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Autore: _Carrotscupcake_    27/08/2014    5 recensioni
Sono John Watson e oggi risolvo casi con il mio migliore amico e marito Sherlock Holmes. Sherlock è un genio, un vero e proprio genio, l'ho visto risolvere i quesiti più assurdi in meno di un minuto, davanti ai miei occhi. Ho deciso di scrivere questo blog affinché tutti possano apprezzare la sua intelligenza quanto l'ho sempre apprezzata io, e amarlo, anche se sembra impossibile dato che al mondo non esiste una testa di cazzo più insopportabile di lui. Questa storia parla del nostro primo caso assieme e di come, lentamente, ha fatto sì che lo amassi, e aveva solo diciassette anni.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal blog di John Watson: Il suo bizzarro hobby.

<< Sapevo che saresti venuto. >> Sherlock mi colse di nuovo alle spalle mentre lo aspettavo davanti alla porta del 221b di Baker Street, sobbalzai, e mi girai verso di lui un po’ irritato.
<< Ciao. >> gli dissi.
<< Oh, giusto. E’ così che si inizia una conversazione.. Noi non l’avevamo mai fatto così, comunque. >> mi fece notare.
<< Fa un po’ come vuoi. >> gli risposi, passandomi una mano tra i capelli per il nervosismo.
<< Ciao, John. >> mi sorrise, e io ricambiai facendomi un po’ da parte, mentre lui suonava il campanello con insistenza.
<< Sembra molto bello qui. >> affermai, un po’ preoccupato per quanto potesse venire a costare.
<< Non ti preoccupare, la proprietaria è un’amica di famiglia. Ci farà un prezzo di favore.>> mi tranquillizzò lui senza nemmeno aspettare di sapere se io avessi voglia di condividere quella mia preoccupazione. Ormai iniziavo a farci l’abitudine.
Ci aprì la porta una signora, che aveva dei corti capelli neri, un vestitino viola e un sorriso affabile, pensai avesse l’età di mia madre. Mi domandai subito perché Sherlock avesse bisogno di me per dividere l’appartamento. Era chiaro che lui poteva permetterselo, e comunque mi aveva detto che grazie alla mia presenza i suoi genitori si sarebbero convinti a lasciarlo andare, ma in realtà c’era già la proprietaria che era un’adulta e in più un’amica di famiglia. Comunque decisi di non farmi troppe domande, dal momento che, anche se non sapevo come mai servissi a Sherlock, lui a me serviva decisamente.
L’appartamento era molto carino. C’era un salotto che sarebbe stato abbastanza ampio per noi due, aveva un camino, cosa che per me è davvero fondamentale. Davanti al camino c’erano due poltrone e nella parete infondo un divano, sembrava tutto molto confortevole e bello e anche abbastanza antico. Sul pavimento c’era un bellissimo tappeto rosso, io amo i tappeti, danno un senso di calore e di casa. Sentii subito che quel posto sarebbe stato perfetto per me, se non fosse stato per l’immenso disordine che lo affollava.
Sul salotto c’era una porta che dava sulla cucina, che era abbastanza grande e attrezzata di tutto il necessario, c’era anche un bel tavolo di legno, ma anche quello era sommerso da cose assurde, giurai di averci visto anche delle dita umane.
Infondo al corridoio, c’era una camera da letto e un bagno, e poi delle scale davano ad una seconda camera da letto.
La signora Hudson, così si chiamava la proprietaria, ci fece del tè con i biscotti, e ci intimò di accomodarci in salotto. Presi posto su una delle due poltrone davanti al camino e Sherlock sull’altra. La signora ci lasciò a discutere e a prendere una decisione.
<< Allora, che ne dici? >> disse Sherlock, con il suo solito sorriso soddisfatto stampato sulle labbra.
<< Si dovrebbe mettere un po’ a posto, è un casino qui dentro. >> commentai, cercando di sminuire il mio entusiasmo per evitare che lui mi prevedesse anche il giorno in cui mi sarei trasferito. Il suo sorriso si spense e la sua espressione si indurì.
<< Quelle cose non si toccano. >> commentò freddo.
<< Oh, è roba tua.. >> mi alzai subito, per andare a dare un occhiata, incuriosito. Non era per niente il tipico disordine di un adolescente. Erano cose assurde, come occhi di rana, o strani liquidi colorati, c’era persino un piccolo teschio, posai il tè sopra al camino e lo presi in mano.
<< Potrei chiamarlo John. >> disse lui, che mi aveva seguito con lo sguardo. Ridacchiai.
<< Meglio di no. >> posai subito quel teschio.
Mi spostai in cucina, e lui mi venne dietro, forse temendo che potessi toccare qualcosa. Continuando a guardare le sue cose, mi accorsi che quelle sul tavolo erano davvero dita umane. Rabbrividii.
<< Cosa sono tutte queste cose, Sherlock? >> gli chiesi.
<< Esperimenti. >> disse lui e nella sua voce comparve una scintilla di fierezza.
<< Oh.. >> commentai, continuandomi a guardare intorno sempre più curioso. << Potrebbe davvero essere… Affascinante. >>
Sherlock non rispose allora alzai la testa per guardarlo, e lui stava già guardando me, anzi piuttosto mi stava fissando, assorto in un pensiero che non ero capace di decifrare.
<< Cosa? >> domandai un po’ perplesso.
<< Nessuno aveva mai definito quello che faccio “affascinante”. >> disse infine, con lo sguardo ancora un po’ perso.
<< Ho detto che potrebbe esserlo. >> gli risposi, e lui mi sorrise, così mi venne in mente una domanda. << Sherlock, fai mai cose.. ehm.. Normali? >> gli chiesi, visto che non avevo trovato un modo più gentile per dirlo.
<< Definisci “normali”.  >> rispose lui.
<< Tipo, non lo so… bere una birra con gli amici, andare in un locale, la playstation, uscire con una ragazza. >>
<< Non è il mio genere di cose. >> disse lui, tranquillamente.
<< Non sei mai uscito con una ragazza? >> chiesi io, cercando invano di non sembrare troppo sbalordito.
<< Te l’ho detto, non è il mio genere. >> ribadì lui, sembrava un po’ confuso, ma non turbato o imbarazzato, quindi decisi che potevo continuare con le domande.
<< Oh, allora.. Con un ragazzo? >>
<< Il tuo interesse mi lusinga. >> mi accorsi che stava sorridendo, leggermente, senza farsi notare. Mi sentii un po’ arrossire.
<< Oh, no.. Assolutamente io non.. >> mi affrettai a precisare, ma mi fermai quando notai che, oltre al fatto che trovavo difficile trovare le parole giuste per uscire fuori da quella conversazione senza tirarmi la zappa sui piedi da solo, Sherlock non stava più nemmeno prestando attenzione a quello che dicevo. Aveva preso il cellulare e leggeva un messaggio che gli era arrivato.
<< Ora devo andare. >> disse lui, senza alzare lo sguardo nemmeno per salutare.
<< Oh, esci? Allora qualche cosa di normale la fai. >>
<< Se per te “omicidio”, rientra tra la lista di cose normali, va bene. >> Ecco, avrei dovuto prevedere i segnali, ero finito a casa di uno psicopatico serial killer che mi aveva appena detto che stava uscendo per fare un omicidio. Eppure non fui per niente spaventato da quell’affermazione, non sapevo cosa intendesse, ma qualcosa dentro di me mi spingeva profondamente a fidarmi di lui.
<< Hai intenzione di uccidere qualcuno? >> chiesi come se nulla fosse.
<< Mi ascolti quando parlo? Ho detto che sono un sociopatico iperattivo, NON uno psicopatico. >> rispose lui, un po’ irritato.
<< Oh. >> dissi io, chiedendomi come questo potesse rispondere alla mia domanda.
<< Significa “No, John, non ho intenzione di uccidere nessuno”. >> spiegò lui. << Perché mi fai perdere tempo? >>
<< Allora che cosa intendi per omicidio? >> replicai io, ignorando deliberatamente la sua acidità.
<< Intendo dire che c’è stato un omicidio, e io vado a vedere. >>
<< Oh. >> ripetei.
<< Divertiti con le tue cose normali, io vado. >> lanciandomi finalmente uno sguardo e un mezzo sorriso, per poi voltarsi immediatamente per correre alla porta.
Quando mi decisi ad andargli dietro aveva già sceso le scale, ed era arrivato alla piccola anticamera. Si era fermato per aprire la porta.
<< Sherlock! >> lo chiamai, urlando un po’ troppo.
<< Sì? >> alzò lo sguardo verso di me, negli occhi aveva una gioia selvaggia, che un po’ mi preoccupò, un po’ mi trasmise la sua eccitazione.
<< Sarebbe un… Ti dispiacerebbe se.. Venissi con te? >> trovai il coraggio di chiedergli.
<< Ci stavi mettendo un po' troppo a chiedermelo. >> sorrise.
<< Sarebbe un sì? >>
<< Muoviti John, un cadavere ci aspetta. >> rispose, senza più voltarsi. Gli corsi indietro come stessi inseguendo un aquilone e mi sentii scosso da un brivido di adrenalina.
Prendemmo un taxi al volo e andammo ad Harley Street, pensai che avremmo sicuramente fatto prima a piedi, ma pensai anche che sicuramente Sherlock ne era al corrente, quindi aveva preso il taxi per un motivo specifico, anche se ancora non avevo capito bene quale.
<< Avrai delle domande. >> disse lui e così io capii. Sherlock aveva perso il taxi in modo di avere il tempo di spiegarmi cosa stava succedendo. Dapprima mi sentii estremamente lusingato, perché dopotutto stava ritardando la cosa che lo entusiasmava così tanto solo per parlare con me, ma poi pensai che lo stava facendo perché aveva bisogno di un pubblico, e non sapevo esattamente come ma mi ero andato a cacciare nella situazione perfetta per fargli da pubblico.
<< Allora, che significa che vai a vedere un omicidio? >> decisi di accettare definitivamente di essere il suo pubblico, dopotutto era Sherlock Holmes, e quello che faceva poteva solo essere interessante.
<< Un amico di famiglia, il Signor Lestrade, lavora in polizia. Suo figlio, che è un po’ più grande di me, vuole fare il poliziotto anche lui perciò da qualche anno ci fa entrambi entrare a vedere la scena del crimine e come lavorano, a patto che non tocchiamo nulla. Lui crede che voglia fare il poliziotto anche io. >> ridacchiò.
<< Perché no? Saresti bravo.. >> dissi io.
<< Oh John, offendi la mia intelligenza. >> rispose lui, facendomi ridere.
<< Quindi il figlio di questo Lestrade è un tuo amico? >> chiesi.
<< Io non ho amici.. >> disse lui. << Oh guarda siamo arrivati, Harley Street 62. >> si affrettò ad aggiungere.
Sherlock pagò il taxi e scendemmo in fretta e furia, trovammo la zona bloccata dagli agenti di polizia.
<> disse una donna riccia senza troppo entusiasmo. << E lui chi è? >> chiese poi indicandomi, ero tanto curioso di sapere come avrebbe risposto, quindi lasciai che fosse lui a presentarmi.
<< Lui è John Watson, un mio a.. >> Stava per dire “amico”? Me l’ero inventato o era proprio sul punto di dire che eravamo amici, eppure mi aveva detto chiaramente di non avere amici. Mi venne da sorridere. << Lui sta con me. >> completò non trovando un sostantivo adeguato per categorizzarmi.
Con un po’ di riluttanza la signorina ci fece entrare.
<< Ciao Sherlock. >> un ragazzo che aveva più o meno un paio d’anni più di me, con i capelli castani e un sorriso dolce, ci venne vicino.
<< Lestrade. >> rispose lui abbastanza freddo. Non mi piaceva quando faceva così, le persone vanno sempre trattate con gentilezza a mio parere, quindi decisi di intervenire portando un po’ di calore in quello scambio di battute, anche perché avevamo di fronte un ragazzo che mi sembrava naturalmente affettuoso nei confronti di Sherlock.
<< Piacere io sono John Watson. >> dissi. << Il coinquilino si Sherlock. >> pensai che “coinquilino” come sostantivo, non l’avrebbe turbato troppo, era abbastanza neutra come definizione.
<< Oh, quindi ti sei finalmente spostato a vivere da solo Sherlock. >> commentò il ragazzo. << Comunque piacere, io sono Greg. >> disse porgendomi la mano.
<< Greg? >>
<< E’ questo il mio nome, Sherlock. Se mai dovessi prenderti il disturbo di impararlo. >> commentò aspro. << Sherlock non mi chiama mai per nome, per sottolineare il fatto che non siamo amici. >> aggiunse poi, rivolto a me. Sentii come un misto di senso di colpa e soddisfazione, da quanto mi aveva detto erano anni che Sherlock e Greg si frequentavano e lui non si era mai preso la briga di ricordarsi il suo nome, mentre con me aveva sempre usato John, fin dal primo giorno in cui l’avevo visto. Sapevo che Sherlock avrebbe immaginato che lo stessi pensando, quindi alzai la testa per guardarlo, lui stava già guardando me e, suo malgrado, mi rivolse un impercettibile sorriso, impercettibile per chiunque altro, certo, ma non per me.
<< Che è successo? >> chiese lui poi.
<< Un uomo o è caduto dal quinto piano, il suo volto è entrato a contatto con l’asfalto subito, prima del resto del corpo, e adesso è irriconoscibile. Aspetteranno che qualcuno denunci la scomparsa, ma sono quasi sicuri che nessuno lo farà, sembra proprio si tratti di un senza tetto. >> riportò Greg.
<< Vado a dare un occhiata, vieni John. >> e io ubbidii senza dire una parole.
Guardare Sherlock Holmes mentre pensa è una delle cose che preferisco al mondo, me ne resi conto in quel momento, quando lo vidi osservare il cadavere. Era così assorto, attento e concentrato, pensai che neanche se mi fossi messo proprio di fronte a lui a ballare la macarena mi avrebbe notato in quel momento. C’erano solo lui e il suo cervello in quel momento, era meraviglioso e affascinante. Si muoveva attorno al corpo con agilità e leggerezza, sapeva esattamente come fare per avvicinarsi abbastanza, ma non troppo, era veloce e silenzioso. Sarebbe stato un perfetto criminale se solo l’avesse voluto, e io speravo con tutto il cuore che non l’avrebbe mai voluto, altrimenti saremmo stati tutti nei guai, e nessuno l’avrebbe mai acciuffato.
Fece così per cinque minuti guardando attraverso la sua piccola lente di ingrandimento, infine sorrise.
<< Ok John, ora è il caso di andare. >> disse poi infine.
<< Ma come, di già? >> dissi io, distogliendo in fretta il mio sguardo da lui.
Lui non mi rispose, ma prese a camminare superandomi, mi dava sui nervi quando faceva così.
<< Oh, Sherlock. >> sussurrai tra me e me.
<< Ti ci abituerai prima o poi. >> disse Greg, venendomi vicino. << Lui non è una cattiva persona, John. E’ solo.. lui è solo Sherlock. >>
<< Ciao Greg, è stato davvero bello conoscerti. >>
<< Anche per me. >> rispose lui.
<< Ora vado da lui. >> Mi congedai, per raggiungere Sherlock.
   
 
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