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Autore: VandasGirls    05/06/2014    1 recensioni
«Ti ho tenuto nascoste molte cose, bambina mia», disse addolorata Lucia Marcelli, portandosi una mano al viso. «Ma ora è giusto che tu abbia una vita migliore. Questa è l’eredità di tuo padre.»
«Io sto bene qui.»
Violante guardò la chiave che sua madre le stava porgendo, senza far nulla per afferrarla. Tutto stava avvenendo troppo rapidamente, senza preavviso alcuno; si sentiva spaventata, stranita. Non voleva saperne nulla.
«Non andrò con Messer d’Alviano da nessuna parte.»

Cinque Assassini figli di Caino, cinque destini mescolati tra loro per raggiungere lo stesso obiettivo.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Volpe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per concludere

Nove mesi dopo aver bevuto quel fatidico cappuccino al bar dopo una lezione di religione, con orgoglio chiudiamo la prima parte di questa storia. E' stato un percorso divertente, talvolta difficile, che però ci ha fatte affezionare ai personaggi e ci ha accompagnate durante quest'anno accademico (cosa da non sottovalutare sotto le sessioni d'esame P:)

Un grazie a tutti quelli che hanno letto, che hanno trovato il tempo di lasciare un commento o che ci hanno soltanto pensato. Grazie di cuore a chiunque si sia fermato qui; per noi, vuol dire davvero molto. ♪

Chiudiamo queste brevi note finali con la speranza di ritrovarvi tutti nella seconda e ultima parte della storia: "Le lacrime di Hevel", che pubblicheremo tra qualche settimana :D  

Un bacio a tutti,
Chemical Lady & Lechatvert






Il destino di Qayin

Epilogo






Le unghie di Violante affondate nella carne delle sue spalle gli fecero emettere un gemito più forte degli altri, inducendolo ad aumentare il ritmo con cui muoveva il bacino mentre con le mani cercava di liberarsi del lenzuolo che lo accaldava.
Prese Violante per i fianchi e la costrinse a rimanere nell’esatta posizione in cui era, sdraiata sotto di lui, prigioniera dei suoi baci e delle sue carezze. Si fermò per un istante a guardarla in viso, seguendo i lineamenti del suo volto affannato e scomposto, per poi riprendere da dove aveva interrotto, baciandola con tutta la passione di era capace.
Raggiunse il piacere dentro di lei, accoccolandosi poi sul suo petto con l’orecchio teso a catturare i battiti del suo cuore.
Era la terza volta che facevano l’amore, quella notte, ma Cristiano ancora non riusciva a dirsi soddisfatto.
Sotto di lui, la ragazza si lasciò sfuggire un mugolio mentre passava la mano tra le sue ciocche bionde e umide.
«Qualcuno qui è davvero deciso a non farmi partire. Se continui così, non riuscirò a camminare, figurarsi a saltare di tetto in tetto.»
«Non ti priverei mai e poi mai dell’onore che il tuo Mentore ti ha concesso», le rispose Cristiano, alzandosi e ricoprendole il collo di baci.
Viola rise.
«Mio? Non anche il tuo?»
«Io e Alessandro abbiamo deciso di disconoscerlo», dichiarò il ferrarese, passando una mano dal fianco ai seni della giovane. «Lo abbiamo anche messo per iscritto. Bengiamino e Chiara hanno fatto da testimoni.»
«Quindi è ufficiale?»
«A dir poco.» Cristiano scrollò le spalle, stendendosi al fianco di Violante nel mentre le rubava l'ennesimo bacio. «Consegneremo al più presto i documenti necessari a Machiavelli», asserì fingendosi quanto più serio gli fosse possibile. «Entro stasera, saremo figli liberi e assolutamente autorizzati a lasciare il Covo per raggiungerti ovunque tu andrai.» Le sorrise, accarezzandole piano il viso. «Non voglio vederti partire. Non hai bisogno di alcun allenamento aggiuntivo.»
Lei sospirò, accarezzandogli a sua volta la guancia.
«Tutto questo non ha senso. Tu vali dieci volte di più di Chiara, Cesco e soprattutto Augusto. Sei il migliore fra noi, a pari merito con Bengiamino. Non riesco davvero a capire come abbia potuto lasciarti fuori.» Prese la sua mano, portandola alle labbra per baciarne il dorso, prima di appoggiarsi al suo petto e lasciarsi stringere forte. «Mi prometti che mi aspetterai?»
Cristiano la guardò rattristarsi e la strinse contro il suo petto con tutta la forza che la notte gli aveva lasciato. Le baciò i capelli sulla fronte e la accarezzò il ventre, ridacchiando piano.
«Spero che tu sia incinta», mormorò, affondando il viso nell'incavo tra collo e spalla della ragazza. La sentì irrigidirsi al solo sentire quelle parole, perciò si affrettò a darle una spiegazione. «Se lo fossi, non saresti costretta a vagare per la penisola rischiando la vita in ogni bettola di città.» Sospirò, alzando gli occhi azzurri al soffitto della stanza quasi stesse vivendo un sogno, anziché la realtà. «Ci potremmo sposare, potremmo stare lontani da questo luogo ... vivere a Bologna, per esempio.»
«Non devo necessariamente sfornare pargoli, per poter stare insieme a te», si sbrigò a dire la bolognese, con tono leggermente ironico.
Il biondo si alzò, appoggiando un gomito al materasso e guardandola con una strana luce negli occhi.
«Dici sul serio? Saresti mia, se te lo chiedessi?», le domandò, tra il confuso e il felice.
Violante non sembrava il tipo di donna che meditava di accasarsi, anzi. La sua indipendenza, che tanto piaceva al Principe, si sarebbe compromessa.
Lei, però, annuì senza nessuna remora, così lui si decise.
Da sopra il comodino di legno grezzo, prese uno dei suoi anelli, quello con una grande pietra verde incastonata nell’oro bianco, e afferrò gentilmente la mano di Viola.
«Vorresti sposarmi, una volta tornata da queste missioni?»
La giovane sorrise, allargando le dita.
«Sarebbe un piacere farti questo onore, Pagni.»
Questi sorrise a sua volta, infilando l’anello nel dito della ragazza.
Con rammarico, lei constatò come il gioiello fosse fin troppo largo. L’avrebbe appeso ad una catenella d’argento, che mai si sarebbe levata. Sarebbe stata la sua ancora.
Felici per quel fidanzamento, si scambiarono un lungo bacio, prima di tornare ad amarsi nuovamente.









Passi lontani sul corridoio della torre lo svegliarono nel cuore della notte, facendolo sobbalzare in quell’unica coperta che una guardia gli aveva passato per pietà nel vederlo tremare.
Sotto la luce lunare che filtrava dalle travi del tetto, Marcello stropicciò gli occhi color del miele e trattenne a stento uno starnuto mentre, silenzioso, si metteva a carponi sul pavimento accanto alle sbarre.
Aveva passato gli ultimi sei mesi in quella cella e, se aveva afferrato sufficientemente bene le regole del luogo, le visite notturne alle guardie non erano contemplate, anzi, erano punite con esemplare severità dal Conte di Ladispoli in persona.
Di solito si trattava di prostitute raccattate per la strada e condotte fino ai pagliericci nelle celle per soddisfare le guardie in turno.
Non che fossero affari di Marcello, naturalmente, ma civettare sulle scappatelle degli uomini di Cimaglia era l’unico passatempo sufficientemente interessante che gli desse la possibilità di perderci dietro del tempo.
Si acquattò quindi alle sbarre, tendendo l’orecchio in attesa di udire la voce calda e suadente della cortigiana che di solito giaceva con le guardie nella cella adiacente alla sua.
«Di qua», proruppe all’improvviso il tono profondo di Federico Cimaglia. «Troviamo un luogo consono alla nostra chiacchierata.»
Quando lo strusciare dell’armatura del Conte cessò, rimasero solamente dei passi molto leggeri che forse, in un’altra occasione, Marcello non avrebbe nemmeno udito.
Il ragazzo stava letteralmente trattenendo il respiro per cogliere qualsiasi cosa quei due uomini stessero trattando. Doveva trattarsi di un fatto importante, se Cimaglia si era spinto sino alla sommità della torre per parlarne.
«Conto sulla vostra discrezione, Federico. Dovrete riportare a Cesare Borgia ogni singola parola con lo stesso scrupolo di un amanuense che lavora su una Bibbia.»
La voce che si rivolse al carceriere era quella di un ragazzo, probabilmente non più vecchio dello stesso Marcello. Non aveva un timbro poi molto particolare, anzi, era alquanto comune.
«Naturalmente.»
Aggrottando la fronte, Marcello decise di rimanere in ascolto.
«Come procedono i piani?», incalzò di lì a poco Cimaglia, fermandosi sul corridoio dinanzi alle celle.
«Non sanno più dove battere la testa per dare la caccia alla spia», commentò il suo interlocutore. «Continuano a incolparsi a vicenda senza riuscire a cavarne un ragno dal buco.»
I passi ripresero a risuonare sul corridoio, mentre la voce di Cimaglia riecheggiava cupa tra le celle.
«Auditore ha scelto i suoi cinque prediletti, dunque?»
Un ratto si avvicinò a Marcello con fare arrogante, cominciando a rosicchiare il cadavere di un suo simile in putrefazione tra la paglia.
Disgustato da quella visione, il ragazzo si decise ad alzarsi in piedi e ad appiattire il viso contro le sbarre.
L’oscurità giocava a suo favore, dopotutto: senza una misera luce a illuminare loro la via, non c’era pericolo che i due sul corridoio lo scoprissero.
Cercò di concentrarsi di nuovo, riprendendo ad origliare quel discorso che pareva non essere andato avanti.
L’interlocutore misterioso rise cupamente.
«Diciamo che la sua smania di voler dimostrare che Machiavelli ha torto offusca fin troppo il suo giudizio», commentò, mettendosi in un punto del corridoio poco distante da Marcello.
Il veneziano non riuscì a distinguere poi molto, da quella posizione, ma vide che lo sconosciuto indossava un mantello nero con un cappuccio ampio. Stava di spalle rispetto a lui, quindi non poteva vedergli il viso.
Cimaglia ridacchiò.
«Una situazione compromettente, per il Mentore dell’Ordine. Voi, invece? Siete stato scelto?»
Ciò che il giovane disse dopo fece rizzare i peli sulla schiena a Marcello. Non per le parole, quanto più per il tono utilizzato.
«Sono esattamente dove Cesare mi ha chiesto di essere, Federico. Come ogni volta.» Il ragazzo si schiarì la voce, prendendo qualcosa da sotto al mantello e passandolo al Conte. Una lettera. «Quelli sono i nomi dei cinque prescelti e qualche informazione su di loro e la loro famiglia: Bengiamino Lorenzetti, Chiara Filippi, Francesco Ventimiglia, Augusto Spallaci e Violante degli Antoni.»
Marcello prese nota mentale di quell’ultimo nome.
Estrapolato da quel contesto, era a dir poco incantevole. Aveva un suono armonioso e il ragazzo immaginò subito dovesse appartenere a una dama bellissima.
Lo sconosciuto schioccò la lingua contro al palato, prima di proseguire.
«Sotto ci sono anche i nomi di chi è rimasto al Covo dell’Isola Tiberina. Alessandro Corella, Cristiano Pagni, Maria Ferrari e Laura Lorenzetti. Insieme a Machiavelli e Auditore, ovviamente.»
Il Conte grugnì qualcosa, prima di ridere.
«Non avete usato il vostro vero nome, vedo.»
«Sono una persona astuta. Come potevo sperare di entrare nella cerchia ristretta di Auditore senza suscitare sospetti, se non prendendo il posto di uno dei suoi adepti?»
Cimaglia intascò la lettera con poca cura, prima di accostare una mano all’elsa della spada, usando l’arma come appoggio.
«Che fine ha fatto, il poveretto di cui hai preso le spoglie?»
«L’ho ucciso e buttato in un pozzo. Ormai, di lui sarà rimasto poco o nulla.»
Marcello si portò una mano alla bocca, mozzando anche quel flebile respiro che gli impediva di non svenire.
Forse, decidere di origliare non era stata un’idea poi così brillante.
Si appiattì contro il muro della sua cella ormai con le lacrime agli occhi, pregando tutti i Santi del Paradiso affinché i due non si accorgessero della sua presenza.
Lo sconosciuto riprese il suo discorso con una risatina.
«Siete stato immensamente fortunato, Federico. Liberarsi delle scelte di Auditore sarà più facile del previsto, se vi atterrete alle mie direttive.»
«Farò come chiedete», acconsentì Cimaglia, mentre lo sconosciuto si accingeva a seguirlo. «Ora non ci resta che aspettare un loro attacco. Saremo pronti a respingerli con tutti i mezzi necessari.»
«Sarà mia premura mettervi al corrente di ogni operazione, non appena Auditore comunicherà le sue intenzioni. Per ora, restate in attesa.»
Con i passi dei due che si apprestavano a lasciare l’ultimo piano della torre, Marcello rimase nuovamente solo.
Confuso, smarrito e sconvolto più che mai, si arrotolò per bene dentro la sua coperta, fremendo leggermente per il freddo prima di chiudere gli occhi e provare a dormire un altro po’.
Pregò per quei nomi a lui del tutto nuovi e per la loro ingenuità che li faceva sedere alla stessa tavola di una carogna come quella che aveva appena fatto visita a Cimaglia, augurandosi che riuscissero a incastrare il traditore prima che lui incastrasse loro.
Benché non passasse giorno in cui non piangesse la sua solitudine, vedere qualcun altro marcire nella sua stessa cella lo avrebbe distrutto




   
 
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