto desiderato dal padre e che ora era finalmente arrivato. Arrivato e andato via.
Cécile aveva gridato, oh sì, aveva pianto e urlato come mai aveva fatto. Perché era disperata per la morte della madre, ma soprattutto perché non aveva potuto fare nulla per evitarla; non aveva potuto nemmeno stare accanto a lei, non gliel'avevano permesso. Aveva urlato il suo nome, l'aveva chiamata tutta la notte, ma in risposta aveva ricevuto solo la porta della propria camera chiusa a chiave.
Non c'erano pensieri da pensare e non pensava. E quindi non pensava nemmeno che doveva pensare per riallacciarsi alla realtà, aggrapparsi a qualcosa, concreta o meno che fosse. Chissà per quanto tempo sarebbe rimasta lì, se non fosse stato per l'urlo cacciato da Mathilde, una delle servette di Frollo, entrata per sistemare la stanza.
-S-signorina... perché siete qui?
Che domanda sciocca. E dove doveva essere? Cécile non rispose, non ne valeva la pena.
-Perché non siete con vostro padre?
Suo padre... suo padre, ecco qualcosa che la riportò alla realtà, cos'aveva fatto suo padre nel frattempo? “Nel frattempo”, quanto tempo era passato? Lui, dov'era? Emile dov'era?
Così, come i pensieri erano fuggiti dalla sua mente, ora stavano riaffiorando uno ad uno sotto forma di domande, domande a cui avrebbe tanto voluto dare una risposta. Ma per conoscerla avrebbe dovuto chiedere e la gola le faceva male. Dischiuse le labbra secche fino ad allora incollate e tentò: -Dov'è... mio padre?- la voce non era la sua, era una voce roca, quasi di vecchia, ma almeno il messaggio era passato.
-Non lo sapete?! E' partito! E' tornato a casa!-
Tornato a casa senza di lei. Forse perché aveva lasciato Emile con lei, perché continuasse gli affari? Sì, sicuramente era così.
-Emile dov'è?
-Mi meraviglia che non lo sappiate! E' partito assieme a suo padre ancor prima di Monsieur Gerome.
Ma allora suo padre chi aveva lasciato con lei? Non le veniva in mente nessun altro. Forse era rimasta con i loro servitori Basile e Clothilde? Fece i due nomi a Mathilde, ma ancora una volta le venne risposto che erano partiti.
Dedusse una spaventosa ipotesi, che aveva paura di tradurre in parole, ma doveva farlo. Doveva sapere.
-Sono... sola?

Sembrava che avesse messo in difficoltà Mathilde, la quale non sapeva cosa rispondere, ma arrischiò con un'espressione triste: -Ho paura di sì, Mademoiselle.
Cécile chinò il capo lentamente, esterrefatta. Come avevano potuto? Contava davvero così poco? Anche per Emile, il suo Emile?
-Venga con me in cucina signorina, una tazza di latte caldo le farà bene.
Mathilde non era molto sveglia, ma con le persone ci sapeva fare, infatti confortò Cécile come meglio poté, ma nemmeno lei riusciva a trovare un rimedio a quella strana situazione.
La servetta stette a parlare con la ragazza un paio d'ore, durante le quali cercò di consolarla spiegandole che “il colera è una brutta bestia del diavolo”, che lei “doveva essere forte” e di come suo padre fosse letteralmente scappato in fretta e furia per paura del contagio. Alla fine annunciò che se ne doveva andare, si era fatto tardi, ma sarebbe tornata l'indomani e forse avrebbe portato con sé una soluzione. In breve tempo le fece trovare pronto un pasto, parco, ma pur sempre un pasto. Dopodiché la salutò e la lasciò sola.
Cécile ringraziò Mathilde; le era riconoscente per come stava tentando di aiutarla, ma forse non lo dimostrava abbastanza, lo sgomento la tratteneva. Provò a mangiare quello che le aveva preparato, ma non ci riusciva proprio, perciò lasciò a metà il piatto e andò a letto, cadendo in un lungo sonno profondo.


Al risveglio, ecco che era di nuovo sola. Era buffo e crudele che per quasi tutta la sua vita avesse cercato la solitudine chiudendosi nel suo studio e ora che era davvero sola non volesse altro che i suoi cari accanto a sé. Cécile maledisse il giorno in cui erano partiti per Parigi e contrassegnò quella città come la casa del diavolo. Non potevano restarsene a casa? Perché mai erano partiti? Ah, già, affari con il lontano parente giudice sotto forma di visita di cortesia. Come se nessuno sapesse cosa volessero in realtà, anzi, cosa suo padre volesse: un ricco carico di preziose stoffe da esportare, che significava molti fiorini d'oro da intascare. Chissà se suo padre sarebbe riuscito nel suo intento, se nulla fosse successo. Cécile credeva di no, Monsieur Frollo non sembrava il genere di persona che cedeva facilmente.
Se solo Cécile fosse stata forte come lui, se solo fosse stata anche lei così salda e impassibile avrebbe lasciato ogni disgrazia scivolarle addosso. Ma forse... forse qualcosa poteva davvero fare, prima che tornasse Mathilde. Non conosceva Parigi e non conosceva i parigini, eccetto uno. Era una decisione folle, senza minima certezza di successo, ma doveva tentare. D'altronde, cos'aveva da perdere? Tutto ciò che le era rimasto era la speranza, la stessa che era rimasta sul fondo del vaso di Pandora, dopo che tutti i mali ebbero infestato il mondo. Raccolse tutto il coraggio che le restava e prese il mantello per uscire. Fuori non era ancora buio e lei era diretta al Palazzo di Giustizia.

 

-o-0*§*0-o-

 

Clopin gironzolava da un po', come al solito, ma quel giorno non aveva ancora rubato nulla, stranamente. Alla strana ragazzina viziata quasi non pensava, era preso da ben altro: le guardie di Frollo erano sempre di più e sempre più vigili... ai suoi tempi erano decisamente più licenziose: non ce n'era una che non bevesse in servizio! Eppure anche allora erano al servizio di Frollo... chissà cos'era cambiato.
Era immerso tra questi pensieri quando, passando accanto a un muro che sapeva cingere il cortile di un palazzo, vide uscire una figura dal portone principale. Probabilmente non ci avrebbe nemmeno fatto caso se non fosse andata così di fretta, ma appena ebbe focalizzato meglio la figura si accorse che era lei, quell'antipatica! Gli tornarono in mente le parole di Esmeralda: -Cercala, spiala...- “Ma sì... perché non seguirla, d'altronde non ho importanti affari improrogabili che mi aspettano” pensò ironico “chissà che non ci scappi anche la burla, a quel barbagianni!” e deciso la seguì.
Non passò molto tempo che la ragazza rallentò il passo e ci volle meno di un minuto perché il gitano capisse che non conosceva affatto Parigi, prendeva strade a caso e con tentennamenti: si era persa. Tuttavia continuava a girare, fingendo di guardarsi in giro, troppo orgogliosa per chiedere indicazioni, o solo per mostrare il suo disorientamento. Ma Clopin vedeva, oh!, chiaro come il sole che si era persa.
Se voleva un momento per divertirsi, non poteva sceglierne di più adatti. Iniziò a girarle intorno, ma lei non lo notò. Allora fece di tutto perché si accorgesse che la stava seguendo (tutta quell'ingenuità iniziava a stargli sullo stomaco), ma lei, anche dopo averlo notato, si limitò ad accelerare il passo e, probabilmente spaventata, a prendere vicoli uno dopo l'altro, sempre più freneticamente, finché non incappò in un vicolo buio e desolato.
Allora Clopin rimase stupito. Non si aspettava un affronto diretto -non così- e tuttavia se l'era improvvisamente trovata davanti, con le braccia incrociate sul petto e uno sguardo di fuoco, gli occhi scintillanti di rabbia anche nell'oscurità. L'ennesima sorpresa di quello chat-huant1.
-Cosa volete?- gli chiese acida. Clopin avanzò di un passo prima di rispondere, ma lei prontamente indietreggiò, mantenendo le distanze. Non riusciva a vederlo bene in viso, la tesa del cappello lo nascondeva.
Una smorfia divertita comparve sul volto di lui, che rispose:- Perdonatemi se vi ho spaventata, mademoiselle, ma mi pare che vi siate persa.- Cécile cercò di mascherare la sua sorpresa, ma poi si guardò attorno, facendo scorrere il suo sguardo su quei muri sporchi e grigi, e ribatté con tono duro e pieno d'orgoglio:- Sì, mi sono persa.- Poi lo scrutò meglio e aggiunse -Chi siete?- Clopin si profuse in un esagerato inchino toccandosi il cappello rispondendo:- Monsieur Clopin, per servirvi. E sembra proprio che voi necessitiate un servigio, in questo momento. Permettetemi di indicarvi la strada.-
Ella era al tempo stesso divertita e confusa, forse non più tanto spaventata:- Monsieur, addirittura... ebbene, “Monsieur” zingaro, non mi pare di avere molta scelta. E' chiaro che io mi sia persa e che non sarò in grado di trovare la strada per andare dove devo, né per tornare indietro. Perciò, a malincuore, mi vedo costretta ad accettare una cortesia zingara, sempre che sia ancora valida.
Clopin stette al gioco: -Che formalità, mademoiselle, solo per un sempliciotto zingaro come il sottoscritto...
L' espressione di lei, come il suo tono, si indurì:- Non perché parlo a una persona inferiore io debba abbassarmi al suo livello. Se mi si offre una gentilezza, risponderò a modo. Non sono un'irriconoscente.- Fece una pausa, continuando a guardarlo dall'alto in basso – Tuttavia, se proprio ci tenete, posso fare un'eccezione per voi. Quindi muoviti, zingaro, o si farà buio.- E così dicendo si incamminava verso lo sbocco del vicolo.
-Mademoiselle...
-Cosa, ancora?- chiese lei di scatto, irritata.
-Non vi suggerirei quella strada... se non volete finire nella Senna.
Effettivamente i due muri davano quasi immediatamente sul fiume e gli sbocchi laterali erano vicoli ciechi. La ragazza tornò indietro, a testa bassa.
-Forse mi sarebbe più semplice darvi indicazioni se sapessi dove state andando, non vi pare?
-Devo andare... al Palazzo di Giustizia.
Clopin sgranò gli occhi, forse doveva lasciar perdere tutto, era molto, troppo pericoloso andare fin là, le guardie erano decisamente più fitte, ma non poteva nemmeno lasciare lì la ragazza dopo averle promesso aiuto, poteva essere zingaro, ladro e assassino, ma non era un vile. Cécile notò il suo smarrimento e i pensieri che affollavano il suo sguardo e chiese: -Qualcosa non va? Non potete accompagnarmici?
-N-no...- iniziò, ma lo sconforto immediatamente dipintosi sul viso di lei lo fece continuare: -No, è tutto a posto, vi accompagnerò volentieri.
“No, no, no! Non la accompagni volentieri e non è tutto a posto! Ti prenderanno! Sei uno stupido, perché sei sempre così avventato?” si ripeteva Clopin, ma intanto si era incamminato, mantenendo fede alla sua promessa.
-Dimenticavo- iniziò lei -non posso pagarvi... non subito almeno. Non ho soldi con me.
-Non importa, mi restituirete il favore più avanti...- rispose lui enigmatico.


La ragazza non sembrava averlo riconosciuto, dopotutto si erano visti una volta sola, e restava in silenzio. Un silenzio imbarazzante, che Clopin cercava di colmare, ma ogni domanda si risolveva in un monosillabo.
-Allora... voi non siete di Parigi, vero?- iniziò a dire, guardando incuriosito la ragazza.
-No.- rispose secca.
-Di dove siete allora?- provò Clopin, sperando in una risposta più ampia.
-“Né francese, né bretone, Malouin sono”2- Clopin riconobbe nelle parole della borghese il motto della città di Saint-Malo, una città di mare a est di Parigi, città di corsari e di mercanti3.
-E' una stoffa pregiata quella che indossate, la vostra è forse una famiglia di commercianti?-insistette Clopin, sperando di aver trovato l'argomento giusto per far parlare la ragazza.
Ella annuì con lo sguardo assente.
-Avete fatto bene a rivolgervi a me.- continuò -Conosco ogni vicolo di Parigi meglio delle mie tasche!
-Non sono stata io a rivolgermi a voi.- rispose sbuffando, infastidita dalle pressioni dell'uomo.
-In ogni caso, è stata una vera fortuna che io sia passato di lì.
Silenzio. Se Clopin voleva farla parlare doveva cambiare strategia: doveva parlare di sé, per farle parlare di lei.
-Ho un teatrino, sapete, per spettacoli di marionette. Sono un burattinaio. Beh, in effetti faccio anche altro: canto, suono, faccio spettacolo, sono un saltimbanco! Vi piacciono gli spettacolini?
-No.
-Perché mai?- chiese lui, deluso come un bambino a cui sia stato tolto un dolce.
-Preferisco le opere teatrali. Sono molto più istruttive.
-Capisco... siete una studiosa eh? Sempre sui libri, da sola... suppongo che siate sempre rinchiusa “nella torre più alta del castello” e allontaniate tutti da voi, non è così?- disse lui, scherzando.
Ma quelle parole toccarono Cécile. No, anzi, la ferirono. Quello zingaro nemmeno la conosceva e già aveva capito tutto di lei. -Cosa ne sapete VOI?- Urlò quasi, fermandosi e girandosi di colpo. Era rossa in viso, e gli occhi grigi erano di nuovo accesi di rabbia, ma molto, molto più di prima e per un attimo Clopin ne ebbe paura. -Non sono affari vostri, vi ho chiesto di accompagnarmi al Palazzo di Giustizia, nient'altro!- Cécile si sentiva davvero ferita, ma da sé stessa. Anche uno zingaro aveva capito che persona fosse: una che allontana tutti finché non ne ha bisogno. Solo ora se ne rendeva conto.
Clopin rimase di sasso come al loro primo incontro. Accidenti, quella bimbetta non aveva il minimo senso dell'umorismo! -Mi dispiace, n-non intendevo infastidirla...- Capiva che c'era sotto qualcosa, ma non capiva cosa potesse esserci di tanto spaventoso da non stare allo scherzo.


Erano giunti intanto al Pont au Changes, Clopin aveva scelto quella strada perché sbucava proprio davanti al Palais de la Cité. Il ponte era gremito di gente che cercava di passare, stipata tra una sponda e l'altra dove sorgevano piccole abitazioni dai tetti spioventi. L'unico loro decoro erano le travi scure che sostenevano i muri giallini e i pochi fiori alle finestre. Da lassù proveniva un forte vociare di donne affacciate che richiamavano i passanti, o i propri figli. In poche parole, il caos pervadeva quella strada.

Dopo un po' il gitano continuò:- Come mai vi interessa il Palazzo di Giustizia? Molti uomini non avrebbero il coraggio nemmeno di avvicinarvisi.
La ragazza esitò un po' prima di rispondere:- Devo incontrare il giudice.
-Avete compiuto un reato?- Chiese egli perplesso.
-No!- rispose lei, quasi offesa.
-Ma perché allora?- Continuò, sempre più curioso
-Devo chiedergli un grosso favore.- Rispose la ragazza senza fare una piega.
Clopin invece scoppiò in una grassa risata “Al giudice! ...Un grosso favore! ... A Frollo! Ma chi si crede di essere?” pensava divertito.
-Posso sapere perché vi fa tanto ridere?
-Un favore... a Frollo! Ah! Ma lo conoscete, voi, il giudice di Parigi?
-Di persona.
-Allora dovete essere matta. Frollo non concede favori nemmeno a sé stesso, figuriamoci a una ragazzina come lei!
-Non permetto che mi si dia della matta, o della ragazzina. So bene a cosa vado incontro.
Tuttavia... si dà il caso che non abbia niente da perdere.
-Avete la vostra vita!
Lei rispose serissima: -Forse nemmeno quella.

Dopo quella risposta, Clopin rimase in silenzio. Era una cosa terribile quella che si era appena sentito dire. Non era mai stato un uomo compassionevole e aveva sempre detestato il vittimismo, ma cosa ci poteva essere di tanto spaventoso da farsi scoraggiare in quel modo? Solitamente erano loro, i gitani, coloro che “non avevano niente da perdere”: non una casa, non dei beni, solo la famiglia e i vari monili d'oro. La ragazza non sembrava il tipo che si getta di pancia nelle situazioni e nemmeno un'amante del rischio, perciò poteva solo immaginare quanto potesse essere disperata per dire di non avere niente. Bastava pensare che la sua ultima speranza era Frollo!
E mentre rifletteva tutto questo Clopin scorse con la coda dell'occhio una sottile lacrima attraversare la guancia candida della fanciulla.


Alla fine del ponte Clopin si arrestò: all'angolo c'era la prima di una lunga serie di guardie, proseguire sarebbe stato davvero troppo rischioso per lui.
-Io devo fermarmi qui, ma, vedete, il Palazzo di Giustizia è proprio lì di fronte.- disse indicando il palazzo austero ed enorme che si ergeva di fronte a loro.
La ragazza fu scossa da un brivido, che il gitano fece finta di non notare.
-Grazie- iniziò Cécile - vi devo un favore.- Poi si voltò e fece per andarsene, ma Clopin la chiamò: -Aspettate! Qual'è il vostro nome?
Lei si girò a malapena e rispose: -Cécile- guardandolo coi suoi occhi grigi, spenti e con un'espressione che ancora una volta Clopin non seppe decifrare.
-Arrivederci, chat-huant!-
La ragazza restò indispettita di fronte a quel nomignolo, ma davanti al sorriso bonario dello zingaro lasciò perdere. E se ne andò così, senza voltarsi indietro, senza niente da perdere.
Ma Clopin sapeva.
Si sarebbero rivisti.

 

-o-0*§*0-o-


Le era bastato dire chi fosse per far sì che le guardie la facessero passare e ora procedeva per i lunghi e tetri corridoi del Palazzo accompagnata da una di loro, fino a giungere nello studio del giudice. La guardia bussò e il giudice li invitò ad entrare, restando seduto alla scrivania con il capo chinato su alcune carte.
-Giudice Frollo, c'è una ragazza, dice di essere una sua parente.
Il giudice incuriosito alzò lo sguardo e la vide, in piedi dietro la guardia, seria, forse con un velo di tristezza sul viso, ma niente traspariva di più della sua determinazione, in quel momento, e del suo timore. L'ultima volta che l'aveva vista era stata alla cena d'affari organizzata dal nipote della sorella di suo nonno, ovvero il padre della ragazza in questione, e ne era rimasto, in realtà, sinceramente colpito. Non era una ragazza frivola o superficiale, come sapeva essere molte della sua età, anzi, la profondità delle sue idee lo aveva stupito.
-Falla entrare- ordinò, alzandosi. La ragazza avanzò fino a trovarsi di fronte a lui, abbassando lo sguardo. Il giudice congedò la guardia e rimasero soli: -Cosa vi porta qui, mademoiselle Cécile?- chiese -Ho saputo che vostro padre è fuggito in fretta e furia da Parigi. Nemmeno si è degnato di salutarmi... ha forse mandato voi in sua discolpa?-
Cécile era enormemente intimorita da Frollo, ma al tempo stesso consapevole che quella che stava vivendo era la sua unica possibilità e che doveva giocarsela al meglio.
-No... no, in verità. Mio padre è fuggito per paura del contagio.
-Contagio? Di cosa? Non mi pare che ci siano particolari epidemie in questo momento a Parigi- chiese Frollo, perplesso.
-Colera. Mia madre è deceduta questa notte.
A Cècile parve di vedere cambiare l'espressione del giudice, ma non seppe dire se fosse stupore, tristezza o compassione quella che gli si era dipinta sul viso. In ogni caso fu un attimo, e subito si ricompose la solita espressione severa. Si risedette alla scrivania e invitò Cécile a fare lo stesso: -Raccontatemi.- disse.
Allora Cécile iniziò a mettere in fila una parola dopo l'altra e a raccontare tutto, dal viaggio verso Parigi a quando si era svegliata quella mattina, tutto con un ordine e una precisione che stupirono entrambi. Fu un enorme sforzo per lei mettere da parte la confusione che ancora la scuoteva, tralasciò ogni emozione, ogni pensiero e fece trasparire solo i fatti, ben sapendo che solo a quelli Frollo dava credito. Quando ebbe finito, un enorme groppo le stringeva la gola, sembrava quasi che la dovesse strozzare, ma non pianse, quello no, non versò una lacrima.
Alla fine del racconto Frollo rimase in silenzio per alcuni interminabili istanti, dopodiché si alzò, si diresse verso una credenza che stava in un angolo per versare dell'acqua in un bicchiere. Bevve. Si risedette e dopo alcuni minuti finalmente parlò: -Perché siete qui, mademoiselle Cécile? Cosa ho a che fare io con tutta questa storia?-
Cécile era imbarazzata di fronte a quella domanda, ora doveva fare la sua richiesta:- Io sono sola, come ho detto, non ho niente e voi siete il mio unico parente... Io... io vi sto chiedendo di ospitarmi-
Frollo sbiancò. “Con quale coraggio questa ragazzina chiede ospitalità all'uomo più temuto di tutta Parigi?” pensava. Lui, con una bimbetta in casa? No, non se ne parlava. Come avrebbe fatto? Cosa ne avrebbe pensato la gente?
-Non sarebbe per molto- continuò timidamente Cécile -me ne andrei appena finito l'inverno.
Frollo rispose austero: -Non posso, sono desolato. Comprendo la vostra condizione, ma ho una posizione da mantenere e in un momento delicato come questo...
-Vi prego- lo interruppe -Non vi darò fastidio.
-Vi ripeto che non è possibile, non ho intenzione di cambiare la mia idea.
-Ma io posso rendermi utile!
-Ho già abbastanza guardie e servitori ad assistermi, l'unica cosa di che proprio non mi manca è un altro intruso in casa mia.
-Posso aiutare, vi dico, davvero! Posso controllare carte... e sbrigare faccende burocratiche, ne sono in grado!
-Cécile!- gridò lui, alzandosi. Si diresse poi verso l'alta finestra e indicando fuori continuò: -Cosa credi che penserebbe la gente, Cécile? Cosa direbbero di me?
-Ma...
-Vi ho già dato la mia risposta!
-Io sono vostra cugina!- gridò lei, alzandosi a sua volta - Come potete negarmi aiuto? Cosa penserebbero, piuttosto, di un ministro che nega ospitalità alla propria cugina in difficoltà? Cosa ne ricaverebbe la vostra posizione?
Frollo guardò fuori, interdetto, le cime degli alberi si chinavano sotto il vento gelido e tra i tetti delle case poteva scorgere le torri di Notre-Dame veglianti sulla città, ma in quel momento sembravano guardare proprio lui. Nel frattempo lei gli si mise davanti e gli disse, con parole ferme e guardandolo fisso con occhi che bruciavano: -Nelle nostre vene scorre lo stesso sangue.
Frollo sospirò, vinto da quegli occhi, e senza guardarla borbottava: -Solo un inverno. E dovrai prestarmi aiuto quando te lo chiederò.- Ma Cécile non lo ascoltava già più, si profuse in ringraziamenti di ogni sorta e continuava a promettere che si sarebbe resa utile in ogni modo.

Quando Frollo chiamò Mathilde perché desse una camera a Cécile, la servetta rimase di sasso, ma subito si sciolse in un enorme sorriso dando il suo più caloroso benvenuto alla nuova arrivata. Anche dopo che l'ebbe accompagnata nella sua stanza non poté trattenersi dal prenderle le mani e dirle, con tutto il più sincero affetto: -Siete davvero una donna forte, mademoiselle.


Note:

[1]: Chat-huant: barbagianni. Ripeterò più volte questo termine nella storia.
[2]: Da Wikipedia: Motto locale di Saint-Malo: "Né francese, né bretone, Malouin sono" (origine incerta, probabile riferimento alla repubblica malouine del 1590-1594); "Prima Malouin, dopo bretone, francese se ne resta" (versione attuale).
Sì, lo so, è datato 1590, ma se permettete chissenefrega, era funzionale al dialogo.

[3]:
Sempre Wikipedia dice che Saint-Malo era città di corsari, i mercanti li ho aggiunti io perché sono generosa. Ah, e perché mi serviva.


Spazio autrice:
Sono ancora viva, niente paura. Lo so, sono in un ritardo deplorevole -di nuovo- ma ho deciso che "in ritardo" è ogni quanto pubblicherò capitoli.
Bene, qualche scusa e precisazione: ho deciso che inserirò necessariamente degli elementi leggermente anacronistici perché è molto difficile reperire informazioni su quel periodo storico così come far combaciare tutti i dettagli (ad esempio: in realtà nel Medioevo era pressoché sospesa la rappresentazione di opere teatrali, ripresa solo nel Rinascimento, mentre Cécile dice di averle viste), quindi, per favore, perdonatemi, non sono una storica.
Ho ucciso la madre, avete ragione. Per favore, non uccidete me! Era funzionale al racconto! Sono stata schiavizzata dalla storia! *gesti e tentativi inutili di difesa*
Ringrazio eeenormemente la mia Calmoniglio per i provvidenziali consigli che ho seguito solo a metà. Chiedo perdono! Ma mi sei stata taanto ma tanto preziosa! <3

Piccola novità: su facebook ho aperto una pagina assieme a una mia amica dove pubblichiamo i nostri disegni, per chi fosse interessato si chiama "My world of trifles", è appena nata, quindi non c'è molto materiale, ma crescerà, spero. Dato che in quella pagina mi chiamo Lilo, pensavo -sottolineo pensavo- di cambiare nome anche qui in Lilo o qualcosa di simile, in ogni caso, se cambio nome non spaventatevi! ;)

Spero solo che la storia vi stia piacendo! :) Vi chiedo soltanto di recensire, come sempre. Non abbiate paura di criticarmi, davvero. Se pensate che debba aggiungere, togliere, migliorare qualcosa ditemelo, sono qui per migliorarmi, quindi mi può fare solo piacere! c:


Au revoir, à la prochaine fois!


  
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