Capitolo 12
Paure,
bugie e
fiori d’arancio
“L’amore deve
tutto osare quando ha tutto da temere”.
Kahlil Gibran
Kurt, il primo amore di Nadine, era
vivo. Non era più il fantasma di un tragico passato da dimenticare, ma un uomo
in carne ed ossa; un uomo ferito, dall’aspetto martoriato, ma ancora vivo.
Werner era sconvolto. Tentando di nascondere il suo stato d’animo, gli diede
appuntamento per il giorno successivo e lo accompagnò alla porta. Werner non
riusciva ancora a crederci. Quel giovane era Kurt, colui che aveva lottato con
tutte le sue forze e messo a repentaglio la propria vita pur di difendere
Nadine e liberarla dalle catene di Ravensbrück. Werner cominciò a sentirsi male e chiese a un
suo collega di sostituirlo. Kurt, l’eroe morto cinque anni prima per la sua
amata, adesso risorgeva dalle sue ceneri. Il giovane dottore non poté più
resistere e, toltosi il camice, vomitò. Per un istante, si sentì svuotato
dell’amore di Nadine ed ebbe paura. Provò una sensazione di vulnerabilità, la
stessa di quando le bombe si abbattevano sulla città e lui cercava un riparo
sicuro tra i reparti dell’ospedale oppure di quando i russi lo braccavano e lui
invano scappava. Come allora, era stato violentemente catturato, sorpreso da un
passato che adesso non poteva far altro che torturarlo. La paura di perdere la
sua futura sposa cominciò ad assalire il giovane Werner, a stringergli le
viscere, a tormentarlo nell’anima. Ormai, era stato gettato nel buio di un
tunnel profondo dove l’unica via d’uscita era altrettanto buia: nascondere a
Nadine la verità e quindi mentirle, una seconda volta. Era certo che, se lei
avesse saputo di Kurt, avrebbe perso il suo equilibrio ancora troppo precario
e, sconvolta, avrebbe spostato la data del loro matrimonio o addirittura lo
avrebbe annullato. Werner non voleva perdere la sua Nadine e il loro sogno
d’amore che presto sarebbe diventato realtà, sigillato con il sacro vincolo del
matrimonio. Per lei era stato disprezzato dai suoi cari e sradicato dalle sue
sicurezze e adesso non temeva di sentirsi vigliacco, incrociando lo sguardo
della sua amata e bugiardo, pronunciando quel sì dinanzi a Dio. Il giovane
dottore era uscito dalla sua tempesta interiore attraccando all’unico porto
sicuro: il silenzio. Tornato a casa, non avrebbe raccontato a Nadine del suo
incontro con Kurt. Forse, pensò per darsi un’ulteriore giustificazione, anche
lui aveva una persona accanto e stava per rifarsi una vita e non era giusto
sconvolgergliela. E, qualche giorno dopo, prima di operarlo, ne ebbe la
conferma.
Werner tornò a casa e trovò Nadine seduta al tavolo della cucina
che confezionava le bomboniere del loro matrimonio. La bellezza della sua
futura sposa era sbocciata come un fiore in pieno inverno, il suo corpo
iniziava a guarire dalle ferite di Ravensbrück, la sua anima finalmente gioiva
di speranza e in ogni suo sguardo, in ogni sua parola, in ogni suo gesto
traspariva l’emozione per il grande giorno. Il giovane si avvicinò e le diede
un bacio sonoro sulla guancia. Poi si fermò a guardarla e Nadine, dietro quel
suo sguardo incantato d’amore, riuscì a scorgere in lui qualcosa che non
andava. “Che c’è, amore? …” gli chiese preoccupata “… Hai l’aria di uno che ha
visto un fantasma!” Senza volerlo, Nadine aveva centrato il problema. “Ho visto
la sofferenza, tanta.” rispose, celando il vero motivo del suo stato d’animo e
la ragazza continuò: “Ancora bambini, vero?” Werner annuì con la testa e poi
subito cambiò discorso. “Ho pensato che potremmo trasferirci a Berlino, lì
avrei più possibilità di trovare un lavoro migliore.” disse, temendo un
possibile incontro tra Kurt e Nadine. Lei non sembrò molto contenta di questa
proposta: Berlino era la città della sua infanzia e delle sue speranze infrante
ed era una delle città più tormentate della Germania del dopoguerra. Preferiva
restare a Fürstenberg/Havel e
ricominciare lì la sua vita. Ma Werner non si arrese e tirò fuori il suo asso
nella manica. Aprì la ventiquattrore e, con un sorriso larghissimo, le porse un
giornale. “Guarda, amore …” le disse raggiante “… La casa dei tuoi sogni, con
il tetto rosso e un piccolo giardino e il prezzo non è nemmeno eccessivo,
possiamo permettercela!” Nadine iniziò a illuminarsi e Werner aggiunse: “Poi a
Berlino c’è tua cugina Edith, è sola e potrà darci una mano quando arriverà il
nostro bambino.” La ragazza si commosse e, piangendo di gioia, abbracciò
fortemente il suo futuro marito. Werner l’aveva convinta e, due settimane dopo,
era ai piedi dell’altare ad aspettare impaziente l’arrivo della sua amata
vestita di bianco. Fu un’emozione grandissima quando l’organista intonò l’Ave
Maria di Schubert mentre Nadine varcava il sagrato della chiesa e quasi gli
mancò il fiato quando, sollevandole il velo, vide il suo viso dolcissimo
perfettamente incorniciato dal taglio di capelli alla garçonne[i].
Perdendosi negli occhi lucidi della sua futura sposa, Werner dimenticò
l’incontro con Kurt, tralasciò l’assenza e il disprezzo dei suoi genitori e si
spogliò del suo terribile passato. Al momento del sì, fu lui a piangere per la
commozione.
È quando tutti i giuramenti
fatti a te saranno inganni
alla vita che, stupita, sbanderà.
Amarsi è prima di capire,
è rimbambire la ragione in noi.
Non è la verità, che più la dici
e meno baci avrai.
È l’illusione mia che è vera.
Amedeo Minghi, Cantare è d’amore