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Autore: Beauty    30/07/2014    3 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Gingerbread House Deep in the Forest

part 1

 

Elizabeth non sapeva bene che cosa aspettarsi, da una locanda delle fiabe. A dirla tutta, non aveva avuto poi neanche molto tempo per farsi una proiezione mentale, dato che solo ora si rendeva conto che il suo cervello doveva essere sprofondato in stato comatoso dal momento in cui avevano lasciato Belle. Non aveva pensato a nulla né sentito nulla, e nella sua testa si rincorrevano solo le immagini di quanto era appena accaduto, senza trasmetterle alcune emozioni. Vedeva Belle e Gerda, il Cacciatore che firmava con quella croce tremolante, Hansel che entrava in casa sfondando la porta...

Si era riscossa solo quando Cenerentola le si era avvicinata e l'aveva presa sottobraccio, continuando a camminare fianco a fianco a lei. Elizabeth aveva scosso il capo per riprendersi da quella sorta di torpore, e si era accorta che ormai lei, la bionda, il Cacciatore e Hansel erano giunti alle soglie di quello che era a occhio e croce l'ingresso principale della locanda.

Sorprendentemente, tutto ciò che vide fu un'esatta copia di come Elizabeth aveva supposto fosse una locanda delle fiabe. L'insegna recante la scritta La meravigliosa incantatrice campeggiava sopra la porta, una trave di legno tarlato a cui era inchiodata la suddetta insegna, anch'essa di legno mezzo marcio e con le lettere scrostate. La costruzione era a due piani, costruita con un misto di fango, pietra, legno e paglia, e dava l'idea di essere talmente fatiscente che, Elizabeth aveva pensato in un lampo di follia che la spaventò non poco, se fosse arrivato un lupo e avesse soffiato a pieni polmoni l'avrebbe certamente abbattuta.

Con l'interno andò un po' meglio, anche se la totale assenza di clienti non faceva supporre che gli affari andassero a gonfie vele. Comunque, il salone in cui entrarono era abbastanza ampio, illuminato e pulito, con alcuni tavoli circolari sistemati al centro, delle candele a rischiarare l'ambiente e due grosse botti – Elizabeth presumeva stracolme di qualche alcolico – sistemate orizzontalmente contro una parete della stanza, proprio quella opposta al bancone. La locandiera – una donna alta e decisamente robusta – stava in piedi dietro di esso.

Senza che nessuno gli chiedesse nulla, Hansel si era avvicinato a lei e aveva preso a discutere parlando a bassa voce, molto fitto, tanto che nessuno di loro era riuscito a comprendere cosa stesse dicendo. Lei e Cenerentola avevano cercato di cogliere qualcosa osservando le labbra – senza peraltro alcun risultato apprezzabile –, ma il Cacciatore non si era nemmeno curato di dire o fare qualcosa. Non aveva spiccicato parola da quando avevano lasciato la casa di Belle, e aveva seguito Hansel a capo chino, rialzandolo solo di tanto in tanto per dare un'occhiata al cielo.

Avevano perso molto più tempo di quanto sembrasse, e mancavano poche ore al tramonto.

Alla fine, Hansel aveva smesso di borbottare con la locandiera ed era ritornato da loro, spiegando la situazione.

- La signora è stata così gentile da offrirvi delle stanze fintantoché rimarrete a Salem, così non sarete costretti ad alloggiare presso quella strega.

- Non è una strega...- aveva sibilato il Cacciatore fra i denti, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Hansel; quest'ultimo aveva poi continuato:

- Mi è stato chiesto di riferirvi che, qualunque cosa abbiate bisogno, il borgomastro sarà lieto di aiutarvi. E posso dire lo stesso di me - aveva accompagnato quest'ultima osservazione con un rapido inchino rivolto alle due ragazze, quindi era tornato a rivolgersi alla locandiera.- Grazie, signora. Vi prego di tenere pronta quella camera che vi ho chiesto. La strega trattiene presso di sé un'altra persona, una giovane donna incinta. Le ho domandato di venire via, ma non ha voluto: credo che tema per sé e per la sua creatura, o che sia sotto l'effetto di un maleficio. Cercherò di convincerla a lasciare quella casa.

- Sarà sicuramente prigioniera di qualche stregoneria!- aveva commentato la locandiera, con un vocione che aveva risuonato contro le pareti.- Portatela via da quella casa, signore. Quella strega ha già mietuto troppe vittime con i suoi malefici...!

- Belle non è una strega e Gerda non è vittima di nessun maleficio!- era insorto il Cacciatore, così all'improvviso che Elizabeth si era spaventata. Si era rivolto ad Hansel, guardandolo con ferocia.- Ci tenete proprio a tormentare un'innocente e una donna incinta, vero? Lasciatele in pace, non sono nelle condizioni di sopportare...

- Tacete, o vi faccio arrestare per aver preso le difese di una fattucchiera!- aveva tuonato il cacciatore di streghe.- Vi sto facendo un favore, non fatemene pentire.

Il Cacciatore non aveva dato l'impressione di voler star zitto, anzi, era sul punto di rispondere, ma Cenerentola si era fatta avanti e gli aveva scoccato un'occhiata implorante. L'uomo non aveva detto nulla, ingoiando il boccone amaro.

Hansel si era schiarito la voce.

- Venite, vi faccio strada...

Li aveva accompagnati fino al piano superiore, lungo una scala di legno scricchiolante e anche un po' traballante. Elizabeth, forse per mancanza di attenzione o a causa di un gradino cedevole, era stata sul punto d'inciampare...ma il cacciatore di streghe l'aveva sostenuta, prendendole una mano.

Allora, lei non aveva potuto fare a meno di voltare il capo e guardarlo negli occhi: Hansel non aveva commentato, ma le aveva rivolto un rapido sorriso continuando a sorreggerla, aiutandola a salire, e le aveva lasciato la mano solo quando lei e Cenerentola si erano trovate di fronte alla camera che era stata loro assegnata.

E adesso, Elizabeth proprio non riusciva a non sentire le tracce di quel contatto contro il palmo della propria mano.

Sospirò, liberandosi della felpa e della maglietta e lasciando scivolare i jeans sul pavimento, rimanendo in biancheria intima di fronte a quel catino. Gettò un'occhiata dietro di sé, proprio sopra la sua spalla: si era liberata della sacca contenente il libro di favole non appena aveva messo piede nella camera, e ora questa se ne stava sul letto dove l'aveva gettata. Si era aperta, e la parte superiore del libro di favole spuntava fuori dalla stoffa scura.

Elizabeth si assicurò che non ci fosse nulla di strano – anche se non sapeva esattamente che cosa, forse si aspettava qualche luce evanescente o roba simile –, quindi tornò a occuparsi di se stessa. Afferrò la morbida pezzuola appoggiata al bordo del catino e l'impregnò d'acqua, strofinandoci contro una delle scagliette di sapone che trovò in una scatoletta in un angolo della stanza, ripetendo meccanicamente ciò che Cenerentola le aveva detto di fare. Si strofinò rapidamente la pezzuola su tutto il corpo, rabbrividendo per il freddo ma cercando comunque di lavarsi tutta, senza lasciare indietro nessun punto. Vide la polvere e i residui di erba sciogliersi e scivolare via dalla pelle, e solo questo la fece sentire più pulita. Quando ebbe finito afferrò altre due scagliette di sapone, bagnò i capelli con l'acqua gelida e li strofinò ciocca per ciocca, sciacquandoli infine con l'acqua del catino.

Alla fine, si sentì decisamente meglio, e dovette ricredersi di tutto il suo scetticismo quando Cenerentola le aveva spiegato come fare per lavarsi. Calciò via gli abiti sporchi e si volse nuovamente verso il letto, afferrando quella che doveva essere una camicia da notte, messa a disposizione dalla locandiera. Era bianca e larga, e la stoffa era un po' ruvida.

Elizabeth l'indossò senza problemi, sentendosi infinitamente bene, ma la sensazione del palmo di Hansel contro il proprio non se ne andava. Chiuse rapidamente la mano a pugno due o tre volte, sgranchendosi le dita, ma quella non spariva.

- Liz? Sei pronta?- giunse una voce da dietro lo spogliatoio, che non era altro se non un telo di stoffa assicurato a due chiodi piantati nella parete.

- Sì...

Cenerentola sbucò fuori dallo spogliatoio, anche lei con una camicia da notte bianca identica a quella che indossava lei. Aveva i capelli raccolti in una treccia.

- Se solo potessi avere anche una cuffietta...- sospirò, gettando un'occhiata al pavimento.- Sono i tuoi vestiti, quelli?

- Oh! Sì...scusa - Elizabeth si chinò in fretta per raccoglierli, ma la bionda fu più svelta. Raccattò i jeans luridi, stendendoli con le braccia aperte di fronte a sé. Inarcò un sopracciglio.

- Che strana stoffa!- commentò.- Ancora non mi hai spiegato come mai eri vestita da uomo...

- Non ero vestita da uomo...- mormorò Elizabeth.- Da dove vengo io, tutte le ragazze si vestono così.

- Le ragazze indossano i pantaloni?- Cenerentola parve ancora più stupefatta, e raccolse da terra anche gli altri vestiti.- Ma...come fai? Come fanno tutte le donne del tuo reame? Non indossavi nemmeno un corsetto! E queste scarpe...!

- Da me i corsetti non esistono. Non più - precisò la ragazza; si lasciò sfuggire una risatina imbarazzata.- E, se posso permettermi, meno male: non credo siano molto comodi.

- No, non lo sono. Questo te lo concedo.

- Non saprei nemmeno come allacciarli...

- Facciamo così...- Cenerentola ghignò, piegando i jeans e lasciandosi poi cadere sul materasso del letto.- Quando tutto questo pasticcio sarà risolto, io prometto che t'insegnerò a indossare un corsetto...e tu, in cambio, mi farai provare un paio di quelli - sogghignò indicando i jeans.

Elizabeth sorrise, sedendosi cautamente sul materasso. Era un letto a due piazze: Hansel aveva procurato al Cacciatore una stanza singola, e a loro due una camera da dividere. Doveva ammettersi che il pensiero di condividere il letto con nientemeno che Cenerentola le provocava un po' d'imbarazzo, ma tutto sommato poteva anche passarci sopra. Le sembrava quasi di condividere qualcosa con un'amica. Al liceo, durante le gite scolastiche, quello era un lusso che non si era mai potuta permettere: tutte le sue compagne di classe cominciavano già giorni e giorni prima della partenza a scegliersi le coinquiline nella stanza dell'albergo, a fare progetti per pigiama party e nottate da trascorrere sveglie a chiacchierare e fare pettegolezzi.

Lei aveva partecipato a una sola gita scolastica, che sarebbe dovuta durare cinque giorni ma di cui lei ne aveva fatti solo tre, e questo quando aveva quattordici anni: Ursula, Jessica e compagnia l'avevano chiamata Liz-Hadleigh-Mangiamerda per tutto il tragitto dalla scuola superiore di New York all'hotel di Worcester, colpendola in testa con dei libri. Una volta arrivati in albergo, lei aveva elemosinato un posto in compagnia con qualunque altra ragazza della comitiva, anche con chi non conosceva. Alla fine le altre studentesse della sua classe avevano dichiarato a gran voce che nessuna di loro aveva la benché minima intenzione di dividere la stanza con quella lagna della Hadleigh, chi assicurava che non fosse una pazza isterica proprio come sua madre e non tentasse di ammazzarle tutte nel sonno?, e così lei si era ridotta a dormire nella stessa camera con la professoressa di biologia, una sessantenne che soffriva di emicrania e che non sopportava la televisione e la luce troppo intensa.

Come se non bastasse, la mattina seguente aveva trovato i suoi occhiali rotti sul comodino, e le sue compagne di classe non avevano fatto altro che farle dispetti e prenderla in giro per tutta la gita. Era finita che, al terzo giorno, aveva telefonato in lacrime a suo padre pregandolo di venirla a prendere.

Richard aveva guidato fino a Worcester e ritorno con lei che non la smetteva di frignare, ma non aveva capito quale fosse il vero problema. Elizabeth aveva ancora in mente la conversazione che avevano avuto loro due, sempre le stesse domande e le stesse risposte, come un disco rotto.

- Ma si può sapere che cos'hai?

- Non mi sentivo bene.

- Perché stai piangendo?

- Non sto piangendo, ho il raffreddore.

- Perché hai voluto che ti venissi a prendere prima?

- Te l'ho detto, non mi sentivo bene.

- A me sembri in forma.

- Ho mal di testa.

- Vuoi che ti accompagni da un dottore?

- No.

- Elizabeth, è successo qualcosa?

- No, niente.

- Sei sicura?

- Ho detto che non è successo niente, papà.

Frasi sospettose, ma niente di più. Richard non aveva capito nulla, e lei non sapeva spiegare perché non gli avesse detto la verità. Forse la sua era una richiesta d'aiuto implicita, sperava che lui ci arrivasse da sé, ma si era resa conto che era pretendere troppo da suo padre. Anya in quel periodo stava uscendo da un bruttissimo periodo, e quindi non aveva detto nulla nemmeno a lei.

Non aveva più partecipato a una gita scolastica.

- Per me puoi provarli anche subito...Ella - si azzardò a dire, a mezza voce, quasi avesse paura. Si sarebbe aspettata che la bionda scattasse sulla difensiva, o che fosse sorpresa di sentirsi chiamare con quel nome; invece, Cenerentola si voltò a guardarla con un sorriso amaro e sornione insieme.

- Hai letto il mio vero nome, eh?- fece, piegando un poco il capo.

Elizabeth arrossì senza sapere il motivo, e annuì.

- Era lo stesso di mia madre. Nessuno mi chiama più così da anni.

- Tu...tu ti sei presentata come Cenerentola - osservò timidamente la ragazza.

- Sì. Dopo anni in cui convivo con questo nomignolo, ci sono abituata - la bionda si lasciò cadere sdraiata sul materasso, e incrociò le braccia dietro la nuca, fissando il soffitto.- Madame Tremaine e le mie sorellastre me lo hanno affibbiato una volta in cui avevo la faccia sporca di cenere per aver pulito il camino, e da allora non hanno mai smesso di chiamarmi così.

Elizabeth non disse nulla, e si morse il labbro inferiore. Si sistemò meglio sul materasso, incrociando le gambe. La sensazione del palmo di Hansel contro il proprio non se n'era ancora andata: si massaggiò la mano con delicatezza.

- Tipo strano quel cacciatore di streghe, uhm?- commentò Cenerentola all'improvviso, abbandonandosi distesa sul letto e incrociando le braccia dietro la nuca, fissando il soffitto.

- Perché strano?

- Non saprei...credo che sia una mia sensazione - la bionda si strinse nelle spalle.- Sembra molto...convinto di ciò che dice. Mi riferisco alla stregoneria. Era certo che quella levatrice fosse colpevole...

Elizabeth non sapeva bene cosa rispondere, quindi stette zitta, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno all'indice. Cenerentola sollevò il busto facendo leva sul gomito, girandosi su un fianco.

- Comunque, è stato molto gentile, non trovi?- la bionda sghignazzò, quindi strisciò fino alla parte superiore del letto e si accoccolò contro un cuscino.- Non so tu, ma io sono felicissima di poter dormire in un letto...!

- Anch'io...!- Elizabeth ridacchiò, ma la sua nascente ilarità venne stroncata un secondo dopo da Cenerentola, la quale si drizzò a sedere.

- ...e di non dover essere ospite di quella levatrice.

Elizabeth tornò seria di colpo, guardando l'altra; la bionda sprimacciò un paio di volte il cuscino, prima d'infilarsi sotto le lenzuola. La ragazza si avvicinò a lei, con cautela.

- Perché dici questo?- chiese, incerta.

- Non lo so, io...- borbottò Cenerentola.- E' che...non mi fido. Un attimo prima viene quasi impiccata con l'accusa di stregoneria, e quello dopo ride e chiacchiera come se non fosse accaduto nulla.

- La...la gente ha preso le sue difese...- provò a obiettare Elizabeth.- E' stata riconosciuta innocente, no?

- Non del tutto - la bionda si voltò, guardandola negli occhi.- Liz, credimi, a me non piace insinuare, ma...non pensi che ci sia un motivo, se è stata accusata? Voglio dire, perché proprio lei e non qualche altra donna? Le voci possono essere maligne, lo so, ma so anche che le cose non nascono così dal nulla...

- Pensi che Belle sia davvero una strega?- il pensiero la faceva rabbrividire, e non se ne stupiva. Una parte di lei le suggeriva che, dopo Biancaneve impazzita, il licantropo, la profezia e tutto il resto, avrebbe dovuto essersi abituata a tutte quelle stranezze, eppure lei ancora faticava a farsene una ragione. Non bastava essere finita in un mondo dove i personaggi delle fiabe la facevano da padrone, no: doveva anche accettare il fatto che in quel luogo ogni regola e logica fossero state completamente abbattute in favore del caos più totale. Forse era per questo che non riusciva a concepire questo lato distorto delle fiabe, ma se pensava anche solo a quello che era accaduto a Cenerentola, comprendeva che tutto ciò faceva parte della vita reale: non sempre le cose andavano come ti aspettavi; non sempre ottenevi il tuo lieto fine, anzi, spesso non lo raggiungevi mai.

Cenerentola si strinse di nuovo nelle spalle.

- Non lo so se è una strega o meno, ma posso dirti che non ci tengo a scoprirlo. Sono solo contenta di non dover stare in casa sua, stanotte.

- Il Cacciatore sembrava fidarsi di lei.

- Già. Anche troppo, per i miei gusti.

Elizabeth sgranò gli occhi, mentre la bionda si girava su un fianco e si sistemava meglio sul materasso, dando totalmente l'impressione di volersi mettere a dormire, ma la ragazza comprese al volo che era tutta scena e nient'altro. Si lasciò sfuggire un sorrisetto involontario che si affrettò a reprimere, e gattonò più vicina a Cenerentola.

- Ti piace, vero?

- Che cosa?

- Non cosa, piuttosto chi.

- Eh?

- Sto parlando del Cacciatore - sbuffò Elizabeth alla fine, alzando gli occhi al cielo; non riusciva a capire se Cenerentola davvero non capisse o se piuttosto stesse facendo finta di nulla. La bionda si drizzò a sedere con tanta velocità da farla sobbalzare.

Si pentì amaramente di aver parlato; in genere non era così sfacciata, la parte della saputella rompiscatole in genere se l'accaparrava Anya, e neppure sempre. Questo perché sua sorella aveva cervello, a differenza sua. Arrossì vistosamente: era perennemente così. Ogni volta che si ritrovava a parlare con qualcuno che le desse l'impressione di starla a sentire, il filtro che collegava cervello e bocca si scollegava, e lei sparava fuori qualche idiozia a sproposito.

Forse era per questo che non aveva amici: se lo era meritato.

- Ma che dici!- Cenerentola dava l'idea di non sapere se ridere o se schernirsi, fatto sta che si girò nuovamente per non guardare Elizabeth negli occhi.- Ho chiuso con gli uomini dalla fregatura che ho preso con il Principe Azzurro. Credo che lui fosse l'emblema del genere maschile.

Elizabeth arrossì ancora di più, tenendo lo sguardo basso. Una remota parte del suo subconscio – quella che non stava mai zitta neppure quando avrebbe dovuto, per la precisione – le stava facendo notare che Cenerentola di fatto aveva girato intorno alla sua domanda pur di non risponderle, ma insistere sarebbe stato fastidioso, oltre che da benemeriti imbecilli.

- Tu, piuttosto!- non aveva neppure terminato di vergognarsi che venne raggiunta da una cuscinata in piena nuca, accompagnata da una risata della bionda.- Hai finito o no di civettare con il bel cacciatore di streghe?

- Io...non...uff!...stavo civettando!- provò a protestare Elizabeth, sollevandosi dal materasso in cui era sprofondata dopo quel colpo di guanciale, e di nuovo le sue guance tornarono a prendere fuoco. Anya diceva sempre che un giorno di questi lei sarebbe cotta come un pollo allo spiedo, e in effetti non era troppo lontana dal vero.- Mi spieghi in che modo avrei civettato? Con un...- si bloccò appena in tempo; stava per dire personaggio delle favole dunque, nella sua testa, inesistente, ma forse Cenerentola non avrebbe gradito.

- Non ha fatto altro che squadrarti per tutto il tempo...!

- A parte che non è vero...e io che c'entro?!

Cenerentola stava per ribattere, ma dei colpi contro la porta non glielo permisero. Qualcuno stava bussando. Elizabeth si alzò dal letto con un sospiro, arrancando in direzione della porta.

- Salvata dalla porta...!- commentò la bionda, incrociando le braccia dietro il capo e stendendosi sul letto. Lo sguardo le corse al pavimento, dove erano sistemati quei...come li aveva chiamati Liz? Jeans, se non andava errato...ben piegati, e sul volto le spuntò un sorrisetto sornione.

Elizabeth raggiunse velocemente la porta, inspirando a fondo per far passare il rossore, e socchiuse appena il battente per sbirciare fuori.

- Chiedo scusa, non avevo intenzione di disturbare...!- disse il Cacciatore mentre lei apriva di più la porta e si affacciava sulla soglia. L'uomo le pareva ancora un po' a disagio per la faccenda della croce al posto della firma di poco prima.

- No, nessun disturbo...io ed Ella ci stavamo sistemando per la notte...- soffiò la ragazza.

- Ho pensato che questi vi sarebbero potuti servire...- il Cacciatore le pose fra le braccia due pesanti mantelli di stoffa nera e ruvida, ben piegati.- Per il freddo. Il Grande Inverno si avvicina, e dovremo cercare di proteggerci dal gelo il più possibile, quando riprenderemo il cammino.

- Grazie...- Elizabeth azzardò un lieve sorriso.- Cosa...cosa faremo, domani?

- Ci sto ancora pensando. Credo che sia opportuno seguire il consiglio di Belle, e procurarci dei libri. Lì, c'è sempre scritto qualcosa di utile...o almeno, così mi hanno detto - il Cacciatore si schiarì la voce, guardando il pavimento.- Tutto starà nel convincere la locandiera a parlare con il borgomastro, affinché ci dia accesso ai libri.

- Cosa cerchiamo, esattamente?

- Qualsiasi cosa che ci aiuti. Belle ci darà una mano...

Elizabeth pensò istintivamente che Ella non ne sarebbe stata entusiasta, affatto, ma un urlo disumano proveniente dall'interno della stanza la tolse dall'imbarazzo di dover fornire una risposta.

- Oh, per tutte le forze del Bene che hanno sparso la polvere di fata su questo mondo! Liz! Liz, perché non mi hai mai detto che questa calzamaglia era così comoda?!

Elizabeth fece appena in tempo a scansarsi che Cenerentola la raggiunse sulla soglia della porta, su di giri, con la camicia da notte arrotolata intorno alla vita e i suoi jeans addosso. Incredibilmente, sembrava che le fossero stati cuciti su misura.

- Ma sono stupendi!- trillò.- Non avevi mai indossato dei vestiti da uomo, ma...che meraviglia! Niente gonne strette, niente corsetti, niente...ehm...- smise di botto di saltellare quando si accorse della presenza del Cacciatore, e arrossì vistosamente, ammutolendo. L'uomo parve improvvisamente interessato allo stipite della porta.

- Non...non voglio impicciarmi di questioni...ehm...come dire...riguardanti voi donne, quindi...- accennò a un saluto con una mano, allontanandosi lungo il corridoio.- Dormite bene.

- Grazie...buona notte...- mormorò Elizabeth, a stento, mentre Ella riuscì solo a emettere un verso soffocato che aveva un po' dell'imbarazzo e un po' dello sgomento. Elizabeth fece dietrofront e richiuse la porta della stanza. La bionda vi si abbandonò contro, accasciandosi contro il legno.

Si nascose il volto fra le mani.

- Che figuraccia...!

 

***

 

Gerda puntellò i gomiti contro il materasso, sollevando il busto per appoggiarsi meglio contro un cuscino. Abbandonò il capo contro la testiera del letto, inspirando a fondo per poi espirare lentamente, come le aveva insegnato Belle. Si passò entrambe le mani sul ventre arrotondato, avvertendo i calcetti del bimbo contro i palmi. La sua amica levatrice le aveva spiegato che, a mano a mano che il bambino cresceva nella sua pancia e questa si faceva sempre più rotonda, anche i semplici calcetti diventavano più dolorosi, lievemente, ma certo era che si avvertivano con più intensità.

Belle le aveva insegnato a fare dei respiri lunghi e profondi, in modo da diminuire il fastidio, rilassarsi e contemporaneamente prepararsi per quando fosse giunto il momento del parto. Gerda non lo ammetteva mai ad alta voce, ma aveva una gran paura di quel giorno: era il suo primo figlio, dunque non aveva idea di come funzionasse...ma aveva udito i racconti delle altre donne di Salem, di quanto fossero dolorose le doglie e di come tutto quanto potesse durare anche un'intera giornata, se non di più. Partorire la spaventava, doveva confessarlo. Senza contare che avrebbe voluto avere vicino Kay, quando fosse stato il momento. Certo, sapeva che tutti i mariti avevano l'obbligo di attendere fuori dalla stanza fino a che tutto non fosse finito, ma l'idea di averlo lì vicino, fosse stato anche solo al di là di una porta chiusa, mentre lei partoriva, sarebbe comunque bastato a farla sentire meglio. E invece, lui ora non c'era...e chissà quando sarebbe tornato.

Gerda chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi più sulla respirazione e meno su Kay: il bambino sembrava essersi calmato, almeno un poco.

La porta della camera da letto si aprì piano, e Belle scivolò dentro la stanza come se temesse di fare rumore. Gerda la guardò: la sua amica s'era cambiata d'abito, ora indossava un vestito dalla gonna lunga e stretta color marroncino chiaro, un po' malandata, e il bustino bianco con le maniche a sbuffo che lasciavano scoperte le spalle, intorno alle quali era avvolto uno scialle scuro. Belle aveva i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle e reggeva in mano una candela accesa, la cui fiamma seppur flebile faceva risaltare ancora di più il pallore del suo volto. Gerda non se ne stupiva: dopo tutto quello che aveva passato – e ancora doveva passare, non aveva scordato le sue parole di quel giorno – era normale che il colorito roseo della sua pelle fosse scomparso.

Belle era sempre stata una bella giovane, o almeno così pensava Gerda. A volte, confessava di invidiarla per quella sua bellezza particolare, un po' contadina, forse, ma comunque forte e spiccata come un fiore selvaggio. Al confronto, lei si sentiva piccola e insignificante, e spesso si domandava perché mai Belle avesse scelto un futuro da zitella: i pretendenti non le erano mancati, quando ancora suo padre non aveva perduto tutta la sua fortuna, e Gerda ricordava che anche lì a Salem, all'inizio, quando era solo la levatrice e non la presunta strega, diversi giovani scapoli le facevano la corte.

Belle, invece, pareva indifferente a tutti, così come si lasciava scivolare addosso le chiacchiere maligne sul suo conto – già venticinque anni e non sposata, è inaudito!, gracchiavano le vecchie vedove di Salem –, e a Gerda non era mai parso che le mancasse la presenza di un uomo al suo fianco.

Per lei, che era innamorata di Kay sin da quando erano bambini, era una cosa inconcepibile.

- Perché la candela?- le domandò, mentre Belle posava il lume su di una vecchia cassapanca.

- Il cielo si è scurito - rispose la levatrice, gettando un'occhiata alla finestrella della camera che, una volta, era stata di sua sorella Astrid. Gerda seguì il suo sguardo: il tempo si era rannuvolato e, anche se non era ancora giunto il tramonto, presto sarebbe stato buio, e minacciava pioggia.

Belle si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei, sul bordo del materasso.

Gerda si umettò le labbra.

- Tuo padre?- chiese.- Sta dormendo?

- Sì. Come sta il piccolo?- domandò immediatamente la levatrice, cambiando argomento.

- Scalcia...- Gerda non riuscì a trattenere un sorriso di contentezza al quale Belle si unì; le fece cenno di stendersi meglio sul materasso, quindi le posò entrambe le mani sul pancino di quasi cinque mesi. Rimasero entrambe in silenzio, mente la levatrice faceva scorrere delicatamente i panni sopra la stoffa della camicia da notte dell'amica, tastando con attenzione ogni angolo del suo ventre, quasi come se volesse accarezzare il bimbo che si muoveva al suo interno. Gerda tratteneva il fiato, scrutando ogni movimento di Belle: era esperta, aveva fatto nascere decine di bambini lì a Salem, e lei non avrebbe saputo trovare mani migliori in cui affidare se stessa e suo figlio non ancora nato, eppure ogni volta temeva che lei le dicesse qualcosa di brutto. Gerda era consapevole di essere molto esile, di avere i fianchi stretti, troppo stretti per essere adatti a partorire, e avvertiva il proprio fisico come il suo più acerrimo nemico durante quella prima gravidanza. Se poi ci aggiungeva anche il fatto che era appunto la prima volta che era incinta e che doveva trovarsi a partorire, beh, il terrore l'assaliva ogni volta che si trovava a pensare al momento in cui sarebbero iniziate le doglie.

Tante donne morivano, durante il parto. Quello era un dato di fatto. La stessa nonna di Gerda era spirata nel dare alla luce uno dei suoi tanti figli, e anche una sua cugina, tempo addietro, aveva perduto la vista insieme al suo bambino. Ma Belle...Belle era brava, sapeva il fatto suo e come gestire quelle situazioni. E, anche se qualcosa fosse andato storto, Gerda sapeva che la sua amica levatrice aveva più di un asso nella manica: bastava pensare a cosa era accaduto alla moglie del fabbro: lei e il suo bambino sarebbero certamente morti se Belle non avesse...

- Si è girato - annunciò all'improvviso la levatrice, guardandola negli occhi.

Gerda sbatté le palpebre.

- Come hai detto?

- Il bambino si è girato. Senti - Belle le prese una mano, facendogliela poggiare sul pancione.- Qui c'è la testa e qui invece i piedini - spiegò, facendo in modo che Gerda tastasse i punti da lei indicati.- E' nella giusta posizione, pronto per la nascita. Uscirà con la testa per prima, non potrebbe andare meglio di così...

- E'...- Gerda deglutì, nervosamente.- E' una buona notizia, quindi?

- Decisamente sì - Belle annuì con forza.- Ricordi che cosa ti ho detto di fare quando inizierai a sentire dolore?

- Respiri profondi...- mormorò Gerda in risposta.

- E...?

- Ehm...

- Dovrai spingere - precisò la levatrice, sempre con un sorriso.- Dovrai spingere con tutte le tue forze. Non preoccuparti, comunque, quando sarà il momento anche il bambino spingerà a sua volta per uscire.

- E...e se non lo facesse?

- In tal caso penserò io a fare pressione sul ventre, ma di questo non devi avere pensiero - Belle si alzò in piedi, facendole l'occhiolino.- Tu per ora continua ad esercitarti a respirare e non fare alcuno sforzo. Mancano ancora quattro mesi, avremo tutto il tempo per prepararci...

- D'accordo - Gerda si sistemò meglio sul materasso. Belle si stava sistemando lo scialle sulle spalle; si lisciò brevemente la gonna, quindi fece per uscire dalla stanza.

- Belle!

La levatrice si arrestò con un braccio a mezz'aria, teso ad afferrare la maniglia della porta. Si voltò a guardare Gerda, con sguardo interrogativo. L'altra si sollevò a sedere sul letto, poggiando il dorso contro i guanciali.

- Non...non lo desideri mai?- trovò il coraggio di chiederle.- Intendo, avere un bambino...

Belle impiegò diversi secondi prima di rispondere, quindi si strinse nelle spalle con noncuranza.

- Non mi sono mai posta questa domanda - disse semplicemente.- So che non avrò mai dei figli, Gerda, è inutile che mi crucci su questo pensiero. Il mio mestiere è far nascere i bambini degli altri...non crescerne di miei.

- Perché dici che non ne avrai mai?- incalzò Gerda.- Voglio dire...potrebbe anche capitare, un giorno...

Belle attese ancora qualche secondo, quindi sfoderò un sorriso che aveva molto del ghigno beffardo.

- Immagina di essere un uomo come Kay o uno dei miei fratelli, e di essere in cerca di una moglie: fra tutte coloro che hai a disposizione, ne sceglieresti una fra le centinaia che sono normali, che desiderano più di ogni altra cosa una casa e una famiglia, oppure la levatrice strega del villaggio, povera in canna, svergognata dal padre e dalle sorelle, già venticinquenne, che sa leggere e scrivere e che non ha nessuna intenzione di sposarsi se non per amore, che non arriverà mai?

- L'amore...l'amore arriva con il tempo...- provò a protestare Gerda.- I miei genitori e i miei suoceri volevano che io e Kay ci sposassimo già quando eravamo dei bambini. Eravamo promessi sposi, ma ci siamo innamorati prima del matrimonio, ed eravamo dei ragazzi. Tu non sei troppo vecchia per trovare un marito, c'è ancora tempo...

- Gerda, tu e Kay siete un caso su migliaia, e comunque non è questo il punto!- ribatté Belle, esasperata.- A parte che piuttosto che sopportare tutta la vita un fedifrago che corre dietro alle gonne di ogni pulzella della città mentre io mi spacco la schiena a crescere i suoi marmocchi preferirei tornare da Hansel e chiedergli d'impiccarmi per davvero, io sono una strega! Che sia vero o falso, che la gente ci creda o no, io da questo momento in avanti non sarò più guardata come un tempo...ricordi cosa ti ho detto qualche ora fa? Si avvicinano tempi duri, e non parlo solo della Regina Cattiva, del Grande Inverno o dei fratelli Grimm!

- Tu non sei una strega!- disse istintivamente Gerda, per poi ammutolire un attimo dopo. La levatrice si piantò le mani sui fianchi, inarcando un sopracciglio. L'altra arrossì vistosamente, e si accarezzò piano il ventre.- Voglio dire...- mugugnò.- Non come dice Hansel. Tu...tu non...non trasformi la gente in rospi, non diventi un animale maligno, non lanci sortilegi cattivi...tu...

- Non cambia nulla. Questa città è popolata da pecore e conigli: sono bestie paurose, preferiscono cercare un nascondiglio piuttosto che affrontare una minaccia. Perché credi che altrimenti mi avrebbero condannato alla forca, Gerda? Non vogliono vedere, non vogliono ammettere che i Grimm stanno per tornare...non osano dire una sola parola contro la Regina per paura che questa li stani con il suo maledetto specchio e gliela faccia pagare...pochi hanno il coraggio di guardare in faccia alla realtà, e guarda dove sono: nella Foresta Incantata, a nascondersi come animali braccati. Salem non ha voluto credere che la profezia si sta avverando, che la leggenda del ritorno dei Grimm non è più solo una storia per spaventare i bambini...come pensi che potrà credere che le streghe non sono solo esseri malvagi? Che io non sono come Malefica, o la Strega Cieca che divora i lattanti...

- Il Cacciatore ti avrebbe creduto, ne sono sicura. E non tutti gli uomini sono dei fedifraghi. Mio marito non lo è...e nemmeno Robin Hood, o il Cacciatore...un uomo come lui sarebbe perfetto per te...- provò a dire Gerda, ma l'entusiasmo le si smorzò non appena vide la smorfia di Belle.

- E' un caro amico, ma non potremmo mai stare insieme come marito e moglie. Senza contare che la bionda che si è tirato dietro mi strangolerebbe ancora prima di giungere all'altare...

- La bionda?

- Sì, quella che pareva aver ricevuto un calcio negli stinchi ogni volta che mi guardava...

- A me non è sembrata gelosa.

- Allora vuol dire che oltre che incinta sei anche cieca.

Gerda non trovò più nulla per replicare e se ne stette zitta. Belle smoccolò un poco il lume, quindi si lisciò malamente le pieghe della gonna. Guardò fuori dalla finestra: il cielo si era davvero oscurato per la pioggia, complice anche il fatto che il sole stava per tramontare. La levatrice rimase a fissare le nuvole scure senza vederle veramente: era stata una giornata durissima, traumatica, in poche ore aveva rischiato di venire impiccata e subito dopo aveva dovuto costringersi a recuperare il sangue freddo, perché c'erano cose più importanti a cui pensare. Il Cacciatore si era presentato a casa sua con una serie di notizie che avrebbero fatto capitolare chiunque: Cappuccetto Rosso e sua nonna erano morte assassinate dalla Regina, e questo significava non solo la perdita di altri membri della Ribellione, ma anche l'interruzione di tutte le comunicazioni. I messaggio non avrebbero più potuto essere recapitati, non finché qualcuno al campo dei ribelli non si fosse dato una svegliata e non avesse trovato qualcun altro che avesse pari fegato a quello che aveva avuto una ragazzina di tredici anni per recapitare le notizie; e in ogni caso, la Regina Cattiva di sicuro aveva già provveduto a inviare i suoi soldati in ogni angolo della Foresta Incantata in modo da sbarrare più vie possibili e rinforzare i controlli e la caccia ai rivoltosi; quella ragazzina sgomenta che il Cacciatore si era portato dietro probabilmente era la Salvatrice, anche se non ne aveva proprio l'aria, e aveva anche una sorella potenziale candidata, dispersa chissà dove e forse morta, il che, se fosse stato confermato, avrebbe segnato la rovina di tutti loro. Quelle due erano anche le figlie del più grande traditore del Regno delle Favole, secondo solo a Vincent...il quale ora stava dalla parte della Regina Cattiva, con tutto ciò che questo comportava. Le persone continuavano a sparire, non avevano notizie di Kay, né di Robin Hood e dei suoi. L'unica nota positiva in quella cascata di eventi funesti era che Lady Marian era viva, ma restava comunque una prigioniera al palazzo della Regina Cattiva...

E ora lei aveva lasciato che il Cacciatore, la bionda e la Salvatrice, se ne andassero via con quel bastardo di un cacciatore di streghe, in una notte da lupi. E di notte accadevano le cose peggiori: le conveniva credere o no alla voce secondo cui l'Uomo Nero era stato liberato?

Gocce di pioggia avevano cominciato a cadere dal cielo e a infrangersi contro il vetro della finestra, ma Belle non le vide nemmeno. Si accorse che stava diluviando quando la voce di Gerda si levò più alta di quanto non avesse fatto nei cinque minuti precedenti.

- Belle? Belle!

La sua amica stava strillando. La levatrice trasalì, riscuotendosi all'improvviso, e scosse il capo con forza per riprendersi e al contempo per mettere a fuoco ciò che le stava dicendo.

- Che ti prende? Ti senti male?- fece Gerda, accorata. Belle scosse ancora il capo, più piano.- Che ti è successo? Ti sei incantata?

- Io...credo di sì. Scusa.

Gerda rimase a guardare attonita la sua amica che apriva la porta con furia per uscire nel corridoio.

- Ma...dove vai?- boccheggiò. La levatrice si fermò sulla soglia.

- In città. Alla locanda della moglie del borgomastro.

- Perché?- domandò Gerda, attonita.

- Io...- Belle guardò il pavimento, stringendo le dita intorno alla maniglia della porta fino a far sbiancare i polpastrelli.- Non lo so. Una...una brutta sensazione.

- Ma che...

- Mio padre non dovrebbe svegliarsi per stanotte. Tu cerca di stare tranquilla, in un paio d'ore sarò di nuovo a casa...

- Ma Belle...

La levatrice richiuse la porta della stanza senza ascoltare la replica, e scese velocemente le scale. Giunse al pianterreno, e s'infilò in fretta un paio di stivali consunti. Recuperò da sopra un'alcova uno dei vecchi scialli di sua madre, di un marrone stinto, e se lo sistemò sopra le spalle.

Spalancò la porta d'ingresso, arretrando appena di fronte al temporale che imperversava. Inspirò a fondo: da quando aveva scoperto la sua doppia natura, con essa erano venuti a galla anche strani sensi, capacità di percepire cose che un essere umano comune non sarebbe stato in grado di avvertire. Era una proprietà che interessava solo le fate, oltre che le creature della notte come gli uomini lupo. O le streghe.

Belle si tirò lo scialle sul capo e lo strinse alla gola, avventurandosi sotto la pioggia diretta alla locanda.

 

***

 

Elizabeth era rimasta per più di un'ora distesa sotto le coperte, girata su un fianco a guardare fuori dalla finestra la pioggia che cadeva forte e fitta, con gli occhi aperti nel buio. Il sole era appena calato, non era ancora notte, ma lei e Cenerentola avevano deciso di coricarsi presto, per essere maggiormente in forze l'indomani, quando avrebbero cominciato le ricerche di...non si sapeva bene cosa. Ci si era lambiccata il cervello per due giorni: la bellezza nella morte?; il riflesso della verità? Che diamine erano, e dove si trovavano? Non si poteva dire che lei avesse scovato il sogno infranto, era più corretto dire che ci avesse sbattuto il naso contro, dal momento che mai e poi mai avrebbe immaginato che l'oggetto misterioso fosse in realtà la scarpetta di cristallo di Ella.

Ma ciò non significava che potevano permettersi di andare a fortuna ogni volta. Il Cacciatore faceva molto affidamento su Belle, e dunque c'era solo da sperare che lei potesse dar loro una mano.

Elizabeth si era infilata sotto le lenzuola con questi ragionamenti che le rimbalzavano nella testa e con quelli era rimasta, sveglia, al buio, e con l'ormai familiare groppo alla gola che sopraggiungeva ogni qualvolta si azzardava a pensare a sua sorella. Da una parte, aveva piena fiducia in Anya – insomma, sua sorella aveva sempre ampiamente dimostrato di sapersela cavare benissimo da sola, anzi, in genere era lei quella ad aver perennemente bisogno d'aiuto –, ma dall'altra aveva avuto la prova che in quel luogo non era il caso di scherzare troppo con il fuoco. Chi poteva saperlo, le balenò in testa improvvisamente, magari Anya non si trovava neanche più nel Regno delle Favole. In fondo, lei era rimasta nei pressi della capanna della Fata Turchina, quando si era aperto quel vortice...era vicina a papà...forse era riuscita a tornare indietro e a scovare una strada per ritornare a casa.

Sì, ma Tremotino ha detto che non ce n'erano. Te lo ricordi? Crawford ha parlato di una parete in mezzo alla Foresta Incantata, e voi avete girato per ore come delle povere inette senza trovare nulla. E Tremotino ve l'ha detto chiaro e tondo.

(“Non ci sono pareti, nella Foresta Incantata. Non so chi ve l'abbia detto, ma è la più grossa delle menzogne. Avete mai provato a immaginare un muro di mattoni che spunta dall'erba come le radici di un albero? Vi pare possibile? No, non credo proprio”).

Elizabeth scattò a sedere sul letto non appena la sua coscienza cominciò a riportarle indietro la voce precisa e sputata di quell'uomo. Sì, ma era un uomo? La fiaba della Figlia del mugnaio diceva che era un folletto, ma quello aveva tutta l'aria di un giovane uomo neanche poi tanto più vecchio di lei...quanti anni poteva avere? Venticinque, ventisei?

Scosse il capo, chiudendo gli occhi. In ogni caso, non ci doveva pensare. Sarebbe stato da stupidi: insomma, di chi voleva fidarsi? Del procuratore Crawford, il capo di suo padre, un uomo che comunque sapeva il fatto suo, oltre a essere più informato di loro due su quel luogo...o di uno sconosciuto sbucato fuori da chissà dove che non si era limitato a prenderle per i fondelli, ma non contento le aveva anche mollate in balia di un lupo umanoide?

Tremotino, folletto o uomo che fosse, era un essere maligno. Lo diceva anche la fiaba. E l'aveva confermato anche la Fata Turchina.

(“Non fidatevi di Tremotino!”).

Elizabeth sospirò rumorosamente, scostandosi una ciocca di capelli che le era finita di fronte agli occhi. Si voltò appena per vedere Cenerentola, al suo fianco, che dormiva tranquilla, dandole le spalle. A quanto pareva la figuraccia con il Cacciatore non le aveva impedito di crollare dal sonno, e lei la invidiava tantissimo. Scostò piano le lenzuola per non svegliarla, e abbandonò il materasso: di dormire non se ne parlava proprio, non per quella notte. E dire che era stata sul punto di mettersi a saltellare per la contentezza quando aveva realizzato di aver a disposizione un letto con cuscini e coperte...invece, vuoi per la preoccupazione per Anya, vuoi perché le mancavano papà e casa sua, vuoi per quella situazione e il dubbio se fosse lei o no la Salvatrice, e vuoi anche per il ricordo di Tremotino che si sovrapponeva continuamente alla faccia di Hansel, non riusciva a chiudere occhio.

Gattonò per cinque minuti buoni sul pavimento alla ricerca delle proprie scarpe da tennis, ma le vigliacche dovevano essere finite in qualche angolino sperduto della stanza che lei al buio non riusciva a raggiungere. Arraffò a tentoni gli stivali nuovi di Ella, sperando che le andassero bene, e li infilò. Di uscire con solo addosso la camicia da notte non le sembrava il caso, quindi si gettò sulle spalle il mantello che le aveva regalato il Cacciatore. Era di stoffa ruvida, ma comunque molto caldo, ed era un piacere averlo addosso.

Sempre al buio, arrancò fino alla porta, socchiudendola appena. Nella stanza si riversò un debolissimo raggio di luce, ma Cenerentola non si svegliò.

Elizabeth sgusciò fuori senza fare rumore.

 

***

 

Mulan si era abituata a quella vita. Non aveva potuto farne a meno. Quando uno dei pirati era venuto da lei, la prima volta, non aveva nemmeno provato a opporre resistenza: si era detta che, in fondo, se le stava capitando tutto questo, era perché se l'era meritato.

Anche il generale, quando l'aveva scoperta e aveva dato ordine di arrestarla, gliel'aveva detto. Te lo sei meritato, le aveva urlato pieno d'orgoglio ferito, e anche suo padre lo pensava. Hu se n'era rimasto in silenzio con sua moglie stretta al braccio mentre i soldati la portavano via. Non le aveva detto nulla, nemmeno una parola d'addio, ma d'altra parte Mulan non se lo sarebbe nemmeno aspettata. Era partita per la guerra con le migliori intenzioni, e aveva finito con il gettare addosso del fango all'onore della sua famiglia. I suoi genitori probabilmente erano anche stati sollevati di non dover più sopportare una figlia costretta a fingersi un uomo e a passare da una battaglia all'altra, invece di sposarsi e dare figli a suo marito come tutte le altre giovani del villaggio. Nessuno le aveva detto nulla, quando l'avevano portata via, ma lei aveva letto fin troppo bene ciò che dicevano gli occhi di suo padre: te lo sei meritato. Se l'era cercata, avrebbe dovuto prevedere che quella farsa non sarebbe potuta durare in eterno. Non poteva dire di essersi stancata degli abiti maschili – al contrario, si trovava meglio in quelle vesti che stretta in lunghi e femminili vestiti scomodi quasi quanto l'etichetta a cui erano obbligate tutte le ragazze del suo villaggio –, ma le donne del paese e le vicine di casa avevano ben presto iniziato a spettegolare, a lanciare insinuazioni neanche poi tanto velate quando incontravano sua madre al mercato, e presto le voci avevano abbandonato le case delle vecchie comari per diffondersi anche fra i loro mariti e i figli. Sarebbe stata solo questione di tempo prima che la scoprissero, anche se il generale non si fosse intestardito così tanto nel voler farle sposare sua figlia.

Aveva fatto tutto da sola, se l'era cercata e aveva avuto ciò che si meritava.

Era una consapevolezza che l'aveva quasi uccisa, e forse si sarebbe anche lasciata morire se il lenone a cui l'aveva consegnata il generale non l'avesse tenuta in vita a suon di schiaffi e facendole ingurgitare cibo e acqua a forza. Il viaggio dalla sua terra natia fino all'isola di Tortuga era stato sfinente, e lei e le altre schiave erano state stipate su di un carro fino al porto, e poi strette nella stiva di una nave fino a che non avevano attraccato presso l'isola dei pirati. Due di loro erano morte durante la prima parte del viaggio, e una terza l'avevano ritrovata senza vita una mattina nel corso della traversata.

Mulan ricordava di aver sentito una delle sopravvissute mormorare qualcosa di simile a buon per loro o sono state fortunate, a cui nessuno aveva replicato. Tutte sapevano a quale destino stavano andando incontro, e lei non faceva eccezione. Aveva veduto più volte la fine che facevano le ladre o le mogli adultere, e conosceva il mestiere dei lenoni. Ma non aveva provato a scappare, non aveva fatto nulla: aveva sempre combattuto, in vita sua, lottato, prima per salvare suo padre e poi per continuare a mantenere il suo segreto, ma dopo che l'avevano scoperta era come se le avessero sottratto ogni energia. Continuava a ripetersi che le stava bene, che se l'era meritato, e dunque doveva affrontare le conseguenze del suo sbaglio.

Non aveva idea del perché Capitan Uncino avesse scelto proprio lei. C'erano delle altre schiave di gran lunga più avvenenti e che certo avevano più classe e conoscevano maggiormente le buone maniere, anche se a pensarci bene a un pirata non avrebbe potuto importare granché di queste cose. Mulan pensava che, per qualche sconosciuto motivo, doveva essergli piaciuta. Aveva sussultato quando quel ragazzo giovanissimo con un uncino al posto della mano si era girato a bisbigliare due parole rivolto a Spugna e poi l'aveva indicata al lenone. Non le aveva detto molto, mentre la conduceva sulla Jolly Roger: le aveva solo chiesto come si chiamasse e le aveva comunicato freddamente che aveva bisogno di una donna che calmasse i bollenti spiriti della sua ciurma, quindi vedesse di fare la brava.

E così era cominciata la sua seconda vita, stavolta come sgualdrina su di una nave pirata, costellata di sesso sporco e malesseri dovuti alle onde. Quando stava male erano gli unici momenti in cui trovava ancora la forza di sfoderare gli artigli e cacciare via qualunque idiota che non fosse in grado di capire che andare a letto con una che rischiava di vomitare a ogni sobbalzo della nave non era il massimo dell'erotismo per nessuno dei due, ma per il resto si comportava docilmente come una di quelle mogli sottomesse che sua madre avrebbe tanto voluto lei fosse. Stava tutto il giorno chiusa in quella piccola cabina che Uncino aveva riservato apposta per lei, con solo un letto scomodo con lenzuola sporche e il puzzo di chiuso, di pesce avariato e di sudore; aspettava che qualcuno venisse da lei, faceva quello che doveva – quasi tutti le facevano male, erano ben pochi quelli che si curavano di essere gentili, ma non interessava né a loro né a lei –, e poi si dava una ripulita in attesa del prossimo.

La notte dormiva pochissimo e mangiava ancora meno, e sempre uova e pesce che Spugna le passava su di un piatto sporco due volte al giorno. Era dimagrita in maniera spaventosa in tutti quei mesi, e spesso il capitano della Jolly Roger le ripeteva che se non si decideva a mettere su un po' di carne e a farsi sparire quelle occhiaie nere, allora lui l'avrebbe scaraventata in mare e si sarebbe procurato un'altra puttana.

Era un tipo strano, Uncino. Mulan aveva sentito dire che il suo vero nome fosse James Hook, ma nessuno lo chiamava mai così, e non occorreva grande intelligenza per intuire da dove provenisse quel soprannome che gli era stato affibbiato. Aveva sì e no diciotto anni, eppure comandava un branco di balordi e un'intera nave pirata. Non veniva quasi mai da lei, ma le poche volte che lo faceva era sempre distaccato, quasi non gliene importasse nulla di provare piacere o meno; c'era comunque da dire che stava attento a non farle male. Almeno, quando lei si comportava bene. Erano i suoi momenti di ribellione che lo mandavano in bestia, e non mancava mai di farle pagare la sua insubordinazione. L'ultima volta, poco prima che scoppiasse quella tempesta, Spugna era andato a riferirgli che lei aveva graffiato un pirata e cacciato via a male parole i due nuovi che Uncino aveva inviato per farla ragionare. E non l'aveva frenato il fatto che, a quanto dicevano, durante quel nubifragio avesse quasi rischiato di annegare o di essere divorato dal coccodrillo: non appena si era ripreso era sceso nella sua cabina e l'aveva colpita più volte con la fibbia della cintura sulle gambe, e che le servisse da lezione.

Adesso era notte inoltrata, e lei non riusciva a dormire non solo a causa del movimento della nave, ma anche per il bruciore di quei graffi e quei lividi. Mulan sollevò il busto puntellandosi su un gomito, e scostò appena la vestaglia dai polpacci per tracciare con un dito i segni di quegli ematomi. Uncino non ci aveva dato giù pesante come altre volte, ma le aveva comunque martoriato le caviglie, tanto che l'unico membro dell'equipaggio che aveva avuto il tempo di venire da lei nonostante tutte le riparazioni da apportare alla Jolly Roger se n'era scappato con aria disgustata alla vista di quelle escoriazioni. Poco male.

Mulan si alzò dal letto, stringendosi addosso la vestaglia. Raramente saliva sul ponte principale, ma la sua nausea non era ancora passata; forse un po' d'aria salmastra le avrebbe fatto bene.

 

***

 

Elizabeth sussultò quando un tuono ruppe il silenzio della locanda, ma subito riprese a camminare lungo il corridoio. L'unica fonte di luce proveniva da alcuni candelabri accesi affissi al muro, ma le candele si stavano lentamente consumando. Si strinse nel mantello e zampettò fino alla scalinata che avevano percorso per giungere nelle loro camere. Fuori continuava a piovere a dirotto, e faceva freddo, troppo freddo perché fossero veramente a ottobre come quando lei e Anya avevano lasciato New York. Ma le stagioni erano le stesse anche in quel mondo?

Elizabeth raggiunse la scalinata, aggrappandosi alla ringhiera di legno scheggiato. Ci mise qualche istante per mettere a fuoco l'immagine della sala sottostante a causa del buio, ma infine riuscì a distinguere senza difficoltà i tavoli e le botti di vino contro la parete opposta a quella del bancone. Non c'era nessuno, nemmeno la locandiera, sebbene l'ambiente fosse più illuminato rispetto al solo corridoio. Elizabeth rimase immobile per qualche istante, ascoltando la pioggia che batteva contro i vetri. Le girava un po' la testa, ma non aveva sonno; anzi, si sentiva più vispa che mai. Scese qualche gradino della scala, ma subito si bloccò, sospirando, e si accucciò a terra, con una spalla premuta contro la ringhiera. Giocherellò svogliatamente con una ciocca di capelli, annoiata. Non c'era un motivo preciso per cui aveva lasciato la stanza, semplicemente era stufa di starsene a letto senza riuscire a fare altro se non rimuginare e ancora rimuginare.

Il ricordo di Crawford e di Tremotino aveva preso una piega che la spaventava non poco. La Fata Turchina aveva detto di non fidarsi assolutamente di lui, questo era vero, ma occorreva anche guardare i fatti: Crawford aveva parlato di una parete come quella che le aveva condotte nel Regno delle Favole, e che sarebbe anche stata in grado di riportarle a casa. Aveva anche indicato loro la strada da percorrere, all'interno della Foresta. Lei e Anya avevano girato in tondo senza trovare nulla, rischiando anche di finire scannate da Biancaneve. Poi era arrivato Tremotino che con il suo fare supponente aveva comunicato loro che di pareti alla Harry Potter nella Foresta Incantata non ce n'era nemmeno l'ombra. A chi credere?

Se – se! – Tremotino aveva detto la verità...questo voleva dire che Crawford aveva mentito. Fatto che Elizabeth ora considerava quasi certo dato che sia lei che – molto probabilmente – Anya ancora girovagavano per il Regno delle Favole. Questo apriva degli scenari spaventosi: perché Crawford avrebbe dovuto mentire? Che motivo aveva per far sì che lei e sua sorella si perdessero nella Foresta Incantata? Cosa ci avrebbe guadagnato?

...e il procuratore era anche il capo di suo padre. Questo significava che...

Il rumore di oggetti sposati la fece sobbalzare, ma forse fu anche a causa dell'adrenalina che aveva iniziato a scorrerle in corpo. Elizabeth si guardò intorno stringendosi il mantello alla gola, mentre un miagolio sommesso giungeva dal fondo delle scale. Guardò in basso: un gatto grigio a strisce più scure, tutto bagnato, stava salendo i gradini nella sua direzione.

Era il randagio che avevano incrociato a casa di Belle.

Elizabeth fece un mezzo sorriso, mentre il gatto la raggiungeva e si sedeva a pochi metri dalla sua coscia. Lei fece un segno di saluto con la mano.

- Ehi, ciao...- mormorò, ridacchiando e fregandosene della sensazione di sembrare un'ebete.- Che fai qui? Perché non sei a casa di Belle?

Il gatto, come da copione, non le rispose, ma si scrollò in modo da asciugarsi, per poi balzarle in grembo. Elizabeth s'irrigidì, mentre il felino si strusciava contro le sue ginocchia, facendo le fusa. La ragazza si rilassò, cominciando ad accarezzarlo distrattamente sul dorso e dietro le orecchie, gesto che il gatto parve apprezzare molto.

Elizabeth guardò fuori dalla finestra: il temporale non accennava a calmarsi, anzi, stava peggiorando. Pensò che fosse ora di tornare in camera, non fosse stato altro per non spaventare Cenerentola, qualora si fosse svegliata e non l'avesse trovata. Le sarebbe piaciuto poter parlare ancora un po' con il Cacciatore, e si rese conto che era sparito quasi subito, non appena il sole aveva cominciato a calare.

Non si accorse che c'era qualcuno alle sue spalle fino a che questi non le posò una mano sulla spalla. Elizabeth lanciò un grido di spavento tale da far spaventare il micio, che balzò giù dal suo grembo con un miagolio innervosito.

La ragazza alzò lo sguardo, incrociando quello di Hansel, in piedi alle sue spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice: Capitolo un po' lento e incentrato essenzialmente sulle emozioni, ma comunque necessario. Come credo di aver già detto in passato, preferisco sempre dare spazio alle emozioni dei personaggi, perché a mio parere la grave pecca che ho riscontrato in parecchie storie fantasy è quella di dare troppo tutto per scontato: da come nasce un amore o un'amicizia alle motivazioni che portano un certo personaggio a comportarsi in una certa maniera o a compiere una data azione. Faccio giusto giusto una breve inquadratura nell'eventuale chiarimento di perplessità.

Siamo ancora durante la fatidica notte in cui ne succedono di tutti i colori. Abbiamo visto Ariel che stringe un accordo con Tremotino, la decisione di Anya e Vincent di fermarsi al campo dei ribelli e stiamo aspettando il confronto con Gretel. Il prossimo capitolo riprenderà le vicende che abbiamo lasciato in sospeso a Camelot e che porteranno anch'esse a questa notte in cui diversi destini verranno sconvolti. Dal prossimo ancora finalmente Gretel entrerà in scena e vedremo Ariel sulla Jolly Roger. TUTTO QUESTO per poi portare tutti i protagonisti alla cosiddetta mattina dopo, in cui dovremo mettere insieme i pezzi di quanto è successo.

Il prossimo capitolo sarà anche l'ultimo in cui Camelot rappresenterà una realtà distinta rispetto al Regno delle Favole, da quel momento in poi tutta la Avalon-team interagirà anche con altri personaggi ;). Oh, e aspettatevi TANTE sorprese :D.

Ciao, al prossimo capitolo!

Un bacio,

Beauty

 

P. S. Il titolo del prossimo capitolo sarà No more Mr. Nice Guy!...chi ha capito a cosa/chi mi sto riferendo? :D.

  
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