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Autore: Angeline Farewell    14/06/2014    2 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quattro.

 

“Devi assolutamente posare per me, non puoi dirmi di no!”

Tornare ad una sonnacchiosa normalità da pomeriggio estivo non era stato semplice, poi, almeno non per Tom.

Chris cercava di attirare la sua attenzione ed allo stesso tempo di prestarne abbastanza a Freddie, che era pur sempre un suo ammiratore ed un tipo gentile.
Gli frusciava attorno come una pieride del biancospino, tutto lino bianco e capelli scuri, e Tom non era mai riuscito davvero ad inquadrarlo: Freddie era gay ma avrebbe potuto avere tutte le donne di Londra tanto era bello. Esotico no, non lo si poteva dire, non a Londra, non in una città abituata da secoli ai mille colori dell’impero. Forse anche Emma ne era un po’ invaghita, e Tom decise che considerava l’ipotesi semplicemente ridicola, non di esserne geloso.

“Diana diceva che hai una settimana libera prima delle riprese, ti assicuro che ci vorranno un paio di giorni al massimo.”

Freddie continuava la sua opera di persuasione e Chris cominciava a sentirsi in imbarazzo. Tom sapeva come si sentiva, subiva le stesse pressioni ad intervalli regolari ogni qualvolta si ritrovassero tutti insieme. E non aveva mai accettato perché non voleva rischiare di deludere Freddie e se stesso: sapeva bene di avere ancora la faccia da ragazzino, e i boccoli biondi non aiutavano a stemperare l’effetto: aveva ventisette anni e l’anno primo aveva interpretato un diciottenne senza che qualcuno sollevasse obiezioni, in fondo. Una volta, sicuramente intendendo fargli un complimento, Freddie lo aveva paragonato ad un angelo del Carracci e Tom aveva odiato immediatamente il raffronto, perché era uno stereotipo che non riusciva a scollarsi di dosso dai tempi della Dragon School, di Eton. Ma non aveva lasciato trapelare nulla, si era versato un altro bicchiere, aveva sorriso e si era rifiutato per l’ennesima volta.

“Se non mi salvi da un secondo lavoro che proprio non voglio la nostra amicizia è finita, ti avverto.”

Tom aveva quasi rovesciato la limonata sulla sua t-shirt e sul prezioso divano bianco di sua madre, ma si era ripreso all’ultimo momento. Chris l’aveva sorpreso per l’ennesima volta con la guardia abbassata e, per un attimo, Tom aveva rischiato di rispondere con un quale amicizia? che di sicuro non gli avrebbe fatto guadagnare punti simpatia. Aveva approfittato del temporaneo allontanamento di Freddie per raggiungerlo e sedersi al suo fianco.

“Ti prego, dimmi come faccio a rifiutare senza sembrare uno stronzo, non ho voglia di posare da modello di mutande, ho lasciato un lavoro sicuro in Australia per non doverlo più fare!”

Tom lo aveva guardato e il suo viso non aveva lasciato traspirare nessuna emozione, una perfetta maschera da Eton. O almeno lo sperava, perché si stava sforzando con tutto se stesso di non scoppiare a ridere davanti a quell’espressione preoccupata, persino allarmata.

“Non ridere, non sei per niente gentile, il mio è un dramma serio.”

Avevano finito per ridere insieme, però, consci dell’assurdo che quella situazione trasudava, compresa quell’insensata sensazione di complicità che sembravano sentire entrambi. Tom rideva perché non riusciva a credere di riuscire ancora ad immusonirsi per sciocchezze senza senso, rideva perché non era abituato a considerare amiche persone appena conosciute, ma in quel caso non aveva dovuto nemmeno pensare di chiudere un occhio, era successo e basta. Rideva perché Emma gli aveva scompigliato i riccioli senza preavviso e si era seduta a sua volta accanto a lui con un mezzo sorriso divertito ed il piglio curioso. Rideva perché Chris stava ridendo, ed aveva un sorriso troppo contagioso per non unirsi a lui. Per una volta in vita sua non si era nemmeno chiesto perché Chris ridesse davvero, perché lo trovasse tutto sommato simpatico.

Quasi non si erano accorti del flash che li aveva illuminati all’improvviso per una frazione di secondo, perché Freddie era tornato con la sua macchina fotografica e non aveva chiesto il permesso per rubar loro uno scatto ed un pezzo d’intimità.

“No! Dai Freddie, piantala, non è possibile!”

“E’ solo una foto tra amici! Eravate così belli, tutti e tre, non potevo fare a meno di immortalare il momento.”

Chris si era limitato a sorridergli senza commentare l’intrusione, aveva finto di non coglierla come aveva finto – sicuramente – di non cogliere il fastidio di Tom la sera precedente. Si era alzato ed aveva raggiunto Freddie chiedendogli di vedere lo scatto, proponendogli addirittura di unirsi a loro, a Tom ed Emma, avrebbe scattato lui la prossima foto, un bel momento da ricordare ed incorniciare. E Freddie lo aveva davvero guardato esitante, poi si era illuminato e lo aveva istruito su come usare l’apparecchio, prima di lanciarsi letteralmente tra Emma e Tom, dividendo i fratelli e ricavandone le loro occhiatacce.

Quando, a pomeriggio inoltrato, Emma e Freddie avevano deciso di tornare a casa, Tom era rimasto piuttosto sorpreso dal rifiuto di Chris di rivedersi tutti insieme in serata, e quasi seccato da quel noi con cui aveva rinunciato anche per lui. Eppure era rimasto in silenzio, perché era vero, non aveva voglia di uscire, era stanco, ancora preda di una vaga sensazione di frustrazione che non riusciva a decifrare. Quindi aveva lasciato correre anche un po’ sollevato, persino grato Chris gli avesse risolto la situazione senza che risultasse sgarbato. Di solito odiava chi tentava di imporgli decisioni e programmi, non aveva mai ambito alla parte del leader, ma non gli si addiceva nemmeno il ruolo di gregario, così come rifuggiva quello di outsider: non sapeva bene quale fosse davvero la sua parte, in realtà, quello era il problema. E quel che suo padre gli rimproverava da sempre.

Quindi aveva taciuto ogni rimostranza e si era mostrato allegro, brillante, ciarliero. Non sapeva quanto avesse chiacchierato quel pomeriggio, ma Chris si era limitato ad ascoltarlo e non l’aveva mai interrotto, interessato persino alle inezie di una vita ai margini del circolo polare artico, così lontano dalla sua Australia.

“Tom, tesoro, Brian questa sera mi ha invitata a cena fuori, quindi se non uscite anche voi confido che non mi combinerete troppi danni in cucina, Pouline è molto pignola e non sopporterei sentirla borbottare domani.”

“Sì, mamma, non preoccuparti, non faremo esplodere niente.”

“Non ne dubito. Ah, che sciocca sono, dimenticavo: stamane mentre eri fuori con Chris ha chiamato Charles. Sarebbe il caso lo richiamassi.”

Charles. Tom si diede dello stupido mille volte, aveva dimenticato di chiamare Charlie. Che avrebbe avuto tutto il diritto di retrocederlo da migliore amico a saltuaria conoscenza dato che non si era preoccupato di telefonargli nemmeno una volta nelle settimane in cui era stato in Svezia. Doveva assolutamente chiamarlo e farsi perdonare, andare a bere qualcosa insieme, parlare di qualcosa, qualunque cosa non fossero progetti per il futuro, perché Tom sapeva già quali erano i progetti di Charlie, e Joy naturalmente, non si poteva più avere l’uno senza l’altra, insomma Tom sapeva qual’era la vita tranquilla ed ordinata di Charlie e Joy, la vita operosa ambiziosa tradizionale di Charlie e Joy. La vita che piaceva a suo padre.

“E’ così grave?”

Tom non capì subito cosa e perché dovesse essere grave, soprattutto perché Chris gli stesse facendo una domanda simile. Lo guardava con espressione tranquilla, vagamente incuriosita, e Tom si rese conto che lo stava facendo di nuovo: stava abbassando la guardia e ciao ciao alla sua maschera da bravo etoniano.

Perché gli succedeva sempre più spesso? Perché sempre con Chris?

Era preoccupato perché non sentiva il suo migliore amico da settimane, moriva dalla voglia di parlare con lui eppure procrastinava, conscio del fatto non sarebbe riuscito ad aggiungere nulla all’eccitazione dei primi giorni dopo aver ottenuto la parte. Era già stanco e non voleva darlo a vedere. Soprattutto, non voleva ascoltare i resoconti di Charlie, non voleva essere invitato a bere qualcosa a casa sua, non voleva mangiare i dolci di Joy e occhieggiare le riviste di abiti da sposa accatastate su un tavolino d’angolo, non voleva sentir parlare del mutuo che non poteva ancora permettersi di accendere, non voleva chiedersi quando Charlie si sarebbe stancato di quell’amico scapestrato che, con una laurea come la sua, non si decideva a mettere la testa a posto e fare quel per cui aveva studiato, proprio come voleva suo padre: Charlie insegnava latino in un college a South London, introito medio annuo di cinquantaseimila sterline e ferie pagate. Un ottimo lavoro, ma che Tom non aveva mai davvero preso in considerazione, a dispetto dei suoi studi classici e delle ore spese su Omero ed Euripide a viaggiare con l’Odisseo o filare la vendetta di Medea.
In realtà sapeva di essere ingiusto, Charlie era sempre il primo a festeggiare le sue (rare) vittorie e consolarlo per le (molte) sconfitte. Stappava una bottiglia di vino e lo ingozzava di dolci e si faceva giurare che il giorno del suo matrimonio Tom sarebbe stato lì al suo fianco, cascasse il mondo, chiamasse pure Spielberg a mendicare l’attore migliore della sua generazione.

“Sembra tu debba chiamare l’erede al trono!”

Tom aveva tentato di ricomporsi e sorridere al tono allegro di Chris, perché non gli piaceva sentirsi scoperto davanti ad uno sconosciuto, eppure Chris non gli comunicava nessun disagio, nessun motivo per tenere ben alto il muro delle sue difese che continuava a sgretolarsi penosamente senza preavviso.

Chris non sembrava intenzionato ad approfittare del suo vantaggio.

“Potrebbe anche darsi, ho frequentato il college con suo figlio, chi ti dice non siamo rimasti in buoni rapporti?”

“Ora mi stai prendendo in giro.”

“Assolutamente no.”

“Sì invece.”

“Ti assicuro di no. Mio padre aveva abbastanza aspettative sul sottoscritto da pagare la retta spropositata di Eton.”

“Non è possibile, non mi convincerai mai che sei stato al college con quel matto di Harry e ne sei uscito intatto!”

“Cosa- No! Non Harry, William! Quanti anni pensi che abbia…?”

“Non lo so. Ventitre?”

Almeno non aveva detto diciotto, Tom poteva anche giudicarlo un successo. Forse.

In realtà si offendeva sempre un po’ quando gli attribuivano meno anni di quelli che effettivamente aveva. Per la sua famiglia – paterna - era una strana forma di vanità e di orgoglio poter dimostrare i propri anni, perché era stato cresciuto nella convinzione che i segni sul viso e sulle mani raccontassero più di ogni parola e abito dell’uomo che li veste. Oggettivamente Tom sapeva fosse una sciocchezza, sapeva che non avrebbe dovuto vergognarsi della sua faccia pulita e delle dita affusolate – anche più di quelle di Sarah o di Emma, come rimarcava sempre suo padre – perché di lui raccontavano poco o nulla, di certo non le umiliazioni di lavori sottopagati, manuali, logoranti, cui pure si era piegato per pagarsi la libertà.

“Ne ho ventisette.”

Tom si prese mentalmente a calci per non essere riuscito a fingersi divertito dell’equivoco. Ci era sempre riuscito, riusciva a rimanere impassibile, persino a ridere delle battute della sua famiglia – di suo padre – a riguardo, perché con Chris non ci era riuscito? Perché finiva sempre per abbassare la guardia e mostrarsi al peggio, con lui? Tom non riusciva a capire, era da due giorni a quella parte che si sentiva fuori fuoco ed estraneo a se stesso, e non gli piaceva.

Ma Chris si era messo a ridere. Non una risatina forzata, un suono stonato per evitare imbarazzi. Rideva davvero di cuore, una risata franca e distesa, e Tom si sentì inspiegabilmente più rilassato.

“Oddio, Luke sembra tuo padre, quando glielo dirò gli prenderà un colpo!”

“Luke?”

“Sì, mio fratello maggiore. Ha ventisette anni anche lui, ma non è fortunato come te, è un orso. Aspetta, ti faccio vedere.”

Chris si era sfilato il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e ne aveva tirata fuori una fotografia spiegazzata che ritraeva quel che sembrava essere la sua famiglia: un uomo ed una donna, biondi e ancora giovani e bellissimi, abbracciati al centro circondati da tre ragazzi che sembravano aver fatto a gara per accaparrarsene le fattezze, tutti occhi chiari e capelli folti e biondissimi.

Quello che sembrava essere il padre di Chris non poteva avere più di quarantacinque anni nonostante il viso segnato dal sole. Alto quasi più di Chris, sembrava una sorta di fratello maggiore o zio giovane, fisico asciutto e sorriso smagliante, t-shirt spiegazzata e jeans informali.

Abbracciava una donna biondissima e bella che sembrava anche più giovane di lui, fissava allegra l’obiettivo del fotografo e sorrideva come se fosse la donna più felice del mondo. E non sembrava mentisse.

Tom notò che Chris somigliava tantissimo a suo padre, ma aveva rubato la dolcezza di sua madre.

Sono una famiglia felice, non fingono.

Non si soffermò sugli altri due fratelli, solo su quell’unico pensiero che lo folgorò mentre incrociava gli occhi del signor Hemsworth nella foto, e per un attimo avrebbe voluto strapparla, perché era felice per Chris, contento di sapere al mondo esistessero famiglie così, ma lui non aveva nessuna foto in cui suo padre sembrasse così appagato e disteso da abbracciare sua madre come fosse un tesoro.

“Non fare quella faccia, povero Luke, è un orso nano ma non è tanto male.”

Tom aveva riso suo malgrado di quell’epiteto giocoso, perché l’orso nano di casa Hemsworth era grosso come un armadio a due ante e sicuramente superava il metro e ottanta, abbondantemente.

Diana li aveva raggiunti in salotto attirata dalle loro chiacchiere e risate. Si era preparata con cura per la serata e Tom provò la solita piccola fitta di gelosia in fondo allo stomaco - cocco di mamma che era – ma le fece un sorriso ed un complimento, grato del pretesto che gli forniva per cambiare argomento e non mostrarsi ancora più sgradevole agli occhi di Chris.

“Tua sorella ha dato a me le chiavi dell’auto, l’ha parcheggiata di fronte a casa.”

“Spero non ci abbia folleggiato, l’ultima volta che l’ha presa in prestito ho dovuto far cambiare le pasticche dei freni, le aveva bruciate.”

“Ma che cattivo che sei, è rimasta a Cambridge quasi tutto il tempo, per preparare le audizioni e dare gli ultimi ritocchi alla tesi.”

“Audizioni? Ma se si laurea a settembre.”

“Infatti non parteciperà a nessuna piéces.”

“Oh.”

“Non era abbastanza concentrata, povera cara, sai com’è preparare l’ultima discussione.”

“Non mi ha accennato nulla.”

“Non glielo hai chiesto e sembrava non avessi molta voglia di chiacchierare, tesoro. Forse dovresti chiamare anche tua sorella, oltre a Charles. La settimana prossima torna a Cambridge.”

Il trillo alla porta d’ingresso aveva di fatto chiuso anche quella conversazione. Brian era puntualissimo come sempre, elegantissimo come sempre, galante e gentile come sempre. Produttore esecutivo per la BBC da svariati anni, si occupava ormai quasi esclusivamente degli investimenti della tv pubblica per il cinema, cercando allo stesso tempo di scovare volti nuovi. Come Chris, ad esempio. Che gli aveva detto fosse stato proprio lui ad insistere gli fosse affidata la parte per cui si era presentato, prendendolo successivamente sotto la sua ala protettrice. A Chris piaceva molto Brian Chilton, ovviamente.

Dopo le chiacchiere e i convenevoli di rito, erano stati lasciati di nuovo soli e Tom era stato preso da un leggero sconforto. Non voleva chiamare Charlie, aveva paura di sapere perché Emma non gli avesse detto nulla delle parti non ottenute. Faceva schifo come essere umano. Voleva ubriacarsi e non pensarci più, non parlarne più.

“Hai la faccia di uno che ha bisogno di un bel po’ di ravioli. E qualche birra.”

“Cosa?”

“Ravioli. Cinese. E parecchia birra. Ho fame.”

Perché sembrava Chris gli stesse leggendo nella mente? Perché non diceva nulla, non commentava nulla, ma sembrava preoccuparsi ugualmente per lui? Perché si preoccupava per lui?

Tom lo aveva fissato senza dire niente forse troppo a lungo, forse – di nuovo! – senza aver messo su la sua maschera da bravo ragazzo imperturbabile.

“Se non ne hai voglia, però-”

“No.”

“…”

“No, va bene, cinese sia. Ma ho bisogno di uscire di qui, niente take away. Andiamo a Soho.”

“A Soho?”

“Vuoi mangiare cinese senza morire, giusto? Andiamo a Soho. E speriamo non mi rubino la macchina.”

Ma, stranamente, Tom aveva solo voglia di sorride persino di quel pensiero sgradevole.

   
 
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