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Autore: lamialadradilibri    03/06/2014    1 recensioni
«Ciao, Emma. Sono io, Cara. È da un po’ che non ci sentiamo, perché... Be’, ti potrà sembrare strano, ma ora ti sto scrivendo da un altro mondo. Il Mondo Al Di Là, più precisamente. È ancora tutto un po’ confuso, e... Non ho idea di come tornare indietro. Non c’è nessuno che può aiutarmi, qui. Ricordi Alec Mitchell, l’agente di polizia, il dio greco? Be’, è qui anche lui. Questo è il suo mondo, in realtà.
È iniziato tutto in modo così normale (per quanto sia normale finire in commissariato alla mia età a causa d’una sparatoria...!), ma ora nulla è come prima. Abbiamo litigato, lo so. Ma ti chiedo un’unica, piccola, cosa: Aiutami. Fammi uscire di qui. Qui c'è qualcosa di sbagliato, malsano. L'unica cosa che mi tiene in vita è ciò che provo per Alec Mitchell, che credo sia... Amore, sì. Lo è, anzi. Nonostante ciò... Vivere qui è terribile, mi costringono a combattere ogni giorno. Ad uccidere, Emma. E non so nemmeno il perché. Ho paura! Salvami. Tu puoi farlo.»
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 7.

Rivelazioni scioccanti.



NdA.
Prima cosa: comincio con lo scusarmi per il ritardo di questo capitolo. Lo so, lo so, ci ho messo un secolo a pubblicarlo, però ... Credetemi, l'ho dovuto riscrivere infinite volte. Quando, qualche giorno fa, avevo creduto  di aver trovato la versione buona, l'ho riletto ed ho pensato << No! >>. Era terribile, credetemi. E così ho ricancellato tutto, finché... *TADAN* ecco qui ciò che mi sembra più accettabile. Abbiate pietà, è un capitolo difficile ed è disseminato di cose importanti;spero non sia noiosissimo... A quanto pare non è nemmeno troppo lungo ma o così, o niente. Sorry.

Buona lettura!

-

«Dove sono?»
Alec Mitchell mi rivolse un sorriso circostanziale, che non aveva niente di amichevole. Era il tipico sorriso che si mostra ai matti, subito dopo aver dato loro ragione. "Sì, sì." Non riuscì ad infastidirmi.
 Se ne stava seduto su una sedia di legno piuttosto alta, guardandomi con un’aria strana. Non sapevo dove fossimo – nel mio mondo? O  nel loro? –, né cosa fosse successo dopo il mio svenimento. Naturale, questa volta – nessun ago mi era entrato nella carne. E non sapevo neppure se, disgraziatamente, Alec Mitchell potesse leggere nel pensiero. Perché se era così ... Be’, la cosa si faceva un bel po’ imbarazzante e problematica.
«A casa mia.» rispose, alzandosi d’un tratto. Camminò su e giù per la stanza più volte, mentre io digerivo l’informazione appena ricevuta. In realtà ci riuscii ben poco, perché le sue parole mi restarono bloccate in testa senz’acquisire un significato concreto.
Nonostante ciò, domandai con voce incrinata dalla spossatezza, un «Perché?» ben poco interessato. Ciò che volevo era che spegnesse la luce, tirasse le tende e mi lasciasse dormire. Non volevo né pensare a dov’ero. Né al perché. Né a come sarei tornata a casa. Perché ci sarei tornata, no?
«Perché mi sei svenuta tra le braccia, idiota!» s’indispettì senz’alcun motivo valido. Anche se non ci diedi alcun peso – il limbo si stava rivelando un modo fin troppo efficace per evitare liti inutili –, continuò, quasi a giustificarsi: «Non potevo portarti di nuovo là all’ospedale. Hai già visto... E sentito... Troppo.»
Ecco il succo della conversazione! L’ospedale! Le urla!
Quelle dannatissime urla che, da quel giorno, mi avrebbero sicuramente tormentata nei sogni... Ero certa che le avrei udite per tutta la mia esistenza, chiedendomi cose alle quali non potevo - nè avrei mai potuto! - rispondere.
«Ah.» borbottai. La mia voce era monotono. Che sonno, ragazzi.
«Non preoccuparti, entro oggi qualcuno ti troverà un posto.»
E chi si preoccupava? Quel letto era così comodo. Mi piaceva questo posto.
«Bene.»
«Non hai paura?»
Scossi il capo. Negativo.
Lui mi guardò con un’espressione strana... Ammirazione, pensai, non capendone però il motivo. Era ufficiale: Alec Mitchell era schizofrenico.
«Proprio come pensavo... Uguale a lui.» borbottò tra sé e sé, mentre un sorriso – un sorriso vero, bellissimo – gli increspava le labbra rosee.
«Ho sonno.» Dichiarai, sperando che mi lasciasse lì, in pace. A dormire. O morire, anche.
«Non c’è tempo per il sonno. Oggi verrà tuo padre, Cara.»
Papà. L’immagine del suo volto occupò ogni mio pensiero, e mi sentii più leggera. Avrei visto una persona amica, finalmente! E a proposito d’amici, visto che c’era campo, avrei fatto bene a scrivere un SMS ad Emma. E velocemente, anche.
 
La mattinata passò in fretta. Restai a letto a riposare, con Alec Mitchell che m’informava su ciò che era successo dopo che ero svenuta.
Gli ero praticamente caduta tra le braccia tanto che, commentò con un sorriso idiota, all’inizio aveva pensato che l’avessi abbracciato di proposito.
Ma poi s’era accorto che qualcosa non andava e così, dopo aver deciso che all’ospedale non potevo più stare – avevo sentito troppo, diceva. Non sapeva però, che la cosa ad avermi spaventata di più, era stato il silenzio. Il silenzio dopo le urla. E l’odore. L’odore di morto, che ormai s’era impresso nelle mie narici, e era ovunque andassi io –, mi aveva presa in braccio – uhu, non appena l’avessi detto ad Emma, sarebbe impazzita per questo particolare! – e portata a casa sua.
Più precisamente nella sua camera. Sul suo letto. Dov’ero ora.
«Tutto qui» concluse infine, tornando impassibile.
La sua voce, per tutto il tempo, non aveva dimostrato alcun sentimento. Alec Mitchell pareva soltanto un po’ infastidito dal fatto che avessi sentito le urla, perché Megan non mi aveva sedata.
«Sai, quella notte? La prima volta che ho sentito le urla, dico.» Borbottai, stringendo tra le mani il mio telefono. Avrei scritto ad Emma più tardi, non appena fossi stata sola. Lui annuì. Sapeva, certo. L’aveva intuito. «Be’, tu mi hai dato un bel po’ di sonnifero ...» buttai là, come se non m’interessasse poi molto. «Avresti potuto uccidermi.»
«Non è andata così, però.» contestò, irrigidendo la mascella.
«Lo so... Ma mi chiedevo se quell’uomo che urlava è morto, invece.»
Silenzio.
“Alec! Dove sei? Il lavoro è finito!”
«Alec... Guardami» ordinai, mettendomi seduta a letto. Lui mi guardò. Con i suoi occhi... Totalmente celesti. D’un celeste intenso, pazzesco. Per un momento azzerò la mia capacità di pensare. «Quell’uomo... E’ morto?»
Sbuffò, frustrato. Con le spalle al muro. «Non era un uomo!» precisò. Come se cambiasse qualcosa.
Ma qualcosa cambiava. Eccome. Dovetti mordermi la lingua per non chiedergli cosa fosse stato, perché la curiosità era tanta, troppa. Scrollai il capo, irritata – da lui e da me.
«Che c’entra! È morto?» mi intestardii a chiedere, stringendo forte le lenzuola del letto.
«Vuoi davvero saperlo?»
No! «Sì!»
«Sì. È morto.»
Bam! Persi un battito. Ecco, sciocca! A voler sempre sapere tutto ci si fa male! Idiota!
Lo osservai per un secondo di troppo –i suoi occhi erano tornati come quelli d’un semplice umano, bianchi azzurri neri oh ma che bel mare cosa c’è lì in mezzo?, ed aveva un’aria di sfida.
Non riuscii a trattenermi. Nessuno poteva sfidarmi, non così! «Perché?»
«Cara, la curiosità uccise il gatto. Taci. Tra un po’ arriverà tuo padre» e se ne andò.
 
Mio padre arrivò per pranzo. Quando Alec Mitchell entrò in camera a dirmelo, con un’espressione un po’ preoccupata, mi alzai dal letto con il cuore a mille. Quante cose avevo da dirgli! Non vedevo l’ora d’abbracciarlo. E tornare a casa, finalmente!
Seguii Alec Mitchell fino alla cucina. Non prestai attenzione alla casa, puntando invece gli occhi sulle spalle larghe di lui. Il mio punto fisso, per quel momento. Che idiozia. Quell’ uomo era tutto fuorché un punto fisso. A partire dai suoi sbalzi d’ umore.
«Cara.»
Si bloccò di colpo. E si voltò, a fissarmi. Strano.
«Lasciami andare da mio papà!» sbottai irritata, non curandomi d’essere capricciosa o meno. ‘Fanculo.
«No, Cara. Tuo padre è... Insomma...» Oh, ora stava persino balbettando?! Non potevo crederci.
«Basta!» sbottai, superandolo. Stranamente mi lasciò fare, così aprii la porta che avevo davanti ed entrai in una cucina molto luminosa e grande. Là dentro c’era un uomo. Alto, distinto. Vestito elegante ma non troppo da essere fuori luogo, in quell’ambiente così moderno. Capelli biondi. Occhi azzurri. Quando mi vide, sorrise. Ed aveva un sorriso ammagliante, molto meglio dei sorrisi che ti rifilano i modelli delle pubblicità della Mentadent. Era un sorriso meraviglioso. Uno di quei sorrisi che potresti guardare all'infinito come se fosse sempre la prima volta. Mi si attorcigliò lo stomaco dall'emozione.
Poi lui mi salutò con la mano, sempre sorridente. Come se mi conoscesse da una vita. E la cosa peggiore era che pure io credevo di conoscerlo da un bel po'.
Chi era?
«Mio papà... Dov’è? Dov’è mio padre?!» urlai, voltandomi verso Alec Mitchell. Lui mi osservò senza dire una parola e, silenzioso, scrollò le spalle. Aveva un'aria scettica, strana. Quell' uomo non era certo normale, mi dissi. Ed io ero bloccata  - dovunque fosse,  - per un tempo indeterminato!
Cominciai ad urlare, giunta al limite della sopportazione. Stranamente, Alec Mitchell non mi fermò. «Che cos’è questa?! Eh? È una presa per il culo?! Perché se è così, hai superato il limite! Prima mi porti in un altro mondo, poi quasi m’ammazzi senz’alcun rimorso! E ora? E ora...»
«Cara.»
Sobbalzai. Lo sconosciuto mi aveva chiamato per  nome. Perché lo conosceva? E perché avevo l’impressione che un po’ troppe persone sapessero troppe cose su di me?
Con un’espressione enigmatica, mi voltai verso l’uomo. Aveva qualcosa di familiare. Mi ricordava... Casa, ecco. Mi ricordava casa. Perché?
Ero certa di non averlo mai visto prima. Chissà, magari aveva qualche... Potere, ecco, che usava per confondermi. M’irrigidii interamente. Che fosse stata una trappola? Ed io c’ero cascata, che idiota. Mio papà non era un agente segreto del Mondo Al Di Là, era un semplice lavoratore.
Ed ora ero nei guai.
«No, non sei nei guai...» l’uomo avanzò, tendendo impercettibilmente le mani in avanti.
«Come...?»
Occristo, leggono davvero nel pensiero!
Lui ignorò il mio sconcerto. «Cara, ci sono un bel po’ di cose che devi conoscere.»
 
Mezz’ora più tardi. Davanti a un piatto colmo di pollo, insalata ed una buona dose d’una salsa rosata dall’aspetto inquietante, che mi ricordava fin troppo il colore dei confetti che trovi nelle bomboniere d’un matrimonio o d’un battesimo. Con lo stomaco chiuso da una morsa, e l’attesa nelle vene. E quell’uomo – quello straniero che sembrava così familiare – davanti a me, ad ingozzarsi come una mucca. Aveva detto di scusarlo, sì, perché era da un bel po’ che non mangiava. Perché a New York c’erano stati tempi duri. Sì, sì, d’accordo, tanto io resto solo qui a morire d’ansia.
Alec Mitchell – aveva anche lui ripulito il piatto fino all’ultima briciola –, batté improvvisamente le mani. «Direi che è ora d’andare a lavorare! Se volete scusarmi, a presto!»
Lavorare? Cioè ammazzare uomini ... e non-uomini? È questo il tuo lavoro?
Rimasi lì zitta a vederlo andar via. A vederlo scappare. C’era aria di tempesta.
L’uomo mise giù la forchetta. Nonostante tutto, aveva un’aria così sofisticata. Anche mentre mangiava ed il pollo volava qua e là per la tavola, come se non avesse visto cibo per mesi e mesi. «Allora.»
«Allora.» ripetei senza rendermene conto. Avevo già cercato vie di fuga da quella stanza. E ce n'erano, ma nessuna mi sembrava adatta: una finestra - ma eravamo al terzo piano ed io non avevo strani poteri -; la porta dalla quale ero entrata - ma no, troppo semplice. Ed anche se i piani più semplici talvolta funzionano, quello non mi sembrava il caso -; e poi c'era la porta da dov'era uscito Alec Mitchell - e quella era la via più improbabile, perché per uscire di lì bisognava comporre un codice in un quadrante verde luminoso, proprio come aveva fatto l'agente Mitchell.
Ero bloccata.
«Non creiamo una situazione d’imbarazzo, Cara.» mi rimproverò, guardandomi di sbieco. Veramente lui, la “situazione d’imbarazzo”, l’aveva già creata, mangiando come un porco.
Sbuffò. «Sì, lo so, non mi sono presentato nel migliore dei modi... E poi ehi, non mangiavo cibo così da mesi sul serio! È inutile che pensi male di me, posso sentirti» precisò infine, con un’aria infelice. Tutta la situazione era così strana... Molto strana...
Con il cuore che andava più veloce, tentai d’essere indifferente. «D’accordo. Ma in realtà lei non si è presentato nemmeno, anche se sembra conoscermi fin troppo.» Ecco, bene! Mettere i puntini sulle ‘i’ è di gran lunga meglio che perdersi in inutili giri di parole futili.
Lui annuì soltanto. Ecco, ora sì che stava creando una situazione d’imbarazzo! Per un secondo desiderai avere Alec Mitchell ancora là con me, per potergli chiedere di cacciarlo. Sarebbe stato così bello!
«Be’, Alec è un mio subordinato, quindi in realtà al massimo io caccio lui, non viceversa.» Replicò invece l’ uomo. D’accordo, dovevo proprio abituarmi a non pensare più. Assurdo!
«Non si presenta?»
«Oh, ma dammi del tu!» ridacchiò lo straniero, con un sorriso bellissimo. Ed ero certa d’averlo già visto ... Ma dove? Un uomo così distinto e strano me lo sarei ricordato sicuramente! «Comunque mi chiamo Jordan.»
Ecco. Un nome sconosciuto, proprio come lui.
Sempre più diffidente, domandai: «E cos’è che dovrei sapere?»
«Molte, molte cose.» Ripeté, con un sorriso circostanziale. Prima che potessi ribattere, insultandolo – odiavo le persone che si ripetevano sempre! -, continuò: «Andiamo a farci un giro, d’accordo? Ci sarà un po’ di gente che si chiede come stai».
 
Al di fuori dell’ospedale e della casa di Alec Mitchell, il Mondo Al Di Là era assolutamente normale. C’erano strade, casette a schiera, ville con piscina, alberi qua e là sui marciapiedi, lampioni e cavi del telefono. I negozi erano normalissimi, vendevano prodotti assolutamente accettabili per un’umana, come sapone o vestiti o cibo di marche sconosciute. 
C’era un’unica differenza. Anziché vedere la Luna in cielo, oltre al Sole, c’era la Terra.
Nonostante le somiglianze con il mio pianeta, però, non riuscivo a sentirmi a mio agio lì. Soprattutto perché la Terra incombeva su di me, lassù. Per la prima volta potei guardarla non standoci sopra, e la trovai molto verde e molto blu. Soprattutto, blu. Chissà che stava facendo Emma, lassù? e Gabriele era già stato incarcerato? E mamma?
Dovetti spostare lo sguardo sui miei piedi per evitare un attacco di panico.
Cazzo, quella lì era la Terra! Ed IO potevo osservarla DA UN ALTRO PIANETA!
«Siamo ... Siamo sulla Luna?» mi uscì spontaneo domandare, ficcandomi le mani in tasca. La mia voce risuonò incrinata, un po' come quella di Megan che mi implorava d'alzarmi. Chissà come stava , tra l’altro. Sarei dovuta andarla a trovare. Era stata così gentile, e poi era così spaventata.
«Sì.» Confermò l’uomo, camminandomi accanto. Era altissimo. «L’intero abitato del Mondo Al Di Là – sai che lo chiamiamo così, no? – si trova sulla faccia della Luna invisibile dalla Terra, per precauzione.»
«Precauzione?»
Annuì, solenne. «Già. Non è bene che l’intera umanità sappia di noi, sarebbe impossibile contenere tutti.»
Non era poi così sbagliato. Ma tenere l’umanità totalmente all’oscuro, non comportava comunque dei rischi?
«D’accordo...» mormorai, troncando l’argomento. «Ora però voglio sapere di più su di me, credo».
«Credi?» lo sconosciuto ridacchiò, ed anche la sua risata risuonò elegante, superiore.
Mi strinsi nelle spalle, guardando davanti a me. In strada non c’era nessuno. L’unico rumore era quello dei nostri passi. «Perché qualcuno dovrebbe essersi preoccupato per me?» chiesi, per poi mordermi le labbra. Accidenti  a me! non riuscivo proprio ad impormi su un solo argomento!
«Ti hanno vista in cattive condizioni. È normale» spiegò semplicemente.
Oh, be’. Non era poi così normale; almeno non sulla Terra.
Rimasi un po' in silenzio, ad osservare le poche persone - o non persone? - che camminavano come noi per strada. Qualcuno salutò Jordan, altri si limitarono a lancarci occhiate, ma tutti sembravano ammirare l'uomo accanto a me. Una donna arrivò addirittura a chiedergli di benedirla. Lui si irrigidì totalmente e, con una risata allegra - ma non coinvolgente -, la liquidò.
Il mio cuore cominciò a battere più velocemente, mentre iniziavo a perdere il conto delle cose strane che accadevano nel Mondo Al Di Là.
«D’accordo. Cominciamo con queste rivelazioni o no?» mormorai, stringendo le mani a pugno.
"Ti prego, Jordan! Benedicimi. Ne ho bisogno!" Le parole della donna mi tornarono in mente in modo veloce. Riuscii a scacciarle, ma l'ansia non mi abbandonò.
L'uomo mi fissò per un lungo istante - aveva un'espressione indecifrabile, l'espressione di un angelo al quale sono state strappate le ali ed ora sta precipitando verso l'abisso -, prima di sospirare e riprendere a camminare fissando la strada davanti a sé.
Quando pensavo che sarebbe rimasto silenzioso ancora per un bel po' - ancora per sempre -, dichiarò:
 «Sono tuo padre

D'accordo... E' probabile che in molti diranno << ma che cazz*?! Suo padre non lo conosceva già?! >>.
E be', evidentemente non è così. Ed ecco che la trama si fa più complicata e mi mette a dura prova ... Spero di esserne all'altezza!

Ho davvero bisogno di sentire i vostri pareri, lettoruccie ( già, è un nomignolo tremendo. ve ne troverò un altro ). Vi prego di recensire! Anche solo due righe mi vanno bene, sul serio. Devo capire se lasciare questo capitolo così .... O rivederlo, ancora.

Spero di poter leggere qualche commento ! A presto, 
meme1.


 
  
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