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Autore: Claire DeLune    05/08/2014    7 recensioni
Cosa succederebbe se tra Haruka e Rin non ci fosse solo una competizione sportiva, ma anche una amorosa?
Cosa succederebbe se ci fosse un quinto elemento strettamente collegato al passato dei componenti di quel club di nuoto delle elementari? Una ragazza.
E cosa succederebbe se quella ragazza fossi tu?
Ecco l'entrata in scena di un nuovo personaggio molto vicino ai protagonisti, tanto da esserlo lei stessa. Questa ragazza, cresciuta con loro, non ha un nome o un aspetto preciso, perché lei sei proprio tu: la lettrice. E come tale, nella tua mente, lei assumerà il nome e l'aspetta che ognuna preferisce.
҉
(LA STORIA è AMBIENTATA DUE ANNI PRIMA RISPETTO ALL'ORIGINALE, SICCOME MI SONO BASATA SULLA DATA DI PUBBLICAZIONE DELLA LIGHT NOVEL HIGH☆SPEED. POSSIBILE OOC E CAMBIAMENTO DI RATING)
Per chi volesse ricevere avvisi di aggiornamento, specificatelo pure tra le recensioni/commenti. Sarò felice di accontentarvi :)
Genere: Commedia, Sportivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Nuovo personaggio, Rin Matsuoka, Sorpresa
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legame a Idrogeno'
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14.

La sorpresa di Gou

 

   Il getto ghiacciato della doccia gli avvolge il corpo, ricoprendo e irrigidendo ogni muscolo, dalla schiena smilza alle braccia tese, scivolando sui capelli corvini, appiccicati al volto apatico, e sull’addome asciutto, per poi raggiungere le cosce, gli stinchi, i polpacci, giù lungo il collo dei piedi.

   Le iridi oceaniche fissano l’acqua che oltrepassa lo scarico e che, stavolta, non lo purifica dal suo turbamento, come se egli non fosse degno di lei, come se egli non la comprendesse abbastanza, non la sentisse abbastanza da essere decretato come il suo miglior compagno.

   Pensavo che non mi importasse di vincere.

   I suoi occhi si riempiono di piccoli frammenti della gara appena conclusa. Una figura slanciata. Uno sguardo arcigno. Un paio di labbra sprezzanti.

   Non dovevo diventare libero dopo aver gareggiato con lui?

 

   Seduto su una panca fuori dallo spogliatoio, il rivale si abbevera, deglutendo rumorosamente al limite del soffocamento, con la soddisfazione stampata in viso.

   “Matsuoka-senpai!”, corre verso di lui il suo kohai, - Non rompermi le palle proprio ora -, “Ce l’hai fatta! Ti sei qualificato per le finali! In più hai battuto Nanase-san!”.

   “Beh, sì”, sogghigna l’altro, “Vai anche tu a dare qualche calcio nel sedere”.

   “Hai!”.

 

   Fischi, tonfi seguiti da schizzi e spruzzi, urla.

   Paia di gambe che sbattono a propulsione contro la superficie dell’acqua, altre che si flettono e si rilassano su se stesse a ritmo del loro entusiasmo.

   Una voce elettronica annuncia la vittoria di Mikoshiba nello stile libero e la sua realizzazione di un nuovo record del torneo.

   Tutti tifano per il loro campione di turno. Tutti, tranne sei persone. Sei persone che si fissano le punte dei piedi, più amareggiate che deluse, incredule per qualcosa mai accaduta prima di allora.

   “Oh, siete qui!”, prorompe una voce gioviale, “Scusate il ritardo”.

   “Coach Sasabe…”, biascica Makoto a voce così bassa da essere totalmente sovrastata da quella di Nagisa, che sbraita puerile, “Dov’eri, Goro-chan?!”.

   “La ringrazio per averci aiutato l’altro giorno”, lo interrompe Amakata-sensei, imbarazzata dal suo studente, porgendo all’uomo un piccolo inchino e stringendosi nel parasole.

   “Non è nulla”, risponde il trentacinquenne, prima di assumere un’espressione pensosa, grattandosi il pizzetto, “Sono davvero convinto di averla già incontrata prima”.

   “N-non credo…”, si volta lei, cominciando a sudare freddo, Che fosse un acquirente…?

   Il pinguino si porta le mani ai fianchi, aggrottando le sopracciglia, “Accidenti, sei venuto qui per fare colpo sulle ragazze?”.

   “Non stavo cercando di far colpo su di lei!”.

   “Haruka-senpai ha già nuotato per il suo turno a stile libero”, Rei transita la conversazione sconveniente su un argomento consono al luogo in cui si sta tenendo.

   “Maledizione, mi sono perso i preliminari”, l’istruttore si colpisce la nuca con un megafono di plastico da tifoseria, “Ma posso ancora guardare la finale”.

   Portate di nuovo tutti gli occhi a terra.

   “Non parteciperà alla finale”, interviene il capitano, lasciando il pizzaboy confuso.

   “Haru…”, continui al suo posto, “… non si è qualificato”.

   “Ha perso?!”, pone, spiazzato dalla notizia, non ricevendo alcuna risposta.

   Spalle al muro, l’uomo posa lo sguardo mogano sul tabellone dell’ultima gara e sussurra: “Impressionante”.

   “Il capitano della Samezuka?”, chiede Nagisa, “Pensavo fosse solo una persona appassionata, ma è davvero un buon nuotatore, vero Gou-chan?”.

   La ragazza interpellata trasalisce, chiaramente con la testa altrove, “S-sì”, balbetta di rimando. Le carezzi la schiena, sorridendole, e lei solleva gli angoli delle labbra all’insù, nonostante lo faccia solo per un secondo. 

   “Cosa c’è?”, odi Makoto domandare a Rei, il quale continua ad ondeggiare il capo, facendo rimbalzare gli occhi di lavanda tra il quadrante del suo orologio da polso e l’ingresso delle tribune come palline da tennis.

   “Haruka-senpai non è ancora tornato”.

   “E’ vero…”, sibila il leader, spostando gli occhi di lato, ma guardando un punto indefinito nel vuoto.

   “Probabilmente starà facendo la doccia”, si aggiunge il sauro.

   “Però sta perdendo molto tempo”, continua il navy, “Vado a controllare”.

   “Rei, aspetta!”, il bruno lo segue su per le scale.

   “Aspettate! Mako-chan! Rei-chan!”.

   Tu e la tua vice vi incupite maggiormente, accartocciandovi su voi stesse.

   “Non fateci troppo caso”, cerca di consolarvi la coordinatrice, dandovi delle piccole pacche sulla spalla, “Gli sport sono così”.

   “Non è quello”, condivide dopo qualche secondo la rossa, “Volevo vedere mio fratello e Haruka-senpai nuotare insieme, ma non era ciò che mi aspettavo”.

 

   È difficile tenere l’andatura allenata di un ex-corridore, persino per le lunghe gambe di Makoto, il quale, dopo non poco sforzo e con il fiato accelerato, riesce finalmente ad afferrare la matricola per il polso.

   “Perché mi stai fermando?”, replica quest’ultimo.

   “Beh, perché…”.

   “Calmati, Rei-chan”, interviene l’altro primino.

   “Non siete preoccupati per Haruka-senpai?”, rimbecca nuovamente Quattrocchi. Il suo tono di voce è talmente alto da coprire lo scalpitio che rimbomba nel vuoto del corridoio, rendendolo udibile soltanto quando ormai anche la vista riesce a riconoscerne la causa. I tre membri dell’Iwatobi SC si voltano, scorgendo una figura slanciata fasciata di nero, cupo come se sbucasse dalle tenebre stesse. Le mani affondano nelle tasche, il collo chino e circondato da un asciugamano su cui ancora gocciolano i capelli vermigli, gli occhi fissi nel vuoto, sovvrapensiero.

   “Rin-chan”, nomina il pinguino, richiamando l’attenzione dell’interpellato e guadagnandosi un’occhiataccia per il tanto odiato nomignolo femminile.

   “Siete voi”, sibila con disprezzo, seguito da un lungo e gravoso silenzio, pedante per coloro che avevano nuotato come un vero team sette anni prima, mutismo che viene spezzato dal tono a metà tra l’esausto e il frustrato di Rin, “E’ vero, partecipate tutti al torneo”, socchiude le palpebre e si volta di lato.

   “Ne, Rin-chan”, riprende il biondo, “Hai visto Haru-chan?”.

   “Haru?”, aggrotta confuso le sopracciglia l’altro, Perché dovrei fregarmene di dove sia cacciato Haru?

   “Non è ancora tornato”, afferma Nagisa con una preoccupazione sconosciuta alle sue corde vocali.

   Lo squalo coglie all’istante il significato delle sue parole, traendone immediatamente compiacimento, Finalmente ho smosso quella sua indifferenza, “Perdere contro di me è stato un colpo così duro? E’ stato lui a dire che non gli importava di vincere o di migliorare il suo record”.

   Un lampo di genio invade Rei, che si porta una mano al mento, sussurrando assorto, “Non è turbato per la disfatta, dev’esserci qualcos’altro”.

   “Uh?”, il nuovo acquisto della Samezuka lo trapassa con lo sguardo in tralice, “Oltre a vincere, cos’altro conta nel nuoto?!”.

   “C’è di più”, interviene finalmente Makoto, “O almeno, Haru pensava ci fosse dell’altro. Per questo motivo voleva nuotare con te”, lo fissa torvo, facendo crescere un vuoto nel petto del cremisi, il quale viene trafitto nel vivo, quando il dorsista conclude: “E sono piuttosto sicuro che sia stato tu ad avergli insegnato quel qualcosa, Rin”.

   Due piccole mani dalle dita affusolate schiaffeggiano sorde la parete in piastrelle azzurre, e una testolina emerge all’improvviso dall’acqua, ricoperta da lattice giallo, da cui fuoriescono delle ciocche ribelli e su cui sfoggia un paio di occhialini, che celano due occhi vispi e attenti, incatenati al corpo smilzo, infantile e affusolato che vola sopra di lui con serietà e flessibilità. Le pupille di vino dell’osservatore tremulano dall’emozione.

   “Quando abbiamo nuotato in quella staffetta alle elementari, tu…”.

   “Che m’importa?!”, lo interrompe sbraitando Rin, più contro se stesso che verso il ricordo dell’orca, “Ho battuto Haru!”, si ricompone, rimettendo le mani in tasca ed incamminandosi a testa basta, evitando metodicamente di guardare i tre, “E’ tutto ciò che conta”, Devo solo batterlo anche con ______.

   “Staffetta? Avete nuotato in una staffetta con lui in passato?”.

   “Non l’abbiamo accennato?”, chiede colpevole il sauro.

   “Mi avete solo detto che era successo qualcosa tempo fa. Se eravate così vicini, perché siete…”.

   “Su, su rilassati, Rei-chan”, tenta di mediare il coscritto, “Dobbiamo cercare Haru-chan adesso”.

   “No”, dissente il capitano, “Dovremmo lasciarlo in pace”, sorride mesto, “Conoscendo Haru probabilmente non vuole parlare con nessuno adesso”, Forse solo con lei, guarda l’orologio a muro, “E abbiamo le nostre gare da vincere in arrivo. Ora concentriamoci su quello che possiamo fare”, conclude deciso, da vero leader del gruppo.

   Senza guardarsi indietro, Makoto si dirige al luogo di incontro per la sua batteria con già in dosso cuffia e occhialini, mentre il resto del team torna sugli spalti ad assistere e tifare. Si leva la giacca e riscalda i muscoli, tirandoli e stendendoli, in modo da evitare eventuali crampi, e fa un respiro profondo.

   Non riesci a togliere gli occhi dal suo dorso taurino, dai muscoli perfettamente sviluppati senza risultare esagerati. Li guardi come si aggrappano e avvolgono intorno ai tendini; guardi le ombre che li mettono maggiormente in risalto, soprattutto sulla linea della spina dorsale che non fa altro che invitare a guardare sempre più in basso, fino a dove il costume non permette più di osservare nient’altro.

   Non puoi evitare di arrossire pensando a quanto sia cresciuto negli anni pur rimanendo lo stesso, e a quanto Gou abbia dannatamente ragione riguardo alla sua schiena!

   Per fortuna che c’è Sasabe a richiamarti all’attenti, “Dov’è Haruka?”.

   “Oh, non siamo riusciti a trovarlo”, balbetta Rei.

   “Accidenti, che sta facendo?”, incrocia le braccia al petto il coach, arcuando un sopracciglio, “Sta per arrivare il turno di Makoto”.

   Avverti Nagisa tremarti accanto, percepisci la sua postura ingobbirsi e la sua espressione affliggersi. In qualche modo il suo atteggiamento ti ricorda qualcosa. Qualcosa avvenuto sette anni prima, quando ancora eravate troppo giovani per capire l’una il turbamento dell’altro.

   Un bimbo biondino, più basso rispetto agli altri e anche più giovane, osserva tre ragazzini poco più grandi di lui e che lo precedono di un paio di passi, ridendo tra loro e punzecchiandosi a vicenda. Non è in classe con loro, ma sono comunque compagni. Amici. 

   Tuttavia, ci sono persone che sono più amiche di altre, e il bimbo - sarà per l’età, sarà perché, a sentire il capitano del team, non è poi così bravo a nuotare - è l’ultimo di cui si curano.

   Stringe i pugni, dicendosi che si impegnerà di più, che dimostrerà loro che anche lui conta, che anche lui può essere indispensabile. E per farlo continuerà a sorridere con determinazione e coraggio.

   È con questo spirito che il tesoriere balza in piedi, sbottando: “Vado a prenderlo: voglio che Haru-chan ci veda nuotare!”.

   “Nagisa-kun!”, lo richiama Rei invano. Troppo grande la distanza tra l’interlocutore e il destinatario, a causa della fretta, per far sì che quest’ultimo lo senta, infatti non smette di correre un istante, nemmeno quando rischia di scontrarsi con due nuotatori dell’ultimo anno tre volte la sua stazza. Deve trovarlo, a costo di giocarsi l’ammissione ai regionali.

   Perlustra l’intero edificio, spogliatoio femminile compreso, ricevendo come ringraziamento grida e asciugamani sbattuti con poca grazia in faccia.

   “Scusate, scusate! È un’emergenza!”.

   Esce dalla zona off limits, dirigendosi nuovamente a quella maschile, poi ai punti d’incontro ed infine ai corridoi che portano alla zona ristoro. Ed è qui che trova il senpai, seduto su una panca difronte al distributore automatico, con i capelli ancora umidi e lo sguardo smarrito. 

   Una goccia d’acqua dolce rimane in bilico sulle punte della frangia scura, mentre rimembra la reazione disperata e afflitta del cinabro anni prima, dopo la sconfitta. Quel giorno aveva avuto la conferma di sentire l’acqua più di chiunque altro, ma adesso? 

   Se Rin avesse vinto quel giorno, mi sentirei diversamente ora? Rin nuota per partecipare alle Olimpiadi. E io?, la goccia cade, scorre lungo la sua gota come se piangesse, Perché nuoto?. Non sente più.

   “Ah! Haru-chan!”, lo rinsavisce brutalmente la voce del kohai dagli occhi di caramella, “Eccoti qua!”, abbandona il proprio peso sulle ginocchia, tenendosele con i palmi visibilmente stremato, “La gara di Mako-chan sta per iniziare! Sbrigati!”, boccheggia affannato.

   Il delfino distoglie lo sguardo una volta di troppo, dicendo: “Passo”.

   “Non credo proprio!”, gracchia il pinguino, afferrandolo per il polso, “Andiamo!”.

   Lo trascina di mala grazia sugli spalti, lasciandolo lì, in piedi, da solo, a guardare il suo migliore amico combattere per il titolo. L’espressione concentrata, i denti stretti e le sopracciglia corrucciate.

   “Ike, ike, ike, ike, ike, Makoto!”.

   “Nuota, nuota, nuota, nuota, nuota, Makoto!”.

   Haruka si volta in direzione della sua squadra. Sasabe dirige il coro ultras con un megafono e gli altri lo seguono. Si rivolge a Rei, dicendogli di tirare fuori la voce dall’addome.

   “Fight, fight, fight, fight, fight, Makoto!”.

   “Ike, ike, ike!”.

   “Ike!”.

   “Ike, ike, Makoto!”.

   “E gira!”.

   “Ultimo scatto, ultimo scatto, ultimo scatto!” [x6].

   “Ottimo lavoro!”, finalmente le sue dita toccano le piastrelle azzurre e il capitano solleva di netto la testa dallo spirito di sale, respirando a pieni polmoni. I suoi occhi corindoni non si staccano un secondo dal tabellone dei risultati, neanche mentre si leva le protezioni, e così fate anche voi.

   Compare il primo miglior tempo: 01:01:49 

   Poi il secondo: 橘真琴 (Scuola Superiore Iwatobi) 01:01:58 

   “Accidenti, Mako-chan c’era andato così vicino!”, afferma il biondo, “Ha quasi fatto un tempo abbastanza veloce per qualificarsi!”.

   Guardi l’orca appoggiarsi spossata al dividi corsia e lasciar cadere il capo in avanti delusa, “Era così vicino alla finale!”.

   Il dorsista si tende sulle braccia possenti, facendo leva sui polpastrelli per sollevare tutto il suo corpo fuori dalla vasca. Sospira ancora prima di notare il modo in cui il suo migliore amico lo scruta dagli spalti, e sorride accondiscendente quando quest’ultimo evita il contatto oculare imbarazzato.

   Nagisa si spinge in piedi, stringendo le mani a pugno, “Ok, sono il prossimo!”.

   L’arbitro fischia il segnale di posizionamento sui trampolini. La matricola controlla per l’ennesima volta che le lenti protettive siano ben ancorate alle sue cavità oculari e che siano angolate nel verso giusto, infine stringe di nuovo i pugni per caricarsi e sale sul blocco 7. Le dita dei piedi e delle mani si arcuano sul bordo, pronte a spingere il loro proprietario il più lontano possibile.

   “Pronti…”, bip, “…Via!”.

   Si tuffano tutti e otto in sincrono, ma è la parte in apnea a decretare chi sarà in testa.

   “Ike, ike, ike, ike, ike, Nagisa!”, riparte il coretto.

    La testa del ranocchio esce ed entra dall’acqua rapidamente e in sincrono coi movimenti degli arti, quando questi si uniscono il capo affonda sotto il pelo dell’acqua, mentre quando si separano e allargano esso torna a riprendere aria.

   “Nuota, nuota, nuota, nuota, nuota, Nagisa!”.

   Purtroppo per pochissimo anche lui perde.

   “C’eri quasi”, l’allenatore gli dà delle piccole pacche sulla spalla per consolarlo.

   “Hai dato una spinta incredibile alla fine”, continua Gou.

   Rei si alza calmo e sicuro di sé, finge, compiendo il suo solito gesto con gli occhiali, “Credo sia finalmente arrivato il mio turno”.

   “Starai bene Rei-chan?”, si preoccupa teneramente per lui il compagno di classe.

   “State a vedere”, ammicca quest’ultimo in risposta, “Dalle apparenze non sembra ma sono più bravo nella vera competizione”, mente ancora, stavolta più a se stesso che a voi.

   Sui blocchi il turchino si mette in posizione. La sua espressione, coperta dalle lenti scure, è una maschera di ansia e agitazione.

   “Pronti…”.

   Vi alzate in piedi, stringendo i pugni o aumentando la presa sugli oggetti che tenete tra le mani: Goro il megafono; Amakata-sensei il manico del parasole; e tu le sbarre in metallo della ringhiera protettiva.

   Bip!

   “…Via!”.

   Rei esegue un ingresso impeccabile.

   “Wow, la sua forma è perfetta!”, esclama l’istruttore di nuoto.

   “Oh no!”, ribatti, puntando il dito sull’atleta, “Guardate i suoi occhialini: gli sono scivolati!”.

   “Dev’essere successo quando si è tuffato”, rimembra Tachibana-bucchou.

   “Può farcela comunque”, confidi, osservando i bicipiti scolpiti che si arcano in profonde falcate, fendendo la superficie.

   “Ike, ike, ike, ike, ike, Rei!”, incita Goro, seguito dal vostro coro.

   “Nuota, nuota, nuota, nuota, nuota, Rei!”.

   “Fight, fight, fight, fight, fight, Rei!”.

   Lo incoraggiate, lo spronate, dandogli la tempra per andare avanti, nonostante la vista disturbata e irritata lo rallenti irrimediabilmente. La sua dedizione attanaglia a tal punto Haruka, da non potergli staccare gli occhi di dosso, associandolo a qualcun altro di altrettanto combattivo e ambizioso. Qualcuno ormai privato del suo labile buonumore, che, solitario, rimane sdraiato sul sedile reclinabile del bus degli eventi scolastici, con gli avambracci incrociati dietro la nuca e lo sguardo vitreo, fisso sui bocchettoni dell’aria condizionata, non curante delle ciocche asciugate malamente che gli ricadono scomposte sul volto.

   Una voce gli riecheggia nella mente. 

   Una voce che non aveva mai sentito così severa e che, tantomeno, avrebbe mai affibbiato al viso gentile che in quel momento gli riservava due smeraldi freddi e duri, ben lungi dal morbido mare d’erba a cui era abituato.

   Haru pensava ci fosse dell’altro. Per questo motivo voleva nuotare con te. E sono piuttosto sicuro che sia stato tu ad avergli insegnato quel qualcosa, Rin.

   

Tardo pomeriggio

 

   Il primo giorno del torneo è concluso, molte comitive lasciano il palazzetto dello sport e voi vi ritrovate tutti nel parcheggio per i saluti. Tranne Haruka.

   “Mi dispiace”, china il capo Quattrocchi mortificato, “Non sono stato abbastanza bravo”.

   “Non dovresti dire così”, cerca di confortarlo la coordinatrice, sorridendogli appena, “Siete stati in grado di nuotare per un record personale: è un ottima cosa”.

   “Ti saresti qualificato, se i tuoi occhialini non fossero scivolati”, dà manforte Nagisa col suo connaturato entusiasmo.

   “Beh, sembra un po’ inverosimile”, replica il coscritto.

   “In ogni caso, siete andati tutti bene”, continua l’insegnante, “Ottimo lavoro”.

   “Provate un senso di realizzazione, vero?”, prende nuovamente parola l’aureo, “Soprattutto ______-chan. Sei stata davvero grandiosa!”, strepita, saltandoti in braccio, facendoti così perdere l’equilibrio e cadere sull’addome di Makoto, che, per la sorpresa, quasi non riesce a tenere il peso di entrambi.

   “Ah, Nagisaaaaa!”, inveisci, percependo la risata del bruno riecheggiare oltre il suo petto e vibrare lungo la tua spina dorsale, “Stai bene, Makoto?”.

   “Sì”, sorride docile, “Tu piuttosto ti sei fatta male?”.

   “No, tutto a posto”, inarchi gli angoli della bocca all’insù, socchiudendo un poco gli occhi.

    Udite un colpo di tosse arrivare dalla gola del coach, il quale si volta leggermente imbarazzato con il pugno sulle labbra. Noti solo in quell’istante che sei ancora appoggiata al torace del dorsista e che quest’ultimo di cinge le spalle con il braccio destro, tenendoti stretta a sé. Avverti improvvisamente un gran caldo all’altezza delle guance e il fianco che sfiora Makoto bruciare. 

   Sciogli l’abbraccio, “Dovete cominciare a prepararvi per il prossimo torneo”.

   “Oh, dov’è Nanase-kun?”, pone preoccupata Ama-chan.

   Ti guardi intorno, sentendo lo stomaco come azzannato da una morsa, ma provando anche un insolito sollievo all’idea che non ti abbia vista tra le braccia del suo amico d’infanzia.

   “Sembra che se ne sia andato senza di noi”, decanta l’ovvietà il pinguino.

   “Cosa? Davvero?”, chiede Gou.

   “Lo fa spesso”, ridacchi per smorzare la tensione, in particolar modo la tua.

   “Già…”, sorride colpevole il castano, “… non si sentiva bene”.

   “Immagino che allora non possa essere aiutato”, riflette la donna, sentendosi inutile, “Ragazze, da qui potete pensarci voi?”.

   “Hai”.

   “Allora, io adesso vado via”, afferma montando in macchina, seguita da Sasabe nelle medesime azioni, sebbene sul motorino da Pizza Boy, “E’ passato un po’ di tempo da quando il mio sangue ribolliva in questo modo. Ottimo lavoro! Ci si vede”.

   “E’ venuto qui con quello”, riflette il leader del team, osservando il mezzo con cui l’uomo sta imboccando la carreggiata.

   “All’attività per cui lavora andrà bene?”, chiede ingenuamente Nagisa.

   “E’ finita”, affermi di punto in bianco, pensando alle gare appena svolte e al dispiacere per essere l’unica a essersi qualificata per il prossimo livello.

   “Già, ma sarebbe stato bello andare tutti alle regionali”, ammette Rei.

   “Dopo esserci allenati così duramente, pensavo che almeno uno di noi ce l’avrebbe fatta”, prende parola il capitano, riferendosi palesemente al delfino, “Ma in realtà non è così facile”.

   “Mi sono reso conto che nel nuoto c’è molto di più: comprendere la teoria non è abbastanza per vincere”, si sistema la montatura rossa sul naso dritto, “Inizio ad infiammarmi”.

   “Beh, è un po’ tardi per quello”, sogghigna il biondo.

   “No, non è troppo tardi”, interviene la kohai, affilando lo sguardo, “C’è ancora il secondo giorno del torneo, domani!”.

   “Ma gli eventi a cui eravamo iscritti erano tutti oggi”.

   Makoto s’afferra il mento pensoso, puntando le due gemme corindoni sul sol calante, “Il secondo giorno è per la staffetta individuale mista e la staffetta… Ah!”, si concentra su di lei, “Gou-chan, non dirmi che…”.

   La ragazzina corre difronte ai ragazzi, inchinandosi in posizione di preghiera, “Vi ho iscritti alla staffetta mista in segreto, nemmeno ______-chan lo sapeva!”.

   “Cosa?!”, affermate all’unisono.

   “L’ho detto alla sensei”.

    “Quindi, se vinciamo la staffetta…”.

   “… possiamo andare alle regionali!”, conclude Gou la frase lasciata a metà di Nagisa.

   “E’ da pazzi!”, prorompe l’orca, “E’ una cosa troppo improvvisa: non ci siamo completamene allenati per la staffetta”.

   “Perché non hai detto niente prima?”, pone giustamente il biondo, concorde alle considerazione del senpai.

   “Perché temeva che Haru non volesse partecipare al relay”, rispondi al posto suo, abbassando il tono voce, percependo quella di quest’ultimo dire: Io nuoto solo a stile libero.

   “Facciamolo”, Rei stringe i pugni, ritrovando la sua determinazione, “Questa è la nostra ultima occasione! Non ci siamo allenati per la staffetta, ma vale la pena provare!”.

   Vi scambiate uno sguardo d’intesa, accorrendo verso la residenza del corvino. Quando vi giungete a perdifiato, però, notate che tutte le luci interne sono spente.

   “Non è ancora tornato”, dichiara l’ex-atleta, “Non ci credo”.

   “Possiamo entrare al piano di sopra!”, afferma Makoto, dirigendosi sul retro dell’abitazione, seguito dal resto della comitiva.

   “Aspettate! Possiamo davvero farlo?!”, protesta il blu.

   Ognuno spalanca un separé a testa: Nagisa la camera da letto del padrone ereditario; Gou il bagno; Makoto la cucina; e Rei la sala da pranzo. Ma non c’è nessuno.

   “Non si dovrebbe correre in casa di qualcuno, quando non…”, si lagna invano Quattrocchi, interrompendosi, attirato da una foto senza cornice. I suoi occhi ametista tremano alla vista di quattro bambini con lo stesso costume da bagno azzurro e blu, bloccati per sempre in pose allegre e euforiche, che mettono in bella mostra quattro medaglie d’oro scintillanti. Si soffermano specialmente sul ragazzino dai già lunghi capelli magenta, quello che tiene stretto al petto il trofeo della vittoria, nonché quello con l’espressione più sollazzata di tutto il quartetto.

   Rin-san…, per qualche strana ragione quel pezzo di storia lo fa sentire tradito, come non fosse altro che un, Rimpiazzo.

   Continua a conservare la cartolina lucida tra pollice e indice, mentre si rivolge al senpai bruno, con lo sguardo inerme sulla luna ormai alta nel cielo puntinato di stelle, segno che l’ora è tarda, “Aspettiamo che torni”.

   Il pinguino si accorge immediatamente di cosa il compagno di classe tenga in mano, nonostante gli passino per la testa ben altre preoccupazioni, “Haru-chan accetterà di nuotare in una staffetta?”.

   “C’è solo un modo per scoprirlo”, affermi, afferrando con forza il piccolo delfino di plastica attacca al tuo cellulare e imboccando l’uscita.

   “______-chan, dove stai andando?”.

   “Vado a prenderlo”.

   “Ma, ______-senpai! Non sai nemmeno dove sia!”, interviene Rei.

   “Non mi interessa. Non ci sono molti posti dove possa essersi cacciato”.

   Inizi a correre in direzione del liceo, non curandoti dell’acido lattico che si diffonde nei tuoi stinchi, della milza che pulsa e dei polmoni che invocano pietà, adesso solo lui è importante.

   Sali in fretta e furia le scale esterne della piscina scolastica, guardandoti intorno in cerca di un segno del suo passaggio. Il borsone, la felpa e i pantaloni della tuta sono abbandonati malamente sul pavimento piastrellato delle docce esterne. E’ qui.

   Odi il debole fragore dell’acqua che viene solcata.

   Ti approssimi al bordo-vasca, punto in cui le tue ginocchia cedono, costringendoti a crollare rovinosamente su di esse con tutto il corpo, mentre gli occhi scorgono la figura del delfino inabissarsi con una mezza capriola, fino a ritrovarsi nuovamente a pancia in sù ma al di sotto del margine invisibile tra cielo e acqua. Le sue iridi Blu di Persia si perdono e si irradiano nel chiarore plenilunare.

   Cosa volevo davvero?, domanda al suo elemento, Cosa cercavo di fare?

   Il suo inconscio oltrepassa il Super-Io, colpendo prepotente l’Io e proiettandovi il sorriso smagliante del Rin undicenne, mentre gli circondava il collo con il braccio, guardando fiero nell’obiettivo della Reflex. Poi i suoi occhi lucidi e arrossati dopo l’ennesima sconfitta a stile libero. Gli stessi occhi carichi di stizza, rancore, sfida, rivalsa, ma allo stesso tempo imploranti, quando l’obbligò moralmente a nuotare per lui. Ed infine lo sguardo scostante e prevaricatore che questi gli riservarono dopo l’ultima gara.

   Per… - «Mai più» - cos’è stato?

   Ritrovi la forza di alzarti. Raccogli le braccia conserte sotto il seno e lo guardi arcigna oltre il pelo dell’acqua. Non appena Haruka si accorge della tua presenza, porta i piedi sul fondo della piscina e si spinge con le piante, riaffiorando in superficie. Rimane immobile, pietrificato a guardarti. Nessun suono sfiora le sue labbra sottili.

   Ti levi di scatto la divisa sportiva, rimanendo in costume. Se non sarà lui a venire da te, sarai tu ad andare da lui. 

   Le iridi oceaniche si smuovono un attimo dallo stupore, osservandoti entrare in acqua con un fluido tuffo di testa, per poi tremare appena quando vengono inchiodate dal [aggettivo colore] intenso delle tue, roventi e ruvide come due frammenti di magma appena solidificatosi. Vi scrutate a lungo, sino a quando il moro si volta all’improvviso sulla sua destra come conseguenza involontaria di un gesto della tua mano, tesa all’altezza della sua guancia, sulla quale già compare una sagoma rossastra.

   “Idiota”, sibili a denti stretti, “Hai idea di quanto tu mi abbia fatta preoccupare?”, aumenti il tono di un’ottava, chiudendo le dita a pugno e piantandogliele sul petto fradicio, “Scappi e ti nascondi come un coniglio. Questo sei: un coniglio! Uno stupido coniglio codardo che ha paura di s—e ste—s—so”, la voce ti si rompe e la fronte si scontra contro il suo addome, bagnandolo anche di gocce salate, “E i—io stupida che ti corro dietro. Siete uguali, voi due, due lati della stessa medaglia. Quando lo capirete?”.

   “______”, pronuncia il tuo nome pacato, prendendoti per gli avambracci, “Mi dispiace”.

   Ridacchi lapidaria, “Ti dispiace? E per cosa? Per preferire ancora l’acqua alle persone? Quali risposte hai trovato qui? Solo altre domande. Le risposte ce le hai già qui dentro”, posi il palmo destro all’altezza del miocardio, “Perché non lo ascolti? Perché non lo ascoltate?”.

   “Tu lo ascolti?”.

   Breve e conciso. 

   Il riferimento è chiaro e non fa che farti sentire peggio, per quello che stai facendo a tutti loro, quello che stai facendo a tutti voi. Tu per prima stai male. Riconosci, però, che ha ragione: come puoi dispensare consigli che neanche tu segui?; come puoi dirgli di seguire il suo cuore, quando sei tu stessa a massacrarglielo, già da prima che questi problemi nascessero?

   “Ci sto provando, Haru”, ti giustifichi, “Ci sto provando davvero. E sto male per questo. Sto male per tutto questo dolore che vi sto recando”.

   “Lo so”, posa il mento sul tuo capo, accalorando l’abbraccio, “Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E’ così e basta”.

 

Casa Nanase - 21.03

 

   “Non è ancora tornato e neanche ______-chan”, Gou guarda le lancette dell’orologio a pendolo segnare l’ora, “Chissà se l’ha trovato”.

   “Dove sarà andato?”, pone Nagisa sollevando lo sguardo sul medesimo punto.

   Rei s’incupisce e sbianca, “E se…”.

   Quel periodo taciuto lascia intendere milioni di cose orribili, tra cui una delle più frequenti in Giappone.

   Jisatsu, collega immediatamente il biondo, balzando in piedi e sbattendo i palmi sul tavolino tradizionale, “Rei-chan, non dire cose spaventose con quello sguardo in faccia!”.

   “Non ho ancora detto nulla. Ma…”.

   “Non preoccuparti”, interviene Makoto rassicurante, seduto in veranda, “Haru non è così debole”, In più sono sicuro che sono insieme.

   “Oh, il suo cellulare!”, rimembra repentino il ranocchio, “Chiamiamolo!”.

   “Haruka-senpai ha un cellulare?!”, schiamazza incredula la coscritta.

   “Perché non hai detto qualcosa prima?!”, lo rimprovera l’altro compagno di classe.

   “Beh, non vedo mai Haru-chan usare davvero il suo cellulare”, motiva, sentendosi braccato.

   “Comunque, chiamiamolo!”.

   Il sauro compone il numero sulla testiera rosa del suo telefono, per poi portarlo all’orecchio.

   “Risponde la segreteria telefonica”.

   “Non risponde”.

   “Si prega di lasciare il vostro nome e messaggio dopo il segnale acustico”.

   “Lascia un messaggio”, ordina il turchino.

   Bip.

   “Haru-chan, dove sei?”, inizia il pinguino.

   “Torna a casa, per favore”, prosegue l’altro, “Siamo tutti preoccupati”.

   “Haruka-senpai, mi dispiace!”, afferma afflitta Gou, “Ho iscritto tutti alla staffetta mista!”.

    Riprende parola il più magro dei nuotatori, “Già, quindi nuotiamo insieme domani, Haru-chan”.

   “Io starò bene!”, Rei gli strappa di mano il dispositivo, “Memorizzerò la teoria entro domani!”.

   “Rei-chan, questo è un segno evidente che non ce la farai”.

   “Devo solo imparare a memoria la teoria per non fallire!”.

   “Il messaggio è terminato”.

   “Haruka-senpai tornerà dopo aver ascoltato quello sciatto messaggio?”, sussurra la cardinale, considerando che, risentendolo a mente fredda, non si capisce nulla.

   “Gli andrà bene!”, la rassicura Nagisa, “Il nostro messaggio caotico ha quello che serve per toccare Haru-chan nel profondo! Aspetta…”, dice cambiando intonazione all’improvviso, attirato da una strana luce verde che lampeggia in un angolo della stanza, “Haru-chan ha lasciato qui il suo telefono!”.

   “Cosa?!”, chiedono all’unisono i compagni.

   Un sorriso genuino si allarga sul volto del dorsista, piacevolmente sorpreso dello stretto legame che si è instaurato nel gruppo e dell’ingenuo entusiasmo dei kohai, ancora fedeli all’idealizzazione che si sono fatti dei loro senpai, specialmente da parte di Nagisa nei confronti di Haruka, che, nonostante siano passati anni dal loro primo incontro, continua ad ammirarlo e stimarlo senza tornaconti.

   “Haru di solito non porta il suo telefono con sé”, li informa infine Makoto.

   “C’è sempre ______-chan!”, riprende la Matsuoka, “Possiamo chiederle se ha scoperto dove si trova”.

   “Si sta facendo tardi. Dovremmo andare a casa”, la blocca il capitano.

   “Ma…”.

   “Non credo che Haru nuoterà domani. Dobbiamo lasciar perdere”.

   Sospirano tutti in sincrono delusi.

   

   Dopo un’interminabile abbraccio, finalmente Haruka decide che sia arrivata l’ora di tornare a casa, sebbene non si preoccupi minimamente della reazione che la sua fuga possa aver innescato nei suoi amici.

   Per tutto il tragitto non ti ha mai degnata di uno sguardo. Forse per frustrazione, forse per rabbia, forse per senso di colpa, ma esso non ti ha mai toccata nemmeno una volta da quando è uscito dalla piscina. Lo stesso vale per la sua bocca, da essa non è trapelato nessun fono, così come la sua mano non si è mai azzardata di sfiorare la tua. Piccole cose che con la loro mancanza feriscono più di un coltello da sushi piantato nel petto.

   Salite le scale che portano al tempio, fermandovi sulla sinistra della seconda rampa, dove si trova la dimora dei Nanase, e vi accorgete che la luce dell’ingresso è accesa. Normalmente tale evento lascerebbe spazio a fausti annunci del telegiornale, ma non per il delfino, conscio di chi possa trovarsi oltre la soglia: l’unico per cui non si sia mai premurato di chiudere la porta a chiave. Un automatico gesto del palmo e questa scorre sulla destra, rivelando la figura di un Makoto rannicchiato contro la parete. Il suo respiro è profondo e regolare, sinonimo che si sia appisolato già da tempo.

   “Makoto?”, vibra flebile la voce del moro, notando che tiene tra le mani il suo cellulare. Cauto glielo sfila, fa scorrere verso l’alto il primo scompartimento del dispositivo, liberando la tastiera, e clicca un paio di tasti prima di accostarselo all’orecchio, nel quale imperversano subito le voci registrate di Nagisa, Rei e Gou. Esala un respiro e i suoi occhi strabuzzano, sovvenendo al suo team durante il primo giorno del torneo, alla loro tenacia non solo negli eventi singoli, ma nel sostenersi l’un l’altro.

   “Fine del messaggio”, chiude il telefono, abbandonando il braccio lungo il fianco, scrutando di nuovo il migliore amico. Ripensa al suo modo di nuotare, alla sua espressione concentrata, alla sua bontà che lo rende così puro da non chiedergli mai nulla, eccetto: Haru-chan, devi essere tu! Io voglio nuotare con te!.

   Il cetaceo cinerino si piega sulle caviglie, portando una mano sulla larga spalla del ragazzo addormentato e, scuotendolo appena, lo sveglia, “Makoto. Makoto”.

   Quest’ultimo apre un occhio, per poi sfregarselo con le nocche, biascicando un “Haru?” impastato dal sonno.

   “Dobbiamo nuotare ad una staffetta, no?”.

   La balena pezzata sobbalza, talmente emozionata dalla decisione inaspettata del compare, da non cogliere che la frase di quest’ultimo suonasse di più come un rimprovero per essere stato lì ad aspettarlo.

   Li osservi gioiosa, Grazie Gou

   Indietreggi, congedandoti in silenzio così da lasciar godere il momento ai due giovani, quando il più alto di richiama, “Aspetta. Ti accompagno a casa”.

   “Non ti preoccupare”, rifiuti, “Non mi va che fai tardi a causa mia”.

   “Non è sicuro incamminarsi da sola a quest’ora. Non si può mai sapere cosa può succedere con tutti i salarymen che si ubriacano dopo il lavoro”, dissente saggio.

   Sorridi, “Grazie, Mako-chan”.

   Salutate Haruka augurandogli la buonanotte e vi incamminate nella penombra della cittadina addormentata senza parlare. Silenzio sempre più imbarazzante man mano che i secondi passano, in attesa di essere infranto.

   “Non mi aspettavo che Haru accettasse di nuotare in una staffetta”, dichiari all’improvviso.

   “Nemmeno io. Ammetto di essere un po’ emozionato”.

   “Sembra di sentire un nonnetto che rievoca i bei tempi andati”, lo pungoli scherzosa, ottenendo una risatina di rimando.

   “Già. Adesso che Rin è tornato, tutto è come prima. Proprio tutto”, sottolinea.

   “Che vuoi dire?”.

   “Quello che ho detto”, sentenzia, smettendo di colpo di camminare. 

   Ti volti a esaminare il suo viso illuminato dal plenilunio. I suoi occhi ti ghiacciano, riservandoti uno sguardo sconosciuto alla tua memoria, incorniciato dalla mimica facciale tesa e dalle labbra serrate.

   “Haru e Rin che usano l’acqua per risolvere la loro innata rivalità, i loro problemi e le loro incomprensioni, attriti che sono aumentati da quando hanno compreso cosa provano nei tuoi confronti. Ed io che puntualmente devo leccare le ferite di tutti, finendo per essere ignorato”, il suo sfogo comincia a suonare disperato, a causa della voce che diventa sempre più acuta e stridula, quasi strozzata, “All’inizio volevo soffocare tutto questo per non complicare ulteriormente la situazione, per Haru, per la nostra amicizia. Ma ora non ce la faccio più. E’ una cosa che è diventata più grande di me. Perché non ti curi di cosa provo anch’io? Perché non ti accorgi di niente? Perché non mi vedi?!”.

   Interrompi il contatto oculare, trovando incredibilmente interessanti i granelli di sabbia che si spostano sul marciapiede in riva al mare, spostasti dalla brezza marina. 

   “Io ti vedo, Makoto”, sussurri, “Ti vedo eccome. E non mi sei indifferente, purtroppo”, un muro liquido inizia ad appannarti la visuale, “Ho cercato di negare tutto a me stessa per sentirmi meno in colpa, perché sono un’egoista egocentrica incapace di fare il bene delle persone a cui tiene. La verità è che non voglio perdere nessuno di voi”.

   “Temi che l’amicizia tra Haru e me finisca a causa tua?”, chiede, addolcendosi.

   “Sì”.

   “Questo non accadrà. Dovresti saperlo”.

   Rialzi lo sguardo su di lui, “Mako-chan…”.

   “Haru sa che sono innamorato di te”.

 

Secondo giorno del torneo

 

   Il sole bacia l’orizzonte coi suoi primi raggi e le suonerie dei cellulari cominciano già a scatenarsi. 

   Nagisa tasta il comodino a palpebre serrate, cercando a tentoni il suo telefono e, quando lo trova, lo porta distrattamente all’orecchio, in un gesto automatico.

   “Hai, moshi moshi?”, balza seduto sul letto coi capelli tutti scombinati e il segno del cuscino sul viso, “Cosa?! Lo ha detto Haru-chan?!”.

   “Nuoterà?”, chiede in un’altra casa e nel medesimo stato Rei, fasciato dal suo affezionato pigiama con le farfalle.

   “Yokatta!”, conclude infine Gou rispondendo alla stessa chiamata, “Chiamerò subito Amakata-sensei!”.

 

   Vi ritrovate al piazzale del centro sportivo, ma mancano i due kohai all’appello.

   “Non vi siete allenati apposta per la staffetta, giusto?”, domanda l’insegnante da sotto il suo ombrellino.

   “Non so come faremo ma ce la metteremo tutta”, la rincuora il capitano per poi guardare il compagno, “E questa non è la nostra prima volta”.

   “Ma per Ryugazaki-kun…”.

   “Nagisa-kun e Rei-kun non sono ancora qui”, comincia ad agitarsi la squaletta.

   “Perdonate il ritardo!”, udite risuonare la voce del sauro dal nulla.

   “Accidenti, che stavate facendo?”.

   I due si scambiano uno sguardo d’intesa.

   “Ci stavamo esercitando nel cambio, in piscina, a scuola”, replica soddisfatto il turchino.

   “Questo elimina la possibilità che Rei-chan fallisca completamente!”.

   “Quando vi siete—”.

   “Haru-chan…”, il biondo lo interrompe, “… il fatto che nuoteremo di nuovo insieme in una staffetta mi entusiasma”.

   “Facciamo del nostro meglio insieme, Haruka-senpai”, prosegue Quattrocchi.

   “E’ arrivato il momento di dimostrare che il nostro allenamento ha dato i suoi frutti!”.

   “E’ per questo che siamo qui!”.

   “Quanto entusiasmo”, affermi allibita ed emozionata.

   “Facciamo del nostro meglio!”, Gou punta il pugno chiuso in direzione del cielo, seguita da un coretto d’assenso.

   In una delle zone relax, mentre i quattro nuotatori si preparano per gareggiare, le corde di Nitori Aichiirou si traducono in un gridolino.

   “Matsuoka-senpai! Vieni con me, presto!”.

   “Cosa c’è?”, risponde l’altro, non voltandosi neanche a guardarlo, troppo preso dai suoi torvi pensieri riguardo a ciò che Makoto gli sputò addosso il giorno precedente, “Non è ancora il momento per la staffetta della Samezuka”.

   “Non c’entra questo! Il club di Nanase-san partecipa alla staffetta!”.

   “Eh?”, chiede stordito, cogliendo solo qualche attimo dopo il significato delle sue parole.

   Con uno scatto felino, Rin abbandona la panchina e accorre all’ingresso della piscina riservato agli atleti, seguito dal compagno di stanza. 

   Il vento lo frusta in pieno volto, costringendolo a ripararsi con il braccio.

   Li vede.

   Si sono iscritti al relay?

   Digrigna i denti, analizzandoli da lontano, specialmente quando scorge l’espressione distaccata del delfino.

   Un fischio e Makoto entra in acqua, afferra il trampolino da sotto e si mette in posizione per la partenza da dorsista.

   “Via!”.

   Si lancia in sincrono agli sfidanti e, una volta conclusa la parte in apnea, risale in superficie, sconvolgendo lo squalo: La sua bracciata. Una bracciata ruvida, ma dinamica, che lascia tutti indietro. Non è per niente cambiata da allora. Quella è la bracciata di Makoto.

   La sua mano schiaffeggia la parete e Nagisa infrange l’acqua all’istante.

   E non posso dimenticare la bracciata di Nagisa, come acquista velocità dopo il giro e come crei l’illusione che le braccia si estendano quando nuota.

   Un’altro cambio ed è Rei a finire nel mirino del pescecane, guadagnandosi nient’altro che astio e indignazione: E lui… Quello dovrebbe essere lo stile a farfalla?! Patetico!, stringe maggiormente le nocche, Perché qualcuno come te nuota con loro?!, si chiede, visualizzando se stesso in quel quartetto ad undici anni. Come può essere stato sostituito da un simile principiante?

   Ed infine è la volta di Haruka.

   Le loro iridi si incrociano per una frazione di secondo, il tempo di assestare gli occhialini sul setto nasale. Sui loro volti si dipingono confuse migliaia di espressioni differenti.

   Il cetaceo spezza la connessione, preparandosi al tuffo di ingresso, Non ho bisogno di una risposta adesso. Per ora…

   Le grida si placano, gli incitamenti ammutoliscono, gli sguardi s’accecano e le persone spariscono. Ora esiste solo una cosa per il freestyler: la sua corsa con l’acqua.

   Le mani del kohai si poggiano sulle piastrelle azzurre e il senpai libra in aria.



Note d'Autore

Sono tornata!!

Vi ho fatto attendere ancora troppo tempo e me ne scuso vivamente. Tra l'entusiasmo di essermi diplomata, la spossatezza fisica post-esami, le pratiche universitarie con i vari test annessi, le meritate vacanze ed una buona dose di malavoglia di stare al computer, questo capitolo a faticato a venir fuori come lo volevo. Il poveretto è stato rivisto, riscritto, ritrattato milioni di volte prima di essere terminato e forse non è neanche bello come altri che sono stati più spontanei.

Non smetterò mai di ringraziare tutti coloro che mi sostengono e che mi hanno contattato in questi mesi, sia gli affezionati che i novellini. Grazie infinite. Grazie per l'incoraggiamento, la fiducia e l'entusiasmo che mi trasmettete ogni volta. Mi fate sentire davvero speciale.

Spero che anche questo capitolo soddisfi questo lungo periodo di attesa.

See you next water time! (che bello poterlo dire di nuovo!)

Claire DeLune


   
 
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