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Autore: Mary P_Stark    16/06/2014    3 recensioni
Summer è la più focosa tra i gemelli Hamilton. ll suo carattere rispecchia appieno il suo Elemento, il Fuoco, che lei domina con sapienza e attenzione. Vulcanologa di professione, verrà inviata alle Hawaii assieme al suo collega e amico J.C. per studiare il locale vulcano e, in quell'occasione, verranno a galla non solo l'antico retaggio della Dominatrice del Fuoco, ma anche i doni dell'apparentemente innocuo John. Questo scatenerà forze a stento controllabili, ma anche la passione sopita di entrambi. Sarà in grado, Summer, di gestire tutto come suo solito, o le forze in campo, stavolta, la travolgeranno? E Nonna Shaina accetterà di perdere la partita contro i nipoti, o stavolta partirà all'attacco? TERZO RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" (riferimenti alla storia presenti anche nei racconti precedenti)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Cap. 9
 
 
 
 
 
La prima cosa che Summer notò, al suo risveglio, fu la totale mancanza dei loa al fianco di John.

La seconda, fu il suo umor nero.

Chiedendosene il motivo – fino alla sera precedente, tutto le era parso a posto – la donna sfiorò la spalla del suo compagno con gentilezza e, nel dargli un bacio sulla guancia, mormorò: “Ehi, campione. Tutto bene? Pronto per oggi?”

“Prontissimo” assentì lui, sorridendole a mezzo nel mettersi seduto.

I suoi occhi scuri, solitamente accesi da una fiammella di passione, quel mattino apparivano spenti quanto dolenti e, suo malgrado, Summer dovette far finta di nulla per non insospettirlo.

Come spiegargli quanto fosse semplice, per lei, comprendere i suoi stati d’animo?

Se fosse stata un Guardiano dello Spirito, avrebbe sondato la sua mente, per comprendere da dove venisse la nebbia che gli aveva oscurato lo sguardo.

Potendo solo avvertirne le sensazioni, dovette accontentarsi e domandarsi cos’avesse.

Nel rivestirsi in silenzio, la vulcanologa preparò coscienziosamente il suo zaino prima di notare un particolare che, in precedenza, non aveva notato.

C’era un’ombra, accanto a J.C., e non era quella prodotta dal suo corpo.

Aggrottando la fronte, la Guardiana espanse il suo potere per sondare l’aria attorno all’uomo ma, con prepotenza, venne rimandata al mittente senza tanti complimenti.

Mordendosi un labbro per non imprecare – il contraccolpo psichico era stato molto forte – la donna si chiese cosa fosse e, soprattutto, perché fosse comparsa improvvisamente accanto a John.

Non sei addentro al nostro mondo, sacerdotessa, perciò non occuparti di questioni di cui non conosci nulla!

Quel riverbero stentoreo le trapanò il cervello, obbligandola a passarsi una mano sulla fronte come per scacciare un principio di emicrania.

Chi diavolo era che la insultava a quel modo?!

Prima di importi su di me, presentati! Non amo confrontarmi con chi non conosco!

Sai benissimo chi sono, sacerdotessa del fuoco!

E fu a quel punto che Summer sgranò gli occhi, fissò l’amico e amante a occhi sgranati e, sgomenta, si rese conto di cosa fosse successo.

Quell’ombra… quella voce… era John!

Ma non l’uomo che lei amava, che era il suo Fulcro, che lei avrebbe voluto per sé fino all’ultimo giorno della sua vita.

No, quella era l’emanazione psichica delle sue paure, dei suoi rimorsi, del suo odio, e dio solo sapeva quanti ne aveva accumulati, negli anni!

Senza più i loa a proteggerlo da se stesso – ma dov’erano, poi? – l’ombra si era materializzata in tutta la sua forza e ora, simile a uno squalo pronto a colpire, gravitava attorno a John tenendola a distanza.

“John… stai bene?” gli domandò ad un certo punto lei, uscendo dalla stanza per raggiungere quella di J.C. e recuperare il suo zaino.

“Ma certo. E’ la seconda volta che me lo chiedi. Ho forse qualcosa in faccia?” le domandò lui, sorridendole.

Summer faticò a non fremere di paura.

L’ombra mutò, divenne enorme e sguainò zanne degne di una tigre mentre, imperiosa, la fissava come desiderando divorarla in un sol boccone.

Era mai possibile che John non si rendesse conto di nulla?!

Deglutendo a fatica di fronte a un simile spettacolo, la donna ammutolì e, mentre John prendeva il suo zaino già pronto, insieme si recarono nella sala da pranzo dell’albergo.

Durante il tragitto, intercettarono la figura di Sean, in procinto di uscire dalla sua stanza.

Già sul punto di salutarli con ironia, l’irlandese si bloccò a metà di una parola e fissò spaventato Summer.

I suoi occhi chiari urlavano a grandi lettere ciò che la donna aveva già, amaramente, scoperto.

John, vagamente confuso, cercò con lo sguardo la compagna che, a sorpresa, lo sfiorò a un braccio per poi dirgli: “Devo parlare un attimo con lui, scusami.”

Lui si accigliò immediatamente e, alle sue spalle, l’ombra ringhiò furente.

Un attimo dopo, però, John annuì e mormorò: “Ti aspetto al tavolo, allora.”

“Sì, grazie” assentì lei, osservandolo turbata mentre si allontanava con il suo consueto passo potente e fiero.

L’ombra avanzò con lui, sempre più imponente e oscura.

“E’ senza controllo” mormorò Sean, la voce percorsa da un brivido gelido.

“NO!” esalò Summer, volgendosi verso di lui a occhi sgranati e, sì, terrorizzati da quella scomoda realtà. “Riuscirò a farlo tornare in sé, poco ma sicuro!”

“Non è nelle tue possibilità, Summer, e lo sai bene. Non sei una Guardiana dello Spirito, e Mæb è troppo lontana da qui, perché tu possa farla intervenire. Inoltre, trattandosi di un tipo di spirito non legato al nostro culto, non so neppure se lei potrebbe fare qualcosa per aiutarlo. Forse, Spring, che è legata alle creature viventi, ma… no. E’ incinta. Sarebbe comunque troppo pericoloso farla intervenire.”

“Non ricordavo che eri un Empate… hai visto cos’ha, vero?” dichiarò Summer, suo malgrado d’accordo con Sean.

Lui annuì e, rivolgendole uno sguardo sinceramente preoccupato, la mise in guardia.

“Devi stare attenta, Summer, perché ho paura possa perdere il controllo di sé al minimo alito di vento.”

“Non posso lasciarlo solo, ora che non c’è più nulla tra sé e i suoi demoni” replicò lei, pur sapendo quanto Sean fosse sincero con lei, in quel momento.

“Posso immaginarlo…” ammise Sean, reclinando pensieroso il capo. “… ma cerca di non farti ammazzare. Se il suo potere si riversasse su di te senza filtri, non so se il Dono del Fuoco basterebbe a proteggerti. Dopotutto, a quanto mi hai detto, è lui il tuo Fulcro.”

Aggrottando la fronte, Summer ringhiò: “Che intendi dire, scusa?”

Sinceramente comprensivo, l’uomo le sfiorò il viso con il dorso di una mano e, gentilmente, le disse: “Ha accesso diretto al tuo cuore, perciò è così pericoloso per te.”

Lei non disse nulla, limitandosi ad annuire torva e Sean, nel ritirare la mano, aggiunse: “Non interferirò, ma sii cauta.”

“Lo sarò e… grazie” mormorò la Guardiana, andandosene poi a grandi passi per raggiungere John e gli altri nella sala da pranzo.

Sean la seguì più lentamente, raggiungendo il suo tavolo solo dopo aver lanciato un’ultima, breve occhiata in direzione dei quattro scienziati a cui, in quel momento, stavano servendo la colazione.

Lui si accomodò al suo tavolo solitario e, dopo aver ordinato una spremuta tropicale e un french toast, prese il cellulare e attese paziente che all’altro capo rispondessero.

Quando una voce di anziana lo raggiunse, Sean mormorò ossequioso: “I miei rispetti, Signora degli Spiriti. Sono Sean O’Gready, figlio di Angus e Maurinne, della stirpe dei Guerrieri del Ramo Rosso1.”

“Ah, giovane Sean! Rammento il tuo spettro psichico! E cosa ci fai alle Hawaii insieme alla nostra bella Summer, eh?” ridacchiò la vecchia, senza sorprenderlo per nulla.

La Guardiana degli Spiriti che era Mæb, era la più potente sacerdotessa in vita in quell’epoca, perciò non faceva specie che, non solo sapesse dov’era, ma anche in compagnia di chi.

“Sono qui su mandato di Lady Shaina, come previsto dai Trattati… almeno in via ufficiale” dichiarò lui, con un mezzo sorriso.

Non era ancora riuscito a parlarne con  Summer, e il problema appena sorto complicava tutto, e di molto.

Prima di riferirle qualsiasi cosa, doveva risolvere quel problema più impellente.

Solo in seguito le avrebbe spiegato cosa lui, Colin e Miranda erano riusciti a scoprire, dopo tanti anni di studi sugli Antichi Testi.

Per correttezza, Winter e Autumn erano già a conoscenza da tempo delle indagini in corso ma, per non dare loro nessuna falsa speranza, di comune accordo le ricerche erano rimaste segrete.

L’aver scoperto la verità l’aveva reso felice e, quando Lady Shaina l’aveva invitato a raggiungere Summer, lui aveva colto la palla al balzo, accettando subito.

La cocciutaggine della giovane Guardiana, però, gli aveva impedito di portare a termine la sua missione, e ora il suo Fulcro stava per metterla in pericolo.

Non poteva rimanere con le mani in mano. Doveva agire.

“Vi chiamo per una gentile cortesia. Ho il timore che la Sacerdotessa del Fuoco possa incorrere in un grave pericolo e…”

Interrotto dalla voce turbata di Mæb, Sean le sentì dire: “Non so cosa stia combinando quella ragazza, ma c’è un concentrato di potere incontrollato, accanto a lei… e non appartiene alla nostra famiglia.”

“Chiamavo proprio per questo. C’è nulla che io possa fare? O che voi possiate fare dal vostro tempio, a New Orleans?” le domandò speranzoso, pur non aspettandosi molto.

“Per prima cosa, non ti sognare di toccarlo, ragazzo. Il tuo dono ti rende estremamente sensibile, dal punto di vista psichico e, se solo sfiorassi un simile concentrato di male, potresti anche subire dei danni permanenti” lo mise immediatamente in guardia la donna, sgomentandolo. “Quanto a Summer, non posso fare nulla per lei, in prima persona, ma conosco qualcuno che si può occupare di questo loa fuori controllo.”

“Un loa?” esalò sorpreso Sean, lanciando  un’occhiata sorpresa in direzione di John.

“Il tizio è legato agli spiriti vudù, non c’è dubbio, perciò non rientra nel mio raggio d’azione, ma conosco un houngan che potrebbe esserci d’aiuto. Se riesci, trattieni Summer lontano da quella bomba innescata, mentre io vado a cercare rinforzi” brontolò la donna, chiudendo la comunicazione in tutta fretta.

Sean sospirò e, nel vederli allontanarsi dalla sala da pranzo, mormorò: “Come se fosse facile dare degli ordini a quella donna.”

 
¤¤¤

Il folto della foresta aveva impedito loro di procedere oltre con la jeep e, zaini sulle spalle e mappa GPS tra le mani, John e Summer si erano inoltrati tra le alte piante verdeggianti per raggiungere la meta.

Già dopo qualche miglio, i loro pantaloncini si erano inumiditi a causa della rugiada depositata sul fogliame del sottobosco che intralciava, a ogni passo, il loro cammino.

Ora armato di machete, J.C. continuò a farsi strada con sapiente mano ma, a ogni modo, il loro cammino fu comunque lento e complesso.

Summer, dietro di lui, continuò incessantemente a scrutare turbata l’ombra oscura del suo unico amore che, appollaiata su di lui come un avvoltoio, replicava al suo sguardo con lascivia e desiderio.

Non faticava a comprendere cosa quel demone volesse da lei.

Il potere.

Il Fuoco era un dominio potente, forse il maggiore dei quattro – con esclusione dello Spirito, che aveva altra natura – e Summer, tra i gemelli, era quella ad aver subito il training peggiore di tutti.

Nessuno dei suoi fratelli sapeva di ciò che aveva dovuto passare, per tenere a bada il suo Elemento, poiché era vitale che nessuno di loro provasse compassione per lei.

Non lo aveva mai voluto, né lo voleva ora.

Era arsa per settimane, mesi interi, prima di riuscire a domare correttamente il suo dono.

Quando infine era riuscita a imbrigliarlo in qualche modo, le emozioni di coloro che le stavano vicino avevano iniziato a invaderla.

Simile a benzina sul fuoco, ogni sguardo accigliato, ogni cattivo pensiero, ogni sorriso era servito a farle perdere il controllo, a dare il via a un nuovo scoppio di potere indesiderato.

Il Fuoco aveva tentato infinite volte di sfuggirle di mano, di proseguire da solo il suo viaggio nel Creato, in barba ai suoi tentativi di imbrigliarlo.

Aveva pianto, strepitato, pestato i pugni, ma nulla era servito a darle un maggior controllo su quella bestia affamata che era il suo Elemento.

Finché non aveva compreso.

Proprio ciò che le faceva perdere il controllo, era ciò di cui si cibava il fuoco perciò, con le debite regolazioni e con prelievi oculati, poteva sfamarlo senza impazzire del tutto.

Poco per volta, tentativo dopo tentativo, aveva imparato a gestire le sensazioni che galleggiavano nell’etere, per poi deviarle al suo Elemento perennemente affamato.

Si era prodigata per non nutrirlo troppo, o troppo spesso, ben sapendo quanto sarebbe stato difficile, altrimenti, mantenerlo nei regimi ma, alla fine, era riuscita nel suo intento.

E, quando tutto le era parso ormai semplice, era giunta Erin. E il lascito della sua famiglia.

Aveva sempre amato Win più degli altri, non faceva fatica ad ammetterlo con se stessa.

Quando quella Spada di Damocle gli era caduta sul capo, aveva rischiato di far esplodere tutta Washington, persa com’era ad ascoltare i riverberi furiosi del suo dono.

Il Fuoco aveva desiderato divorare, consumare, non lasciare che cenere, spinto dal suo stesso furore cieco.

Quell’ultimo supplizio le era servito per imparare un’ulteriore lezione.

Mai, in nessun caso, avrebbe dovuto cedere alla rabbia personale, o tutto sarebbe stato raso al suolo.

Non solo le emozioni altrui potevano trarla in inganno, ma soprattutto le sue.

E da quelle, avrebbe dovuto tenersi alla larga.

Potendo creare il fuoco dal nulla, cosa che i suoi fratelli non potevano fare con i rispettivi domini, lei era di gran lunga la più pericolosa dei quattro Hamilton e, di questo, avrebbe sempre dovuto ricordarsi.

Vedere perciò lo sguardo voglioso del demone di John, non le permise di godersi la traversata nella foresta come avrebbe fatto in un caso diverso e, anzi, la mise in allarme più che mai.

Quando infine raggiunsero il canale sotterraneo, che avrebbero dovuto controllare quel giorno, Summer tremò.

Il demone era a dir poco euforico, ed il fatto che J.C. non si stesse rendendo conto di nulla la mise in agitazione.

Scesi con attenzione lungo l’erta, che conduceva all’entrata del vecchio condotto lavico, Summ pregò mentalmente Arianrhod di darle la forza di non scappare a gambe levate da quel potenziale disastro.

Non voleva lasciare solo John con il suo lato oscuro, ma neanche voleva ficcarsi in un guaio di proporzioni bibliche con le sue stesse mani.

Perché, se c’era una cosa che adoravano i demoni, erano le tenebre e l’oscurità.

Lì, la loro forza decuplicava, e non era un bell’affare trovarsi nello stesso luogo con l’equivalente cinematografico del Conte Dracula.

Ugualmente, accese la torcia non appena ce ne fu bisogno e, quando anche John fece lo stesso, tirò un sospiro di sollievo.

Questo però ebbe breve durata perché, fatti pochi passi nell’oscurità di quel luogo cupo, dove la lava aveva disegnato striature, rigonfiamenti e lacrime di pietra sul soffitto a volta, J.C. si volse verso di lei e sorrise.

E Summer seppe che non era più lui a guardarla.

Era l’altro.

Come una frusta abilmente mossa, la sua mano le artigliò il collo, scaraventandola contro il muro di roccia lavica e lei, con un gracidio affranto, esclamò: “John, no! Combattilo!”

John non c’è!” celiò il demone con la voce di J.C.

Sollevatala da terra con facilità estrema, gli occhi ridotti a due esili fessure di fuoco scarlatto, il demone che era John rise soddisfatto, mentre Summer tentava invano di liberarsi.

“Non andrai da nessuna parte, se prima non mi dai il tuo Elemento!” le ringhiò contro lo spirito oscuro, mostrandole i denti con fare minaccioso.

No, erano diventate zanne. E servivano a una sola cosa.

Urlato il suo nome nella speranza ormai remota che lui potesse sentirla – ovunque il demone lo avesse relegato – Summer lanciò subito dopo uno strillo di puro dolore.

Le zanne dello spirito oscuro le affondarono nella spalla, lacerandola.

Non potendo fare altro, lasciò che il fuoco divampasse da lei, con il chiaro intento di allontanare il demone da sé e, di colpo, si ritrovò a terra.

Poggiando malamente un piede, aggrottò la fronte quando la caviglia si piegò in maniera innaturale, slogandosi e, rovinando a terra, fissò accigliata il suo assalitore.

Non John. Il demone.

Doveva tenerlo a mente, o sarebbe stata alla sua mercé finché non avesse assaporato fino all’ultima stilla del suo fuoco.

La mano ustionata, e il volto arrossato dalle fiamme che Summer gli aveva scatenato contro, il demone le ringhiò contro inferocito ma lei, circonfusa del suo Elemento, sibilò torva: “Non mi avrai, questo è poco ma sicuro!”

“Lui non ha neanche la più pallida idea di che cosa tu sia, altrimenti sarebbe stato John a desiderare il tuo fuoco, non io!” celiò ghignante il demone, irridendola.

“J.C. non mi avrebbe mai fatto del male!” replicò infuriata lei, levandosi a fatica e tenendosi contro la parete di lava disseccata.

“Non lo sapremo mai, no?” ironizzò lui, tornando all’attacco.

Un terremoto colse entrambi di sorpresa, sbalzandoli a terra come due birilli in una sala da bowling e Summer, guardandosi intorno sconcertata, lanciò un grido terrorizzato quando la parete di lava rinsecchita crollò.

La lotta con il demone, le aveva impedito di accorgersi di ciò che stava accadendo intorno a lei!

Gettandosi su John per toglierlo dalla traiettoria dei massi, che chiusero la loro unica via di fuga con un muro inamovibile di macerie, Summ si ritrovò in un attimo schiacciata contro il terreno.

Le mani bloccate sopra la testa, fissò a occhi sgranati le zanne del demone e, già sul punto di richiamare nuovamente le fiamme, si ritrovò a scrutare la confusione nel suo sguardo.

E la sua paura.

Come se avesse visto un fantasma, John si scostò in fretta da Summer che, con le lacrime agli occhi, ne seguì i movimenti con apprensione e speranza insieme.

L’uomo, caracollando all’indietro fino a ritrovarsi con le spalle al muro, la fissò inorridito prima di esalare sconcertato: “Cosa… cosa stavo facendo?!”

Tu non stavi facendo nulla, John” esalò lei, rimettendosi a sedere per poi dare un breve sguardo al morso lasciatole dal demone.

J.C. lo fissò sgomento e, crollando in ginocchio, si prese il viso tra le mani e singhiozzò turbato: “Cosa ti ho fatto?!”

“John!” lo richiamò lei, procedendo gatton gattoni fino a raggiungerlo. “Ti ho detto che non sei stato tu!”

“Siamo solo io e te, qui! Cosa dovrei pensare?!” sbottò lui, fissandola con occhi smarriti.

Summer lo fissò dubbiosa – l’ombra era sparita, cancellata chissà come da quel luogo – e, ponderando bene le parole, mormorò: “Non eri tu, John.”

“Che… che intendi dire?” gracchiò l’uomo, aggrottando la fronte.

“E’ inutile che arruffi le piume” brontolò a quel punto lei, massaggiandosi il morso con una mano. “Mentire a te stesso ci ha portati a questo, e il morso che ho sulla spalla ne è la prova regina.”

John rimase fermamente in silenzio e Summer, sbuffando sonoramente, ringhiò: “E’ stato un loa oscuro a farmi questo, John! Un loa creato da te!”

Pur sobbalzando a quelle parole, l’uomo si intestardì a non voler parlare e la donna, non potendo far altro per lui, sospirò sconsolata.

“Tua madre mi parlò più di una volta dei tuoi poteri di houngan, e del tuo strenuo rifiuto di credere di possedere un simile dono. Beh, abbiamo stabilito senza ombra di dubbio che hai abbastanza energia per crearti un loa oscuro, ricolmo dei tuoi sentimenti di odio, paura e rimorso.”

“Non sai di che stai parlando” le rinfacciò lui, chiudendosi a riccio.

“Oooh, ne so più di quanto tu non creda, bello mio, ed è ora che impari anche tu, o finiremo nei guai, la prossima volta che il nostro amico piraņa deciderà di farsi uno spuntino con me! Perché succederà ancora, credimi, almeno fino a che non riuscirai a tenerlo a bada!” sbottò Summer, accigliandosi al pari suo.

“Non ho nulla da imparare” sentenziò lui, levandosi in piedi per raggiungere la parete di roccia franata.

Lei lo seguì con lo sguardo, inferocita in parte e in parte dispiaciuta.

Summer era nata conoscendo ogni cosa del suo retaggio, limitandosi ad accettarlo, apprezzandolo anche.

John, invece, ne aveva avuto paura fin dall’inizio e, cosa ben peggiore, aveva riversato il suo odio sul culto della sua genia, credendo che questo gli avesse strappato la nonna.

E ora si era giunti a questo.

Alzandosi a fatica, Summer si avviò per raggiungerlo ma, dopo un paio di passi, si bloccò terrorizzata prima di esalare: “No! Non è possibile!”

Il terremoto non aveva causato solo lo smottamento di pietre che li teneva imprigionati… aveva anche riaperto il condotto lavico, lasciando libero accesso al magma del Kilauea!

Lanciando uno sguardo turbato al condotto buio e minaccioso, Summer tornò a volgere gli occhi verso John che, dubbioso, le domandò: “Cosa succede, ora?”

Già. Come spiegarglielo senza lanciare un’altra bomba?

Sospirando afflitta, Summer raggiunse zoppicante la parete di detriti e, il capo reclinato verso il basso, ammise: “Sta arrivando una colata lavica e, se non ci sbrighiamo ad uscire, ci vaporizzerà.”

“Come diavolo fai a saperlo?” sbottò J.C., fissandola scettico.

Lei non poté far altro che levare lo sguardo su di lui e, al colmo dell’infelicità, dichiarare: “Perché io sono una Dominatrice del Fuoco, e la lava è parte integrante del mio dono.”

John strabuzzò gli occhi a quelle parole, allontanandosi da lei come se provasse ribrezzo o, peggio, paura e la donna, pur sentendosi andare in pezzi, mantenne saldo il suo autocontrollo.

Rivolgendo lo sguardo verso la parete di roccia sconnessa, mormorò: “Autumn, apri le orecchie e vedi di aiutarci. Qui siamo nella merda fino al collo!”

Un masso si mosse, raschiando contro gli altri prima di cadere rumorosamente a terra e J.C., imprecando, si allontanò dalla coltre di detriti mentre Summer, imperturbabile, li osservava crollare uno dopo l’altro.

Ormai era fatta ma, per salvarlo, avrebbe mandato all’aria molto più del suo segreto.

Senza avere il coraggio di guardarlo – le sue emozioni confuse come un tifone sull’oceano – la donna si concentrò unicamente sulle rocce che stavano ruzzolando a terra le une dopo le altre.

Quando, però, si rese conto che la spinta prodotta da Autumn sulle rocce non era sufficiente per liberarli in tempo, si volse verso John e, incurante dei suoi occhi sgranati quanto disgustati, lo avvicinò e si strinse a lui.

“Non ti muovere, o morirai!”

Mentre le pietre continuavano a cadere sotto la spinta dell’aria, smossa da Autumn con gran fervore, il fiume di lava li investì.

John, urlando di puro terrore, si strinse a Summer solo per scoprire che, non solo non stava ardendo vivo, ma neppure stava subendo alcun tipo di ustione.

La donna, tranquilla in viso e con occhi che mandavano bagliori dorati, stava veicolando senza alcun problema il flusso della lava, libero di sfogarsi nel condotto finalmente aperto, grazie all’aiuto di Autumn.

Non potendo semplicemente rispedirlo al mittente – un ritorno di lava avrebbe fatto letteralmente esplodere il Kilauea – lei aveva dovuto attenderne l’arrivo per farsi investire.

E, con quella decisione, aveva inchiodato definitivamente la bara in cui aveva rinchiuso per sempre il suo amore per John.

Perché era questo che dicevano gli occhi dell’uomo.

L’amore fin lì provato per lei era stato risucchiato via dalla paura, dall’incomprensione, dall’orrore.

In lei, ora J.C. non vedeva che una strega, un essere immondo, una creatura capace di muovere forze che nessuno avrebbe potuto.

Per lui, questo era davvero troppo. La sua mente, semplicemente, non capiva.

Quando il flusso lavico si fu esaurito e la via di fuga fu sgombra, Summer lo accompagnò verso l’esterno e solo lì lo lasciò andare, sicuro che non avrebbe subito danni, almeno a livello fisico.

Per quelli del cuore, lei non poteva fare nulla. Non più, ormai.

Il trillo furioso del cellulare di Summ li colse entrambi di sorpresa e lei, afferratolo con dita malferme, accettò la chiamata.

“Ehi, sorellina, tutto bene!?”

La voce di Autumn gli arrivò concitata, terrorizzata e, sì, comprensiva.

Strano, da parte sua, che era carta vetrata allo stato puro.

“Tutto bene, grazie. Siamo entrambi sani e salvi, Autumn” mormorò lei, guardando John con occhi colmi di scuse.

Lui, semplicemente, la stava fissando come se non la conoscesse affatto e, peggio, come se la persona che aveva innanzi fosse da temere.

“Come l’ha presa John?” mugugnò Autumn, cercando con tutte le sue forze di apparire gentile.

“Male” sussurrò lei, sospirando. “Ti lascio, bráthair. Devo risolvere un paio di problemi.”

“Lo ammazzo, se vuoi” le propose lui, con il suo solito tono irrispettoso.

Lei si lasciò andare a una risata sgangherata ma rifiutò e, nel rimettere a posto il cellulare, mormorò: “E ora?”

“Penso dovremmo rientrare. Direi che, per oggi, abbiamo fatto a sufficienza” dichiarò lui, lapidario.

“Senti, John… per quel che riguarda ciò che hai visto…” tentennò la donna, levando una mano per bloccarne i passi.

J.C. si scostò come se lei fosse stata appestata, e questo la ferì più di mille ingiurie urlatele contro.

Ugualmente, mormorò: “Se potessi evitare di dire a tutti che io…”

“Non voglio essere scambiato per un pazzo” ringhiò l’uomo, avviandosi verso il sentiero aperto nella boscaglia per tornare alla jeep.

Incurante del fatto che lei fosse ferita alla caviglia, o del suo sguardo ferito.

Affrettandosi a seguirlo, pur se claudicante, Summer disse ancora: “Non sono un mostro, John. Vorrei che almeno di questo fossi al corrente.”

Bloccandosi a metà di un passo, lui si volse per fissarla con occhi lividi e ringhiò: “Cos’altro dovrei pensare, scusa?! Chi è capace di fermare la lava, scusa?!”

Una folata di vento gelido, quanto violento, colpì John un attimo dopo, scaraventandolo a terra e Summ, con un sibilo, esalò: “Autumn, no! E’ un problema mio!”

Il vento cessò e J.C., fissandola ancor più torvo in viso, si levò in piedi spazzandosi nervosamente i pantaloni per poi dire: “A quanto pare, siete tutti strambi, in famiglia. Più di quanto pensassi.”

Accigliandosi, la donna sibilò in risposta: “Non osare insultare i miei cari.”

“Altrimenti cosa fai? Mi dai fuoco?” la irrise lui, gli occhi colmi di una tristezza quasi palpabile. “Dio, Summer! Avrei voluto saperlo! Non credi che meritassi la verità?”

“Tu non accetti la tua, come avresti mai potuto accettare la mia?” replicò lei, seguendolo torva lungo il sentiero.

“Io non ho nessuna verità nascosta” sbuffò l’uomo, accigliandosi.

“Se la pensi così, allora mi sono davvero sbagliata su di te. Non sei l’uomo intelligente che credevo.”

“E tu non sei la donna che pensavo di amare” le ritorse contro lui, mandando a segno più di una pugnalata nel suo giovane cuore.

“Amare una strega ti ripugna?” lo irrise allora Summer, cercando di non piangere.

“Se l’avessi saputo, forse ti sarei stato alla larga” ammise lui, dandole il colpo di grazia.

La donna, allora, sentenziò lapidaria: “Non ci sono problemi. Ti accontenterò. Visto che non mi denuncerai, farò questo per te. Sparirò dalla tua vita. Per sempre.”

A quelle parole, John ebbe un tremito nel cuore ma, cocciuto, lo mise a tacere.

No, semplicemente, non poteva accettare.

Anche se si trattava di Summer.

Anche se si trattava della donna che, nonostante tutto, continuava ad amare a dispetto delle parole cariche di livore che le aveva riversato addosso.

In silenzio, percorsero a ritroso il sentiero fino a raggiungere la jeep e lì, inforcato che ebbero il mezzo, tornarono all’albergo senza più scambiarsi parola, il sibilo del vento come loro unico compagno di viaggio.

Non impiegarono molto e, quando il fuoristrada fu parcheggiato all’ombra di un palmeto, John neppure si diede il tempo di aiutare Summer a scaricare lo zaino.

Prese il proprio e si dileguò, ben deciso a mettere quanta più distanza possibile tra sé e la donna.

A lei non restò altro che chiudere la jeep e tornare mestamente all’albergo, pensando fuggevolmente a Mike e Mandy, sperando che a loro non fosse successo nulla.

Quanto a lei, non era certa che sarebbe riuscita a raggiungere viva il giorno seguente.

La vista di Sean nel giardino dell’albergo la bloccò di colpo e l’uomo, levandosi immediatamente in piedi non appena la vide, le corse incontro per abbracciarla senza chiederle nulla.

Non appena quelle braccia forti la avvolsero, le lacrime presero pieno possesso dei suoi occhi e, piangendo a dirotto, crollò contro di lui con il cuore in frantumi e l’animo ridotto a brandelli.

Sean la cullò dolcemente contro di sé, mormorandole parole in gaelico nell’orecchio mentre, con mani gentili, le carezzava schiena e capelli.

Lentamente, la allontanò dagli sguardi indiscreti dei pochi avventori dell’albergo che, a quell’ora, si trovavano nel giardino.

Raggiunto che ebbero un angolo nascosto tra i palmeti, la fece sedere a terra e la scrutò in viso, preoccupato.

Quando scorse il morso rossastro sulla sua pelle candida, si accigliò e, torvo, le domandò: “Il demone ha preso il sopravvento, vero?”

Lei annuì ma gli spiegò di come, all’improvviso, fosse svanito, lasciando solo John al suo posto.

Annuendo a sua volta, Sean le raccontò della sua telefonata a Mæb e la donna, sempre più sorpresa, si ritrovò a sorridergli grata, ben consapevole che il suo intervento li aveva salvati dall’annientamento.

“Non potevo fare altro, per te” ammise lui, scostandole un ricciolo dalla fronte con il tocco delicato delle dita.

“Non eri tenuto” precisò Summer, arrossendo suo malgrado.

“Indipendentemente da quel che vorrebbe da noi Lady Shaina, ho una mente che ragiona per i fatti suoi” ironizzò Sean, sedendosi al suo fianco sull’erba fresca. “Come conveniva al mio rango, ho fatto quanto lei ha richiesto alla mia famiglia, cioè presentarmi a te come pretendente alla tua mano.”

“Come?” esalò Summ, facendo tanto d’occhi.

Sean le sorrise complice e ammiccò.

“Avrebbero dovuto stare molto più attenti, i tuoi avi, nello scrivere i loro editti. Non si parla da nessuna parte di futuro marito. Perciò, a conti fatti, tu hai sempre avuto tutto il diritto di rifiutarmi, e così pure Spring con Colin, o Autumn con Miranda. Solo Winter era impossibilitato a scegliere, in quanto primogenito, ma voi non avete mai avuto questo obbligo.”

“Hai studiato anche legge?” sorrise a mezzo lei.

“Tra le altre cose” ammise Sean, prima di tornare serio. “Tua nonna sente il potere affievolirsi, e si sta attaccando ai ricordi e alle vecchie leggi per non perdere il dominio sul Clan, ma è ormai destinata a perdersi. Le nuove generazioni avranno il potere. Voi avrete il potere sul Clan, voi detterete le leggi a tutti noi, e nessuno potrà opporsi. E con quello che ho scoperto, nessuno potrà darvi torto, o esigere alcun pegno da parte vostra. Winter ha già pagato a sufficienza per tutti.”

“E non si può semplicemente evitare di avere leggi?” brontolò a quel punto Summer.

“Sono i vostri poteri che lo impongono” assentì con ironia Sean, omaggiandola di un cenno ossequioso del capo.

Lei lo spintonò leggermente con una mano, borbottando: “Oh, dai, piantala! Non sono una regina da omaggiare!”

“E’ quel che pensi tu, lady Summer” ironizzò lui, prima di domandarle più seriamente: “Il vostro segreto può essere compromesso, a questo punto?”

Sospirando, la donna si passò una mano tremante sul viso e scosse il capo.

“No, John manterrà il silenzio. Non vuole essere preso per pazzo. Ma io dovrò togliermi dai piedi.”

“In che senso?” esalò Sean, confuso.

“Penso che, alla fine, accetterò quella cattedra al MIT che da tanto tempo mi offrono. Almeno per un semestre o due, avrò altro a cui pensare, poi deciderò il da farsi” asserì tristemente lei, grattandosi il capo per il nervosismo. “Dio, che schifo!”

“Rimarrò con te, se questo può esserti d’aiuto” le promise l’uomo, sorridendole.

“Sei un docente anche tu, Sean. Non posso pretendere che tu mi segua per farmi da balia. Starò bene ma… grazie per il pensiero” replicò lei, sfiorandogli il viso con una carezza gentile.

“Rimarrò comunque qui, e ti riaccompagnerò a Washington. Vorrei porgere i miei omaggi a Spring, Winter e alla nascitura” le propose allora Sean, imperturbabile.

“E a Max?” si interessò Summer, dubbiosa.

“Il futuro marito di Spring? Si chiama così?”

“Esatto.”

“Sarà un piacere conoscerlo” dichiarò l’uomo, sorridendo.

“Bene. Allora, sono contenta che tu rimanga” dichiarò suo malgrado Summer, incredula. “Così potrai spiegarmi cosa diavolo hai scoperto.

Sean rise, e lei si ritrovò a sorridere speranzosa assieme a lui.

Se qualcuno glielo avesse detto anche solo il giorno prima, non ci avrebbe creduto.

E fu a quel punto che comprese la visione di zia Brigidh e, con un sospiro, ammise tra sé che, in effetti, qualcuno a lei caro era morto.

Per lei, John era defunto. Perso per sempre.
 
 
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1 Guerrieri del Ramo Rosso: antica stirpe di guerrieri irlandesi legati a re Conor Mac Nessa e alle leggende sul Mastino dell’Ulster.

N.d.A.: direi che lo scossone c'è stato... il più sarà vedere come reagirà John, adesso.
  
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