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Autore: Shichan    07/06/2014    2 recensioni
«Te l’ho detto» lo interruppe il demone «sembra che ci sia un tuo simile. O addirittura due.»
Haruki vede cose che gli altri non vedono, e ha imparato con il tempo e a sue spese che quella capacità non è affatto un dono.
Hideyuki osserva gli spiriti passargli accanto come se non li vedesse, perché ha imparato che se fingi che non esistano, loro faranno lo stesso con te.
Chiaki, che vorrebbe poter scegliere cosa vedere e cosa no, lascia che tutto le passi davanti agli occhi perché non può fare altro che quello.
Tutti e tre pensavano di essere soli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I
Hinoenma

 

Because we, who do nothing but searching,
are very similar to a mirror:
though we connect just by facing each other,
we still can’t touch each other.

 

Dopo quell’infelice uscita da parte del demone avevano passato una manciata di minuti a guardarsi: era stato chiaro da subito che nessuno dei tre quella sera si era aspettato di incontrare altre persone capaci di vedere gli youkai.
Se avesse dovuto sbilanciarsi sulla reazione propria e degli altri due, Chiaki avrebbe affermato che il più giovane dei ragazzi doveva averla trovata una seccatura, mentre per l’altro sembrava una novità degna di nota per i primi minuti: una sorpresa, ma nulla di sconvolgente. Forse conosceva già qualcuno con la propria capacità e non se ne era stupito più di tanto.
Chiaki non avrebbe saputo spiegare bene cosa aveva provato. Curiosità, quella di sicuro: l’unica altra persona con una percezione simile alla sua era suo padre, che non vedeva, ma appunto percepiva; c’era una differenza abissale tra le due cose, ma era ciò che più si avvicinava a quei due.
Era abbastanza certa, nonostante non avesse avuto molto tempo per osservarlo e sincerarsene, che quel demone in compagnia di uno dei ragazzi fosse il più forte che avesse mai visto fino a quel momento. O almeno, la sensazione che aveva avuto era stata quella.
«Chiaki, la colazione!» sentì chiamare dal piano di sotto, la voce femminile familiare ormai.
«Arrivo!» esclamò di rimando, controllando sul piccolo specchio della scrivania che la cravatta della divisa fosse ben annodata sotto il colletto della camicia; recuperò la cartella e uscì dalla stanza.

Avrebbe voluto chiedere loro qualcosa di più e, forse, avrebbe dovuto farlo davvero. La situazione però non gli era sembrata del tutto adatta al fare conoscenza o domande in generale: quello che dei due le era parso il più giovane, sembrava aver totalmente perso interesse nel momento in cui aveva recuperato la lanterna; non c’era molto da stupirsene, se si considerava che era stata il punto focale della sua attenzione fin da quando Chiaki lo aveva sentito parlare per la strada.
L’altro, dopo una prima occhiata interessata, era stato evidentemente intenzionato ad andare per la sua strada.
Chiaki non era certa di voler fermare nessuno dei due, o di voler davvero sapere come fosse stato possibile non incontrarsi mai prima di allora se tutti e tre vedevano le stesse cose.
Farsi gli affari propri era sembrato molto semplice e più comodo, e aveva assecondato quello piuttosto che la curiosità: non aveva detto il proprio nome, non aveva chiesto il loro – anche se aveva dedotto che quello del ragazzo con il demone fosse Haruki, visto che era stato chiamato così.
«Hiiragi-san» si voltò di riflesso, incrociando lo sguardo di una compagna di classe: Aikawa Mizuna era la capoclasse dall’inizio dell’anno, una delle più discrete tra le sue coetanee. La vide che le sorrideva con cortesia, e incurvò le labbra in modo da poter ricambiare.
«Aikawa-san.» salutò, aggiungendovi un cenno del capo. Era per comunicazioni di poco conto che Aikawa la fermava fuori da scuola, di solito; ma a giudicare dalla piccola folla che c’era all’ingresso, pensò che dovesse esserci qualche novità dell’ultimo minuto che coinvolgesse l’intera classe o qualcosa del genere.
«Alla prima ora studieremo per conto nostro. Dovremmo comunque fare l’appello prima possibile, puoi avvisare quelli della nostra classe, se li incontri?»
«…Ah.» le scappò prima che potesse rendersene conto, conscia subito dopo che non suonava molto cortese da parte propria: «Credevo fosse successo qualcosa.» si salvò in corner, con un’occhiata alla folla «Non c’è problema.» assicurò poi in merito al favore chiesto.
«In un certo senso è per la folla.» ammise l’altra con una leggera alzata di spalle: «Uno studente del primo anno è tornato dopo diversi giorni di assenza, e sembra che come prima cosa abbia iniziato una rissa stamattina.» disse sospirando.
Chiaki alternò lo sguardo da lei al punto dove il brusio degli studenti sembrava più forte; avvicinandosi, tra le varie teste, riconobbe quella di Ikeda-sensei: non era un docente particolarmente severo, e insegnava letteratura contemporanea nella classe di Chiaki. Da quanto ricordava, era il responsabile di una classe del primo anno.
«Che diamine avete da guardare?!» sentì sbottare poco più avanti, senza riuscire a inquadrare il padrone della voce a causa delle persone che le coprivano la visuale. Vide però il professore assumere un’aria di rimprovero e muoversi di lato, portando con sé lo studente che stava attirando tanto l’attenzione.
Dalla propria posizione Chiaki non riuscì a sentire cosa disse l’uomo, ma finalmente le fu possibile vedere chi fosse il suo interlocutore.
«Aikawa-san, conosci il nome di quello studente?»
«Mh? Kirihara… credo. Ma non so il nome.» ammise lei, distogliendo l’attenzione da lui e cercando con lo sguardo qualche compagno che potesse essere arrivato nel frattempo: «Allora ci vediamo in classe, Hiiragi-san.» disse, allontanandosi senza aspettare la sua risposta.
Chiaki annuì distrattamente, raggiungendo il proprio armadietto.
Mentre si cambiava le scarpe, pensò che ancor più assurdo del non essersi mai incontrati seguendo gli youkai fosse non aver mai notato Kirihara Haruki lì a scuola.

Non si era davvero sorpresa quando, fatto l’appello e segnate le assenze sul registro, nella sua classe si era formato subito un brusio di sottofondo. Era chiaro che, se anche qualcuno avesse avuto intenzione di studiare, la scena all’ingresso doveva aver destato troppa curiosità nella maggior parte di loro.
Chiaki aveva tenuto il libro aperto di fronte a sé, segnando di tanto in tanto qualcosa sul quaderno; non era però nulla di così impegnativo da isolarla dai commenti altrui.
Sembrava che Haruki fosse abbastanza “famoso”, tra gli studenti del primo anno: sgarbato e scostante, aveva anche una buona media nel complesso, ma c’erano volte in cui mancava anche per un’intera settimana. Ufficialmente sembrava che la sua famiglia chiamasse sempre per avvisare che si trattava di febbre o visite dal medico e per questo i docenti non avevano mai fatto particolari questioni, da quanto si sapeva. Tuttavia Kirihara non aveva affatto l’aria di un ragazzo cagionevole, e la rissa sfiorata quella mattina non aveva fatto che confermare le supposizioni dei più avvezzi al pettegolezzo.
Chiaki non riusciva a capire il perché di tanto interesse, ma soprattutto il motivo per cui si dovesse ricamare tanto sopra le questioni private di un’altra persona per nessun motivo se non la propria soddisfazione.
Non che fosse una novità non comprendere appieno i suoi coetanei, a dire il vero. Era già da considerarsi un miracolo che non venisse considerata a propria volta una disadattata sociale dai suoi compagni di classe, cosa che doveva principalmente alla capacità di interagire con loro in un modo che – seppur distaccato – era cortese abbastanza da non farla sembrare “strana”, ma solo riservata.
«E quindi? Lo hanno rimandato a casa?»
«No, sembra che sia in infermeria perché nessuno può venire a prenderlo. Così ho sentito da un suo compagno di classe prima, almeno!»
Chissà se in infermeria quel demone gli teneva compagnia, si chiese all’improvviso, senza neanche un vero e proprio motivo. Fermò la penna poco prima che si posasse di nuovo sul foglio per annotare l’ennesimo vocabolo inglese: in effetti, ora che ci pensava, non lo aveva visto nemmeno prima nell’atrio.
Forse era da evocazione? Non le sembrava di ricordare qualcosa del genere, anche se doveva ammettere di non aver ancora controllato i demoni che rientravano in quella categoria e che erano anche di alto livello. Non per negligenza, quanto perché negli appunti generali c’era scritto che contratti con demoni simili avvenivano molto più in passato, ed erano stretti solo con umani dal potere spirituale molto elevato e una formazione rigida per avere a che fare con essi.
Chiaki, però, aveva sempre a che fare con youkai di medio o basso livello, e soprattutto con persone che al massimo ne erano influenzate o possedute, che nemmeno li vedevano – di conseguenza non era plausibile che stringessero alcun patto.
Rabbrividì impercettibilmente: aveva idea che avere un contratto con uno di quelli non fosse niente di positivo. Soprattutto, il prezzo da pagare doveva essere qualcosa che rendeva il contratto davvero pericoloso.
Si chiese chi fosse Kirihara Haruki per fare una cosa tanto sciocca, oppure in quale guaio si fosse cacciato per esservi costretto.

Osservò la porta dell’infermeria con astio, solo al suo interno.
Spostò lo sguardo, portandolo verso la finestra chiusa, visto il freddo che faceva fuori; l’infermiera lo aveva lasciato lì, dicendo che sarebbe andata via il tempo sufficiente a prendere un caffè in sala professori e tornare. Era via da almeno un quarto d’ora.
«Soffri la solitudine?»
«Sta’ zitto. Lasciami perdere quando sono a scuola.»
Shiki ridacchiò, conscio di non poter essere scacciato comunque, e che il lasciar in pace o meno il suo umano preferito dipendesse quindi unicamente dalla sua volontà e bontà d’animo.
«Non che senza di me tu abbia molte persone con cui parlare, comunque.» osservò, fingendo che il commento fosse casuale: «E dire che ieri sera hai avuto l’occasione di fare amicizia. Invece sei andato via con la lanterna. Avevano pure un buon odore, sai? Almeno la ragazza.»
«Maniaco.»
«Non intendevo in quel senso, ma volendo…» insinuò divertito, osservandolo di sbieco lì dov’era, sdraiato con nonchalance sullo stesso letto dov’era seduto Haruki. Lui non si voltò, sospirando seccato e sobbalzando appena solo quando sentì la porta aprirsi.
Per un attimo temette che l’infermiera lo avesse sentito parlare – e ai suoi occhi sarebbe apparso solo nella stanza, come succedeva sempre. Non che fosse una novità, qualcuno che lo pensava fuori di testa o gli dava del bugiardo.
Quando si voltò, tuttavia, non seppe bene cosa provò: se sollievo o una sorta di irritazione per lo più ingiustificata. Di sicuro non aveva idea del perché la ragazza della sera prima rimanesse impalata sulla soglia, specialmente perché non aveva l’aria di chi non si aspettava di trovare l’altro lì, ma quella di chi ha trovato proprio chi stava cercando.
Chiaki rimase ferma per qualche istante, dopodiché entrò definitivamente nell’infermeria lasciando scorrere la porta alle proprie spalle, chiudendola.
«L’infermiera non c’è.» disse subito lui con tono brusco, puntando lo sguardo verso la scrivania vuota.
Lei mosse qualche passo, ma si fermò vicina ad uno sgabello dove solitamente si sedeva chi aveva bisogno di qualche medicazione veloce; vi prese posto in silenzio, composta, le mani poggiate in grembo.
Haruki non si era aspettato il silenzio in risposta, ma ne era ben contento. A dispetto delle parole di Shiki – che poi erano palesemente prese in giro – non aveva alcuna intenzione di fare l’amichetto con due tizi sconosciuti solo perché anche loro vedevano quella roba. Nemmeno se uno dei due, come la ragazza, era della sua stessa scuola.
«Non sono venuta per l’infermiera.» la sentì dire, mandando in pezzi le sue speranze di essere ignorato esattamente come lui aveva intenzione di fare con lei. Chiaki però non fu granché demoralizzata dall’atteggiamento dell’altro: «In verità sono venuta per parlare con lui.» aggiunse, indicando Shiki che aprì un occhio, sentendosi chiamato in causa.
Haruki non poté nascondere del tutto la leggera sorpresa, dovuta di certo al fatto che non fossero molte le persone che lo avvicinavano per parlare con il demone che tecnicamente nessuno avrebbe dovuto essere in grado di vedere.
Sentì Shiki mettersi a sedere, e già immaginava che espressione potesse avere in quel momento; sospirò.
«Lusingato.» disse infatti, osservandola. La stava studiando, poco ma sicuro: «È sempre meglio attirare l’attenzione di una signorina che di un bamboccio scorbutico.» aggiunse in un evidente riferimento a Haruki, il quale fece schioccare la lingua in un verso di stizza.
«Cosa vuoi chiedermi?» la incalzò quindi Shiki, ignorando il suo contraente o qualunque cosa Haruki fosse per lui.
Chiaki non rispose subito. Sembrava prendere tempo, se per elaborare il proprio quesito o la presenza di Shiki Haruki non lo sapeva né era particolarmente interessato a scoprirlo: «Volevo chiederti se hai visto qualche studente posseduto qui a scuola.» espresse infine la ragazza, gli occhi su di lui, senza sfumature spaventate o preoccupate. Quello fece voltare Haruki: poteva essere anche abituata a vedere youkai
come lui, ma era sicuro che non fosse normale incontrare uno come Shiki e che, se davvero era dotata, non era possibile che non percepisse almeno un minimo il livello del demone. E, se così era, che non avesse la minima reazione in sua presenza.
«Se è un modo carino di chiedermi se ho posseduto Haruki, ammetto che almeno è originale.» replicò lui, sardonico.
«In verità non è questo che volevo sapere. Mi sono posta il dubbio, ma credo di aver già trovato la risposta.»
«E quale sarebbe?» domandò incuriosito, più del ragazzo che gli stava accanto.
«La tua riguardo le possessioni qual è?» tornò al discorso iniziale, guardandolo senza scomporsi. Haruki sbirciò l’espressione di Shiki: non aveva particolarmente in simpatia quella ragazza, a pelle; però era anche vero che era la prima volta che qualcuno si rivolgeva al demone con tanta calma. Si chiese cosa fosse abituata a vedere.
Forse Shiki si chiedeva la stessa cosa, o quantomeno doveva essere incuriosito da lei, visto che si prese anche la briga di rispondere: «Non che io abbia notato» disse pigramente «ma ci sono delle presenze, se è quello che ti interessa.»
Chiaki tacque, portando lo sguardo sulle proprie mani, pensando: delle presenze si potevano trovare un po’ ovunque a dire il vero, e le scuole erano affollate; dal punto di vista degli youkai che volevano dei contatti con gli esseri umani erano uno dei luoghi più sicuri dove trovare molti della specie. Ma si trattava molto spesso di spiriti minori, per lo più incuriositi o abituati a fare qualche scherzo innocuo. Non era frequente la presenza di qualcosa di maligno, che invece temeva fosse quello che stava cercando.
«…Ho capito.» pronunciò infine, ancora persa in qualche suo pensiero messo subito da parte per tornare a guardare gli altri due occupanti della stanza: «Ti ringrazio. Cercherò con più attenzione da sola.» decretò, facendo per alzarsi mente Shiki sbuffava divertito.
«Non sembra una cosa molto intelligente da fare.» osservò con fare quasi canzonatorio: «Non capirò mai questa mania di voi esseri umani di immischiarvi nelle faccende che non vi riguardano.»
«Se un essere umano volesse distruggere la tana di alcuni youkai tu li aiuteresti?» chiese lei a bruciapelo, sistemando le pieghe della gonna della divisa. Haruki si chiese se si fossero dimenticati non tanto della sua presenza, quanto del fatto che quella non era una stupida chiacchierata di fronte a una tazza di tè. Iniziava a spazientirsi e lui non voleva nessuno lì dentro, specialmente perché non sapeva nemmeno il nome di quella tizia; anche se almeno, qualora l’infermiera fosse rientrata, nessuno dei due sarebbe sembrato un pazzo che parlava da solo.
«Alcuni lo fanno. Anche se non si piacciono tra loro.» proseguì, forse perché non si aspettava una vera risposta da Shiki: «E poi, non vale lo stesso per gli youkai? Perché vengono nelle scuole, che sono un luogo umano?» domandò, anche se era retorica o almeno così la interpretò Haruki.
Nel silenzio che cadde tra loro, la campanella annunciò il cambio dell’ora. Chiaki piegò un poco il braccio per controllare l’orologio da polso: «Devo tornare a lezione.» disse rivolta più a se stessa che agli altri due, cui rivolse invece un semplice cenno del capo, cortese.
Si voltò, raggiungendo la porta, ma guardò al di sopra della propria spalla verso di loro: «…ti senti male, Kirihara-kun?» chiese studiandolo.
«Eh?» ribatté d’istinto, non avendo idea di come fosse venuta fuori una domanda simile, se non per il fatto che fosse in infermeria. Ma era sicuro che nessuno in quella scuola fosse all’oscuro di quanto avvenuto la mattina all’entrata, perciò era chiaro che fosse lì in attesa che qualcuno venisse a prenderlo.
Haruki odiava buona parte dei suoi coetanei e dei loro modi di fare, ma se c’era una cosa che sopportava meno delle altre, era quando facevano i finti tonti per mostrarsi pieni di buone intenzioni che non erano altro che ipocrisia bella e buona. Si sentiva trattato da stupido e disprezzava tanto loro quanto se stesso, che evidentemente dava l’idea di essere qualcuno di cui ci si poteva prendere gioco in quel modo.
Indurì lo sguardo: «Certo. Come no.» replicò senza neanche provare a nascondere l’ironia nel tono di voce.
«Mh. Allora ti auguro di rimetterti in fretta.» disse soltanto lei, aprendo la porta e uscendo, chiudendola poi una volta fuori dall’infermeria.
Haruki inarcò un sopracciglio, non sapendo chi si fosse fatto prendere in giro, alla fine: lei o lui?


«Perché diamine stiamo tornando a scuola.» si lamentò di nuovo seguendo Shiki, le mani in tasca.
Suo nonno era andato a prenderlo a ridosso della pausa pranzo, ringraziando l’infermiera per essersi presa cura di lui e riportandolo a casa. Non gli aveva chiesto niente, dopo l’iniziale “hai fatto a botte, Haruki?” al quale aveva risposto la verità – “No”.
Suo nonno era così, credeva a quello che diceva, per una specie di tacito accordo che era più che altro una promessa fatta quasi sette anni prima quando era solo un bambino: Haruki aveva giurato di non mentirgli mai, e l’anziano aveva detto che allora gli avrebbe sempre creduto. C’erano stati momenti in cui Haruki non ci aveva nemmeno sperato, invece suo nonno era sempre stato dalla sua parte, senza mettere in dubbio le sue parole. Credeva che fosse una cosa eccezionale, perché lui non sapeva avere tanta fiducia nelle persone.
A parte nell’uomo, certo. Perché si sarebbe sentito orribile, a dubitare di lui.
«Non avevi di meglio da fare comunque.» rispose annoiato Shiki, precedendolo di qualche passo. Haruki avrebbe potuto lasciarlo andare da solo, visto che non aveva motivo di tornare a scuola quando poteva evitarselo; tuttavia Shiki non si spostava mai se non c’era una ragione, questo lo aveva imparato subito. Si chiedeva cosa fosse stavolta.
Non che ci fossero molte possibilità, comunque: a meno che non trovasse il corridoio del secondo piano particolarmente affascinante, doveva stare cercando qualche youkai.
«Che palle.» commentò, pur continuando a seguirlo e alzando lo sguardo perplesso quando vide che si era fermato davanti un’aula la cui targa recitava “2-3”.
Non fece in tempo a chiedergli cosa facessero in una classe del secondo anno – non che fosse importante, in realtà – che il demone aveva aperto la porta ed era entrato; lo seguì, vedendo di sfuggita le sue labbra incurvarsi in un sorrisetto divertito di chi ha trovato quello che si aspettava.
«Oh. Guarda chi c’è.» commentò e, guardando verso le finestre e i banchi vicino ad esse, Haruki riconobbe la ragazza dell’infermeria.
Non sembrava sorpresa di vederli o forse lo mascherava bene, non ne aveva idea.
«Non mi aspettavo che qualcun altro fosse ancora a scuola a quest’ora.» osservò, puntando lo sguardo su Haruki; lui si aspettava già qualche domanda stupida sulla sua salute ma lei distolse lo sguardo, tornando a muoversi fra i banchi come doveva aver fatto prima di essere interrotta dal loro ingresso.
«Allora è qui, quello che credi sia posseduto?» chiese Shiki, come se fosse ovvio fin dall’inizio che era di quello che si stava parlando. La ragazza mosse qualche passo ancora, sfiorando diversi banchi con la mano.
«Sì. E non credo sia posseduto.» disse, alzando lo sguardo su di lui, le sopracciglia appena aggrottate che le conferivano un’aria preoccupata – e la prima vera espressione che Haruki le avesse visto assumere, in effetti: «Sono sicura. E credo di aver anche trovato lo youkai. O almeno di aver capito quale sia. Sto cercando qualcosa che me lo confermi.» spiegò brevemente.
«Parli come un’esorcista di professione. Chi cavolo sei, una bambina prodigio di un tempio sperduto tra le montagne che è stata istruita per salvarci tutti dagli spiriti cattivi?» sputò fuori, antipatico.  
Shiki sbuffò, non stupendosi tanto di quanto Haruki fosse sgarbato quanto del pessimo tempismo che sembrava avere in ogni occasione, nonché della sua capacità di indispettire le persone dalle quali Shiki (o entrambi) volevano informazioni. In compenso la ragazza non sembrava offesa, e se lo era sapeva mascherarlo bene – tuttavia, si redarguì il demone, poteva non mostrarlo con le espressioni ma non era altrettanto sicuro che potesse nasconderlo a lui in altri modi. Ne sentiva il battito del cuore distintamente: era appena più veloce, ma non troppo accelerato.
«Nessuna delle cose che hai elencato.» replicò lei, sorridendo a entrambi. Era una gentilezza superficiale, una sorta di cortesia mista a una buona educazione che una volta appresa diventa una cosa di cui è difficile liberarsi. Haruki la trovava snervante.
«Non sono un’esorcista di professione, non vengo da un tempio sperduto tra le montagne e non devo salvare nessuno, né sono istruita per farlo. Non mi considero neanche una bambina prodigio. Ho solo fonti affidabili sugli youkai.» ammise. Haruki si chiese se fosse capace di cogliere il sarcasmo nelle persone o meno, perché a lui sembrava di no.
«E le tue fonti che direbbero?» domandò scettico. Andiamo, se avesse avuto qualcuno che si intendeva di quelle cose non ci sarebbe stato alcun bisogno che se ne occupasse lei. Beh, magari dentro la scuola sì, ma a conti fatti anche loro due erano lì senza permesso, pur essendo studenti. Sarebbero comunque finiti nei guai, se un custode li avesse trovati.
«Sai cos’è un Hinoenma?» ribatté lei, poggiandosi leggermente contro il banco alle sue spalle. Haruki inarcò un sopracciglio, passando dal guardare lei al guardare Shiki, che con un sorriso enigmatico si era andato a sedere sul banco vicino. Ovviamente non sembrava intenzionato a dare suggerimenti.
Demone di merda.
Il suo silenzio fatto di imprecazioni mentali contro Shiki doveva aver suggerito che no, non ne aveva idea, perché lei continuò a parlare anche se gli occhi sostavano sul banco di fronte, non su uno di loro.
«È uno spirito, un Succubo per essere precisi. Sembra che si nutra dell’energia o del sangue umano, di prede maschili. Non è una figura rara, si incontra in moltissime superstizioni occidentali. Non sono certa che dire che la sua vittima “è posseduta” sia corretto, se per possessione si intende che l’umano in questione viene costretto a compiere azioni di un certo tipo ai danni di qualcun altro. La uso per praticità, comunque.»
Haruki notò che parlava con voce relativamente piatta, come quando si ripeteva una lezione imparata a memoria, o qualcosa spiegata così spesso che ormai non c’era più bisogno di prestare attenzione per non sbagliare. Questo non lo aiutava a inquadrarla.
«Non è facile trovare le tracce dei Succubi o degli Incubi» prese parola Shiki, le braccia incrociate dietro la testa a far da cuscino contro il muro alle sue spalle: «a meno che tu non abbia un olfatto piuttosto sviluppato e senta l’odore del sangue delle loro vittime.» aggiunse beffardo.
«Lo so.» ammise lei scostandosi dal banco e piegandosi sulle ginocchia, guardando sotto quello che aveva avuto di fronte fino a quel momento e che aveva fissato anche mentre parlava. Non le ci volle molto per ritirare la mano, tenendo qualcosa fra le dita.
«…Il tuo indizio sarebbero dei cerotti.» commentò allucinato Haruki. Va bene essere fuori di testa, si rendeva conto che lui non potesse dire molto visto che appariva spesso come uno che parlava da solo, però insomma. Lei gli faceva concorrenza.
«Ieri la scatola era piena.» spiegò avvicinandosi e porgendogliela, in un tacito invito a guardare dentro. Per nulla convinto la prese e sbirciò, dal momento che era aperta: c’erano appena un paio di cerotti.
«Sagara-kun ha iniziato a stare male qualche giorno fa.» riprese senza che lui le facesse nessuna domanda «Ha avuto un mancamento durante Educazione Fisica e lo hanno portato in infermeria. Il giorno dopo mi ha chiesto in prestito un cerotto perché si era tagliato e gli si stava macchiando la divisa. Non ho fatto domande, ma la macchia era vicina al colletto della camicia, e non è un punto dove generalmente è facile tagliarsi. Da quel giorno la sua anemia è peggiorata, e ha iniziato a usare diversi cerotti. Ho pensato che forse erano aumentate le ferite, ma non ha tagli visibili nuovi. È anche vero» si corresse immediatamente, forse preannunciando la replica che Haruki stava per rifilarle «che la divisa scolastica copre un buon 80% del corpo. Per quanto ne so, potrebbe avere tagli ovunque e in posti dove ci si può anche ferire. Ma le anemie non vanno peggiorando e comunque non così tanto da un giorno all’altro.» disse recuperando la confezione quasi vuota.
«Se ne soffrisse di suo fin da bambino, o da abbastanza tempo perché gli sia stata diagnosticata, avrebbe sicuramente una terapia fatta di integratori o qualcosa che comunque non lo faccia collassare nel mezzo del corridoio, oltre che di una lezione. Durante Educazione Fisica l’affaticamento potrebbe aver fatto il resto, ma in corridoio no. Ho pensato che potesse essere un sintomo di qualcosa che non andava, anche se era molto azzardata come ipotesi.»
«Meno male che te ne accorgi da sola!» sbottò Haruki, allargando d’istinto le braccia in un gesto incredulo. Andiamo, ma che senso aveva? – senza contare che quella tizia sembrava una stalker, a sentirla parlare.
«Però» riprese «ho provato a parlargli ieri. Sagara-kun non era in sé, su questo non ho dubbi. A quel punto, l’idea di un Succubo mi è sembrata la più verosimile. Anche perché mi è apparso piuttosto astioso non contro di me nello specifico, ma in generale.»
«Quindi contro una donna.» concluse Shiki per lei, guardandola mentre annuiva.
Haruki li fissò entrambi: «Mai pensato che magari non ti sopporta e basta?»
«Io e Sagara-kun non abbiamo quel tipo di rapporto. Ci siamo parlati molto poco da quando siamo in classe insieme.» fece presente come se non ci fosse nemmeno da prendere in considerazione che fosse una ripicca personale o qualcosa del genere.
Haruki non fece commenti: non è che lui fosse la persona più indicata a parlare di come dovessero essere i rapporti tra compagni. Almeno nel caso di quella pazza si trattava di uno solo; lui a malapena sapeva chi c’era nella sua classe, in pratica.
Sbuffò: «Va beh, come ti pare.»
«E quindi la prossima mossa, signorina?» chiese invece Shiki, tirandosi su e scendendo dal banco. Lei si mosse, ma per raggiungere la porta, non lui.
«Se il conto dei giorni che ho fatto è giusto, ormai sarà quasi ora per il Succubo di cambiare preda. Quindi devo solo trovare Sagara-kun.»
«Per esorcizzarlo?»
«Non proprio. Non sono un’esorcista, l’ho detto. Però c’è qualcosa che posso fare per scacciare il Succubo per il momento. Non posso fare di più, perché non ne ho le capacità.» ammise, sospirando impercettibilmente e facendo scorrere la porta.
«Anche se questo Sagara non ti piace nemmeno?» chiese a bruciapelo Shiki – Haruki lo guardò male, non per un picco di sensibilità nei confronti di lei, quanto perché aveva la sensazione che si stesse immischiando in qualcosa con cui non voleva avere a che fare, visto che non lo riguardava e non era una richiesta di lavoro fatta a lui personalmente.
«Solo perché non ci parliamo non significa che io voglia vederlo morire.» commentò semplicemente la ragazza, voltandosi a guardare il demone. Haruki fu stupito non tanto dal fatto che ci conversasse come se nulla fosse – a quello aveva rinunciato a trovare una spiegazione – quanto più dal fatto che avesse pronunciato quelle parole come se fossero ovvie.
Come suo nonno aveva trovato scontato credere a tutto quello che diceva solo perché Haruki aveva promesso di non mentire quando era bambino.
Non capiva: come si faceva a credere così tanto alle persone o ai propri sentimenti?
«Ohi.» la richiamò «Com’è che ti chiami?»
Lei lo guardò, spiazzata perché evidentemente non si era aspettata quella domanda; Haruki pensò che era ora mostrasse un cambio di espressione normale e degno di essere definito a quel modo. Poi la vide incurvare le labbra in un sorriso che aveva ancora la sfumatura della stessa cortesia di poco prima – ma non c’era educazione, anche se non sapeva dire cosa fosse ad animarle quell’incurvarsi di labbra che sembrava diverso.
«Hiiragi Chiaki. Credevo non ti interessasse, Kirihara-kun.»

Il locale dove si esibiva con la sua band era sempre abbastanza frequentato, affollato quando la serata era pubblicizzata; era un posto tranquillo, però, di quelli dove raramente si rischiava di veder uscire persone ubriache che potessero causare problemi a terzi.
A Hide piaceva, ed era per questo che lui e gli altri avevano scelto di restare lì, piuttosto che tentare qualche esibizione altrove per essere più visibili una sera o due, e poi finire chissà dove.
Non poté non stupirsi quando, poco distante, notò un giovane accovacciato e dall’aria di non sentirsi troppo bene; aveva vestiti comuni, ma era abbastanza sicuro che non fosse più grande di lui, anzi.
Si avvicinò con cautela, osservando diversi passanti – per esperienza sapeva che qualcuno che veniva ignorato era, spesso, qualcosa che vedeva solo lui. Diversi passanti però stavano lanciando occhiate al ragazzo per poi continuare per la propria strada, perciò Hide si chinò leggermente verso di lui: «Ehi, è tutto a posto?» lo richiamò, posandogli la mano sulla spalla, con gentilezza.
Il ragazzo inspirò rumorosamente, come se non riuscisse a respirare bene, e puntò lo sguardo su di lui.
A Hide non capitava più di spaventarsi per gli youkai, anche perché per motivi che non comprendeva non lo infastidivano granché, e di questo era grato. Capitavano volte, però, in cui ne vedeva alcuni che gli mettevano davvero i brividi; lo sguardo di quel ragazzo, che di umano non aveva nulla, era l’esempio lampante di quel qualcosa di sovrannaturale che ancora riusciva a metterlo a disagio.
Poi lo vide: un volto di donna parzialmente trasfigurato da un’espressione che era un misto di sadica gioia e l’istinto primordiale della caccia, tipico soprattutto di quei predatori a cui il cibo è stato negato troppo a lungo. Non ne aveva mai visto uno così, specialmente rimanere in parte attaccato ad un corpo che sembrava sul punto di spezzarsi in due, piegandosi in modo innaturale.
Inspirò. Abituato o meno agli youkai, c’erano immagini a cui era certo non sarebbe mai riuscito a rimanere impassibile.
«Sagara-kun?» sentì chiamare e alzò lo sguardo, ritrovando alla propria sinistra e distanti pochi metri i due ragazzi incontrati la sera prima. Demone compreso.
Lei sembrava più sconvolta che inquietata, e Hide non seppe dire quale delle due reazioni fosse la più auspicabile. Aveva la sensazione che la più umana fosse il disgusto, visto il modo innaturale in cui si trovava il corpo del ragazzo che aveva vicino e come quello spirito vi fosse ancora avviluppato.
Lo youkai si voltò bruscamente, puntando lo sguardo sui due più giovani; il cambio di espressione fu visibile, ma lo spirito era già scattato in avanti e Hide non avrebbe saputo dire di preciso quale sentimento stesso animando l’essere che aveva puntato i due ragazzi.
Niente di positivo, però: solo le intenzioni negative avevano quell’odore terribile.
«Shiki, che stai—» chiese Haruki, mentre il demone si sistemava davanti a lui.
«Evito che la mia preda diventi la preda di qualcun altro.» replicò quello con tutta calma, quasi pregustando l’idea di cibarsi di quello spirito che evidentemente non costituiva alcuna minaccia per lui: «Non posso garantire per te, però.» aggiunse rivolto a Chiaki, che strinse tra le mani quello che aveva tutta l’aria di essere un ofuda, anche se Haruki non riuscì a distinguere cosa ci fosse scritto sopra.
«Fermo.» fu l’unica cosa che sentirono pronunciare entrambi, prima di vedere quello stesso spirito bloccarsi lì a nemmeno un metro da loro. Lo osservò basito, guardando Chiaki che sembrava sorpresa quanto lui.
«Permetti?» pronunciò Hide, passando accanto allo spirito e alludendo al sigillo tra le mani della ragazza; lei annuì, porgendoglielo incerta. Preso tra le dita, lo fece aderire sulla fronte dello youkai.
Quello, con un verso strozzato, si fece sempre più inconsistente fino a sparire.

 

 

 

 

Ofuda (o-fuda): talismani attribuiti ai templi shintoisti. Sono realizzati scrivendo il nome di un kami (dio), di un tempio o di un rappresentante del kami su un pezzo di carta, legno, stoffa o metallo. Generalmente utilizzati per protezione, nei manga sono spesso visti come mezzo per combattere gli youkai. In quel caso, il testo appartiene a un sutra o un mantra e possono essere utilizzati per respingere demoni o sigillarli in luoghi chiusi. (wikipedia)

La citazione in apertura viene dalla canzone “Saigo no Kajitsu”, ending di Tokyo Revelations e cantata da Sakamoto Maaya.

   
 
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