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Autore: SweetMelany    06/08/2014    0 recensioni
Le strade erano deserte e nessuno avrebbe potuto fare la spia al mio mentore. Eccezion fatta per un giovane. Anche lui mattiniero, si stava dirigendo nella direzione opposta alla mia. Non dovevo agitarmi per così poco. In fondo, proprio come lui, stavo passeggiando e non poteva sapere, e soprattutto dimostrare, quello che ero andata a fare, a quell'ora del mattino. Aveva viso e corpo coperti da un mantello blu oceano. Si notava perfettamente che non era un abitante della cittadella dal materiale di cui era composta la sua cappa: seta. Una stoffa che un semplice abitante non si sarebbe procurato facilmente, o almeno non senza essersi giocato un occhio della testa, quindi doveva far parte della corte. Aveva le spalle larghe, di certo era stato addestrato come tutti gli appartenenti alla sua classe sociale. Mentre camminava teneva il capo chino: un comportamento anomalo, tenendo in considerazione la sua probabile discendenza. Quando gli passai vicino sentii chiaramente un forte profumo di cenere e di muschio fresco.
Un odore del genere poteva provenire solamente da…
Appena quel pensiero mi sfiorò la mente, il giovane si voltò a guardarmi, trafiggendomi con i suoi bellissimi occhi turchesi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galvano | Coppie: Gwen/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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QUATTRO





Mi trovavo nella mia camera: stavo riordinando i vestiti e sistemando un po’ meglio i mobili per renderla più accogliente. Tutto a un tratto la porta sbatté a terra con un boato che rimbombò per le pareti per parecchi secondi. Nessuno si era preoccupato di bussare e io, sconcertata, non avevo la forza di ribattere, indignata com’ero da quell’entrata a dir poco rumorosa e per niente ben accetta, per lo stupore di quella scena.
Erano state le guardie, le quali capeggiate dal ragazzo biondo che avevo incrociato in corridoio appena due ore fa. Come aveva fatto a trovarmi così presto? Che il sorvegliante di prima avesse avuto dei sospetti per colpa del mio discorso? Ero stata davvero poco convincente? Gli lanciai delle occhiate di fuoco, piene di odio e risentimento, anche se lui non ricambiò. Mi guardava con espressione addolorata, come se gli dispiacesse della sorte che mi attendeva, ma non avesse altra scelta se non quella di condannarmi.
Uno dei suoi sottoposti mi afferrò per il braccio e mi trascinò fuori per i corridoi, deserti data la tarda ora. Mi sorprendevo io stessa del fatto che non cercassi di dibattermi, in preda alla rabbia. Che tenessi poco alla mia vita? Ci avvicinammo a passo lento alla sala del consiglio, dove sarebbe stata decisa la mia sorte: sembrava tutto irreale.
A metà strada incontrammo sul nostro passaggio il Capo della Guardia, accompagnato dal principe Alden, il mio signore. Entrambi mi osservarono di sbieco, ma nonostante questo, non distolsero mai lo sguardo dal mio. Non mi preoccupai neanche del fatto che il primo potesse riconoscermi, il che era sospetto. A un certo punto Lancel, non seppi il motivo ma sentivo la necessità di chiamare il Capo della Guardia per nome almeno nella mia testa, si decise ad aprire la bocca per parlare.
- Sire, lasciate che mi occupi io della prigioniera -. La sua voce era proprio come la prima volta che l’avevo udita: vellutata e profonda. Non mi accorsi immediatamente, per questo, delle parole che erano uscite dalle sue labbra. Aveva detto “sire”? Che motivo aveva per volermi accompagnare di persona, se eravamo quasi arrivati? Che credesse di avere un qualche privilegio nei miei confronti, dato che mi aveva sorpreso lui stesso nell’armeria? Qualunque fosse la ragione, ero estremamente tranquilla vista la situazione.
Le guardie non si azzardarono a controbattere, mi consegnarono nelle mani del loro capo, il quale specificò che non era necessaria la scorta. Non ne sapevo il motivo, ma intuii che fosse una frecciata diretta al ragazzo che ne era accompagnato, lo stesso che avevo incontrato in quegli stessi corridoi ore fa. Un’ira inattesa si formò dentro di me, tanto che dovetti guardare male Lancel per riuscire a calmarmi almeno un po’, come unico sfogo. La situazione era talmente assurda che ormai non mi stupivo più di niente. Comunque fosse, non ero stata l’unica ad aver avuto quella impressione, perché anche il giovane a cui era diretta la critica iniziò a lanciargli delle occhiate per niente amichevoli, ma rimanendo in silenzio. Anzi, ammonitrici.
Infine, tutti si decisero ad andarsene, come aveva stabilito il mio, in qualche modo, salvatore. Sapevo che era così, anche se non riuscivo a spiegarmene la causa. Quando anche l’ultima guardia ebbe svoltato l’angolo, Lancel cominciò a strattonarmi e, senza rendermene conto, stavamo correndo in tutt’altra direzione. Alla fine del corridoio vi erano delle scale che non avevo mai visto prima. Quando lui scese senza un attimo di esitazione, io, senza obiettare, feci lo stesso. Erano buie e non vi si affacciava alcuna finestra. Erano appena schiarite dalla luce fioca delle torce appese alle pareti. Mentre scendevo alla svelta gli scalini, nella speranza di non inciampare, una voce mi sussurrò all’orecchio delle frasi che non riuscivo a interpretare completamente. Man mano che calavamo nelle tenebre, questa diventava sempre più forte e costante. Era come un mantra: continuava a ripetere le stesse parole svariate volte.
Da questa parte!
Possibile che l’avvertissi solo io? Eppure l’idea non mi spaventava affatto, provavo la sensazione di essere al sicuro. Che fosse la vicinanza di Lancel a causarla?  Ero talmente presa dall’incessante corsa che non mi accorsi che nel frattempo aveva spostato la presa più in basso, fino a tenermi per mano, anziché trascinarmi per il braccio. Un’azione che mi provocò imbarazzo e mi dipinse un rossore sulle guance, ma che allo stesso tempo era piacevole. Sapevo che sarei potuta rimanere al suo passo anche se avessi mollato la presa, ma non lo feci. Volevo avere la prova tangibile che lui si trovava lì, al mio fianco, e che mi sarebbe rimasto vicino. Ormai avevo accettato questa bizzarra realtà e quindi decisi di darle corda, come se fosse un gioco. Non m’importava più di tutte le incongruenze che vi erano. Decisi che era meglio vivere l’esperienza appieno.
Fatti tutti gli scalini, davanti a noi si erse un’immensa arcata, attraversata da una porta massiccia. A quel punto, un dubbio iniziò a formarsi nella mia testa: che mi avesse portato direttamente alle prigioni? Dentro di me brillava ancora la speranza che non fosse così e decisi quindi di non spegnerla. Sperai vivamente che fosse sensata. Intanto, lui stava frugando nelle fibbie della sua cintura alla ricerca di una chiave ben precisa. Quando riuscì a trovarla, la infilò nella serratura, gli fece fare due giri completi in senso orario e quella scattò. Lancel sospinse la porta che si spalancò con una serie di cigolii. Doveva essere rimasta sigillata per anni, rimuginai. I cardini avevano su di loro il segno del passare incessante del tempo, erosi dalla ruggine e ormai a pezzi. Dietro vi erano altre gradinate, di cui però questa volta si vedeva la fine. Lancel si armò di una torcia, tenendola alta davanti a sé, e scendemmo in fretta, ansiosi di terminare quella corsa che sembrava infinita.
Arrivati a destinazione, mi trovai davanti un’immensa grotta, ricoperta di stalattiti e stalagmiti enormi quanto case. Assumevano un colore ocra alla luce soffusa del fuoco, ma l’oggetto che mi lasciò senza fiato in corpo fu il gigantesco drago alato che si stava avvicinando a noi e che soffiò una spirale di fuoco nella nostra direzione, senza alcuno scrupolo o ripensamento.
 
 
Mi svegliai in preda agli spasmi, ricoperta da un lieve velo di sudore su schiena e viso. Era stato solo un incubo.
 
   
 
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