Capitolo
2 -
E la prima galeotta fu la lavanda e chi l'annusò.
«Cioccolato
alla salvia?»
Lo sguardo scettico che Ewan mi rivolse fu più
che eloquente, il sopracciglio tanto sollevato da sfiorargli quasi
l'attaccatura dei capelli.
Io mi umettai le labbra prima di
mordermi quello inferiore, puntando gli occhi sulla densa crema che
stavo lavorando con le fruste.
«E' quello che ho detto.» Gli
confermai, senza sollevare lo sguardo dal mio lavoro.
Lui non
capiva come potessi voler continuamente ricercare sapori nuovi per il
negozio. Erano anni che andava avanti questa storia, ormai, con le
mie proposte che venivano bocciate sempre e comunque. A sentir lui,
saremmo dovuti rimanere ancorati alle ricette dei miei nonni, senza
osare. Perché "è
un piccolo paese, Jude, chi vuoi che assaggi quella roba?"
"Quella
roba", di cui lui sapeva solamente ciò che io gli avevo
insegnato nei nostri quindici anni di relazione, era la mia passione,
ciò di cui io ero riuscito a fare il mio lavoro: ero un maître
chocolatier
e, modestia a parte, ero anche piuttosto abile.
Mentre io ero
colui che creava, Ewan era quello che portava avanti gli affari del
negozio. Monpazier non mancava di turismo, e da quando il film
Chocolat – esatto, quello con Johnny Depp – aveva
avuto un gran
successo, la mia cioccolateria era diventata una meta curiosa e
d'obbligo per chi aveva voglia di portarsi via un pezzo della Francia
dolce. In realtà, con il mio titolo di maestro del
cioccolato, avrei
anche potuto aprire negozi più grandi ed importanti a
Parigi, ma
Ewan sosteneva che sarebbe stato un investimento troppo rischioso per
noi, con una base così piccola su cui poter fare affidamento
come
"Le Goût". Essendo lui il burocratico della situazione,
accantonavo l'idea.
«Troppo strano. Se fossimo in Provenza,
forse, ma qui...»
Ed infatti, che vi avevo detto? Era vero che
la storia si ripeteva. Erano anni che si ripeteva.
Io sospirai e
scossi il capo, arricciando il naso e dandogli poi le spalle.
«Sì,
Ew, al solito...» Tagliai corto, posando la ciotola che stavo
usando
come contenitore per quel cioccolato al latte per spostarmi al
bancone e prendere una manciata di nocciole.
Vidi la mano del mio
compagno entrare nel mio campo visivo per prendermi uno di quei
piccoli frutti secchi, facendoselo subito sparire tra le
labbra.
«Dai, Jude, non prendertela...»
Mi fece un sorriso a
mezza bocca che io non ricambiai, limitandomi a sollevare un
sopracciglio, e poi mi alzò il viso prendendomi il mento tra
le dita
e lasciandomi così un bacio a fior di labbra che io
ricambiai solo
parzialmente, prima di decidermi a stamparmi in faccia un nuovo
sorriso e riprendere la mia attività, cominciando a pestare
le
nocciole che avevo disposto a casaccio sul mio piano di lavoro.
«Che
ore sono?» Domandai distrattamente, allungando la mano verso
il
contenitore dei pistacchi per lanciarmene uno alla bocca semiaperta.
Feci centro, e non potei impedirmi di sorridere tra me per quella
piccola soddisfazione, mentre masticavo e sentivo lo sguardo di Ewan
tornare sul mio viso. Mi rispose a mezza bocca, il suo sguardo
puntatomi addosso: «Mezzogiorno meno un quarto.»
«Mh, allora
vai a fare la spesa: il frigo chiede pietà e Gaspard oggi
chiude
alle tredici.»
Lo sentii sbuffare così forte che mi stupii non
veder volare via metà negozio al suo respiro pesante. Prese
a
mugugnare contrariato, cercando di corrompermi posandomi il mento
sulla spalla, osservandomi dal basso con quell'espressione che lui
chiamava "occhi da cucciolo". Io gli lanciai uno sguardo di
traverso, tirando un sorriso a metà: «No, Ew, devi
andare, se
vogliamo cenare questa sera. E poi oggi dovrebbe arrivare anche quel
tipo dall'America, non so se sarebbe il caso di invitarlo a casa a
mangiare, stasera, tanto per ingraziarcelo un po'...» Meditai
ad
alta voce, raccogliendo le nocciole pestate e mettendole poi nel
cioccolato fuso che prima stavo lavorando con le fruste. Ripresi a
mescolare, mentre il mio compagno ciondolava verso la porta
d'ingresso con aria svogliata e raccattava un pezzo di cioccolato
bianco mentre passava da un cestino in vimini dentro al quale tenevo
assaggi per i clienti. Si portò l'assaggio alla bocca,
cominciando a
masticarlo piano, senza neanche voltarsi nel rispondermi:
«Facciamo
che compro dei pomodori, così se lo invitiamo li facciamo
ripieni,
altrimenti li mangiamo come contorno. E poi... del vitello?»
Propose, ed io annuii in assenso, afferrando una spatola di legno ed
infilandola nel cioccolato che ancora stavo lavorando per poi
portarmela alla bocca, assaggiando. Ottimo.
Sorrisi tra me,
rispondendo con un "mh" al saluto di Ewan che mi diceva che
avrebbe pranzato fuori, al locale dove lavorava come barista. Aveva
blaterato di una riunione del personale, o qualcos'altro di cui
sinceramente non mi preoccupai, perché finalmente era
arrivato il
momento più bello della mia giornata: lo stare da solo con
il mio
cioccolato, in bottega.
No, niente manie da stakanovista o roba
simile... non disdegnavo lo stare chiuso in casa sul divano con una
tazza di tè in mano – da buon inglese quale sono
– ma essere un
maître
come me, implicava una certa dedizione in ciò che veniva
fatto. Una
certa voglia di assaporare, annusare, osservare. Come diceva sempre
il mio maestro: "il cioccolato rapisce tutti e cinque i sensi".
Con gli anni avevo imparato che mai frase pronunciata fu più
vera di
quella.
Versai il composto di cioccolato e nocciole in una serie
di stampini che usavo per dare forma ai cioccolatini, correggendo le
sbavature e togliendo il cioccolato in eccesso con la spatola. No,
ehy, non quella che avevo leccato! La spatola per temperare! Non mi
sarei m-- oh, temperare è il procedimento che si fa su di un
ripiano
di marmo e serve a portare il cioccolato alla giusta temperatura,
appunto.
Ma comunque dicevo che non mi sarei mai permesso di
mancare di rispetto a quella maniera al mio cioccolato ed ai miei
clienti, e così mi occupai dei miei cioccolatini con
attenzione,
sollevandomi la serie di stampi davanti agli occhi per controllare
che non ci fossero bolle d'aria tra il silicone ed il cioccolato,
trovandoli... perfetti. Senza esagerare.
In realtà il mio lavoro
era sempre stata la mia passione, come ormai avrete capito, ed a
dirla tutta, da anni era diventato anche se non tutto, buona parte
del mio mondo. Mi dedicavo anima e corpo a ciò che facevo, e
probabilmente era anche per questa mia maniacale attenzione alla mia
attività se le cose con Ewan erano andate via via
affievolendosi in
un lento declino. Per certi versi eravamo cresciuti insieme: io avevo
ventidue anni quando lo conobbi e lui--
Lanciai uno sguardo fuori
dalla vetrina, la mia attenzione che venne catturata da quell'uomo
che stava avvicinandosi alla porta con la testa piegata di lato. Non
riuscivo a vedere i suoi occhi, perché erano coperti da un
paio di
occhiali da sole neri. In compenso, però, vedevo il resto:
giacca e
cravatta, barbetta curata e simmetrica, tutto d'un pezzo. E... che
cosa stava facendo? Aveva portato il viso vicino alla porta, al pezzo
di muro tra vetrina e cardini.
Ma guarda tu questo...
Sorrisi
tra me, chinando il capo di lato e posando gli stampi dei
cioccolatini sul bancone, lasciando il mio lavoro per avvicinarmi
all'ingresso. Lui non sembrava avermi notato, nonostante avessimo
solamente un vetro a separarci, ed io ne approfittai per uscire sulla
soglia e incrociare le braccia al petto, prendendomi qualche istante
per osservarlo: stava annusando la lavanda con un cipiglio ben
marcato tra le sopracciglia.
«E' lavanda. La conosce?» Attirai
così la sua attenzione, un lieve sorriso ad incresparmi le
labbra,
mentre lui si voltava all'istante verso di me e mi squadrava da
dietro le lenti scure.
«Mia moglie usa un bagnoschiuma con questo
profumo, se non sbaglio.» Mi rispose mentre modificava la sua
espressione in un sorriso di circostanza, era evidente. Classiche
buone maniere. Poi si tirò gli occhiali sulla testa,
permettendomi
così di trovarmi di fronte a due occhi grandi e neri, non
contagiati
dal sorriso che invece ostentava. Poi mi porse la mano che io non
afferrai subito, intanto che proseguiva con la sua presentazione,
anche se non avevo troppi dubbi su chi potesse essere, vestito a
quella maniera e catturato com'era dalla lavanda che avevo appeso un
paio di giorni prima per farla essiccare.
«Io sono Robert Downey
– continuò, mentre io mi pulivo la mano destra sul
grembiule per
evitare di sporcarlo di cioccolato -, sono quello che dovrebbe
scrivere su questa bottega, cercare i sapori e tutto il resto... lei
è il proprietario?»
Io finalmente gli concessi la stretta che
mi stava tacitamente chiedendo, mentre annuivo con velocità
e
pensavo che sembrava piuttosto disinteressato a quello che doveva
essere il suo lavoro.
Mi sistemai gli occhiali sul naso,
rispondendo alla sua ultima domanda: «Uno dei due, esatto.
Sono Jude
Law e... be', sì: sono il cioccolataio.» Anche se
in realtà il
proprietario ero solamente io, fino a prova contraria, ma per il
momento avrei evitato di essere troppo fiscale.
Lo vidi annuire,
mentre il suo sguardo si faceva più attento e sembrava
scrutare
all'interno del mio negozio. In effetti, da qualche parte avremmo
dovuto cominciare, e da lì derivò la mia
proposta: «Che ne dice di
entrare? Così possiamo metterci comodi e cominciare a
parlare un
po'.» Abbozzai un sorriso di circostanza, mentre mi scostavo
dalla
soglia per permettergli l'entrata. Robert si passò una mano
tra i
capelli castani – dovevano essere morbidi, notai –
e poi accolse
il mio invito precedendomi all'interno. Io gli ero già
dietro, e
subito lo vidi dilatare le narici, guardandosi intorno con le
sopracciglia aggrottate. Io stavolta sorrisi tra me: era la prima
reazione che tutti quanti avevano. Non era la vista ciò che
il
cioccolato catturava per primo, ma l'olfatto. Vedevo i clienti
chiudere gli occhi e inspirare neanche fosse una fragranza
particolarmente pregiata. Era solo cioccolato, fresco e appena
lavorato o addirittura in fase di lavorazione, alcune volte. Eppure
catturava tutti all'istante. Io, purtroppo, con gli anni ero
diventato immune al fascino di quell'odore.
«Le piace il profumo,
eh? In effetti nelle industrie non dev'essere così
forte...»
Meditai, non riuscendo a trattenere una smorfia poco convinta: il
lavoro manuale era la strada da seguire per essere un vero maître.
Al
contrario di tanti miei colleghi, non mi infastidivano troppo le
grandi marche di cioccolato, che alla fine dell'arte cioccolatiera
non avevano niente se non alcuni ingredienti, perché capivo
che bene
o male ognuno doveva fare qualcosa per vivere, anche se questo
implicava una violenza vera e propria alla pasticceria ed ai suoi
rami. Mi consolava il fatto che quando un qualcuno avrebbe assaggiato
una delle mie piccole opere d'arte, non si sarebbero più
tolti il
mio negozio dalla testa. E quando avrebbero successivamente comprato
una tavoletta di cioccolato Lindt al supermercato, avrebbero
rimpianto me.
Ci pensò Robert a riscuotermi dai miei pensieri,
rispondendomi con un sorriso storto: «Non sono un gran
frequentatore
delle aree dedicate alla vera e propria produzione. Io mi occupo
più
della parte non commestibile, per intendersi.»
Mi ritrovai ad
emettere una risata divertita, mentre annuivo con fare complice e
comprensivo e gli indicavo la porta dietro al bancone da
lavoro.
«Dietro quella porta c'è il laboratorio. Se vuole
accomodarsi lì, possiamo parlare.»
Lui, come fatto in
precedenza, mi precedette verso il bancone, ma senza smettere di
guardarsi intorno con aria incuriosita. A quanto pare non si
sforzò
troppo di trattenersi, ed infatti allungò una mano per
catturare una
pralina ricoperta di polvere di cacao amaro, guardandomi di sfuggita.
Io gli sorrisi, stavolta apertamente, prima di alzare un
sopracciglio: «Ma prego, non faccia complimenti!»
Lo esortai,
mentre lui faceva sparire in bocca il cioccolatino e lo masticava con
attenzione. Passò qualche istante in cui non staccai un
attimo lo
sguardo sul suo viso, desideroso di sapere cosa ne pensava. Lui
annuì
tra sé, regalandomi solo un'occhiata fugace, prima di
parlare: «Non
faccio complimenti, ok, ma prometto che non le svaligerò il
negozio.»
Oh, be', buono a sapersi. Ma poi proseguì verso la
porta dietro al bancone semi accostata e sparì alla vista,
senza
degnarmi di farmi sapere cosa diavolo pensava del mio cioccolatino.
Restai ad osservare qualche istante la porta dietro cui era sparito,
e poi mi decisi a raggiungerlo con la coda tra le gambe, arreso al
fatto che quell'uomo non si sarebbe sbilanciato.
Oltrepassai la
soglia e mi ritrovai al laboratorio, dove l'ambiente diventava una
vera e propria cucina, per certi versi, con fornelli, teglie, fruste
e tutto ciò che serviva. Lì dentro probabilmente
non avrei avuto
problemi a cucinare anche un arrosto o un piatto di pasta, attrezzato
com'era.
Lo trovai già seduto su uno sgabello, ed io mi appoggiai
con nonchalance al ripiano in marmo di uno dei banconi, incrociando
le caviglie.
Stavolta fu lui il primo a prendere la parola:
«Innanzitutto, direi che converrebbe darci del tu, se sei
d'accordo.» Esordì, rivolgendomi un mezzo sorriso.
Avevo
l'impressione che fosse un buon oratore, sempre affabile in
apparenza, ma che non riusciva a nascondere quella punta di sarcasmo
che mi aveva già mostrato con un paio di risposte
precedenti. Per
cui era un tipo sarcastico, a quanto pareva. Me lo appuntai
mentalmente.
Io comunque annuii subito, sistemandomi gli occhiali
sul naso.
«Non è assolutamente un problema,
Robert.» Lo
rassicurai, incrociando le braccia al petto, per poi aggiungere:
«Approfitto già ora a chiederti scusa se quando ci
incontreremo non
sarò molto pulito, ma sai...» Lasciai in sospeso,
sapendo che non
c'era bisogno di proseguire oltre per fargli capire che si trattava
del mio lavoro.
Ewan mi rimproverava spesso sul fatto che avevo
sempre le mani sporche ed il grembiule in vita, ma vedermi pulito,
per quanto facessi attenzione a non inzaccherarmi troppo, era come
pretendere da un rugbista di non puzzare di sudore mentre si trovava
in campo.
Lui infatti sventolò una mano in aria con noncuranza,
scuotendo il capo: «Penso sia una cosa normale. In ogni caso,
cominciando a parlare del perché sono qui, sai
già cosa sono venuto
a fare, giusto?» Mi domandò, mentre accavallava
una gamba
sull'altra ed i suoi occhi, anche se faceva finta di niente,
correvano ad una ciotola di cioccolato fondente a pezzi che era di
fianco a me.
Io presi il recipiente e glielo porsi, senza badare
allo sguardo indecifrabile che mi lanciò.
Altro appunto mentale:
goloso, era evidente.
«Kilmer mi ha spedito un'e-mail per
informarmi che recensirai il mio negozio... ma anche che starai qui
un mese almeno, per cui immagino che sarà un qualcosa di un
po' più
lungo di un paragrafo scritto.»
Gli risposi, mentre lui
masticava compostamente uno dei pezzi di cioccolato pescati dal
contenitore.
«Già... - borbottò, leccandosi il
labbro
superiore, appena sporco – e se vado avanti così
in un mese
prenderò almeno cinque kili, con tutta questa
cioccolata.» Scherzò,
restituendomi la ciotola senza evitarsi di trafugare prima ancora un
paio di pezzetti. Io gli sorrisi, infilandomi a mia volta in bocca
uno dei quadretti.
Proseguì dopo pochi istanti, gesticolando
ampiamente durante il suo discorso: «In realtà i
cinque kili li
prenderò comunque, perché temo che
sarò costretto ad assaggiare
buona parte dei tuoi sapori. Dovrò scattare qualche foto,
parlare
anche con il tuo socio... McGregor, giusto? Vedere come lavorate,
chiedere a qualche cliente cosa ne pensa de "le Goût du
péché",
e poi far sapere tutto al mio capo in America. Mi avrete tra i piedi
per un po'.»
Concluse alla fine, lanciandosi teatralmente in
bocca l'ultimo pezzo di cioccolato rimastogli.
Non ci metteva
molto a prendere confidenza, a quanto sembrava.
«Non sarà un
problema... Ewan è il mio compagno, oltre che... be',
sì,
chiamiamolo socio, e non è molto propenso a osare un po'. Ma
immagino che non sarà male portare un pezzo di "le
Goût"
in America.»
Mi ero pienamente reso conto del lampo che gli
passò negli occhi non appena resi noto il fatto che io ed
Ewan
avevamo una relazione, e quindi che ero un omosessuale, ma a quanto
pareva, dal sorriso che mi rivolse appena finito il mio discorso, non
doveva essere un problema. Non che me ne sarebbe importato qualcosa,
in ogni caso, chiaramente, ma l'omofobia spesso e volentieri creava
problemi noiosi ed inutili e faceva perdere tempo.
«Io penso che
le botteghe come questa dovrebbero avere più
visibilità, invece. Ed
è questo che le grandi aziende fanno: dare
possibilità di conoscere
attività che altrimenti verrebbero ignorate.»
Io mi umettai le
labbra per evitare di ridere in maniera ben poco educata, e lui
distolse lo sguardo dopo quell'ultima frase.
Io non ci credevo, e
la sua probabilmente era una frase di rito che alle sue orecchie
aveva perfino perso di significato.
Ad ogni modo, sollevò il
polso e diede un rapido sguardo all'orologio da polso che portava,
alzandosi dallo sgabello.
«Ti lascio il mio numero, va bene?» Mi
domandò, mentre intrufolava una mano all'interno della
giacca che
portava, e frugava per un po' all'altezza del suo pettorale destro.
Alla fine trovò quel che cercava e mi porse un cartoncino
rettangolare con scritto nome, cognome, e-mail e numero di telefono.
«Ti faccio uno squillo, così salvi il mio numero
in rubrica. -
lo informai, lasciandomi scivolare nella tasca del grembiule il suo
biglietto da visita. Lo fermai mentre annuiva e faceva per andarsene
– Non è che vuoi cenare con me ed Ewan, stasera?
Immagino che
Monpazier ed i suoi alberghetti non possa offrire ciò che
è
abituato un cittadino di New York, ma giuro che so cucinare anche
altre cose oltre al cioccolato.»
Gli rivolsi un mezzo sorriso,
intanto che lui prendeva la ventiquattr'ore che aveva posato a terra,
scuotendo il capo con un pallido sorriso.
«Ti ringrazio, Jude, ma
devo scrivere al mio capo, chiamare i miei figli e sbrigare un altro
paio di faccende... ed a dirla tutta sono anche piuttosto stanco dal
viaggio. Magari un'altra sera.» Declinò
gentilmente, evitando il
fare pungente che invece aveva mostrato fino a poco tempo prima, quel
fare che mi faceva sorridere.
Io annuii comprensivo, passandomi
una mano sulla fronte e precedendolo quindi all'uscita del
laboratorio. Lui mi seguì a ruota.
Mi fermai dietro la cassa,
mentre Robert mi porgeva ancora una volta la mano destra e stavolta
io fui tempestivo a stringerla, sorridendo ampiamente intanto che lui
faceva lo stesso.
«Tornerò domani verso le nove e mezzo.
Troverò
McGregor?»
Mi domandò, ed io non potei far altro che annuire per
un'ennesima volta: «Glielo dirò stasera. Allora, a
domani, Robert.»
Lui mi rivolse un occhiolino scherzoso e mi diede le spalle,
camminando con una certa flemma verso l'uscita. Non potei trattenermi
quando lo vidi passare davanti alle praline: «Ehy, non mi hai
detto
se la pralina ti è piaciuta, però!»
Il mio era un tono che
voleva palesemente richiamare la sua attenzione, senza potermi
impedire di far scivolare all'interno della frase una lieve nota di
fastidio nella voce.
Lui non si voltò verso di me per
rispondermi.
Si bloccò per un istante in mezzo al mio negozio e
poi rubò un altro cioccolatino, un'altra pralina ricoperta
di cacao
amaro in polvere, infilandosela in bocca e calandosi gli occhiali da
sole sul viso, prima di uscire definitivamente.
Io rimasi fermo
il tempo di un sospiro, e poi mi ritrovai a sorridere.
Walking_Disaster's corner:
Buonasera
ed eccomi con il secondo capitolo :3
In realtà non era ancora
pronto (sono stata impegnata con qualche one-shot random), ma dal
momento che domani parto e sto via fino al 21, ho finito stasera il
capitolo e l'ho pubblicato per evitare che passasse troppo tempo per
l'aggiornamento.
Passiamo al capitolo: Ecco a voi il nostro
Judsie cioccolataio ed ecco a voi Ewan! Come ho detto a
LelaAndHerLonelyShadows
(ciao baby! \*^*) diverse volte, mi ero ripromessa che non avrei mai
usato McGregor nelle mie FF. Soprattutto non l'avrei mai usato come
fidanzato di Jude. Ed invece eccolo qui. Coerente,
sìsì.
Ci
tengo a precisare che il cioccolato alla salvia esiste veramente,
anche se Ew rompe i così detti.
Qui troviamo un Jude
osservatore, un curioso, che per certi versi è desideroso di
andare
avanti, di scoprire, ma che allo stesso tempo è un tipo
molto
tranquillo, dedito al suo lavoro in cui ci mette anima e corpo.
Vediamo se con Rob tra i piedi riuscirà a lasciarsi un po'
più
andare, mh?
Una cosa: non so se in Francia esiste la Lindt, ma è
la prima grande marca di cioccolato che mi è venuta in
mente!
Il
Gaspard citato è Gaspard Ulliel e la sua sexy cicatrice
sulla
guancia <3
Chiedo scusa e ringrazio di cuore AlexisKami
(la
mia prima supporter ufficiale che proviene dalla mia prima storia
ç_ç), Naky94
(Che mi recensisce tutto ed è carinissima <3 )e
LelaAndHerLonelyShadows
(che
è Emanuela, e c'è bisogno di dire altro?) per non
aver ancora
risposto alle loro recensioni, ma in questo periodo sono in fase di
scrittura compulsiva acuta e non ho davvero tempo per rispondere! O
scrivo, o guardo film, o sono in giro per il mondo, quindi scusatemi
di cuore se non vi ho ancora risposto: lo farò a breve,
giuro.
Poi
un ringraziamento va a chi ha messo la storia tra preferiti e
seguite, che sono, escludendo le bellissime donne già
citate:
Alexia_Sutcliffe
che preferisce e Bynie,
costyplace,
Nanna12345
e Roby22
per aver seguito.
Ed infine ringrazio chi legge solamente. Vi
adoro tute.
Concludo qui con un bacione,
Al prossimo
capitolo,
WD
Ps: Recensite :3 *Musichetta Wind che parte
quando il numero chiamato è occupato*