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Autore: EsterElle    14/07/2014    2 recensioni
Nella terra di Cadmow tutto sta per cambiare. L’armonia che vi ha sempre regnato, l’equilibrio voluto da Dira, la perfetta partizione di un potere enorme: ogni cosa è destinata ad essere sconvolta. Sconvolta, per rinascere a nuova vita.
Ambizione, tradimento, menzogne e segreti; un velo cupo si stende sulla storia delle quattro Regioni. A districarsi tra le torbide acque del mare in tempesta sono due ragazzi, destinati ad essere nemici, entrambi simboli del cambiamento.
Come salvarsi dal crollo di una civiltà? Come sanare un mondo destinato alla rovina?
“Noi siamo Guardiani per volere di Dira e Dira ha fatto si che, per millenni, quattro Guardiani proteggessero il suo popolo. Questa è la Grande Magia, questa è la Sua volontà. Chi sei tu per sovvertire le leggi della natura?”
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11
Dirsi addio


“Dima, basta, smettila ti prego!” supplicò Elsa, le braccia allargate come a farsi spazio tra i due.
Dima respirò lentamente, dal naso.
L’erba e il terreno sotto i suoi piedi erano completamente ghiacciati, il volto di Petar a meno di una decina di centimetri dal suo.
La situazione stava degenerando. Decisamente.
Le mani gli formicolavano e l’acqua del lago di Odundì, alla loro destra, sciabordava a più non posso, infrangendo le sue onde sulla riva fangosa.
Lo sguardo di Petar era duro e fermo, per nulla spaventato. Lo fissava dritto negli occhi, le braccia rilassate lungo il corpo. Nell’aria, nemmeno un alito di vento.
Dima chiuse gli occhi un momento, prima di parlare.
“D’accordo, adesso la smetto” acconsentì, posando entrambe le mani sulla fronte.
Ad Elsa non servì molto tempo per piantarsi tra i due litiganti, trascinandosi la sua gamba ancora dolorante, lanciando occhiate preoccupate a destra e a sinistra.
“Ecco, e la finite tutti e due di comportarvi come bambini, chiaro?” ribadì, un po’ più sicura.
Dima, ancora teso, voltò le spalle agli altri due e percorse i pochi metri che lo separavano dal lago. Con un colpo secco, scalciò via gli stivali e camminò lentamente tra le acque agitate. Niente riusciva a calmarlo come la sensazione fresca del suo elemento sulla pelle.
Petar, nel frattempo, aveva posato una mano sulla spalla della ragazza, come per rassicurarla.
“Tranquilla, piccola, non gli avrei permesso di fare niente di cui si sarebbe potuto pentire” le sussurrò, sfiorandole la sommità della testa con le labbra.
Elsa annuì stancamente, dimenticandosi, per una volta, di arrossire.
Tutti e tre lasciarono che il silenzio scivolasse tra loro, portatore di pace.
Elsa era ancora pallida in volto quando decise di avvicinarsi al ragazzo che le dava le spalle. Senza curarsi di inzupparsi scarpe, gonna e fasciatura, lo raggiunse in mezzo al lago, guardando il suo profilo alla luce della luna.
Dima era un ragazzo esile, lo era sempre stato. La sua forza non era nei muscoli o nelle braccia; lui era il suo potere. Lui era acqua.
“Per favore, non colpevolizzarti più di quanto dovresti” gli disse. Sussurrò.
Ma l’altro restò in silenzio, continuando ad osservare il cielo coperto di quella notte.
Era alto, leggermente allampanato. La massa di corti ricci castano chiaro sembrava più scura in tutta quell’oscurità.
“Non è stata davvero colpa tua” continuò lei.
“Ero io, invece. Quello sono io, Elsa” disse infine, con voce roca, vincendo la sua reticenza.
“Si, sei anche quello”.
“Contro Petar, ti rendi conto? Io volevo… Ho rischiato di fare del male al Petar!”
“Eri arrabbiato. Sai che è più difficile gestire il tuo potere quando non ragioni lucidamente”.
“Pensavo di essere migliore. Di averlo superato”.
“E invece hai scoperto che c’è ancora del lavoro da fare. Beh, possiamo esercitarci insieme, se ti va. Farò da  cavia, promesso” sorrise lei, nella sua direzione.
Dima si voltò appena in tempo per cogliere un barlume di quel sorriso.
“Che stupida”.
“Che povero idiota e testa calda”.
“Dici che devo tornare da lui?”
“Mi sembra ovvio. Stai sereno, è molto meno arrabbiato di quanto non lo sia tu con te stesso”.
“Mi sconvolge l’idea che il mio potere può ferire” commentò Dima, guardandosi i palmi delle mani umidi, mentre un vecchio ricordo correva veloce nei suoi occhi.
 “Chi meglio di un altro Guardiano può darti consigli su questo? Torniamo indietro, dai; possiamo trovare una soluzione a tutto” disse Elsa, cercando di far trasparire più ottimismo di quello che lei stessa non provava.
“Ma io non posso ancora credere a quello che ha detto. Tu non sei sconvolta?”
“Io…  non so. Credo di si, in realtà. Ma è Petar e… insomma, lui è dalla nostra parte! Lo è sempre stato, l’unico. Deve esserci una spiegazione” mormorò lei, stringendosi tra le braccia.
Dima si prese un momento per posare i palmi a pelo d’acqua.
Sospirò. “Andiamo ad ascoltarla, allora”.
Il primo a raggiungere la terra ferma fu proprio Dima; a piedi nudi, prese a camminare verso il masso seminascosto dall’erba, dove Petar li stava aspettando.
L’uomo accenno un mezzo sorriso nella sua direzione, mentre Elsa prendeva posto al suo fianco.
“Mi dispiace. Non so cosa mi è preso” mormorò Dima a testa bassa.
“Posso capirti più di quando immagini” rispose Petar, rassicurante. “Ma tu ancora non riesci a comprendere me, vero?”.
“Si. Io non ti capisco affatto”.
“Nemmeno io, se è per questo. Sei davvero convinto di quello che hai detto? Come puoi non crederci?” aggiunse Elsa, voltandosi verso il Guardiano.
Un sorriso triste, ben noto ai ragazzi, andò disegnandosi sul volto dell’uomo. Con una mano sistemò una bionda ciocca dei capelli di Elsa, sfuggita alla stretta pettinatura, prima di parlare. Le sfiorò la fronte, ancora livida e segnata dagli incidenti del giorno prima.
“Ma io vi credo” sussurrò.
“E allora perché diavolo difendi quel bastardo schifoso di Orwen?” inveì Dima.
“Perché lui non ha colpe”.
Il ragazzo alzò le braccia al cielo, furioso. Prese a girare in tondo, stringendo forte i pungi.
“Dima l’ha sentito, Petar! L’ha sentito mentre complottava con il Sommo. Sono stati loro a creare l’epidemia al Nord, anche se non ho minimamente idea di come abbiano fatto!” spiegò Elsa, per l’ennesima volta.
“Ti prego, devi crederci!” aggiunse, afferrandogli un braccio.
“Te l’ho già detto, piccola; vi credo. Dima ha ascoltato una dubbia conversazione tra Orwen e il Sommo, ma sono convinto che sia saltato subito alle conclusioni sbagliate. Che interesse avrebbe il Guardiano del Sud a decimare la popolazione del Nord?”.
“Per espandere la sua schifosissima influenza” sputò Dima, tra i denti.
“Per sete di potere dici?” replicò scettico Petar. “Io conosco Orwen, ragazzi. Da più di trent’anni siamo guardiani insieme. È un uomo giusto, un uomo buono. È severo con voi, posso immaginarlo, ma mai quanto lo è con se stesso”.
“Tu hai il cervello pieno di decenni di amicizia e non te ne rendi conto; lui è un traditore, punto e basta. Ha rapito il Supremo e lo tiene prigioniero da cinque anni!” si rivoltò Dima, terribilmente indignato.
Tutto stava andando storto. Tutto. Non poteva credere che anche il loro ultimo e più fidato alleato li stesse abbandonando. La rabbia di poco prima tornava a crescere veloce, in lui.
Doveva controllarsi. Assolutamente.
“Non ci metterei la mano sul fuoco”.
“Ma che diavolo ti prende, questa sera? Non puoi davvero giustificare tutto questo!”
“Va bene ragazzi, ascoltatemi” iniziò Petar, risoluto, sporgendosi in avanti e poggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia. Li guardava negli occhi, a fondo, come a volerli convincere di una verità inconfessabile.
“Le cose non sono sempre come sembrano. È chiaro che qualcosa di losco sta succedendo al Nord, ed è chiaro che deve essere coinvolto qualcuno di potente. Sul Sommo non posso garantire. Non conosco il suo passato, ma deve avere parecchi scheletri nell’armadio”.
“Già, chissà come se l’è procurata quella cicatrice”
“Fallo finire, Elsa!”
“Dicevo, non posso dire nulla su di lui. Forse è coinvolto, forse no. Ma di una cosa sono certo: Orwen è innocente. Fino al midollo. Non lo farebbe mai, fidatevi; non ho mai conosciuto nessuno che avesse a cuore gli interessi di Cadmow come lui”.
“Ma se ci vuole uccidere!” sbottò Dima, con una risata sarcastica e finta.
“No, ragazzo, vuole uccidere uno solo di voi”.
“Siamo messi bene, allora!”
“ È molto legato alle Leggi e alle tradizioni, questo è vero: ma solo per il bene della vostra Regione”.
“Appunto! Nella sua testa il bene di Cadmow consiste nella morte di uno di noi; piuttosto distorto come concetto di salvezza, no? Tu non capisci, non riesci a vederlo. Porre il Nord sotto il suo governo non può essere altro che una mossa giusta, buona, per lui; persino doverosa. Sarà pure animato dai più nobili sentimenti, Petar, ma quello che vuole fare, quello che ha già fatto, è sbagliato! Tremendamente sbagliato!” si accalorò Dima, gesticolando come un pazzo nel tentativo di farsi capire da Petar.
“Maledizione!” saltò su l’uomo, battendo forte un pugno sulla gamba.
“Io non posso. Non posso aiutarvi. Non andrò contro un innocente solo per alimentare i vostri sospetti!” disse infine, scuotendo leggermente la testa.
Dima sgranò gli occhi, allibito.
No.
Non potevano essere davvero giunti a quella conclusione, era assurdo. Non doveva finire così; era la peggior sorpresa di sempre.
Petar li stava abbandonando e i suoi incubi si stavano materializzando proprio davanti ai suoi occhi.
“Petar, ma noi abbiamo delle prove” cercò di spiegare Elsa, con una sfumatura leggermente disperata nella voce. “Fratello Agos ci ha raccontato un sacco di cose. Di come è stata costruita la Muraglia e perché. Orwen ha orchestrato tutto col Sommo sin dall’inizio; io e Dima crediamo abbia minacciato anche te” continuò, accorata.
“Orwen minacciare me?” ripeté Petar, completamente incredulo, quasi ridendo.
“Si, per accaparrarsi il diritto di costruire quel dannato muro! Così da poterne avere pieno accesso al momento giusto” rispose Dima, in tono di sfida.
Era pronto a spaccargli la faccia se avesse riso un’altra volta.
“Dopo aver fiaccato la popolazione per anni, cioè” precisò Elsa, frettolosamente.
“Voi… voi avete frainteso tutto! È assurdo! Nessuno hai mai osato minacciarmi; di cosa, per di più?”
“È ovvio, no? Di un’incursione armata”.
“Dai, Petar, non essere così arrogante; lo sanno tutti che la Regione del Sud è praticamente imbattibile. Ti avrebbe schiacciato” commentò Dima.
“Piccoli stupidi” buttò lì l’uomo, prima di alzarsi dal masso e allontanarsi di qualche passo.
Quella era la prima vera lite tra loro tre. Avevano creduto di essere indivisibili, invincibili; ma ora un muro spesso stava calando tra loro.
Dima si prese un minuto per guardare Elsa, ancora rigidamente seduta. Aveva occhi lucidi e lui sapeva bene il perché.
-Quella scema ha una cotta megagalattica per lui dai tempi dei tempi. Non vorrei essere nei suoi panni, ora- pensò.
La vide abbassare la testa, magari per versare qualche lacrima indisturbata.
Ma c’era poco da discutere, poco da capire, da compiangere; Petar stava girando loro le spalle in nome della fedeltà ad un vecchio amico.
E questo faceva male. Tanto.
Quasi sussultò quando la ragazza si alzò di scatto, andando a sfiorare con la punta delle dita la casacca di pelle del Guardiano, ancora di spalle. Fu un attimo, e Dima si ritrovò ad osservare i suoi migliori amici stretti in un abbraccio infinito, la piccola Elsa con i piedi sollevati da terra e il volto del Guardiano immerso nei capelli di lei.
“Mi dispiace, mi dispiace tanto” sentiva mormorare Elsa, incessantemente, tra un singhiozzo e l’altro.
Una strana immobilità si impossessò dei lineamenti di Dima. Sentiva un peso al cuore, grande, e la voglia di piangere anche lui.
Quello non era un abbraccio qualsiasi.
Elsa stava dicendo addio al loro migliore alleato, al loro confidente, amico, fratello, al suo amore segreto.
Qualcosa pizzicava agli angoli dei suoi stessi occhi; Dima si chiese se stesse veramente per cedere.
L’avrebbe fatto, molto probabilmente. Si sarebbe messo a singhiozzare come un bambino, stanco di portare un fardello troppo pesante per lui, stanco di essere abbandonato, di essere solo.
L’avrebbe fatto sicuramente.
Peccato che, proprio quando la prima lacrima aveva percorso la sottile e irregolare peluria della guancia, qualcosa di strano accade davanti a lui.
E la situazione precipitò velocemente.
Elsa, ancora stretta tra le braccia di Petar, smise di piangere, di mormorare, di stringere convulsamente le mani intorno al collo del Guardiano. Smise di fare qualsiasi cosa.
 In un attimo, si accasciò sulla sua spalla, bianca, debole.
“Elsa? Elsa?” la chiamò Petar, allarmato, sentendola inanimata.
-Come morta, in realtà- registrò Dima, ancora immobile, come sotto shock.
Che diamine stava succedendo?
In un attimo, il Guardiano si era chinato sull’erba alta, posando delicatamente a terra la ragazza, e, preoccupato, le scostava i capelli biondissimi dal volto.
Dima, ripresosi, corse verso di loro in un nanosecondo, inginocchiandosi al suo fianco.
Lei era pallida, più pallida del solito, pallida sotto i tagli e i lividi del volto in via di guarigione.
“Petar, che cos’ha?” chiese, preoccupato.
Il Guardiano non rispose, ma le poggiò due dita sul collo, avvicinando l’orecchio al viso di lei.
“Rispondimi, porca miseria!” si infuriò Dima, ormai sotto pressione da troppo, troppo, tempo.
Petar si tirò su lentamente.
“Sta bene” disse, laconico.
“Certo, sta bene. Ecco perché è sdraiata per terra mezza morta”.
Dima si meravigliò di riuscire a fare ancora del sarcasmo.
“Sta avendo una visione”.
Una visione.
La parola rimbombò nella mente di Dima, prima di acquistare un senso.
“E tu come lo sai? Come sai che è per questo che sta così male?”
“Me lo ha raccontato lei”
Dima alzò le sopracciglia, scettico. Elsa si era sempre rifiutata di parlare con lui del suo potere, di confidargli i suoi timori. In fondo, ne era ancora profondamente spaventata.
“Quando?”
“Anni fa, mentre tu facevi a gara con te stesso sul tempo che passavi in apnea sotto il lago”.
La voce di Petar era stanca, strascicata. Si passò una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi.
Anni fa.
Elsa si fidava di lui, di Petar. E Dima stesso non aveva mai dubitato, fino a quella notte.
“Cosa dobbiamo fare?”
“Niente. Aspettiamo che finisca”.
Leggere increspature percorrevano la superficie del lago, e Dima lasciò che il suo sguardo si riposasse a quella vista; il vento agitava le piccole onde, questa volta. Il caldo vento del Sud.
Dimitar Pavalon era sempre stato un ragazzo curioso; aveva desiderato parecchie volte il potere di Elsa. Voleva spiare il domani, svelarne i segreti e conoscere ogni singolo pericolo davanti a lui. Voleva vedere.
Ma ora lei stava male e al ragazzo sembrava di comprendere, per la prima volta, la maledizione di quel potere. Non le aveva mai creduto e si sentiva un vero stupido.
Incapace di stare ancora seduto, si alzò, senza degnare di uno sguardo Petar. Non sapeva davvero come comportarsi nei suoi confronti; allontanarsi poteva solo fare bene ad entrambi.
La terra e la ghiaia scricchiolavano sotto i suoi piedi e quel rumore tanto lieve pareva amplificato mille volte nel silenzio della notte. Un uccello notturno cantò, in lontananza, tra i boschi dell’Est. Un suono cupo e basso, che si unì allo sciabordio delle onde.
Quell’attesa sembrava non dovesse finire mai.
-Andiamo Elsa, svegliati!-
Non riusciva a vedere le stelle; troppe nubi nel cielo. Ma l’aria di pioggia aveva sollevato forte il profumo dei fiori di campo, ed ora ne era avvolto da capo a piedi. Piccoli grilli nascosti frinivano piano tra le sterpaglie, in quella natura selvaggia e non curata, tanto diversa dalla simmetrica perfezione del Mondo di Sotto.
A Dima piaceva tanto starsene lassù; ma quella notte anche il lago di Odundì aveva perso ogni apparenza di favola.
Infine, qualcuno annaspò forte alle sue spalle.
Dima si voltò di scatto, raggiungendo gli altri due. Petar stava reggendo una stranita Elsa per le spalle, sussurrandole qualche parola rassicurante, di sicuro.
“Ehi, non mi sembrava proprio il momento adatto per un pisolino” scherzò Dima, prendendole una mano.
“Idiota” disse lei di rimando, flebilmente.
Ma sorrise, e questo non poteva che essere un buon segno.
“Oddio, gira tutto!” si lamentò, portandosi una mano alla testa.
Insieme, Dima e Petar lasciarono che, lentamente, ritornasse seduta. Con le mani in grembo, Elsa aveva una strana espressione svagata, un leggero sorriso stampato sul volto.
“Beh, allora?” chiese il ragazzo, impaziente.
“Allora cosa?”
“La tua visione, piccola. Cosa hai visto?”
La consapevolezza sembrava farsi strada piano piano tra i lineamenti delicati della ragazza. E i suoi occhi, di secondo in secondo, si facevano più cupi, carichi d’orrore.
Un singhiozzo muto le sfuggì dalle labbra.
“Elsa? Che succede, cos’hai ancora?” chiese Dima, scuotendola leggermente per le spalle.
“Lasciala, ragazzo. È solo sconvolta”
“Ma per che cosa?”
“Era… era orribile” mormorò lei, puntando gli occhi, spalancati come fari, sul Guardiano.
“Raccontacelo, Elsa, ti aiuteremo noi” la incoraggiò lui.
“Si, è vero” rincarò Dima.
Il cuore gli batteva forte in petto; ansia e paura, preoccupazione, si alternavano nella sua mente senza sosta. Che nottata orribile!
“Era giorno, c’era tanto sole. C’erano tutti, credo. Ho visto moltissimo arancione e mille e più persone senza volto. Era come in un torneo; c’erano degli spalti di legno, pieni di drappi colorati e al centro una spiazzo vuoto. Ed è proprio lì che.. che ho visto..”
Elsa aveva il respiro veloce e spaventato mentre raccontava.
“Cosa?”
La ragazza lo guardò per qualche secondo, la fronte increspata da piccole rughe di espressione.
“Ho visto te, Dima, e me stessa. Morti” sussurrò.
Il gelo scese tra i tre senza essere cercato, innaturale, e Dima si ritrovò a trattenere il respiro, come tramortito.  
 Lui ed Elsa morti.
Qualcosa non quadrava in quella visione; solo uno di loro doveva essere sacrificato, erano sempre stati questi i patti.
Cosa diavolo avrebbe portato a quel futuro di sangue? Il suo cervello prese a lavorare febbrilmente, come a voler tenere lontano a tutti i costi il terribile segreto del domani appena svelato. Meglio pensare, indagare il presente, che soffermarsi un solo minuto sul reale significato di quella visione.
Basta con i dubbi, le ipotesi, i piani; il potere di Elsa aveva appena sbattuto in faccia a tutti loro la verità, una certezza.
Petar sembrava pallido quanto loro “Cos’altro hai visto?” chiese.
“Tante persone ferite, urlanti, intorno a noi. E poi... non so, era tutto così vago” continuò, la voce soffocata dalla mani, salite a coprire il volto.
“Di chi era la colpa?” chiese Dima pressante, mentre pian piano ritornava a far funzionare la testa.
Tutto si incastrava alla perfezione; all’appello mancava un solo, particolare, dettaglio.
“Io non lo so. Mi è sembrato di sentire ridere qualcuno ma non ho riconosciuto la voce” rispose sconsolata.
“Beh, tranquilla, io non ho dubbi” intervenì il ragazzo, duramente.
La sua espressione era di ghiaccio mentre gli occhi scuri andavano a piantarsi sul volto ancora sconvolto del Guardiano.
“Come?”
“C’è solo una persona per la quale noi due, tutti e due, siamo un reale intralcio, un bastone tra le ruote. Non essere così sorpresa, Elsa; siamo stati due stupidi a non arrivarci da soli” spiegò Dima, sprezzante.
Elsa impallidì ulteriormente sotto i suoi occhi. La sua pelle sfiorava la trasparenza dell’acqua, tanto era bianca, dando risalto ad un’espressione sconvolta.
“Ancora una volta, Dima, ti stai sbagliando” disse seccamente Petar.
“Anche se tu ti rifiuti di accettarla, la verità è una sola. La visione di Elsa mi rende più sicuro che mai; è una prova inconfutabile dei piani del vecchio pazzo! Ci vuole morti, me, lei e il Supremo. Vuole il Nord per sé”.
“Non saremo mai d’accordo su questo punto, piantatela di discutere”intervenne la ragazza, tra loro.
“Tu condividi quello che sta dicendo, piccola?” le chiese allora Petar, addolorato.
Dima attendeva trepidante le parole che la ragazza avrebbe pronunciato; si stavano spaccando, dividendo, e lui voleva a tutti i costi portare Elsa con sé.
Eppure, poteva leggerle in faccia quanto stava male in quel momento; un riflesso del suo stesso  dolore, daltr’onde.
“Io non posso negare la realtà, i fatti. Abbiamo visto e sentito cose troppo grandi, troppo importanti per essere ignorate. Io credo che Dima abbia ragione; è Orwen l’artefice di tutto questo, lui che ci porterà alla morte. Dobbiamo fare qualcosa” mormorò infine, a testa bassa.
Fu allora, dopo quell’ultima stoccata, che il Guardiano dell’Ovest si alzò in piedi, imperturbabile, come a voler mettere fine all’agonia di quella notte.
Restò a guardare i due a lungo, prima di congedarsi.
“Le nostre strade si dividono. Abbiate cura di voi, ragazzi; restate uniti, restate forti. Aprite il vostro cuore e le vostre menti alla verità quando questa giungerà fino a  voi” disse, forte e chiaro.
“Il futuro è ricco di insidie, la visione di Elsa ce ne ha appena dato la prova. Non smettete di lottare per il bene di Cadmow e restate vivi. Io farò altrettanto” concluse.
E così, quasi di sottopiatto, fece per recuperare il suo cavallo e andare via.
“Sei stato il nostro migliore amico, Petar. Grazie di tutto” disse Elsa, forte, prima che l’uomo fosse troppo lontano per sentirla.
Quando si voltò, il Guardiano vide entrambi i ragazzi in piedi, le mani allacciate, protesi verso di lui.
Avevano scelto di percorrere vie completamente diverse e quell’allontanamento non poteva significare nulla di buono. Ma niente avrebbe potuto completamente oscurare il ricordo di un’amicizia come la loro; fiorita e sbocciata in gran segreto, sotto il cielo magico di Odundì, conservava quel sapore di eternità. Nonostante tutto.
Il Guardiano non riuscì a trovare parole per esprimere il tumulto nel suo cuore; alzò il braccio, semplicemente. Un saluto veloce, forse un arrivederci.
In un soffocato rumore di zoccoli, ecco, era sparito verso i suoi monti, verso la sua casa, la sua Regione.
“E adesso?” chiese la ragazza, ancora frastornata da quell’addio.
“Adesso dovremmo arrangiarci da soli, Elsa” rispose Dima, lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé.
“Siamo rimasti soli, ormai” aggiunse, senza riuscire a trattenere quel senso di incompiutezza che sentiva.
“Io ci sono”.
“Lo so”.
-E ti ringrazio infinitamente- pensò, mentre con la mano si aggrappava a quell’unica amica che gli restava.
Non riuscì a fare a meno di fare un conteggio veloce delle vittime di quegli anni, delle persone che non avrebbe potuto portare con sé nella sua nuova vita: i suoi genitori, i fratelli, Teppe, Bessie, il Supremo, il Sommo, Orwen. Ed ora, Petar.
Aveva perso tutti. O quasi.
L’alba li colse impreparati, ancora immobili e con gli occhi puntati ad Ovest.
Senza il bisogno di aggiungere una sola parola, i due si incamminarono verso la botola.
Tornare nella prigione dorata del Mondo di Sotto, però, era quasi insopportabile quella notte.
“E se ce ne andassimo? Se fuggissimo ora, in questo momento?” si ritrovò a dire Dima, con la voce arrocchiate dal lungo silenzio.
“Adesso?” chiese lei, riemergendo dai suoi pensieri, turbata.
“Sì! Andiamo via e lasciamoci tutto alle spalle. Io non voglio passare un giorno di più in quel covo di vipere.  E poi, hai visto cosa succederà se assecondiamo il loro gioco”.
“Ma, Dima, le visioni non funzionano proprio in questo modo” disse lei, titubante.
“In che senso?”
“Quello che ho visto è solo uno dei possibili futuri. Tutto dipende dalle nostre scelte; il futuro non è scolpito nella roccia, ma è mutevole e cangiante. Come l’acqua, appunto” disse, mentre un velo di sconforto permeava ancora le sue parole.
“Beh, si, non mi ha nemmeno sfiorato l’idea che quella visione si sarebbe avverata. Ovviamente noi cambieremo il corso degli eventi” borbottò Dima.
“Fuggendo questa notte?”
“Potrebbe essere una buona idea. Di certo non è un’ipotesi che contemplavi quando hai avuto la visione”.
“Questo è vero” annuì lei, pensierosa.
“Ma?” chiese Dima, inarcando le sopracciglia.
“Ma non credo sia la scelta giusta”
“Perché no? Se avresti un’altra visione, ora, e vedresti che tutto andrebbe a buon fine, verresti?”
“Credo di si. Ma non vedrò nient’altro, ne sono sicura”.
“E perché?”
“Non lo so, Dima, ma è così. Non è una scienza esatta, io non posso controllarla!” ribatté, innervosita.
“Allora dovremmo tentare la sorte”.
“Non questa notte”
“Giuro, non ti capisco. È una decisione inaspettata, prenderemo tutti in contropiede!”
“Non siamo davvero lucidi, non dopo il casino con Petar. Dovremmo prenderci del tempo. Dobbiamo pensare meglio alle conseguenza per l’intera Cadmow, dobbiamo riflettere su cosa fare dopo. Noi non vogliamo la guerra, vero? Non possiamo voltare le spalle al Nord. E poi, non saremmo più appoggiati da uno dei Guardiani e li avremmo tutti contro; ci avevi pensato? Senza aggiungere che ci sarà un caldo tropicale nei prossimi giorni, sulle sponde di Odundì. Sono i venti del deserto del Sud, li senti? Porteranno via le nubi prima che sia giorno. Non dureremmo a lungo, sai che non possiamo esporci troppo al sole cocente. Non serve una visione per capire che non andrà per niente bene”.
“E questo come lo sai? Come sai del caldo?” chiese Dima, irritato da quella sfilza di ragionevoli obiezioni al suo brillante, almeno all’apparenza, piano.
“Vedo il futuro o sbaglio?”
“Senti, non farmi sembrare più stupido di quello che sono. Un momento fa hai detto che non puoi controllare le tue visioni ed ora sei sicura che nei prossimi giorni saremmo travolti dall’estate. Ti rendi conto?”
“Dima, le previsioni del tempo non contano nulla! Sono anni che riesco ad anticiparle!” fece lei, quasi esasperata.
“Beh, io non ne sapevo nulla. Non hai mai parlato con me del tuo potere” mormorò quello, allora.
“Mi dispiace. Io… non volevo caricarti di un altro mistero. Mi divertivo con quel ragazzino spensierato e scalmanato, non volevo che cambiassi” spiegò Elsa, più dolce, posandogli una mano sul braccio.
Dima annuì, in silenzio. In fondo, poteva capirla.
“Quindi non fuggirai con me stanotte?”
“No. Anche se detta così sembra tutta un’altra cosa” riuscì a ridacchiare lei, nonostante tutto.
“Scema” mormorò lui, aiutandola a calarsi nella botola senza bistrattare troppo la gamba ferita.
Presto furono entrambi nel tunnel ed Elsa accese la lanterna. Camminarono spalla a spalla in silenzio.
Nella semi oscurità di quel passaggio non c’era più spazio per ingegnosi piani o ironia; circondati dall’oscurità, al riparo solo grazie ad una piccola fiamma, i pensieri correvano cupi.
Era strano pensare che non avrebbero più percorso quei cunicoli in direzione opposta, certi di trovare, una volta fuori, un volto amico. Strano e doloroso.
“Mi mancherà moltissimo” sussurrò Elsa, poco prima dell’uscita.
Sentivano entrambi che, una volta superata quella soglia, avrebbero dovuto lasciarsi il passato alle spalle. L’infanzia era finita, e la verità di quella notte non poteva essere ignorata.
“Anche a me. Ma è troppo legato al quel bastardo di Orwen per vederne l’anima nera. Noi non possiamo fermarci; nessuno può fermarci. Giusto?” disse lui, prendendole entrambe le mani.
“Ci ha aiutato tanto, Dima. È grazie a lui se oggi siamo qui, insieme. Ha messo a rischio la sua posizione, per noi, è stato così coraggioso e altruista e io… io credo di volergli davvero molto bene” continuò lei, a testa bassa, le guance rosse.
-Che, tradotto, vuol dire che ne sei stupidamente innamorata- commentò Dima, tra sé e sé.
“Non posso credere che è andato via. Che l’abbiamo lasciato andare” continuò.
Dima era sulle spine; non aveva mai voluto una conversazione del genere con Elsa, non l’aveva mai cercata.
Andava tutto bene quando poteva scherzare e prenderla in giro sulla sua cotta storica per il bel Guardiano, ma così era più complicato. Non sapeva farli, lui, quei discorsi!
“Su, non piangere. Io sono convinto che, quando tutta questa storia sarà finita, torneremo come prima, noi tre. Oh meglio, succederà quel che ti pare con lui, ma saremo ancora insieme” si corresse, imbarazzato.
Elsa tirò leggermente su col naso, prima di riprendersi.
- Questa ragazza soffre di personalità multipla, per forza. Prima mi da dell’idiota per il piano della fuga e per le visioni e in due secondi prende lei il comando della situazione. Ora, invece, mi piange sulla spalla per il suo amore impossibile!- si lamentò, mentalmente.
“Non c’è bisogno di fare il duro, l’ottimista in ogni caso, Dima. So che non te la passi bene nemmeno tu” disse lei, asciugandosi le guance, prima di abbracciarlo un’ultima volta e scivolare via, nella luce violetta del Tempio.
-Per niente bene- pensò il ragazzo, sincero con se stesso.
Ma non c’erano alternative, e lo sapeva. La regione del Nord, la vita di migliaia di persone, quella del Supremo, quella di Elsa, venivano prima di tutto.
“Maledetto Orwen” sputò, tra i denti.
Era colpa sua, tutta colpa sua.
Dima avrebbe trovato il modo di fermarlo, per Dira se l’avrebbe fatto!
Cadmow doveva ritornare un posto sereno, dove la pace regnava tra le sue fazioni; se lui poteva fare qualcosa, non si sarebbe tirato indietro.
-È una promessa, Petar. Per te e tutti quelli come noi, che ancora credono in un mondo giusto, in un mondo più buono. Cadmow sarà presto un posto migliore-.
 
 
 
Note
E così, lasciatami alle spalle un terribile esame, eccomi qui ad aggiornare questa storia. Questo capitolo l’ho scritto e letto più volte ma, ancora adesso, non mi convince del tutto. Purtroppo, ho la spiacevole sensazione che sia piuttosto lamentoso: posso dire, a mia discolpa, che ci tenevo a mostrare il rapporto tra Dima, Elsa e Petar forte e importante. Perché è così che l’ho sempre pensato. E quindi ho dedicato un intero capitolo alla loro rottura… Spero davvero di non annoiarvi, con questo passaggio!!!
Non essendone pienamente soddisfatta io personalmente, darò il doppio dell’importanza ai vostri commenti, se vi va di lasciarne qualcuno… quindi, siate numerosi!!! :)
Per il mese di agosto non assicuro nulla, dubito che riuscirò a trovare la tranquillità giusta per scrivere. Male che vada, ci ritroveremo a settembre!!
Un grande grazie e un bacio,
EsterElle



 
  
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