Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: Mrs_Snape    09/08/2014    1 recensioni
Una ragazza con un dono, un dono speciale, che le permette di vedere ciò che gli altri non vedono.
E se questo dono le consentisse di vedere il suo unico amore, Michael Jackson? Colui che "Era come un raggio di sole, che portava colore e vita nella mia grigia e monotona esistenza fatta di pillole colorate, per curare la mia presunta schizofrenia, e dottori dal viso sorridente."
Genere: Fantasy, Fluff, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno dovevo di nuovo vedermi con Qemuel; era da tempo che volevamo andare ad un faro fuori città ma non ne avevamo mai avuto il tempo. Mi misi abiti comodi e scarpe da ginnastica, visto che il luogo era abbastanza fuori mano e non volevo fare la figura dell’imbranata, anche se probabilmente l’avrei fatta comunque. Mentre mi preparavo stavo attenta ad eventuali cambi di odore nell’aria e scrutavo ogni angolo nella speranza di vedere Michael spuntare all’improvviso.
Alle 10 scesi e Qemuel era già sotto casa mia con l’Harley Davidson parcheggiata sul marciapiede. Reggeva un casco in mano e l’altro era appoggiato sul sediolino della moto. Persi qualche attimo a guardarlo. Era proprio… Divino. Non c’erano altri termini per descriverlo. Sembrava quasi un angelo. I lunghi capelli biondi risplendevano alla luce e contrastavano con il suo abbigliamento scuro da bad boy (canotta di qualche gruppo rock e jeans stracciati con borchie e catene).
- Helena, Helena you've given love and massive pain. Helena, Helena your words are burning like black rain - Mi salutò canticchiando una canzone, probabilmente degli Axxis. E poi mi porse il casco sulla moto mentre si infilava il suo.
- Buongiorno anche a te.- gli dissi sorridendo e lui mi rispose con un occhiolino.
Mise in moto sempre continuando a canticchiare - Helena, Helena you set my soul in ecstasy. Helena, Helena you were my saint my sanctuary. –
Mi sedetti dietro e, non sapendo dove mettere le mani, le misi intorno ai suoi fianchi, appoggiandomi a lui, mentre partiva sgommando da casa mia.
Dopo un’ora di viaggio lungo al costa arrivammo al faro, circondato da tanti alberi ed erba altissima.
- Ed eccoci qua.- disse togliendosi il casco e sistemandosi i lunghi capelli che risplendevano alla luce.
- E’ bellissimo qui.- dissi stupefatta osservando il panorama.
- Devi vedere in cima al faro.- disse lui ammiccante. Poi mi prese la mano e ci dirigemmo verso il faro.
Mi sentii pervadere quasi da una scossa che partiva dalle nostre mani e si irradiava in tutto il mio corpo; quasi sicuramente ero arrossita ma fortunatamente lui non me lo fece notare. Armeggiò con la serratura e la porta si aprì cigolando. Dentro la luce filtrava da delle finestrelle rotte e la polvere turbinava nell’aria. Iniziammo a salire le scale in ferro, io titubante lui divertito. Chissà da quanti anni non salivano persone lì. In cima c’era il vecchio appartamento del custode, di cui restava un vecchio divano mangiato dalle tarme, un tavolo in legno e lo scheletro di un letto. Sugli scaffali c’erano ancora dei libri di navigazione impolverati. Al centro della stanza c’era una scala a chiocciola che portava in cima. Qemuel aveva ragione, lo spettacolo da lassù era stupendo. Mi appoggiai alla ringhiera guardando l’oceano che si prostrava infinito davanti a me. Improvvisamente lui mi cinse da dietro e mi diede un delicato bacio sul collo, che mi fece scorrere dei brividi di piacere dal collo fino al ventre. Mi girai verso di lui e incrociai i suoi occhi blu, persino più blu del mare, che mi fissavano. Avevano un qualcosa di sovrannaturale in quel momento, con le pagliuzze dorate che splendevano per i raggi del sole. Non sapevo cosa mi stesse succedendo ma avevo una voglia matta di baciarlo; così lo feci. Gli infilai la mano fra i capelli e lo tirai a me, baciandolo con passione. Un bacio a cui lui rispose con entusiasmo e in men che non si dica eravamo sul polveroso divano del custode, io in braccio a lui, lui con le mani sul mio sedere a baciarci con passione.
Sapevo che non era il momento adatto ne il luogo però sentivo che volevo andare oltre i baci così gli sfilai la maglietta e nel farlo sentii delle profonde cicatrici sulle sue scapole. Mi fermai di colpo e le osservai da vicino. Erano veramente profonde e dai bordi rosei e regolari.
- Come te le sei fatte? – gli chiesi
- Te l’ho detto, mio padre era molto dolce con noi.- disse con un filo di voce – scusa non ho voglia di parlarne.-
- Va bene.-
Ormai il momento era perso e ci guardammo imbarazzati. Poi lui sorrise e si rimise la maglia. Io mi alzai cercando di aggiustarmi i capelli.
- Torniamo a casa?-
- Sì- sussurrai.
Il viaggio di ritorno non parlammo molto. Almeno per quel che mi riguardava, ero troppo occupata a pensare a ciò che era appena successo; e troppo occupata ad imprimermi nella mente il suo sapore e la sensazione delle sue mani sul mio corpo.
Parcheggiò sotto al mio portone. Smontai goffamente dalla moto e gli porsi il casco. Lui però afferrò la mia mano e mi tirò a sé, baciandomi.
- Ci sentiamo.- mi sussurrò ad un centimetro dalle mie labbra. Ma io avevo momentaneamente perso la capacità di parlare.
Lui ridacchiò e ripartì, lasciandomi lì a fissarlo imbambolata. 
 
  
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