II
Zashiki-warashi, I
I’ve
been watching all the time.
Seems near, yet so far.
Always… unreachable.
Per diversi istanti si
guardarono senza dire nulla. Intorno a loro, la città si muoveva nel suo ritmo
frenetico giornaliero, tipico soprattutto degli orari in cui gli impiegati
cominciavano a rincasare in massa, magari fortunati abbastanza da non doversi
trattenere oltre l’orario di lavoro.
Tokyo era fatta di luci, la sera; insegne su insegne che indicavano la via
fungendo da punti di riferimento, e al tempo stesso sembravano attirare le
persone come falene. Si respirava un’aria piena, in quella città, un’aria fatta
di troppe persone e troppi respiri, tanto che se non si era abituati sembrava
sempre tutto troppo. Hide era sempre riuscito ad adattarsi facilmente, a cucirsi
addosso le strade e a volte anche le persone; Tokyo era piena, quando guardavi
le insegne e sentivi passi delle persone picchiettare contro l’asfalto uno dopo
l’altro, tutti diretti da qualche parte, chissà dove; eppure quando poi lui
usciva dal locale, era silenziosa e fresca, rilassante.
Sola.
«Che cavolo hai fatto…?»
Hide non riuscì davvero a stupirsi del fatto che il ragazzino – Haruki – si
fosse espresso in quel modo. Era una reazione comprensibile.
«Ho dato una mano.» commentò semplicemente, un mezzo sorriso rivolto a
entrambi. Shiki, non più di fronte al ragazzo, lo squadrava da capo a piedi con
espressione indecifrabile; Hide la conosceva abbastanza da capire che in quel
momento il demone lo stava studiando, e questo implicava che non avesse ancora
deciso se considerarlo una minaccia o meno. In quei frangenti, era sempre
meglio non fare movimenti bruschi o che sembrassero un’intimidazione.
«Questo l’ho visto!» sbottò Haruki, incurante delle persone che si sarebbero
potute girare, attirate dal suo tono di voce abbastanza alto da far sembrare
che ci fosse un litigio in corso; parve rendersene conto anche lui, perché si
guardò intorno per qualche istante, prima di riprendere a parlare con voce più
bassa.
«Con quello spirito— tu gli hai impartito un ordine.» calcò la parola e non fu un caso. Lui non conosceva tutto
ciò che riguardava gli youkai, anche
perché era certo che fosse impossibile poterlo fare visto tutto il materiale
che esisteva, fatto di anni di leggende e superstizioni. Tuttavia, sapeva abbastanza
per capire che uno spirito anche debole non prendeva ordini da un umano se
questi non era il suo contraente.
Generalmente, il simbolo del contratto era da qualche parte, ma non era quello
che interessava ad Haruki; se quel tipo aveva controllo sullo spirito appena
svanito, allora perché questi si era scagliato contro di loro?
O doveva aver perso il controllo, o doveva essergli stato ordinato.
«Posso immaginare cosa tu stia pensando» ammise Hide «ma non è quello che
credi.» volle chiarire subito. Anche se si rese conto che suonava persino più
sospetto, in quel modo.
Haruki stava per dirgli che non era così fesso da credergli, quando Chiaki
mosse un passo in avanti, lo sguardo su Hide: «Quello era… il kotodama?» chiese, il tono abbastanza
basso. Haruki portò lo sguardo da lei a lui, sapendo a grandi linee di cosa si
trattasse… e che non gli sembrava ci fossero documenti che attestassero
l’esistenza di una tale dote, tra quelli che aveva in casa e ai quali aveva
dato un’occhiata.
Hide aveva assunto un’aria visibilmente stupita, ma non aveva smesso di
sorridere, anzi.
«Avete del tempo?»
Quando Haruki aveva accettato l’invito di quel ragazzo a seguirlo, dopo essersi
assicurati che Sagara stesse bene e averlo messo su
un taxi, non si era di certo aspettato di ritrovarsi in un ristorantino
discreto ed economico a farsi offrire una porzione di ramen.
Beh, non che lui rifiutasse del cibo, ma insomma: da due giorni a quella parte
gli sembrava di essere finito in un film di animazione di terza categoria che
avrebbe potuto avere come titolo un terribile “Haruki e la scoperta degli amichetti magici”; che cazzo, dopo
quindici anni di youkai e umani
scettici, si ritrovava circondato da gente a dir poco strana e con capacità
assurde o incomprensibili.
Che gli dessero tregua.
«Dunque» prese la parola l’altro «sono sorpreso che qualcuno della vostra età
conosca cose del genere. Anche se forse non siete poi molto più piccoli di me.»
«Oh sì eh, piacere di mio, hai proprio un gran bel nome.» ironizzò Haruki,
guardandolo sbieco; Shiki sicuramente lo avrebbe rimproverato dopo, visto che
al momento non era lì – rimproverato per modo di dire, visto che sapeva essere
più irritante dello stesso Haruki.
Hide invece sbuffò divertito: «Giusto, scusate. Mi chiamo Hideyuki.»
«Hideyuki come?»
«Hideyuki e basta.» ripeté quello, il sorriso ancora sulle labbra «Voglio dire,
ho un cognome, naturalmente. Ma per abitudine non lo comunico a chi è
immischiato con gli youkai. Questione
di abitudine e sicurezza personale. Naturalmente anche voi potete dirmi solo il
vostro nome.» assicurò.
Haruki lo guardò seccato, rivolgendo poi un’occhiata eloquente a Chiaki, dal
momento che le poche volte che lei gli aveva parlato lo aveva sempre chiamato
per cognome, com’era la norma in effetti.
«Haruki.» borbottò, affossando il naso nel menù.
«Io sono Chiaki.» si presentò la ragazza, che sembrava invece ben decisa
riguardo alla propria ordinazione, o semplicemente più interessata a quanto
stava accadendo che non al cibo: «Quanti anni hai, Hideyuki-san?»
«Venti. Voi dovreste essere ancora studenti, giusto?» chiese, ricevendo un
cenno affermativo con la testa da parte di lei.
«Io sono al secondo anno, Ki— Haruki-kun
al primo.»
«Dunque, Chiaki-san» le si rivolse direttamente «cosa sai di preciso del kotodama?» la incalzò, e per un attimo
Haruki fu contento che qualcuno finalmente facesse le domande giuste e senza
girarci troppo intorno. Guardò di sottecchi la ragazza, seduta al suo fianco:
sembrava cercasse le parole adatte, e lui ebbe la fastidiosa sensazione di dejà-vu
della sua spiegazione in aula neanche tre ore prima.
«Si pensa e si crede che il kotodama
sia una sorta di potere insito nelle parole e nei nomi. Si dice che il suono,
articolato in vere e proprie parole, possa influenzare non solo gli oggetti ma
anche il corpo, la mente e lo spirito.» pronunciò lei, mantenendo lo sguardo su
Hideyuki «Credevo però che si trattasse di parole proprie dei rituali, non
avendo mai incontrato nessuno con un potere simile, né documentazioni che
accennassero a qualcosa del genere.» ammise, una nota di quella che sembrava
curiosità.
Haruki non la capiva: certo, era una cosa che sembrava comoda visti anche i
risultati di poco prima, ma aveva imparato che niente di quello che aveva a che
fare con il mondo degli spiriti era senza rischi o senza un prezzo. E voleva
tenersene ben alla larga, per quanto possibile.
«Purtroppo credo di non poterti essere di grande aiuto.» replicò Hideyuki «Quello
che hai detto è corretto, e in effetti rispecchia esattamente quello che riesco
a fare. Solo che l’ho imparato da solo, diciamo con la pratica e per necessità.»
e chiaramente si riferiva all’averlo scoperto “sul campo” «Non ho mai
consultato qualcuno che se ne intendesse. Avrei dovuto spiegare cose
decisamente scomode, per farlo.» concluse, lasciando intendere quali fossero
queste “cose”.
Né Haruki né Chiaki avevano bisogno di chiedere: sapevano entrambi cosa
significasse non poter fare domande sulla propria condizione – entrambi
avrebbero preferito non saperlo, forse.
«Ma già che siamo in argomento» riprese Hideyuki, costretto a interrompersi
mentre il ramen
veniva portato al loro tavolo dalla cameriera «anche voi non mi siete sembrati
proprio sprovveduti. Anche se Haruki-kun attira di
più l’attenzione, senza dubbio.» scherzò su pacatamente.
Non era difficile cogliere l’accenno a Shiki, ma Haruki provò comunque una
sensazione strana: non si era mai trovato nella condizione di dover spiegare
perché un demone lo accompagnasse praticamente ovunque, per il semplice fatto
che nessuno era mai stato in grado di vederlo oltre lui, e non aveva quindi mai
fatto domande. Da qualche parte, dentro di sé, sentiva di essere contento come
se avesse finalmente ricevuto un riconoscimento che gli era stato a lungo
negato; mise subito a tacere quella sensazione, ricordandosi che non c’era
niente di bello in persone come lui che gli chiedessero di parlare di un demone
che potevano vedere in tre. Non avrebbe mai migliorato le cose, non avrebbe
cambiato la sua vita, e sarebbe stato solo qualcosa di passeggero.
Era un contentino, non un riconoscimento.
«È solo un demone rompicoglioni.» tagliò corto, appropriandosi delle proprie
bacchette e prendendo un primo boccone di cibo, rifiutandosi così di parlarne
oltre – non che servisse davvero: era abbastanza chiaro, dal momento che Shiki
non lo aveva ancora mangiato, che fosse suo alleato o almeno gli evitasse di
essere preda degli youkai.
Hideyuki abbozzò un sorriso a metà tra il divertito e il comprensivo, dando ad
Haruki la sensazione di chi aveva capito di non dover fare altre domande. Il
ragazzo spostò lo sguardo su Chiaki, infatti, in un tacito invito a parlare
della sua capacità, qualunque essa fosse.
Fu la prima volta che Haruki scorse in lei qualcosa che somigliava vagamente al
disagio.
«Per la verità non credo si possa definire davvero “capacità”.» esordì lei, le
bacchette nella mano destra e lo sguardo sulla ciotola ancora lì dove la
cameriera l’aveva lasciata: «Ho soltanto studiato delle documentazioni e degli
studi fatti sugli youkai e sui rimedi
usati in passato per allontanarli e renderli innocui.»
«…Che vuol dire che hai studiato?» chiese incredulo Haruki «Hai idea di quanti youkai esistano?! Vuoi farmi credere che
sei un’enciclopedia vivente?» pronunciò come se solo pensarlo fosse assurdo.
«Non a quei livelli. Mi sono concentrata più che altro sulle creature di
livello medio-basso, visto che da quando li vedo non
mi è mai capitato che ce ne fossero di particolarmente violenti. Forse il
demone che è con te è il più forte che mi sia capitato di vedere.» ammise,
prendendo finalmente un boccone di ramen a propria volta.
«Posso chiederti da quando vedi gli youkai,
Chiaki-san?» interruppe lo scambio Hideyuki, il sorriso leggero ancora sulle
labbra e la propria porzione nemmeno sfiorata, l’attenzione totalmente sui due
e nello specifico sulla ragazza.
«Tre anni e mezzo.»
«Strano.» commentò pensieroso «Credevo che questo tipo di capacità si
sviluppasse da bambini.» ammise, cercando conferma in Haruki con lo sguardo.
Lui non disse nulla, ma era d’accordo: per quanto lo riguardava vedeva da
quando era piccolo e, a giudicare dalle parole di Hideyuki, lo stesso valeva
per l’altro.
Si soffermò su Chiaki per qualche istante, tornando poi al proprio cibo.
Lei non commentò le parole di Hideyuki, limitandosi a mangiare e lasciando che
il silenzio animasse il loro tavolo al posto delle chiacchiere che c’erano agli
altri occupati qua e là nel locale. Non era pieno, ma aveva una bella
atmosfera.
«Avete tempo dopo mangiato? O avete il coprifuoco?» richiamò la loro attenzione
il più grande, che aveva iniziato a mangiare a sua volta durante quella pausa «C’è
uno youkai che ho individuato da
qualche tempo e che non ho ancora idea di cosa sia di preciso. Non ha dato
grossi problemi, per ora, ma pensavo che forse sapresti darmi la certezza se
sia o meno innocuo, Chiaki-san.» spiegò.
Haruki aveva notato che il tono di quel ragazzo sembrava costantemente cortese,
come se nulla riuscisse davvero a sorprenderlo o comunque mai abbastanza da
mandarlo nel panico più completo. Iniziava a chiedersi se ad essere strano
fosse lui, che aveva reazioni “nella norma” di fronte a cose che normali non lo
erano affatto, o se lo fossero quei due e lui ne avesse semplicemente viste
troppe poche per raggiungere quella specie di beatitudine perenne che avevano.
A dirla tutta, quel tipo gli puzzava e basta. Anche lei, ma lui di più.
«E che c’entro io, se deve dartela lei la conferma?» fece notare.
«Non suonerebbe sospetto se io invitassi una ragazza e per di più studentessa
in casa mia? Sospetto e sconveniente.» spiegò con naturalezza, spiazzando tanto
lei quanto lui; Haruki sentì il viso accalorarsi – cioè lo sapeva cosa facevano
un maschio e una femmina insieme da soli, in certe situazioni, però la faccia
di bronzo con cui quello lì lo accennava era allucinante!
«Perché invece se siamo due maschi non è anche peggio?!» sbottò, imbarazzato.
Hideyuki ridacchiò: «Ho pensato semplicemente che con un amico si sarebbe
sentita meno a disagio.»
«Noi non siamo amici.» tagliò corto «Stiamo nella stessa scuola e basta.»
«Oh. Questo è un problema, allora. Tu che ne dici, Chiaki-san?» si rivolse a
lei, che non si era ancora pronunciata sulla questione.
La osservarono mandare giù un boccone di ramen, prima di guardare
Hideyuki: «Lo youkai non è mai uscito
da casa tua, Hideyuki-san?»
«Non che io sappia. Ma sono fuori per buona parte della giornata, quindi non è
da escludere che lo faccia ma io non lo abbia mai visto. Lo trovo in casa
quando torno ed è ancora dentro quando vado via.»
«Che aspetto ha?»
«Se fossi stato in grado di descrivertelo non ci sarebbe stato bisogno di
chiederti di passare dall’appartamento. Ho visto sempre e solo un occhio.
Diciamo che mi spia o qualcosa del genere. Non mi ha mai fatto nulla, ma per
quel poco che ne so potrebbe stare aspettando e basta.»
«E non ti si è mai avvicinato?» chiese, perplessa.
Hideyuki tacque per qualche istante, facendo mente locale: «Mai mentre ero
sveglio, di questo sono sicuro.» rispose infine.
Haruki teneva lo sguardo su entrambi, il volto leggermente girato perché anche
Chiaki rientrasse nel suo campo visivo: non stava davvero pensando di andare
nella casa di uno sconosciuto e, per di più, dove sembrava esserci uno spirito
sconosciuto, vero? Non poteva essere così stupida.
Che gentiluomo.
«Shiki vaffanculo.» sibilò a mezza bocca, attirando
gli sguardi curiosi degli altri due «Lasciate perdere, tornate a parlare per
fatti vostri.» borbottò, risparmiandosi la fantastica spiegazione “il demone mi
parla nella testa quando non mi delizia con la sua inopportuna presenza”, che
di sicuro lo avrebbe fatto sembrare del tutto normale, certo.
«Hideyuki-san, domani pomeriggio hai qualcosa da fare?» domandò quindi Chiaki,
tornando a rivolgersi al più grande, che scosse la testa: «Solo fino alle tre.»
«Andrebbe bene se passassi dopo la scuola? Non ho attività del club, quindi non
sarebbe troppo tardi.» aggiunse.
«Non ci sono problemi. Haruki-kun?»
«Se non avrò da fare. Ma ve lo dico subito, io non mi immischio nelle faccende
degli youkai se non è per lavorare.»
tagliò corto, dedicandosi al brodo del suo ramen.
Anche gli altri due ripresero a mangiare.
Sbuffò sonoramente, mantenendo lo sguardo davanti a sé, pur avendo Chiaki che
gli camminava di fianco. Sapeva bene di essere andato di propria spontanea
volontà, ma ancora non gli andava giù; si era dato come scusa il fatto che
incontrare qualcuno come lui era un’occasione troppo rara per non sfruttarla,
ma a dire il vero non ci credeva molto. Shiki non aveva commentato,
stranamente, e dormiva da quella mattina.
«Ci saresti davvero andata da sola?» chiese a bruciapelo, dopo interminabili
minuti di silenzio da quando avevano lasciato l’edificio scolastico.
«Sì.»
«Sei stupida?» sbottò lui, affossando di più le mani nelle tasche del
giacchetto sopra la divisa. Va bene essere strani, ma quello della ragazza si
chiamava “non avere senso pratico” o “non avere istinto di sopravvivenza” (o
entrambi).
«Se c’è uno youkai, voglio vedere di
cosa si tratta.» spiegò brevemente lei, senza guardarlo.
Haruki sbuffò di nuovo: «Che ci troverete di bello. Più mi stanno alla larga,
più ne sono contento.»
«Probabilmente è perché li hai sempre visti, Kirihara-kun.» rifletté ad alta
voce lei, sistemandosi la sciarpa attorno al collo. Haruki alzò un
sopracciglio.
«Che dovrebbe significare? E poi non usare il cognome e il nome a caso, o uno o
l’altro. Tanto sei pure più grande di me.» e lui non era esattamente attaccato
alle formalità, anche se si notava senza bisogno di specificarlo.
Chiaki si voltò nella sua direzione, quasi per accertarsi che nelle parole ci
fosse stato un reale permesso: «…Haruki-kun, allora.»
decretò, tornando a guardare la strada «Hideyuki-san lo ha detto, che di solito
si vede fin da bambini. Ma per me non è stato così. Forse pensi che gli youkai siano fastidiosi perché li vedi
da molti più anni di me.» chiarì meglio quanto detto poco prima, voltando un
angolo secondo le indicazioni che Hideyuki gli aveva lasciato la sera prima.
«No, penso che siano fastidiosi perché lo sono. Li odio.»
«Tranne Shiki-san?»
«Odio anche lui, ma devo portarmelo dietro comunque. E cos’è quel –san, non è
nemmeno umano e di certo se ne frega se anche non aggiungi uno stupido
onorifico al suo nome.» puntualizzò. A Chiaki sembrava irritato, anche se non
al punto da scoppiare; non ne comprendeva bene il motivo, a dire il vero, a
parte l’antipatia per gli spiriti.
«Sei tu che sei strana. Sembra quasi che tu gli youkai te li vada a cercare.» commentò, ricevendo in risposta il
silenzio. Non poteva sbilanciarsi visto che quella era sì e no la quinta volta
che parlavano, volendo essere buoni e includendo l’incontro con lo spirito lanterna
e la conversazione in corso, ma aveva l’impressione che a volte l’altra si
isolasse completamente alla ricerca di chissà quale verità della vita da
propinare come risposta.
«Siamo arrivati.» disse lei, fermandosi e controllando il foglietto tra le mani
«Dovrebbe essere il primo appartamento sulla destra una volta salite le scale.»
aggiunse, osservando il condominio davanti a loro. Era una di quelle
costruzioni vecchie, dove generalmente si affittavano camere agli studenti
universitari, l’affitto accessibile per una stanza spesso singola o poco più
grande. Haruki storse il naso, salendo le scale con lei, fino a ritrovarsi di
fronte alla porta; sbirciò il campanello, ma non c’erano targhette. Forse era
di quei condomini dove la disposizione delle stanze era da richiedere al
portiere o al proprietario.
Chiaki suonò il campanello, e dopo pochi istanti la porta si aprì rivelando
Hideyuki, che li accolse entrambi con un sorriso facendosi da parte perché
entrassero. I due si fecero avanti con un “permesso” appena accennato.
«Vi va del tè?» chiese, osservandoli mentre si toglievano le scarpe.
«No, grazie.»
«Anche io sto bene così.» disse Chiaki «Tutto bene, Hideyuki-san?»
«Sì, tutto bene. Stamattina ho avuto una sorpresa, ma niente di pericoloso,
credo.»assicurò, incuriosendo entrambi e invitandoli ad entrare del tutto
spostandosi nella stanza più ampia. Era pulita e ordinata, seppure un poco
spoglia; l’unica cosa che saltò all’occhio furono delle piccole impronte
grigiastre.
«Le ho trovate stamattina quando mi sono svegliato. Pensavo fosse uno youkai che tentava di avvicinarsi mentre
dormivo, ma sono per tutta la stanza e penso che se avesse cattive intenzioni
mi avrebbe, non so… già strangolato?» azzardò, con un mezzo sorriso.
Evidentemente non era affatto preoccupato – anche se avrebbe dovuto.
«Non ho notato altre particolarità, sinceramente, non più del solito.» riprese,
adocchiando l’armadio e facendo loro un lieve cenno con la testa in quella
direzione. Guardando, notarono che era accostato e non del tutto chiuso: Haruki
si avvicinò, ma non fece in tempo a poter sbirciare dentro che quello si chiuse
con un colpo secco.
Pure lo spirito timido, ci mancava.
«Che ne dici, Chiaki-san?»
«Mh… Hideyuki-san, questo è sempre stato un
condominio?» chiese, l’espressione pensosa; Haruki, osservandola, si immaginò –
in maniera forse infantile e un po’ grottesca, ma che rendeva l’idea – una
specie di grande archivio fatto di cassetti in cui il cervello di quella
ragazza andava ricercando il fascicolo giusto dello youkai in questione.
Si diede del demente, perché non credeva che in natura una cosa del genere
fosse davvero possibile.
«Non credo, voglio dire, è molto vecchio ma immagino sia stato costruito in
epoca relativamente moderna.» replicò lui, e sembrava che avesse difficoltà a
seguire il ragionamento di Chiaki, cosa che fece sentire Haruki meno stupido.
La maggior parte di quello che diceva la ragazza gli risultava incomprensibile.
«Perché, hai qualche idea?»
«Forse, solo che da quanto ne so si tratta di uno youkai che di solito occupa case molto grandi e anche datate,
immagino. Non combacia molto con la tua stanza, Hideyuki-san. A meno che non
fosse qui da prima che questo posto diventasse un condominio.» azzardò lei.
«Scusate» esordì con tono scocciato Haruki «e se invece che fare tutte queste
supposizioni aprissimo l’armadio e basta?» fece notare, come se fosse una cosa
ovvia che per motivi ignoti nessuno avesse preso in considerazione: «Tanto se
avesse voluto maledirti lo avrebbe già fatto.» aggiunse, rivolto a Hideyuki.
«Non è detto. Penso sia un po’ troppo rischioso visto che non sembra
intenzionato a uscire da lì.»
«Sarà, ma io non avverto una brutta sensazione, quindi è probabile che non
abbia cattive intenzioni. Non ai livelli di maledizioni e roba varia, almeno.» commentò.
Lui era un po’ scavezzacollo, era vero, ma non al punto da rischiare di farsi
ammazzare e chissà quanto avrebbero impiegato quei due con tutte le loro
considerazioni; non voleva passare lì il resto della giornata per una roba di
poco conto.
«Riesci persino a capire le loro intenzioni? Devi essere piuttosto sensibile, Haruki-kun.» commentò Hideyuki – Haruki non capì se lo
stesse prendendo per il culo o meno, ma decise che per una volta poteva mandar
giù un insulto senza per forza rendere partecipi i presenti.
«Hai presente che giro con un demone? Ho un concetto di “aura maligna” un
pelino più concreto delle vostre supposizioni.» ribatté, voltandosi verso l’armadio
e facendolo scorrere, senza alcun preavviso né altro.
Si ritrovò gambe all’aria, un’ombra che era schizzata fuori investendolo quasi
in pieno e che si nascondeva ora dietro Chiaki.
La ragazza rimase immobile, e per una manciata di secondi lo fu l’intera stanza
e ogni suo occupante; tranne l’ombra, che lei sentì tremare appena contro le
proprie gambe.
A giudicare dalle espressioni di Hideyuki e di Haruki, alle sue spalle sembrava
non esserci niente di spaventoso – almeno all’apparenza, che non sempre era
indicativa però.
Girò appena il collo, per poter sbirciare da sopra la propria spalla: la figura
dietro di lei aveva le fattezze di una bambina a cui non avrebbe dato più di
sei o sette anni. L’unica particolarità era il suo vestiario, non tanto perché
indossasse uno yukata
estivo – per quanto in pieno inverno fosse del tutto fuori stagione – quanto
perché era piuttosto consunto, da quel che vedeva.
Provò a muoversi di un paio di passi lateralmente, ma sentì la figura dietro di
lei attaccarsi al lembo della sua giacca e seguirla nello spostamento; tentò di
nuovo, e si verificò la stessa cosa.
«Che diamine…?» tentò Haruki, fissandola.
«Credo sia uno zashiki-warashi.»
decretò infine Chiaki, tenendo d’occhio ora l’uno, ora l’altra.
«Non sono gli spiriti bambini?» chiese Haruki, perplesso. Lei annuì: «Non
esattamente, ma li chiamano spesso così. Sono youkai che hanno l’aspetto di bambini e un comportamento molto
simile. Fanno dispetti semplici, che di solito non causano danni seri alle
persone né le feriscono. Però si trovano in grandi case e soprattutto ben
mantenute, quindi non capisco perché sia qui, a dire il vero.» ammise,
osservando ora Hideyuki.
«Forse ha perso qualcosa?»
«Non credo.» disse lei, scuotendo appena la testa: «Gli zashiki-warashi sono creature che portano fortuna alla casa che
abitano e sfortuna quando l’abbandonano, per dirla in termini molto semplici. Ma
non si legano a degli oggetti, semplicemente se ne vanno se trascurati o se
troppo curati.» spiegò con la solita calma.
Hideyuki annuì un paio di volte, provando ad avvicinarsi: si piegò sulle
ginocchia, in modo da essere ad un’altezza simile a quella dello youkai, ma non appena provò ad allungare
una mano in sua direzione, quello si ritrasse, stringendo ancora di più la
giacca di Chiaki.
«Forse non gli piaccio perché non sono il padrone di casa?» azzardò, con un
mezzo sorriso.
«Non lo so.» ammise Chiaki «Tecnicamente non sei il padrone del condominio,
Hideyuki-san, ma se non si sposta mai dalla tua stanza allora si può
considerare che il padrone sia tu. In ogni caso c’è un’altra cosa che non
capisco.» proseguì, per poi tacere e allungare lentamente una mano; forse si
aspettava anche lei che lo youkai si
ritraesse, perché quando invece riuscì a sfiorare la testa, Haruki la vide
aggrottare la fronte confusa.
«Cosa?» la incalzò quindi, senza staccare gli occhi dallo spiritello – poteva
sembrare innocuo quanto voleva, ma aveva imparato che era sempre meglio non
fidarsi che farlo e rischiare un arto nel migliore dei casi.
«Per quanto ne so, gli zashiki-warashi
risultano visibili solo agli abitanti della casa che occupano e, raramente, ai
bambini piccoli. Quindi non ho idea del perché noi riusciamo a vederlo, adesso.»
Quel giorno, incapaci di trovare una spiegazione o una soluzione, sia Chiaki
che Haruki erano rientrati lasciando lo youkai
lì con Hideyuki; appurato che non sembrasse avere cattive intenzioni – specie
considerando che era passato dal nascondersi dietro la ragazza al tornare
chiuso nell’armadio –, i due si erano congedati. Chiaki aveva assicurato che
avrebbe dato un’occhiata ad alcuni documenti che erano in casa e così aveva fatto,
ma non aveva trovato indicazioni che spiegassero per quale motivo tutti e tre
vedessero quello spirito.
Forse, si era detta, era dovuto semplicemente al fatto che tutti e tre vedevano
gli youkai in generale; eppure era
ben consapevole che la sua vista e quella di Haruki fossero diverse, non solo
perché una si era sviluppata nell’infanzia e l’altra no.
«Hiiragi-san?» fu distratta, sentendo una mano posarsi gentilmente sulla sua
spalla. Alzò lo sguardo, ritrovandosi a guardare negli occhi Endou, una delle
sue compagne; intravide dietro di lei, vicine alla porta dell’aula, Takahashi – della loro classe – e una ragazza della sezione
accanto con cui entrambe parlavano spesso.
Tornò con l’attenzione su Endou: «Scusami, mi ero distratta.» disse, un sorriso
leggero verso di lei che scosse la testa allontanando la mano.
«Non preoccuparti. Vieni a pranzare in cortile con noi, Hiiragi-san?» chiese,
il tono entusiasta. Endou era una ragazza minuta, ma un concentrato di energie,
la classica ragazza che sembrava sempre un po’ bambina e che riusciva a
strapparti un sorriso in ogni occasione. Era spontanea e Chiaki non ricordava
una sola volta in cui non le si fosse rivolta in quel modo, l’aria allegra e il
fare semplice.
«Ti ringrazio dell’invito, ma non posso.» replicò «Devo passare a consegnare un
libro che ho preso in prestito e prenderne un altro, non vorrei impiegarci
troppo e rovinarvi la pausa.» aggiunse, stringendosi appena nelle spalle e
abbozzando un sorriso dispiaciuto.
«Oh, non preoccuparti! Se vuoi raggiungerci, però, siamo giù.» aggiunse,
raggiungendo le due sulla soglia e avviandosi.
Attese qualche momento, per poi recuperare un libro e il bentou dalla cartella, abbandonando la classe a propria volta.
«Devo riconsegnare un
libro, eh?» le fece eco Shiki, cogliendola evidentemente di sorpresa – era
assorta nei propri pensieri ma, soprattutto, non si era aspettata nessun altro
lì sulla terrazza. Nessuno che la approcciasse in quel modo, almeno.
Alzò lo sguardo, individuando il demone senza troppe difficoltà. La osservava divertito,
quasi curioso: a Chiaki ricordò il fare di un felino che dopo aver intrappolato
la preda non faceva che giocarci finché quella non smetteva di cercare invano
una via di fuga.
«Pensavo che tu fossi sempre insieme ad Haruki-kun.»
osservò, mettendo da parte il libro che aveva sì portato con sé, ma unicamente
per leggerlo.
«Io invece pensavo che tutti gli umani cercassero la compagnia degli altri
umani. A parte Haruki, ma lui è un caso speciale.» commentò distrattamente,
senza interrompere il contatto visivo: «Sai cosa penso? Che forse a te gli umani
non piacciono poi tanto.»
Chiaki tacque. Era vero che aveva detto, nell’infermeria e in aula, che solo
perché non era amica di qualcuno vittima di uno youkai non significava che potesse far finta di nulla; e aveva
anche rivolto una domanda specifica a Shiki, ossia se sarebbe rimasto a
guardare di fronte a uno spirito in difficoltà solo perché non gli andava
particolarmente a genio.
Era convinta, però, che il demone non si riferisse unicamente a quello: parlava
con la sicurezza di chi aveva osservato a lungo un comportamento per poterlo
decifrare.
Si sentì fastidiosamente a disagio.
«Non direi che non mi piacciono.» affermò, inspirando lentamente.
«Però li eviti.» disse lui con sorriso beffardo, facendosi più vicino tanto che
il suo viso era ben poco distante da quello di lei; Chiaki deglutì, non
potendoselo evitare. Non era tanto la vicinanza a darle fastidio, quanto la
sensazione di venire schiacciata e che era certa fosse dovuta alla natura di
Shiki.
«Non è crudele, da parte tua? Hai dovuto anche mentire.»
«Non è più crudele quello che stai facendo tu, Shiki-san?»
ribatté, non esattamente a tono, ma assottigliando lo sguardo. Non capiva dove
volesse andare a parare, né cosa interessasse a lui dei suoi scarsi rapporti
sociali con le compagne di classe.
«Oh? Ma allora te la prendi per qualcosa, ogni tanto. Qualcosa che non abbia a
che fare con gli youkai.» osservò,
fingendo che fosse casuale: «Persino Haruki è confuso da quello che fai. Anche
se ovviamente non lo dice, perché in fin dei conti non è poi così importante
come ti comporti, dal momento che non siete amici né niente di simile. Ma io
sono più curioso di lui, e soprattutto più interessato a saziare la mia
curiosità. D’altra parte, le persone che vedono
di solito sono allontanate dagli altri ma non sono le prime ad allontanare.»
mormorò, sibillino.
Chiaki si chiese se era questo che si provava di fronte alle tentazioni dei
demoni: la sensazione di qualcosa che ti si insinuava dentro anche se non
volevi, consumandoti e piegando la tua volontà come se tu non stessi nemmeno opponendo
resistenza.
«È vero che non sono a mio agio con le persone.» iniziò, mantenendo lei stessa
il contatto visivo «E che, forse, sono più a mio agio con gli spiriti. Non
importa se tu o Haruki-kun non ne capite il motivo,
visto che non penso di dover dare spiegazioni a nessuno dei due. E ti sarei
davvero grata, Shiki-san, se tu ora ti allontanassi.»
concluse. Era sicura di non aver mascherato del tutto il proprio disagio dato
dalla sua presenza, ma non voleva nemmeno parlare di una cosa tanto personale
con qualcuno che nemmeno conosceva: non erano affari che riguardavano né il
demone, né Haruki, né Hideyuki. Si erano conosciuti per puro e caso e, per
quanto ne sapeva, avrebbe potuto smettere di incrociarli in qualsiasi momento.
Non doveva spiegazioni.
Assolutamente no.
«Non sei affatto divertente.» si lamentò il demone, rimanendo esattamente
dov’era – per dispetto, suppose «Non trovi che sia particolarmente stupido per
un’umana immischiarsi nelle faccende degli spiriti solo perché non sa
rapportarsi con quelli della sua specie? Magari è proprio perché hai a che fare
con creature simili che ti succede questo, ci hai mai pensato?» rincarò la
dose.
Non guadagnava nulla da quella conversazione, se non un proprio personale
divertimento e allontanarla da Haruki; era conscio di un proprio desiderio di
monopolizzazione del ragazzo e non si sentiva di certo turbato dalla cosa: era
un demone e Haruki era la sua preda. Non era contemplato che qualcuno – fosse
Chiaki, quell’Hideyuki o chiunque altro – influenzasse quell’anima che a Shiki
tanto piaceva.
«…Mi stai dicendo che anche se li vedo, non ho il diritto di mettermi in mezzo?
O che solo chi è maledetto come Haruki-kun può farlo?»
chiese lei a bruciapelo, il tono così basso che forse Shiki non avrebbe sentito
nemmeno a quella distanza, se solo fosse stato umano.
Sorrise, ferino: dunque sapeva perfino della maledizione.
Si accostò ancora di più, deviando dal viso della ragazza e spostandosi vicino
al suo orecchio.
«Tu sai e vedi davvero un po’ troppe cose, per i miei gusti.»
Note
1. Ramen: tipico piatto giapponese (di origini cinesi) a base
di tagliatelle di tipo cinese di frumento, servite in brodo di carne o di
pesce, spesso insaporito con altri ingredienti.
2. Yukata:
un indumento estivo tradizionale giapponese, generalmente indossato durante gli
eventi estivi. È un tipo di kimono molto informale, indossato anche negli
alberghi dopo il bagno.
La frase in apertura è
della canzone “Ebb and Flow” (Ray), seconda opening dell’anime
Nagi no Asukara.