Anime & Manga > Diabolik Lovers
Segui la storia  |       
Autore: Amaya Lee    25/08/2014    1 recensioni
Arashi si scrive con lo stesso simbolo di "tempesta".
Questa storia comincia con due ferite verdi, limpide ma impenetrabili, e una cappa nera che viaggia imperturbata nella neve.
Poi gocce di sangue, un ticchettio semplice, distinto, elementare, che scandisce ogni istante di un tempo che scade.
L'attesa di un cambiamento si tramuta nella speranza di sopravvivere, scendendo a patti con incubi radicati troppo in profondità, mentre paure ipnotiche e scomode sbocciano in passione dolorosa.
La creatura più fragile non può sciogliere le catene del suo destino, non può ribellarsi al compito per cui è stata scelta, e più si dimena, più le ombre la trascinano a fondo.
Chi ha pianificato tutto questo e impugna i fili del fato resta nell'ombra, nell'attesa che la tempesta si faccia domare. Una risata disumana si eleva dalle profondità del Lago, una risata che per secoli è rimasta sepolta nell'oblio, nell'attesa di essere udita.
L'ultima parola di questa storia è "vendetta", e deve ancora essere pronunciata.
{tratto dal testo}
[...] Si trattava della legge del più forte, una regola che nemmeno le preghiere avrebbero potuto spezzare.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kanato Sakamaki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

II

Origin

 






 

L'immaginazione non è uno stato mentale,
è l'esistenza umana stessa.

William Blake


 











La mia rovina ebbe ufficialmente inizio quando la portiera posteriore dell'utilitaria si chiuse con un colpo, secco e deciso.

Non c'era spazio per i bagagli se non sui sedili posteriori, accanto a me, ma nonostante lo spazio ristretto mi sentivo libera, svincolata da ogni legame con quel minuscolo paese. La Chiesa poteva permettersi veicoli migliori, tuttavia, non ne avevo a male. Ero grata quanto bastava per la borsa di studio, il mezzo di trasporto non rappresentava un fastidio.

L'importante era che finalmente potessi lasciare quella vita.

I miei genitori mi rivolsero un ultimo saluto, guardando scomparire l'auto nera oltre l'angolo. Non avvertii nessun vuoto nel petto, nessuna mancanza, nessuna traccia di nostalgia.

Così mi rilassai sul sedile, lasciandomi cullare dal movimento regolare dell'auto, la quale si lasciava alle spalle le montagne e attraversava la pianura. Un sorriso danzava sulle mie labbra, e lo rivolsi al paesaggio che scorreva sotto i miei occhi impazienti.

Quella notte avevo dormito poche ore, il minimo indispensabile, e mi ero alzata almeno cinque volte per controllare che tutti gli effetti personali che volevo portare con me fossero stati inseriti della valigia. In più avevo una borsa da viaggio blu elettrico e una valigetta più piccola, che conteneva libri e qualche manga clandestino.
E, naturalmente, c'era la foto. L'unica che avevo deciso di tenere.

Raffigurava una bambina dai codini biondi e dal sorriso vivace, al quale mancavano un incisivo superiore e alcuni molari. Queste piccole assenze erano colpa della temerarietà della piccola, che soleva arrampicarsi sugli alberi più alti, sul muretto della scuola elementare, e correre a perdifiato giù dalle gradinate.

Umiko andava fiera dei suoi denti mancanti. Li considerava autentici trofei, più che ferite di guerra.

Al tempo, io ero la sua compagna di spericolate avventure. Inutile dire che essere anche sua fedele amica mi riempiva d'orgoglio.
Scossi la testa, perché d'un tratto i miei occhi non vedevano più la sterminata campagna, bensì un tratto di asfalto già tiepido, sotto al sole mattutino, sul quale si allargava una macchia di sangue.

Immagini di un incidente, un incidente che poteva essere evitato. Una morte ingiustificata.

La vendetta era ciò che mancava a quel delitto, ma non c'era nessuno a cui farla pagare. E questo mi riempiva di rabbia.

Sospirai sconfortata, mentre i miei occhi si chiudevano placidamente, finestre sul mio nuovo mondo di libertà che, stanche, dovevano essere sbarrate.


Mi svegliai di colpo, e sbattei più volte le palpebre, in modo da far sfumare l'immagine del sangue. Appena in tempo per vedere un pesante cancello di ferro aprirsi, in modo da permettere l'accesso nell'enorme giardino della residenza.

L'utilitaria però si fermò all'esterno, e l'autista non diede segno di volersi spingere oltre. Mi esibii in uno sbuffo stizzito, uscendo dal veicolo. Dovetti anche trascinare fuori tutti i miei bagagli da sola, non senza fatica. Fortunatamente ero il tipo di persona che viaggia leggera.

La valigia aveva le rotelle, perciò la trascinai usando la maniglia estraibile, trasportando la ventiquattrore con la stessa mano. Mi caricai la borsa da viaggio in spalla, senza voltarmi ad osservare il mio mezzo che faceva retromarcia e se ne andava.

Fatti pochi passi oltre il cancello, questo cominciò a richiudersi, con un movimento estenuante e quasi sinistro.

Non mi permisi di provare alcun tipo di timore, e mi addentrai nel labirinto di rose che circondava la tenuta. Ero a dir poco stupefatta. Non immaginavo nemmeno che la mia residenza degli anni successivi sarebbe stata di tale grandezza e splendore, e dubitai persino che fosse il posto giusto. L'enorme villa gotica sorgeva accanto ad un lago, circondata da un bosco che sfumava in prati vastissimi. Doveva essere l'unico edificio nel raggio di miglia.

La Chiesa mi aveva informato, attraverso i miei genitori, che sarei andata ad alloggiare presso un'antica famiglia, i Sakamaki, i quali avevano un forte legame con la comunità del mio paese. Non mi era stato riferito che genere di legame, e nemmeno che fossero nobili.

Dedussi, guardando la loro dimora, che dovessero essere molto ricchi, e anche illustri.

Il nome Sakamaki non mi diceva nulla, ma probabilmente la colpa era della cupola di ignoranza che proteggeva il mio paese dal mondo esterno.

Notai che le rose fossero estremamente curate, e in cuor mio immaginai che il merito fosse delle amorevoli attenzioni di un giardiniere, il che era riconducibile ad amorevoli attenzioni dei padroni.

Il posto era splendido.
L'acqua che sgorgava da una fontana, al centro del giardino, brillava di mille riflessi alla luce del sole. Non mi lasciai incupire dalle nubi scure che circondavano l'astro, e che coprivano la maggior parte della volta celeste, e proseguii dritta.

Dopo aver visto quanta bellezza fosse contenuta in quel luogo, le mie domande sulle persone che mi avrebbero accolta si erano quietate, lasciando spazio alla meraviglia. Non ero una persona eccessivamente ottimista, ma mi sforzavo di contemplare ogni dettaglio sotto una luce fiduciosa. La prima cosa da fare era ambientarsi.

Solo quando giunsi sulla soglia mi colse una sensazione insolita.

Sollevai lo sguardo ai numerosi balconi, sulla facciata dell'edificio. Le imposte erano tutte chiuse.

Poi, con la coda dell'occhio, e solo per un battito di ciglia, mi parve di cogliere un movimento alla mia sinistra, vicino ad una delle tante ringhiere di pietra del secondo piano. Ebbi come l'impressione che qualcuno ci fosse seduto sopra. Un fruscio viola, che si volatilizzò un attimo dopo.

Mi scrollai di dosso quella che doveva essere stata un'illusione. Forse ero più nervosa di quanto pensassi.

Fissai titubante le maniglie che decoravano la porta d'ingresso. Nessuno era venuto ad aprirmi, e ne dedussi che il cancello fosse automatico. Doveva esserlo.

In assenza di campanelli, afferrai una delle maniglie di ferro. Mi accorsi che le mie dita tremavano, perciò non esitai oltre.

Il rumore metallico e sonoro si diffuse all'interno delle mura, ma non avvenne nulla. La porta rimase serrata.
“È permesso?” urlai, sperando che qualcuno sentisse. Di nuovo niente.

Questi Sakaquelcheè se la prendono un po' troppo comoda. Mi accigliai, battendo le nocche sul legno intagliato, con forza.

“Ehilà!” chiamai, continuando a bussare, mentre la mia pazienza a poco a poco si esauriva. Attesi ancora una manciata di secondi, ma non potevo starmene sulla soglia in eterno. Irritata, afferrai la maniglia del portone, spingendola. Non si apriva. Era sigillata dall'interno.

Eppure doveva esserci qualcuno in casa. L'autista era stato assunto dalla Chiesa, conosceva la destinazione e sapeva bene dove portarmi.
Tirai un calcio alla porta, maledicendo la borsa di studio, il lungo e inutile viaggio, e quella strana famiglia di cui non sapevo nulla.
Trasalii quando, subito dopo il mio sfogo di frustrazione, il battente si socchiuse.

Dapprima ne rimasi impressionata, ma poi mi decisi a spingerlo ulteriormente, creando un'apertura abbastanza larga da permettermi di passare.

Che serva perdere la pazienza per entrare in questa casa?

Ancora scossa, proseguii all'interno. La porta si richiuse con un cigolio lugubre alle mie spalle, mentre il mio cuore si spostava in gola, palpitando sempre più forte.

Era possibile che i miei ospiti non fossero a conoscenza del mio trasferimento? Eppure ero certa che la Chiesa li avesse avvertiti. Dovevano per forza sapere che sarei arrivata, almeno con qualche giorno di anticipo.

D'un tratto la risposta mi fu chiara: si trattava di uno scherzo.
Non mi aspettavo che i padroni di una famiglia di tale rilievo fosse in grado di escogitare simili burle, ma evidentemente erano più spiritosi e diabolici del previsto. Dovevano certo far parte del loro piano per spaventare i visitatori quei soffitti alti, ad arco, e quelle colonne di marmo, e anche quel lungo tappeto dello stesso colore del sangue, che ricopriva la lunga scalinata dell'ampio impresso.
Le candele di un lampadario appeso al soffitto gettavano una luce traballante sull'ambiente, ma costituivano l'unico bagliore. Il silenzio era tombale.

Ma ci voleva ben altro per turbarmi.

Certo, riconoscevo che il trucco della porta che si apriva da sola fosse una gran trovata, ma era successo prima che li smascherassi. Trascinai la valigia a rotelle accanto a me, guardandomi intorno come per ammirare la tetra ed elegante atmosfera, in cerca di spettatori. Non ne trovai.

“C'è nessuno?” chiamai, con voce candida e per nulla agitata. Avevo intenzione di stare al gioco, partecipare a quella farsa, in modo da chiarire fin da subito di essere quel genere di persona che non si fa impressionare dalle case di fantasmi.

La mano aveva smesso di tremare.

Non mi raggiunse nessuna risposta, ma non ero sicura di aspettarmene una. Mollai la presa sulla valigia più grande, e le depositai accanto la borsa da viaggio, con un tonfo che rimbombò tra le pareti. Misi la ventiquattrore in equilibrio tra le due, incerta su cosa fare in seguito. Fui sollevata di essermi tolta il peso dei bagagli.

Soppesai a lungo i gradini di marmo che conducevano al piano superiore, immaginando quali stanze potessero trovarcisi.

“Scusate...?” Al mio ennesimo, inutile richiamo, feci cadere le braccia lungo i fianchi, innervosita.

Prima che la mia curiosità avesse la meglio e, constatato che non ci fosse nessuno, mi mettessi a girovagare per casa, sentii dei passi leggeri provenire dal corridoio sinistro al primo piano.

Sollevai di scatto lo sguardo. Dall'oscurità emerse un ragazzo altissimo, con lisci capelli grigi a incorniciargli il volto bianco ed affilato. Era giovane, ma gli occhiali dalla montatura sottile ed elegante gli conferivano la maturità di un uomo, e qualche anno di più. Ma forse c'era dell'altro. La raffinatezza dei movimenti, l'espressione indecifrabile ma dura, tutto di lui lo faceva sembrare molto più vecchio. Eppure non poteva avere che qualche anno più di me. Portava alle mani dei distinti guanti bianchi.

Sembrava provenire da un'altra epoca, circondato da quell'atmosfera signorile, seppur inquietante. Mi sentii improvvisamente inadeguata, con i miei pantaloni attillati e la felpa azzurra con il cappuccio, fin troppo sbarazzina. Ringraziai di non essermi legata i capelli, che formavano delle composte onde nere ai lati del mio viso, dandomi un'aria un po' più adulta e risoluta. Li avevo tagliati poco tempo prima, perché lunghi avevano finito con il darmi fastidio, e mi arrivavano più o meno alle spalle.

Gli intensi occhi del ragazzo mi fissavano saccentemente. Ma io rimasi colpita dal fatto che fossero rossi.
“E tu saresti?” disse, la voce ferma e lievemente arrogante.

Aggrottai le sopracciglia, ma mi affrettai ad esibirmi in un inchino appena accennato. “Sono Arashi Hisoka. Questa è la residenza Sakamaki, giusto? La Chiesa dovrebbe avervi informati del mio arrivo, mi hanno mandata a stare qui per qualche tempo. Ho ricevuto una borsa di...”

“Capisco.” Il ragazzo mi interruppe con un cenno pedante della mano. “Vorresti fare il piacere di non parlare a voce così sfrontatamente alta?”

Arrossii di fronte alla sua arroganza, e provai vergogna.
“Hai svegliato tutta la casa” continuò, come se gli fosse piaciuto mettermi a disagio, e avesse deciso di calcare la mano.

“I-io...” farfugliai, chinando il capo. Nel mio profondo avrei voluto rispondere per le rime, ma cercai di salvare quel poco di immagine che, speravo, era rimasta indenne dalla figuraccia. Dovevo farmi apprezzare dal padrone di casa, nonostante costui fosse sgradevole.

Trattenermi mi costò fino all'ultimo briciolo della mia forza di volontà.

“Chiedo perdono.” Denti stretti, mascella rigida, abilmente nascosti da un inchino.

Portare rispetto per le persone presuntuose ed autoritarie non mi era mai riuscito molto bene. E, in secondo luogo, mi chiesi come avessi fatto a “svegliare tutta la casa” quand'era pomeriggio inoltrato.

Lui schioccò la lingua, poi si voltò, dandomi la schiena. “Si, eravamo a conoscenza della tua venuta. I tuoi effetti personali verranno portati nei tuoi alloggi. Tu seguimi.”

Intanto aveva cominciato a camminare, tornando ad immergersi nel buio. Salii i gradini di fretta, lanciando un'ultima occhiata ai miei bagagli. Ma, constatai con una nota di stupore, questi erano già scomparsi.






















Angolo Autrice:
Buonasera♥
non ho molto da dire su questo capitolo, inviterei voi a lasciarmi una recensione per farmi sapere che ne pensate :) ringrazio la Vale, UnaScuotitriceDiParole, per aver recensito i precedenti due capitoli, grazie di cuore♥
a presto!
Nico

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Diabolik Lovers / Vai alla pagina dell'autore: Amaya Lee