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Autore: thepassenger_    22/05/2014    0 recensioni
C’è qualcosa nel suo sguardo. D’altronde, c’era sempre stata una luce cupa nei suoi occhi, sin dalla prima volta in cui lo vidi, seduto sull’erba a gambe incrociate nel parco Kaivopuisto.
Fumava, allora: la sigaretta ormai spenta tra le labbra quasi blu, serrate dal freddo che sferzava la città senza alcuna remora. Ricordo come fosse ora quanto stetti a fissarlo, ammaliata dalla sinuosità dei suoi movimenti e dall’agilità delle sue grandi mani: il tempo esatto di tre sigarette. La velocità in cui lui terminava di fumare era pari a quella di un respiro. Un respiro affannato, a dire il vero.
Lo vidi sfregarsi le mani e asciugarle su quei jeans neri troppo stretti, alzandosi velocemente, senza nemmeno barcollare, per poi allontanarsi dalla mia vista per molto, troppo tempo.
Ora è qui, di fronte a me, ancora. Eppure quella scintilla nella pupilla scura non è affatto cambiata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aino entrò nella pasticceria sfregandosi gli occhi, per togliere ogni traccia delle lacrime versate appena fuori dalla soglia della casa di Annika. Ogni tentativo era stato inutile, le ore trascorse e le parole spese non erano riuscite a valicare il muro che l’amica aveva creato contro di lei, contro tutto il dolore che lei aveva provocato. Tra urla e pianti, Annika aveva sfogato tutto ciò che aveva provato non solo negli ultimi due anni, ma da quando tutto era cominciato, tutta quella frenesia che aveva colpito d’improvviso la vita di Aino da cui lei era stata esclusa, senza alcun motivo. Le ultime parole che le aveva rivolto, deboli benché cariche di rancore, risuonavano ancora nella mente di Aino: “Dì pure a Hannu di venire a prendere le tue cose, visto che di lui ti fidi.”

La donna cercò di scansare i pensieri, allungando il collo per cercare quel viso familiare tra i vari tavolini pieni di coppie sorridenti e famiglie felici. Un’immagine che contribuì invece al ricomporsi del puzzle di memorie.

Una risata acuta e infantile colpì il suo orecchio, facendola voltare di scatto: vide una piccola testa ricoperta di capelli biondissimi e dietro di lei il viso divertito di Hannu. Lui la notò e sorrise, poi allungò una mano verso la figlia e le coprì gli occhi, ammonendola con delle parole che Aino non udì. Hannu si alzò e si avvicinò a lei, abbracciandola: il contatto inaspettato fece irrigidire la donna, mentre l’amico si ritrasse velocemente e le bisbigliò imbarazzato: “Dovevi chiamarmi.”

Lei lo guardò negli occhi, cercando di trovare delle parole di convenienza, ma stette in silenzio, limitandosi ad alzare le spalle. Si avvicinarono entrambi al tavolo e lì Hannu convinse la figlia a togliere le mani dagli occhi e a scoprire la sorpresa.

Gli occhi della bimba si rabbuiarono tempestosamente, tanto da far temere al padre una crisi di pianto, ma lei rimase ferma, le guance tirate e le labbra serrate l’una sull’altra.

“Riikka, non vuoi salutare Aino? È tornata.” Hannu accarezzò la guancia della figlia, mentre dentro di lui si faceva strada la consapevolezza che lei non aveva dimenticato e tantomeno perdonato. Riikka scosse la testa e fissò la tazza di cioccolata, mentre Aino, immobile, guardava l’amico con impotenza.

Hannu continuò a bisbigliare qualcosa all’orecchio della figlia, cercando di convincerla almeno a rispondere, con vani risultati. La donna si sedette di fronte a loro, lo sguardo nuovamente velato e la gola appesantita dal solito senso di nausea che aumentava di ora in ora.

Aveva già perso Annika, ora Riikka non osava nemmeno guardarla negli occhi. Perché era tornata?

“Com’è andata?” chiese Hannu, con lo sguardo triste e un braccio attorno alle spalle della figlia.

“Come diresti che è andata? Non mi vuole più vedere e ne ha tutto il diritto. Mi ha detto tante di quelle cose che… Continuano a vorticarmi nella testa le sue parole, le sue accuse, il suo rancore. È un muro.”

“Vuoi che le parli io?”

“Non credo sarebbe utile. Mi odia talmente tanto da sentenziare che tu potrai essere l’unico a riprendere le mie cose. Io non potrò più mettere piede lì dentro. Lì, dove c’era la mia vita…”

Aino abbassò lo sguardo sulle dita intrecciate e tremanti. Inerme, come sempre, non riusciva a combattere contro le sue emozioni. Un’ultima grossa lacrima scese lungo lo zigomo, presto scacciata in maniera febbrile. La donna si alzò di colpo, ormai incapace di reggere un respiro in più.

“Ti prego, Hannu, scusami, ho bisogno di andare a casa. È troppo chiederti di portarmi le mie cose?”

Lui la guardò dal basso, mentre le mani della figlia gli stringevano il maglione. Aveva troppe donne da controllare.

“No, non ti preoccupare. Se riesci a sopravvivere per un giorno, domani mattina andrò da lei e poi passerò a portarti tutto. Riposati, Aino.”

Aino se ne andò e Riikka alzò finalmente gli occhi verso al padre, esplodendo in singulti di pianto: “Io la odio! Io odio Aino!”. La reazione tanto attesa non colpì Hannu, già da tempo pronto alle conseguenze. Eppure non riuscì a tenere il passo della figlia, che cominciò a urlare e scalciare, lasciandolo interdetto per un attimo. La prese in braccio, mentre i piccoli stivali di gomma rossi gli martoriavano il fianco e uscì di corsa dalla pasticceria, sotto una nuova nevicata.

 

 

Annika raccolse l’ultimo coccio dal pavimento per  poi gettarlo nel cestino. Aveva rotto due piatti e versato tutte le lacrime che le erano rimaste finora, incapace di reagire, di nuovo. Chiuse a chiave la porta e si diresse nella sua stanza, sedendosi sul letto con il respiro intervallato dai singhiozzi.

Perché era tornata? Era riuscita a uscire da quella disperazione, aveva quasi finito il percorso di analisi e adesso? Provò la stessa sensazione che avvertì quando Aino scomparve: freddo.

Un freddo intenso, spaventoso, tanto da immobilizzarla sul letto e tagliarle il fiato, facendola tremare.

Tutti i ricordi di quel giorno la assalirono, costringendola a stringere gli occhi e ansimare: l’auto di Aino che sgommava davanti alla porta spalancata, il suo vestito macchiato di rosso scuro, gli occhi gonfi di pianto che presagivano un addio.

Annika allungò la mano sul comodino, ingoiando subito dopo l’ultima compressa di antidepressivo. Una droga, certo. L’unico modo per riuscire a continuare, giorno dopo giorno, cancellando il passato, bruciando ogni energia per il lavoro, tutto per fare in modo che la sua mente si riempisse di impegni che scacciassero ogni immagine. Tuttavia, tutto era così vivido, così reale, come se fosse successo solo un’ora fa, mentre i numeri sul calendario sostenevano il contrario.

Il cellulare squillò: Hannu.

“Annika. Sono Hannu.”

“Ciao. Cosa vuoi?”

“Posso passare a casa tua domattina? Dovrei…”

“Sì, portati via quella roba, non ne posso più.”

“Vuoi parlarne?”

“Non credi che ne abbia già parlato abbastanza?”

“Annika, io…”

“Non mi interessa, Hannu. E non credo di essere l’unica, giusto? Cosa ne pensa Riikka di questo ritorno, eh? Avrà un sorriso a trentadue denti, ovvio.” Annika sorrise amaramente dietro allo schermo.

“Lo sai benissimo come l’ha presa. Io capisco il tuo punto di vista e vorrei ricordarti che in tutto questo tempo ci sono sempre stato per te, non ti ho mai lasciata da sola così come ho continuato a crescere Riikka. Credi che sia stato facile per me? Hai ragione, sì, ne abbiamo parlato abbastanza.”

Il cellulare rimase muto: Hannu aveva riattaccato. Annika si alzò, si avvicinò alla finestra e tirò le tende, poi urlò.

Gridò con forza, con rabbia, con odio. Sciolse tutte le parole e i pensieri in un unico suono straziante, costringendola a lasciarsi cadere sulle ginocchia. Urlò fino a quando l’aria smise di uscire, finché le orecchie non fischiarono troppo forte.

La donna si zittì, raccolse le ginocchia e appoggiò la schiena al muro, cercando di regolare il respiro. Prese il cellulare da terra e digitò quel numero ormai impresso nella memoria: “Dottor Virtanen? Sono Annika Nurmi. Credo di aver avuto una ricaduta.”

 

 

Ventiquattro ore. Aino fissava la finestra dal bordo del cuscino umido. In sole ventiquattro ore aveva distrutto la vita di tre persone e doveva ancora affrontare tutte le altre. La neve aveva smesso di cadere, ma il freddo vento invernale aveva cominciato a creare mulinelli attorno ai bordi delle case, sullo sfondo di un cielo violaceo.

La sua mente tornò di nuovo a lui. Non sapeva nulla, non aveva la minima idea di cosa fosse successo dopo… Dopo quell’abominio. Percepì le sue dita tremare come quella sera, colta da un senso di impotenza. Un reflusso improvviso di dolore la costrinse ad alzarsi e correre, per gettarsi appena in tempo sul lavandino e liberarsi di tutto, di ogni parola non detta, di ogni segreto, di ogni schiaffo e ogni lama nel cuore.

Si accasciò per terra, incapace di versare altre lacrime, immobile. Restò così a lungo, sulle piastrelle ghiacciate, invasa dalle immagini dell’altro lui, la vera causa di ogni rovina. Troppe emozioni, troppi sforzi, tanto freddo. E Aino svenne.

 

 

“Basta, Riikka! Basta!”

Hannu aprì la porta d’ingresso, lasciando che la bambina entrasse, attirando subito l’attenzione dei nonni, poi la chiuse con rabbia dietro di sé e risalì in macchina, pigiando con forza sul pedale e raggiungendo i cento chilometri orari in pochi secondi.

Sfrecciò sullo sterrato che conduceva alla casa dei genitori, per poi immettersi sulla statale e correre liberamente, lasciando che il paesaggio confluisse con la velocità dei suoi ricordi.

“Fanculo.” Sorpassò irato un fuoristrada, schiacciando a fondo l’acceleratore e alzando al massimo il volume della radio, per coprire il rumore dei pensieri.

Un altro sorpasso, vari clacson, un auto che frenava di continuo di fronte a sé. Un’inchiodata improvvisa, la puzza di bruciato, lo sterzo impazzito e tutto fu come quella volta. Le auto dietro di lui ruggirono con violenza, mentre si lasciava scivolare sul sedile e accostava nella corsia d’emergenza.

Appoggiò la testa al volante e pianse. Non l’aveva più fatto dal giorno della morte di Päivi. Non si addiceva a un uomo, un padre solo, un inutile autista di navette aeroportuali. E invece eccolo lì, tre anni e ventuno giorni dopo l’incidente, a piangere di rabbia sul cruscotto della sua auto ferma nella statale.

Il cellulare sul sedile di fianco a lui iniziò a vibrare, visualizzando la foto dei genitori. Lo spense e lo gettò nel retro, accasciandosi di nuovo con le braccia attorno alla testa.

Voleva sua moglie. Voleva stringerla di nuovo tra le braccia, baciarle i polsi e spogliarla lentamente, sotto la luce delle stelle nella notte di Vappu, dopo la sauna e il vino rosso. Voleva rimboccare le coperte della figlia ogni notte, invece di ricalcare il tragitto fino all’aeroporto di ora in ora, lasciandola sola anche durante gli incubi, costretta a calmarsi da sola succhiando l’orecchio di Mikko, il coniglio di pezza della madre. Voleva salvare Aino da quella situazione, voleva essere tutto ciò di cui lei aveva bisogno, forte e gentile allo stesso tempo, capace di rincuorarla in ogni situazione.

Eppure, l’unico reale desiderio era quello di sfregiare il volto di Perttu, sferrargli un pugno sul fegato e vederlo rantolare a terra, prenderlo a calci finché ogni singolo dente non gli si fosse staccato e non avesse navigato nella sua bava di sangue.

Dei colpi sul finestrino lo fecero sobbalzare: un poliziotto batteva le nocche per attirare la sua attenzione. Hannu abbassò il vetro e fissò l’uomo negli occhi. “Signore, si sente bene?”. Il poliziotto era giovane e infreddolito, con uno sguardo misto di compassione e preoccupazione.

“Certo, perché non dovrei?” Hannu cercò di sorridere, fallendo miseramente l’impresa.

“Ha gli occhi gonfi. Vuole che la riaccompagni a casa?”

L’autista si passò le dita sulle palpebre, fingendo nuovamente. “No, la ringrazio, avevo solo bisogno di fermarmi un attimo. Posso andare ora?”

Il poliziotto annuì brevemente, sistemandosi il frontino del cappello. “Stia attento e vada piano. Torni subito a casa”.

Hannu gli garantì che l’avrebbe fatto, avviò il motore e s’immise nuovamente nella statale, stavolta rispettando i limiti. Non tornò a casa, però. Doveva assolutamente parlare con Tuominen.

  
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