Questo
capitolo è per quelle bellissime persone che mi hanno
sostenuta
in questi momenti un po’ difficili.
Cippi Ciop, Lilyhachi, Ally M., Marti Lestrange, Alice Dolohov, Pikki,
Cat
White, Meri DH Stilinski,
Giulia Esse.
Siete meravigliose.
In origine il capitolo che segue era suddiviso in tre, ma
visto che il mio
account è stato bloccato e io sono stata impossibilitata a
pubblicar, quindi
per rimettermi in pari ho deciso di pubblicare tutto in un unico,
enorme,
capitolo.
Capitolo
VI
Dream is all you ever do
Surround yourself with walls
So no one can get
through
And it doesn’t help you
That
time, you can’t turn back
And it’s more than it seems
When
what you want and what you need are the same thing
Sofi
sbatté le palpebre e poi socchiuse gli occhi, sorridendo
vagamente al sole
estivo al tramonto. Alle sue spalle, spandeva raggi color bronzo sul
lago,
sull’erba e sul pendio che dolcemente declinava verso
l’acqua.
Sopra
di lei, il cielo si intravedeva a squarci, tra i rami intrecciati pieni
di
fiori rosa, rami che scendevano verso terra, sottili come steli
d’erba.
Era
stesa con la schiena a terra e guardava indietro, verso il sole
all’orizzonte.
Il bello del sole al tramonto era proprio poterlo guardare strizzando
gli
occhi, anche per un momento soltanto.
Tra
le dita, l’erba era fresca come la brezza che spazzava la
radura.
A
destra, appena oltre l’ansa dello stagno, c’era un
ponticello di legno e uno
spiazzo di terra color senape.
C’era
una panchina, ma non c’era nessuno seduto. Eppure sentiva
l’eco di una risata
in sottofondo, un rumore lontano di cui percepiva appena una
reminiscenza, come
i cerchi d’acqua intorno a un petalo che galleggiava
pigramente.
Pensò
che non doveva essere lì, che non aveva mai visto quel posto
e che se anche lo
aveva fatto, non lo ricordava.
Ma
era tutto così pacifico che non se ne curò,
socchiudendo ancora le palpebre e
ridendo quando vide l’arcobaleno esplodere tra le ciglia
mentre fissava il
sole.
La
risata divenne una voce e, piano piano, lo sciabordio
dell’acqua contro le rive
e il rumore della brezza venne sostituito da un sussurro.
Niente
di comprensibile, all’inizio, ma poi il sussurro crebbe di
intensità e poi la
voce divenne una specie di musica.
Ma
andava bene, era un suono piacevole, campestre.
Sembrava perfetto in quella cornice bucolica.
La
voce non scomparve, si spostò solo e quando Sofi
guardò accanto a sé, c’era un
ragazzo.
Guardava
davanti a sé con gli occhi verdi come i fili
d’erba con cui stava giocando.
Benché per Sofi fosse un perfetto sconosciuto, non le
sembrò strano che stesse
seduto accanto a lei in maniche di camicia e pantaloni kaki.
Si
puntellò sugli avambracci, mentre lui si voltava. Le sorrise
e inclinò la
testa, come se stesse salutando una vecchia amica. Sofi sorrise.
“Come
ti chiami?”
Il
ragazzo continuò a sorridere, ma non rispose. Si
alzò in piedi e si spazzò i
pantaloni chiari. Quando mosse qualche passo verso il lago, Sofi si
accorse che
era a piedi nudi.
La
ragazza si mise a sedere e seguì ogni suo gesto con la bocca
un po’ dischiuse e
gli occhi spalancati. Vagamente, in un angolo della sua mente, sapeva
che
avrebbe dovuto prenderlo per mano e allontanarlo, ma non
riuscì a muoversi o a
provare alcun reale senso di urgenza.
“Come
ti chiami” ripeté, come se fosse la cosa
più importante.
Lui
si volto e disse qualcosa, ma Sofi vide solo la sua bocca aprirsi e poi
chiudersi. Le sorrise e poi iniziò a camminare
nell’acqua.
Non
avrebbe dovuto, si disse, non avrebbe dovuto farlo, ma non lo
richiamò perché
lì non poteva accadere nulla di male a nessuno.
L’acqua
raggiunse la vita del ragazzo, poi le spalle e infine scomparve
completamente
sotto la superficie.
Allora
Sofi si alzò di scatto.
Poi
tutto cambiò.
Prima
c’era il giardino, gli alberi di ciliegio in boccio con i
fiori rosa e
perfetti, il sole al tramonto oltre la linea dell’orizzonte e
quella luce
dorata che ammorbidiva i contorni; un battito di ciglia dopo, era notte.
Gli
alberi intorno a lei non era ciliegi, non c’era nessuna
brezza e nessun
profumo, né alcuna melodia in sottofondo.
Le
cime degli abeti e le chiome degli altri alberi avevano bordi
tremolanti, come
se li stesse guardando da una prospettiva distorta.
Tremavano
le cime degli alberi e sbatté le ciglia. Allora comprese,
quando il dolore
divenne così forte da farle dibattere gambe e braccia per
liberarsi.
Il
filtro che rendeva le cose sfuocate era acqua gelida che gli entrava
nel naso e
che premeva contro la bocca.
Non
c’erano mani che la spingessero verso il basso, eppure non
riuscì ad alzarsi. Qualcosa di
diverso la stava
costringendo ad annegare senza che lei potesse opporsi.
Gli
sarebbe piaciuto credere che qualcuno l’avrebbe salvata, ma
quando l’acqua
riempì le narici un’altra volta, seppe che nessuno
sarebbe arrivato in tempo.
Sentì pulsare alla nuca e mille colori esplosero davanti ai
suoi occhi,
bagliori intermittenti color arcobaleno e bianco.
Per
lei era la fine e aveva paura. Avrebbe voluto essere coraggiosa, ma
quando i
polmoni iniziarono a bruciare e tutto il suo corpo pulsò per
la mancanza
d’aria, ogni tentativo di farsi forza evaporò. Non
gli rimase che dibattersi
disperatamente.
Negli
ultimi istanti della sua vita, cercò un appiglio per non
farsi risucchiare da
tutta la sofferenza.
Frugò
tra i ricordi e pensò a sua madre, a suo padre e al suo
cavallo, al sorriso di
sua sorella in un giorno di sole, ma niente era abbastanza e si
trovò alla
deriva in un mare di dolore straziante alla testa, alle gambe, al
petto, alle
braccia.
A
un certo punto, smise di cercare e aprì la bocca che aveva
tenuto ostinatamente
chiusa fino a quel momento.
L’istinto
era stato più forte, fino a quel momento, e aveva cercato
disperatamente di non
ingurgitare acqua, ma a quel punto fu troppo.
Aprì la bocca.
Lasciò
andare tutto e piano piano, mettendo da parte la paura, smise di
combattere.
L’ultima cosa che vide mentre gli si chiudevano gli occhi, fu
un lampo colorato
davanti agli occhi.
Aprì
ancora la bocca, poi lasciò la presa.
Sofi
si svegliò annaspando alla ricerca d’aria e fu
sorpresa quando l’odore di pino
e foresta le entrò nelle narici.
Tossì
forte cercando di ricacciare indietro i conati. Ogni parte del suo
corpo doleva
di un dolore sordo, come un eco distante, ma niente poteva competere
con il mal
di testa che sembrava volerle spaccare il cranio.
Era
stato tutto un sogno.
Non
si era accorta che lo fosse fino a quel momento, ma non era insolito.
Quello
non era il primo sogno strano o particolarmente vivido che le capitasse.
Era
già capitato almeno un paio di volte che sognasse il
giardino di ciliegi e il
ragazzo in camicia che si immergeva in acqua.
Di
solito il ragazzo non provava neanche a rispondere alle sue domande. Le
sorrideva, a volte allungava la mano come se volesse toccarla, poi
camminava
nell’acqua fino a scomparire. Lei aspettava sulla sponda,
seduta, fino a quando
il sole non scompariva all’orizzonte.
Con
l’ultimo raggio, se ne andava anche lei e si ritrovava nel
suo letto.
Non
era mai capitato nulla come il sogno che era seguito.
Inspirò
a fondo per calmarsi e spostò la mano di lato per accedere
la piccola lampada
sul comodino.
L’unica
cosa che sentì intorno a sé fu il vuoto e uno
strano rumore, come acqua che
scorreva.
Solo
allora si guardò intorno e le mani le tremarono
così forte da scuotere il resto
del corpo.
Non
c’era il suo letto con le coperte calde e il piumone,
né il comodino ingombro
di libri che non aveva ancora spostato nella libreria.
C’era
acqua, un piccolo lago di cui intravedeva le sponde alla luce della
luna piena,
circondato da alberi e cespugli e lei era immersa fino alla vita.
C’era
il riflesso della luna appena alla sua destra e lì, nel
riverbero argentato,
c’era una sagoma che ne spezzava la perfezione.
Dapprima
Sofi pensò che fosse un tronco, poi guardò
meglio. Il tremore si estese dalle
mani alle spalle, dalle spalle fino alle gambe e alle labbra.
Chiunque
avrebbe gridato di terrore di fronte al corpo che galleggiava
placidamente,
Sofi riuscì solo a guardarlo con gli occhi fissi, senza mai
distogliere lo sguardo.
Si
chiese se, nell’altra vita, avesse visto molti cadaveri; se
era per quello che
restava così immobile, così salda.
Ma
poi si disse che lei non era salda né imperturbabile. Lei
era così sotto shock
da non riuscire a avere alcuna altra reazione se non la totale
immobilità, come
se il suo corpo stesse cercando di decidere cosa fare.
Sentì
un fruscio sulla riva alla sua destra, la più vicina, e si
rese conto che i
suoi sensi erano tesi fino alla spasimo, tanto che persino un sussurro
le sembrò
un rombo di tuono.
Alzò
la testa con una lentezza estenuante, come se all’improvviso
pesasse migliaia
di chili.
Persone.
C’erano persone sulla riva ma faticò a metterle a
fuoco, anche con la luce
della luna che illuminava tutta la zona.
Corse
un silenzio carico di stupore per un tempo indeterminato e alla fine si
spezzò,
come ghiaccio sottoposto a un peso eccessivo.
“Sofi”
Stiles.
“Sofi”
Scott.
Poi
la chiamò un’altra voce, Isaac. E poi Lydia. Alla
fine Scott si gettò nel lago
e si
avvicinò a lei con una mano in
avanti, come se stesse cercando di trattenere un cerbiatto spaventato.
Sofi
rimase immobile fino a quando lui non le posò le mani sulle
braccia e la scosse
delicatamente.
“Non
è colpa mia, Scott” riuscì a dire
guardandolo negli occhi.
Doveva
capire, doveva sapere che lei non aveva fatto nulla.
“Non
è colpa mia” ripeté convulsamente due
volte, tre, quattro, fino a quando non le
cinse le spalle con un braccio e la spinse verso la riva.
“Ci
credo, Sofi. Ti crediamo” disse.
Stiles
si tolse il cappotto e glielo porse, ma Sofi non riuscì a
indossarlo. Le mani
le tremavano così tanto da non riuscire a trovare le maniche
dell’indumento,
così Stiles stesso la aiutò a infilarselo. Poi
Isaac la cinse con un braccio e
se la tirò contro. Il suo corpo era caldo, molto
più caldo di quello di
qualunque umano, e Sofi era bagnata e infreddolita e aveva bisogno di
riscaldarsi in fretta.
Vide
Scott che parlava con due persone che non aveva mai visto, poi si
avvicinarono
tutti e tre.
“Sofi.
Ti chiami Sofi, giusto? Io sono Peter. Come sei arrivata qui? Pensi di
saperlo?”
“Non
è colpa mia” ripeté ancora una volta.
L’unica cosa che le impediva di tremare
era il braccio di Isaac serrato intorno a lei.
Era
importante che le credessero. Si guardò intorno e allora
vide Lydia e Kira e
gli occhi dorati di Isaac. Ma i suoi occhi non erano mai stati di
quella tinta.
Erano azzurri, proprio come i suoi.
“Lo
sappiamo, Sofi. Ma ti ricordi come sei arrivata qui?”
provò Scott sfiorandole
una spalla.
“Stavo…
sognando. Quando ho aperto gli occhi ero lì e
c’era… c’era…”
Non
riuscì a finire la frase.
“Va
bene, ok? Va bene, Sofi” la tranquillizzò Stiles
con un sorriso conciliante.
“Ricordi
altro?” si intromise l’altro ragazzo di cui non
conosceva il nome. Sofi non
sapeva cosa volesse sentire esattamente. Poteva raccontargli del sogno
nel
giardino dei ciliegi e del ragazzo, ma poi le tornò in mente
quello che era
seguito al sogno.
“Prima
di svegliarmi” iniziò “stavo facendo un
sogno. Era come se stessi annegando,
come se qualcuno mi stesse uccidendo. Ma non ero io, era lei”
disse indicando
con la testa il corpo che ancora galleggiava “eppure ho
sentito tutto quello
che ha provato” ammise.
Chiuse
gli occhi e chiamò a raccolta ogni brandello di forza per
non scoppiare a
piangere. Ricacciò indietro le lacrime e alzò lo
sguardo verso Scott e Stiles
che si guardavano a vicenda.
“Quindi
non sapevi che ci sarebbe stato un cadavere qui, giusto?”
ritentò il ragazzo.
“No.
Io pensavo di essere ancora nel mio letto e poi mi sono trovata
qui”
“Va
bene. Ora ti portiamo a casa e chiamiamo lo sceriffo” si
intromise Scott.
Sofi
annuì e mosse un paio di passi traballanti dietro a Isaac
prima di fermarsi di
colpo, gli occhi sgranati come se avesse appena avuto
un’illuminazione.
Lei
non sapeva come fosse arrivata lì, ma loro? Come erano
arrivati? Perché erano
lì?
“Sofi?”
“Scott,
cosa fate voi qui?” domandò.
Sembrò
che il tempo si congelasse intorno a lei. Isaac guardò
Scott, Kira e Lydia si
scambiarono un’occhiata, Stiles la fissò
intensamente e Peter e il ragazzo che
di cui non conosceva il nome la guardarono come se la stessero
valutando. Scott
era l’unico completamente immobile, come congelato sul posto.
“Scott”
lo chiamò ancora, indietreggiando appena “cosa
state facendo voi qui? E perché
prima gli occhi di Isaac erano dorati?”
“Credo
che tu abbia bisogno di dormire, Sofi. Ne parleremo domani mattina, va
bene?”
“No!”
si intestardì, muovendosi all’indietro come se
all’improvviso avesse paura
delle persone che aveva di fronte “Posso non ricordare chi
sono o come sono
arrivata qui, ma non sono stupida. Cosa fate voi qui, Scott”
Scott
fece un passo avanti e lei uno indietro, una danza che si concluse
quando andò
a sbattere contro Stiles che la fermò mettendole le mani
sulle spalle.
“Non
avere paura, Sofi” le disse quando lei alzò gli
occhi su di lui e Stiles vi
vide tutta la sua paura “Nessuno ti farà nulla.
Lascia che Scott ti spieghi.
Puoi concedere una possibilità a Scott, giusto?”
Sapeva
di poterlo fare. Lo doveva al ragazzo che stava di fronte a lei, quello
che
l’aveva vista mezza nuda il primo giorno a casa McCall, che
la accompagnava a
scuola in moto e si infilava nel suo letto la domenica mattina prima
che Isaac
portasse la colazione; annuì.
Allora
Scott iniziò a raccontare e tratteggiò un
racconto che avrebbe potuto benissimo
essere la trama di un romanzo fantasy. Le parlò dei
licantropi e le mostrò
persino i suoi occhi rossi da Alpha, poi le indicò Lydia e
Kira e le chiamò
Banshee e Kitsune. Le raccontò di come era stato morso e
aveva conosciuto Derek,
di come Peter fosse morto e risorto, di Jackson, il ragazzo che ora era
a
Londra, e del Kanima. L’ultima
cosa di
cui le parlò fu il Nogistune, quel che era successo a Stiles
e la morte di
Allison, non certo accidentale come Kira le aveva detto.
All’inizio
Sofi fu tentata di scoppiare a ridere, ma poi vide il volto di Isaac e
quello
di Scott mutare e trasformarsi. Vide la foto che Kira si era scattata e
quell’aura rosso fuoco che le danzava intorno con le
sembianze di una volpe e
le tornò in mente il volume di magia in biblioteca.
Chissà
se, sfogliandolo più attentamente, avrebbe trovato qualcosa
su licantropi,
kitsune e banshee.
Poi
ricordò come Stiles le avesse detto che la magia non
esisteva, come l’avesse
volutamente allontanata dalla soluzione per evitare che scoprisse quel
mondo e
d’un tratto si sentì furiosa.
La
magia era l’unica risposta ai sogni strani, agli oggetti che
cambiavano posto
senza che lei li spostasse e a quella sensazione alla bocca dello
stomaco che
precedeva una… una magia.
“Stiles”
lo chiamò guardando fisso di fronte a sé
“Tu mi hai detto che la magia non
esiste”
“Lo
so. Mi dispiace, Sofi. Mi dispiace davvero, ma volevo proteggerti. Non
ti
abbiamo detto niente per non metterti in pericolo”
“Non
mi importa che tu non mi abbia raccontato di Scott e Isaac e Lydia e
tutti gli
altri. Io parlo di quello che mi hai detto in biblioteca”
“C’era
un modo per dirti che la magia può e probabilmente esiste
senza rivelarti tutto
questo? Mi avresti creduto se non ti avessi fornito delle
prove?”
“Sì!”
strillò sull’orlo di una crisi di nervi
“Ti avrei creduto, Stiles. Proprio come
ho creduto alle bugie che mi hai
detto”
“Non
avevi bisogno di prove per non credere all’esistenza della
magia” le ricordò.
“Per
tutta questa settimana” sibilò con gli occhi
ardenti di rabbia “ho pensato di
essere pazza. E solo perché ho creduto a
te! Muovo gli oggetti con il pensiero, Stiles!”
“Aspettate
un momento” li fermò Isaac “di cosa
state parlando?”
“La
settimana scorsa” iniziò Stiles “a Sofi
è successo qualcosa. Ha trovato un
volume di magia o qualcosa di simile e quando mi ha chiesto se la magia
poteva
essere la risposta che cercava, io le ho mentito.”
“Ma”
si intromise Lydia “tu non hai mai parlato a nessuno dei tuoi
sogni. E nemmeno
che quelle che pensavi fossero solo allucinazioni in realtà
sono un vero e
proprio potere”
“Alla
fine dei conti” riassunse lei “nessuno è
stato sincero fino in fondo. Siamo
tutti ugualmente colpevoli, persino tu, Sofi”
Sofi
ebbe la buona grazia di arrossire, anche se gli unici che se ne
accorsero
furono i licantropi e Stiles che le era vicino.
“Non
è la stessa cosa” mormorò.
In
parte lo era, sapeva che Lydia aveva una piccola parte di ragione. Ma
come
poteva confessare loro quel pensiero, quando aveva a malapena trovato
il
coraggio di formularlo?
“Come avrei potuto dirvi che pensavo di possedere un potere
magico quando ero
la prima a pensare di essere pazza?”
“Visto
che abbiamo sbagliato tutti, possiamo semplicemente passare
oltre?” domandò
Scott con un sorriso gentile, allungando una mano per afferrare quella
di Sofi
come offerta di pace.
Sofi
ci pensò per un momento, poi gli prese la mano e la strinse
come per chiedergli
di non lasciarla mai cadere. Sentiva di camminare su un filo sottile in
punta
di piedi e aveva bisogno di qualcuno pronto ad afferrarla quando avesse
rischiato di cadere.
O
almeno della sicurezza che qualcuno fosse lì per prenderla
al volo se mai
avesse commesso un passo falso.
Scott
era quel qualcuno e, dopotutto, come potevano raccontale tutta la
storia senza
sembrare pazzi? Lei non avrebbe mai creduto loro se non si fosse
trovata spinta
a forza in quella vicenda fuori dal comune.
Così
sorrise a Scott e si lasciò condurre tra gli alberi, senza
mai lasciare la mano
del ragazzo che la guidò e la aiutò a non cadere.
Era
stato facile perdonare Scott e Isaac, a dispetto di tutte le minacce
con cui li
aveva deliziati per tutto il viaggio di ritorno verso lo spiazzo dove
avevano
parcheggiato le auto e la moto di Scott.
Si
era tenute le domande per il giorno dopo, quando avrebbero potuto
sedersi
intorno a un tavolo con una tazza di tè per parlarne.
Una
volta raggiunte le vetture, Scott le aveva detto, non senza una certa
paura,
che Stiles l’avrebbe accompagnata a casa.
Lo
stesso Stiles che lei guardò in cagnesco quando le fece un
cenno con la mano
come a dire “sono ancora qui, anche
se tu
mi vorresti sbranare”.
Si
era guardata intorno alla ricerca di una soluzione, ma Lydia era
già partita
con Kira, Derek e Peter erano scomparsi chissà dove e Scott
aveva già Isaac
come passeggero.
Una
parte di lei pensò che lo stesse facendo di proposito dato
che Stiles poteva
tranquillamente portare Isaac, ma non disse niente.
Si
limitò a salire sulla jeep e ad allacciarsi la cintura di
sicurezza mentre
Stiles metteva in moto.
Aveva
guidato in silenzio per un po’.
In
realtà, non era proprio arrabbiata con Stiles. Era solo un
po’ rattristata e,
in realtà, anche un po’ divertita da come
Stiles tentava di iniziare un discorso senza trovare nulla da dire per
rompere
il ghiaccio.
La
sua espressione era così buffa, proprio come i tentavi di
parlare, che aveva
deciso di continuare a guardare ostinatamente fuori dal finestrino,
come se non
vedesse le sue smorfie dal vetro.
“Sei
ancora arrabbiata” disse alla fine.
No.
“Mi
sbaglio?”
Stiles
aprì la bocca, poi la richiuse. La riaprì di
nuovo, ma l’unico risultato fu di
tornare in silenzio.
“E’
una domanda trabocchetto, vero?”
“Solo
un po’”
“Mi
dispiace, va bene? Puoi rimanere arrabbiata quanto vuoi, ma devi almeno
capire
che l’ho fatto per proteggerti. Questo lo sai,
vero?”
“Proteggere
me o loro?”
“Te.
Volevo evitare proprio questo, che venissi tirata dentro un casino
potenzialmente letale. Sai quanto è pericolosa la vita
intorno ai licantropi?”
“Non
credo di rendermene conto fino in fondo” ammise
“Non lo so, una parte di me non
riesce ancora a credere che stia succedendo, ma poi mi ricordo che
tecnicamente
muovo gli oggetti con il pensiero e chissà che altro potrei
fare”
“Sono
morte delle persone, Sofi. Non è un gioco. Quando i tuoi
amici muoiono, fa male.
Alla fine, impari che meno sanno le persone che vuoi proteggere, meglio
è”
Stiles
guardava avanti, ma Sofi vide lo stesso il modo in cui il suo sguardo
si fece
triste. Non avrebbe mai voluto vedere i suoi occhi, di solito
così ridenti,
spegnersi in quel modo.
Chissà
quanto dolore doveva esserci nel perdere un amico. Chissà
quanto Scott avesse
sofferto per Allison. Lui non ne parlava mai: doveva averla amata
terribilmente
per non riuscire a pronunciare il suo nome senza che la voce tremasse.
“Stiles”
lo chiamò e lui si voltò appena, come per farle
capire che la ascoltava.
“Quanti
amici avete perso da quando è iniziato tutto?”
“Sei
sicura di voler conoscere tutto?”
“Posso
sopportarlo”
Stiles
staccò gli occhi dalla strada per un momento e le sorrise
“So che puoi”
Poi
iniziò a raccontare. Le parlò di Derek e della
famiglia che aveva perso tanti
anni prima, le raccontò di Erika e Boyd, di tutte le persone
che Jackson aveva
ucciso, di quelle che erano state sacrificate e, alla fine, di quelli
che aveva
ucciso lui quando
era posseduto.
Sofi
fu tentata di dirgli che era quella cosa, quel Nogistune, ad aver
ucciso, ma
sarebbe stato inutile. Stiles era troppo intelligente per non saperlo
perfettamente eppure sentiva che era colpa sua. Chissà
quanto doveva sentirsi
in colpa.
Per
la prima volta vide un lato nuovo di Stiles. Aveva conosciuto il
ragazzo
sarcastico, l’idiota sempre pronto a giocare uno scherzo a
qualcuno, l’amico
che sapeva farla sorridere e alla fine, proprio quando pensava che non
ci fosse
più nulla da scoprire di quel ragazzo meraviglioso,
scoprì la persona
tormentata dal rimorso e lacerata dal bisogno di rimediare in qualche
modo.
Poteva
sentire il sapore della sua tristezza sulla punta della lingua, un
sapore
metallico di sangue e lacrime, e di nuovo quella sensazione calda sotto
lo
sterno.
L’espressione
sul volto di Stiles e la tristezza nei suoi occhi erano troppo per lei
e
minacciarono di spezzarla più di quanto avesse fatto
qualunque altra cosa.
Sarebbe
stato facile andarsene in quel momento e lasciare Stiles con il suo
dolore, il
suo senso di colpa. Era sufficiente prendere le distanze quanto bastava
per non
esserne toccata.
Invece
allungò la mano verso quella di lui posata sul cambio e
intrecciò le dita con
quelle di Stiles. Avrebbe voluto posare la testa sulla sua spalla,
nascondersi
lì fino a quando non avesse sentito che andava tutto bene,
che Stiles stava
bene, ma dovette trattenersi.
Allora
si appoggiò contro il sedile e chiuse gli occhi. Bastavano
le loro mani
intrecciate, il suo modo di dirgli che era lì, che sarebbe
rimasta con lui per
lottare al suo fianco. Che non lo avrebbe mai lasciato solo.
And
in the end the words won't matter
'Cause
in the end nothing stays the same
And
in the end dreams just scatter and fall like rain
All
we are we are
And
every day is a start of something beautiful, something real
All we are, Matt Nathanson
Sofi si guardò intorno.
La
biblioteca era deserta e se anche ci fosse stato qualche studente in
giro, il
reparto di storia in cui si era rifugiata era solitario e silenzioso
come
piaceva a lei.
Non
sarebbe durata a lungo dato che aveva appuntamento con Lydia proprio a
quel
tavolo, ma per ora non c’era che lei.
Avrebbero
ripassato insieme prima del test dell’ora successiva, ma Sofi
aveva preso il
libro sbagliato dallo scaffale più lontano, così
ora sorseggiava il tè caldo
che Isaac le aveva portato quando era arrivato a scuola guardando la
copertina
con aria scontenta.
Il
libro sembrava così lontano e le scarpe nuove erano un vero
incubo.
Ma
la cosa bella di quel particolare tavolo era il fatto che fosse appena
un po’
nascosto dallo scaffale dei grandi classici alle sue spalle.
Si
sporse per controllare ancora la situazione oltre l’angolo e
non vide nessuno
da nessuna parte.
Così
trovò il libro sullo scaffale, un volume massiccio con la
copertina blu e il
titolo stampato in caratteri bianchi, e si concentrò.
Escluso
ogni pensiero dalla sua mente, lasciò che diventasse un mare
bianco e sentì di
nuovo quella sensazione di calore sotto lo sterno.
Da
quando aveva saputo dei licantropi e di tutte le cose strane che erano
accadute
a Beacon Hills, Stiles l’aveva aiutata a imparare a
controllare i suoi poteri.
Dire
che sapeva esattamente cosa fare e come farlo sarebbe stato esagerare,
ma
almeno riusciva a usare la telecinesi senza troppi intoppi.
Se
poteva fare altro, non lo aveva ancora scoperto.
Non
c’erano più stati sogni strani né si
era trovata a vagabondare per la città, ma
il ragazzo del sogno veniva a farle visita tutte le notti, ma non
avrebbe
saputo dire per quanto tempo.
La
dimensione nel sogno era diversa e a volte si trattava di minuti reali
o di
intere notti.
Di
lui non aveva parlato con nessuno.
Era
come se ci fosse qualcosa che le impediva di farlo, come un legame che
li
teneva uniti e che, per qualche ragione, una parte di lei voleva tenere
solo
per sé.
Non
aveva nascosto altro ai ragazzi, soprattutto a Stiles con cui aveva
passato
interi pomeriggi.
Aveva
trovato un modo divertente per aiutarla a controllare
e usare i propri poteri.
Era
successo il lunedì precedente, un paio di giorni dopo la
scoperta del cadavere.
Alla fine delle lezioni, l’aveva presa da parte e aveva detto
agli altri che li
avrebbero raggiunti dopo.
L’aveva
portata con sé in uno spiazzo isolato in mezzo al bosco,
dove nessuno avrebbe
potuto raggiungerli. Poi le aveva lasciato cadere vicino una sacca
piena di
palle da lacrosse.
Sofi
aveva fatto una battuta stupida al riguardo e Stiles le aveva spiegato
cosa
intendesse con unire l’utile al
dilettevole.
Lei
avrebbe imparato a controllare i suoi poteri, lui si sarebbe allenato
per
l’imminente partita di lacrosse.
Sofi
non gli aveva chiesto perché lo facesse, dato che non
sarebbe stato tra i
titolari, ma non aveva detto nulla.
Non
era sembrata un’idea cattiva e così avevano
iniziato. All’inizio non c’era
stato nulla di dilettevole per Stiles, con tutte le palle che finivano
in mille
direzioni o contro di lui così in fretta da lasciargli
grossi lividi scuri su
braccia e gambe. Era migliorata in fretta e quando la prima palla aveva
raggiunto Stiles, Sofi era rimasta a bocca aperta.
Stiles
aveva lasciato cadere la racchetta e l’aveva abbracciata,
sollevandola in aria
mentre rideva contro la sua spalla.
Si
erano allenati ogni pomeriggio e Sofi era diventata brava, anche se si
era
accorta che era facile muovere gli oggetti inanimati come palline,
libri, abiti
o piatti. Tutta un’altra cosa era manipolare
l’acqua, il fuoco, la terra e ogni
elemento della natura. In qualche modo, si opponevano, come se avessero
una
loro anima e una loro capacità di decidere. Non aveva mai
provato a usare i
suoi poteri su una persona, anche se Stiles si era proposto.
Così,
quel giorno in biblioteca, fu facile far galleggiare il libro verso di
lei e
farlo sistemare di fronte a sé, spalancandosi esattamente
alla pagina che le
serviva.
“Non
si usa la magia fuori da Hogwarts”
Sobbalzò
e si voltò di scattò, frustando l’aria
con i capelli e gli occhi spalancati.
“Stiles”
lo rimproverò con una mano sul petto “Ci sono
così tanti modi per uccidermi.
Perché un attacco di cuore?”
“Qualcuno
poteva vederti, sai? Cosa avresti fatto?”
“Avrei
detto che un buon mago non rivela i suoi trucchi”
Stiles
sorrise “Carina”
“Cosa
ci fai qui? Non dovresti avere Educazione Fisica con il Coach? Ti ha
cacciato
dalla classe, vero? Di nuovo, Stiles? Davvero?”
“Non
mi ha cacciato. Perché pensi sempre il peggio? No, non
rispondere. Dai, vieni
con me”
La
costrinse ad alzarsi e le prese la mano tra le proteste di Sofi.
“Stavo
aspettando Lydia!” provò, ma lui la
trascinò fuori dalla biblioteca.
“Devo
ripassare per il test” ritentò.
“Come
se tu ne avessi bisogno. Sentì, vieni con me e non fare
domande. Ci vorranno
pochi minuti”
Sofi
si rassegnò e lo seguì in silenzio, sgattaiolando
per i corridoio fino agli
spogliatoi e oltre, verso il campo di lacrosse vuoto.
C’era
stata un paio di volte, quando il coach aveva insistito per far provare
a tutte
le ragazze lo sport e Kira si era dimostrata una specie di talento
naturale.
Sofi era riuscita a evitare la prova tirando in ballo la danza e il
fatto che
avrebbe avuto un saggio a breve. La parte del saggio era, ovviamente,
una
bugia.
La
seconda volta era andata a guardare Isaac, Stiles e Scott mentre si
allenavano,
una domenica pomeriggio soleggiata. Era finita con Isaac che tentava di
attirare la sua attenzione come un cucciolo alla ricerca di coccole,
Scott che
cercava di sottrarle il libro che stava leggendo e Stiles che si
lamentava.
Ovviamente
non si era più presentata a un allenamento.
C’erano
nuvole scure nel cielo e in mezzo al campo,
in bella vista, una stecca
da
lacrosse e un sacco pieno di palle.
“Perché
siamo qui?”
“Ho
una notizia. E volevo dirtela in un posto speciale”
“Tu
questo lo chiami speciale?” lo prese in giro con un sorriso.
Stiles si finse
indignato, ma quando Sofi scoppiò a ridere sorrise e
pensò che fosse bellissima
anche mentre tentava di rimanere sulle punte per evitare che le scarpe
con il
tacco – un regalo di Lydia- si infilassero nella terra.
La
condusse verso le gradinate e la fece sedere.
“Sei
pronta?”
“Certo.
Spara”
“Chi
dice spara? Nessuno lo dice più dagli anni
Novanta!”
“Stiles!”
“Va
bene, va bene. Prima però devi farmi una promessa”
Sofi
inclinò la testa e non disse niente come a incitarlo a
continuare. Stiles era
emozionato come un bambino e si morse le labbra per trattenere il
sorriso che
minacciò di inclinarle le labbra nel guardare il modo in cui
i suoi occhi scuri
brillavano.
“Giura
solennemente…”
“Di
non avere buone intenzioni?”
Le
lanciò un’occhiataccia, ma non la
rimbeccò “Giura solennemente che domani
verrai a vedere la partita di lacrosse. Lo giuri?”
“Lo
giuro. Fatto il misfatto?” tentò.
“Ti
abbiamo rovinato con quella maratona su Harry Potter”
constatò costernato,
ma in fondo niente lo rendeva più
felice di quella piccola anima nerd che si nascondeva sotto
l’aspetto da
cheerleader.
“Ora
posso sapere perché ho dovuto giurare?”
“Perché
volevo essere sicuro che domani sarai in tribuna quando
giocherò da titolare”
Sofi
ci mise un attimo a registrare le sue parole, poi si aprì in
un sorriso
meraviglioso. Stiles aveva un nome per quel genere di espressione e
dentro di
sé l’aveva chiamato sorriso
magico.
Era
il momento in cui gli veniva voglia di baciarla per sapere che sapore
avesse il
suo sorriso e per la luce che vedeva nei suoi occhi.
Poi
lei si alzò in piedi e il suo sorriso scomparve dalla sua
vista quando lo
abbracciò forte con le braccia intorno al collo.
“O
mio Dio, Stiles! E’ una notizia bellissima e sono
così contenta per te”
“Così
contenta da non strangolarmi?” annaspò e lei lo
lasciò andare.
Poi
rise della sua espressione e lo abbracciò di nuovo, stavolta
con più grazia.
“Oh,
Stiles. Allora i nostri allenamenti sono serviti a qualcosa”
“Sembra
di sì”
Sofi
gli sorrise. Si sentiva così felice per lui che non riusciva
a trovare un
termine che potesse esprimere tutta quella gioia. Sperava solo che lui
potesse
vederla nei suoi occhi.
Scese
dalla tribuna e una pallina la raggiunse. La afferrò al volo
senza neanche
guardare, come un riflesso automatico.
“Notevole”
la ammirò Stiles.
“Prendi
la racchetta”
“Ma
non dovevi tornare a ripassare?”
Sofi
gli rivolse l’altro sorriso che era diventato un
po’ la sua specialità da
quando erano amici, l’espressione malandrina.
“Come
se ne avessi bisogno”
Ci
era voluto un tempo insolitamente lungo per scegliere cosa indossare
anche se,
come Scott si era premurato di ricordarle ogni cinque minuti, era solo
una
partita di lacrosse.
Sofi
non gli aveva prestato troppo attenzione e aveva continuato a cercare,
frugando
tra i vestiti che aveva comprato settimane prima con Melissa.
Ora
più che mai era contenta di aver dato ascolto a mamma McCall
e aver comprato
così tanti abiti, anche se Scott e Isaac, coricati sul suo
letto, avevano
sbuffato a ogni cambio di abito.
Alla
fine, si era arresa ed era uscita dal bagno con un paio di stivali con
il tacco
– un acquisto fatto con Lydia-, un semplicissimo vestito
vintage e un
cardigan, appena in
tempo per non essere
lasciata a casa da uno Scott in attesa e un Isaac fremente.
Seduta
accanto a Melissa e agli altri tifosi e genitori, si guardava intorno.
Non
aveva capito esattamente quanto fosse importante il lacrosse, non fino
a quel
momento.
Era
stata a un paio di partite prima di allora, ma era solo amichevoli e
non c’era
mai stata una tale calca.
C’erano
studenti di tutti gli anni con addosso magliette rosse che sventolavano
striscioni, cartelli pieni di glitter e che esibivano con fierezza il
trucco
rosso sulle guance, come fossero guerrieri pronti a scendere in
battaglia.
C’erano
i genitori dei giocatori, non meno esagitati dei ragazzi, che
parlottavano tra
di loro in attesa di applaudire i loro figli.
Melissa
era seduta dietro di lei, sulla gradinata più alta per avere
una visuale
migliore, e parlava con lo sceriffo Stilinski mentre Sofi aspettava che
Lydia e
Kira la raggiungessero.
Sapeva
per certo che Kira era già arrivata dato che
l’aveva intravista mentre scendeva
dalla macchina, ma non sapeva dove si fosse cacciata.
Poco
più avanti, un paio di gradinate più in basso e
alla sua destra, c’era il
ragazzo con cui seguiva un paio di corsi extra. Lo salutò
con un cenno, poi
tornò a guardarsi intorno.
Sui
gradini, proprio a un passo da dove era seduta lei, c’era il
signor McCall. Lo
aveva già visto più di un paio di volte,
ovviamente. E ricordava ancora la sua
faccia quando aveva saputo che c’era un’altra
persona in casa.
Però
Sofi pensava di essersi guadagnate la sua simpatia quando aveva votato
per
invitarlo a cena qualche volta – lei aveva proposto nella
serata messicano, ma
Scott si era rifiutato di rovinarsi la sua cena preferita- e quando
aveva
suggerito a Scott di invitarlo alla partita di lacrosse.
Si
era anche guadagnata un paio di occhiatacce per quello e Scott era
stato
furioso con lei per tutta la sera, ma Sofi gli aveva parlato prima che
sbottasse.
In
realtà lo aveva solo preceduto quando gli si era accostata
mentre lavava i
piatti e gli aveva detto di non essere arrabbiato, che era solo una
partita e
che suo padre voleva davvero riallacciare i rapporti.
Era
un uomo, gli aveva detto, un uomo che aveva commesso degli errori che
ora stava
tentando di sistemare. Era una cosa importante, un gesto di enorme
coraggio.
Non meritava forse una possibilità?
Avrebbe
avuto tutta la vita per cacciarlo via, ma ora era tempo di una nuova
chance.
Gli
rivolse un sorriso mentre si infilava sulla panca alle sue spalle.
Scott
sarebbe stato sorpreso di vedere che aveva davvero accettato il suo
invito.
“Buonasera,
signor McCall”
“Ciao
Sofi. Non sono arrivato tardi, vero?”
“Non
è ancora iniziata, non si preoccupi.”
Si
sedette dietro di lei insieme a Melissa. I rapporti con la ex moglie si
erano
fatti amichevoli negli ultimi tempi, cosa che non si poteva dire per lo
sceriffo. Non che fossero ostili: si tolleravano e cercavano di essere
cordiali, ma dire che fosse un rapporto amichevole sarebbe stato
esagerare.
Decise
di andare a dirlo a Scott. Forse gli avrebbe evitato di rimanere
impalato in
campo per la sorpresa e si sarebbe goduta l’espressione sul
suo volto senza
l’impedimento del casco. E avrebbe incassato i dieci dollari
che aveva
scommesso con lui e Isaac.
Vide
Kira che stava per raggiungerla e le disse che sarebbe tornata presto
quando la
incontrò a metà strada.
Camminò
sulle punte sull’erba. Gli stivali erano comodi con il loro
tacco spesso, ma
rischiò di inciampare comunque un paio di volte prima di
raggiungere la porta
degli spogliatoi.
Quasi
andò a sbattere contro la porta che si era spalancata un
secondo prima che
raggiungesse il punto esatto in cui avrebbe dovuto essere lei.
Una
decina di giocatori, tra titolari e riserve, sciamarono fuori dallo
spogliatoio
e la evitarono senza fare troppo caso a lei, tutti eccetto Danny che le
rivolse
un cenno e Isaac che si fermò per scoccarle un bacio sulla
guancia e poi corse
via.
Si
sporse oltre la porta aperta e sbirciò da sotto le palpebre,
sperando di non
trovarsi davanti nessun giocatore nudo.
“Che
ci fai tu qui?”
Scott
le si parò di fronte, il casco sotto il braccio e la
racchetta nell’altra mano.
Sofi rise così di gusto che da attirare
l’attenzione degli altri giocatori.
Stiles si avvicinò.
“Cosa
ci fa lei qui?”
“E’
quello che ho chiesto anche io”
“Oddio,
scusate” singhiozzò Sofi asciugandosi gli occhi
con le labbra che ancora
tremavano “Sono solo venuta ad augurarvi buona
fortuna”
“Sai
che non potresti essere qui comunque, vero?”
“E’
quello che hai detto anche a Kira? A proposito, hai un po’ di
rossetto qui” gli
fece notare, indicando un angolo della bocca.
Il
volto di Scott virò verso una sfumatura molto vicina al
colore della maglietta
da lacrosse e quando Stiles rise lo fulminò con lo sguardo
mentre si puliva le
labbra.
Sofi
strinse le sue per evitare di ridere di nuovo.
“Comunque,
sono venuta per dirti che c’è tuo padre in
tribuna. E che mi devi dieci
dollari”
“Hai
altre buone notizie per me?”
Allora
Sofi si aprì in un bel sorriso e finse di credere che il
fatto che il signor
McCall fosse in tribuna fosse veramente una
cattiva notizia. Lo fece per Scott, per non sentirsi in dovere di
dirgli che
dopotutto aveva ragione lei e perché in realtà le
bastava il suo sguardo, quel
barlume che era già scomparso, ma che lei aveva visto.
Per
un breve momento, mentre Scott le sorrideva e le scoccava un rapido
bacio sulla
tempia, Sofi lo invidiò per avere una madre come Melissa e
un padre che,
nonostante gli errori e le possibilità di essere
allontanato, era tornato per
lui.
Si
costrinse a sorridere, ma se la sua smorfia ingannò Scott,
lo stesso non riuscì
a fare con Stiles e mentre il licantropo si allontanava verso il campo
da
lacrosse, l’altro ragazzo fece un passo verso di lei.
Aveva
già indossato la divisa e le protezioni, ma il guanto e il
casco erano ancora
sulla panca di fronte agli armadietti insieme alla stecca.
“E’
tutto a posto?”
“Sì”
ammise “E’ solo che a volte divento un
po’ malinconica. Sai, non lo dico
spesso, forse neanche lo dimostro, ma a volte guardo quello che voi
avete e vi
invidio, anche se vi voglio bene. E’ solo che vorrei avere
quello che avete”
“Sofi”
“No”
lo fermò “Non dire nulla, ti prego. E’
solo sciocco. Io ho voi che siete più di
quanto possa chiedere”
“Ok,
tanto per essere sicuri, stai per fare un discorso serio? Una cosa per
motivarmi?”
“Nessun
discorso, nessuna motivazione. E’ solo una cosa che dovevo
dirti tanto tempo
fa”
“Cosa?
Quando?”
“Quando
mi hai detto che sono meravigliosa nonostante tutto, in biblioteca. Tu,
Stiles.
E Scott e Isaac, Kira e persino Lydia, Melissa… siete la
seconda possibilità
migliore che potessi chiedere”
“Io
non so cosa dire”
“E’
perché non devi dire nulla. Tu dici sempre un sacco di
parole, ma per una volta
devi solo ascoltare me. So che sarai bravissimo stasera e quando
segnerai il
primo punto ti volterai verso di me e sarò fiera di te per
la persona
meravigliosa che sei e per quello che fai”
Si
avvicinò di un passo, così vicina che Stiles
quasi si specchiò nei suoi occhi
sognanti ma sempre così attenti. Quel giorno erano solo
stelle e lei scelse
quel momento per rivolgergli il suo sorriso speciale, quello che
conteneva
tutta se stessa e il mondo che aveva dentro.
Sofi
gli gettò le braccia al collo e Stiles la strinse senza
pensarci, passandole le
braccia intorno alla vita.
I
suoi capelli gli sfioravano la mascella e profumavano di
lillà, rose e mirra
come il profumo che Scott aveva fatto preparare apposta per lei. Gli
aveva
raccontato qualcosa a proposito del loro primo incontro imbarazzante e
che era
il profumo che aveva addosso in quel momento, un dettaglio
così sciocco che gli
era rimasto impresso.
Una
mano di Sofi scivolò e gli accarezzò il collo, la
spalla e infine si sistemò
sul suo petto, dove batteva il cuore.
“Stiles?”
Il suo respiro si infranse contro il
suo collo e lui rabbrividì mentre muoveva le dita di una
mano in lenti cerchi
sulla sua schiena.
“Sì?” le rispose.
La sua voce tremava appena e avrebbe
voluto che lei non se ne accorgesse. Una parte di lui avrebbe voluto
sembrare
il genere di ragazzo abituato a quel genere di cose, ma
un’altra sperava che
lei si accorgesse del modo in cui il suo cuore balzava e perdeva
battiti quando
lei era vicina.
“Tu
sei... tu sei esattamente il tipo di ragazzo di cui una ragazza si
potrebbe innamorare, vero?”
Stiles aveva aspettato, sognato, immaginato una scena del genere almeno
un milione di volte. Solo che nella sua testa c'era Lydia a guardarlo
con i
suoi grandi occhi verdi e il tutto si concludeva sempre con un bacio
mozzafiato.
Ma non c’era Lydia tra le sue braccia e questo andava bene,
era perfetto. Che ci fosse Sofi,
con i suoi occhi
grandi e pieni di luce e quel
sorriso che non riusciva mai a non essere un po’ malinconico,
ma che era
bellissimo.
Lydia avrebbe
sempre avuto un posto speciale nel suo cuore, ma Sofi era
più di quanto avesse mai osato sperare ed era perfetta
così.
“Non lo
so, io...”
“Il cuore
ti batte fortissimo”
“Sì, no, scusami”
“Perché? E' bello, è spontaneo. E' da
Stiles” mormorò
socchiudendo gli occhi e allontanandosi appena per guardarlo in volto.
La sua mano
era ancora lì, sul suo cuore, mentre da fuori la voce del
Coach li invitava a presentarsi tutti sul campo.
Sofi e Stiles si separarono e lei gli sorrise “In bocca al
lupo… cioè,
sai cosa intendo” si corresse quando Stiles inarcò
le sopracciglia.
Si voltò e fece per andarsene, ma due passi dopo si
voltò di scattò con
una piroetta che fece ondeggiare il suo vestito e si allungò
per dargli un
bacio, un innocente bacio sul angolo destro del sorriso che era
spuntato sul
volto di Stiles mentre era di spalle.
Poi veleggiò verso la porta e lo lasciò
lì ad assicurarsi che non ci
fossero tracce di rossetto.
“Credo che
Scott si sia dimenticato di spiegarmi la questione falli”
ammise Sofi a un certo punto.
Sul campo da lacrosse, un ragazzo di cui non ricordava il nome e che
frequentava chimica con lei e Lydia era terra e si teneva una spalla.
Kira arricciò il naso “Credo di aver sentito il
rumore della spalla che
si spezzava”
Sofi chiuse gli occhi un secondo mentre Lydia arricciava le labbra.
Le altre partite non erano state così violente e lei non era
preparata,
non come la maggior parte dei ragazzi presenti che sembrava non farci
troppo
caso.
L’arbitro fischiò e il ragazzo venne aiutato ad
alzarsi e allontanato dal
campo mentre una riserva veniva fatta entrare al suo posto.
Sofi tornò a guardare verso una famigliare divisa con il
numero
ventiquattro. Di tanto in tanto cercava Scott o Isaac, ma il fatto che
fossero
lupi e fondamentalmente indistruttibili giocava a loro favore.
Stiles però era umano e lei era sinceramente preoccupata che
non si
facesse troppo male, così non lo abbandonava mai con lo
sguardo, anche quando
non aveva la palla e il gioco era dalla parte opposta del campo.
Lydia l’aveva scorta un paio di volte a guardare dalla parte
opposta
rispetto al resto del pubblico, ma fino ad allora non aveva fatto
commenti.
Ritrovò Stiles tra la folla e accennò un sorriso
anche se lui era di
spalle e non poteva vederla.
“Stai di nuovo guardando Stiles”
Lydia parlò continuando a guardare il campo, come se stesse
semplicemente
commentando un azione interessante e non avesse iniziato un argomento
che Sofi
aveva disperatamente cercato di evitare da quando erano diventate
amiche.
O qualunque altra cosa fossero, perché lei non sapeva come
definire il
suo rapporto con Lydia.
A volte, quando Lydia la chiamava per accompagnarla a fare shopping,
per
dividere un gelato, per studiare o semplicemente per chiacchierare,
pensava che
la considerasse più che un’amica come tante, ma
poi si ricordava di Allison, la
ragazza dal bellissimo sorriso di cui aveva visto una foto in camera di
Scott,
e si faceva un passo indietro.
Sapeva che nessuno avrebbe mai preso il posto di Allison nel cuore di
Lydia e lei non lo voleva neanche, un po’ come Kira non
voleva scalzare la
ragazza dal ruolo speciale che ricopriva nel cuore di Scott.
Era come un terreno comune che univa ancora di più Kira e
Sofi.
Camminavano entrambe in punta di piedi nei cuori di persone ferite e
abbandonate sperando di non rompere nulla o inciampare, come ballerina
nelle
loro scarpette rosa.
Alla fine, Sofi aveva accettato di non classificare quel rapporto e lo
aveva tenuto così com’era. A volte i rapporti
inclassificabili erano i
migliori.
Era per questo che aveva evitato accuratamente l’argomento Stiles. Sapeva perché era
stato Scott a
raccontarle parte della storia e poi Stiles aveva fatto il resto, una
sera dopo
uno dei loro allenamenti.
Le era parso
di capire che anche Lydia provava qualcosa per lui e Sofi
non sapeva come comportarsi.
Doveva fare un passo indietro per rispetto di qualche codice
dell’amicizia non scritto?
In quel caso, tutto quello che aveva fatto e detto quella sera era un
enorme sbaglio che non avrebbe mai più dovuto commettere. E
il fatto che si
fosse sentita così bene tra
le
braccia di Stiles era qualcosa che doveva dimenticare.
“Sto
guardando la partita”
“No, non è vero. Tu guardi Stiles, guardi sempre
lui”
“Siamo amici. Guardo anche Scott e Isaac, se è per
questo”
Allora Lydia si voltò e inarcò un sopracciglio.
“Tesoro, non cercare di farmi sembrare stupida. Non lo sono.
Vedo come
guardi Scott e come guardi Stiles e non c’è
paragone”
Sofi
strinse le labbra e si trattenne dal chinare il capo. Invece
guardò verso il
campo senza vedere osservare niente in particolare: voleva solo
sfuggire allo
sguardo penetrante di Lydia.
“Tra
me e Stiles non c’è niente, Lydia. So che avete
dei trascorsi, se li vuoi chiamare
così”
“Intendi
la sua cotta per me?”
“Intendo
che anche tu provi qualcosa per lui, giusto?”
Lydia
ci pensò su un momento. Voleva bene a Stiles, molto
più di quanto ne volesse a
Scott o a chiunque altro. Era un legame speciale, inclassificabile,
quello che
li univa.
Ma
non aveva nulla a che vedere con quello che vedeva negli occhi di Sofi.
Sapeva
che se le avesse detto di fare un passo indietro, lei lo avrebbe fatto.
Anche
se probabilmente le avrebbe spezzato il cuore.
Ma
Stiles meritava davvero una persona come lei, che lo guardasse in quel
modo
speciale come Lydia non avrebbe mai potuto fare, come lei guardava
un’altra
persona.
“Voglio
bene a Stiles. Ha un posto speciale nel mio cuore, ma non in quel senso. Perciò, ti prego,
smettila
di sentirti in colpa o di sperare che non mi accorga che lo guardi
sempre. Ti
vedo sempre, per la cronaca”
“E
la cosa ti sta bene?”
“Vuoi
la mia benedizione?”
Lydia
era incredula.
“Non
è proprio una benedizione”
“Vuoi
che ti dica che mi sta bene che voi siate qualunque cosa
siate?”
“Sì” ammise un po’ titubante e
Lydia sorrise.
“E’ una benedizione. E sì, ce
l’hai”
Sofi non disse più nulla, si limitò a scuotere
appena la testa e
sorridere, nascondendosi dietro i capelli scivolati sulla spalla.
Intorno a loro, nessuno si era accorto di nulla, ma Lydia sentiva che
un
muro importante tra di loro fosse appena stato abbattuto.
Sofi si sentiva più leggera, così allegra da
volersi alzare e gridare a
squarciagola come faceva Melissa alle sue spalle da venti minuti, ma
era
l’intervallo, così rimase seduta e si
guardò intorno.
A un certo punto, scorse un viso familiare in mezzo alla folla, tre
file
sotto di loro. Aveva visto Derek Hale solo un paio di volte, ma era
sicura che
fosse lui e quando si voltò ne ebbe la conferma.
C’era una ragazza accanto a lui, una giovane donna forse
appena più
grande di lei con i capelli castani sparsi sulle spalle.
Aveva addosso una giacca di pelle troppo grande per lei e sorrideva
guardando Derek.
“Chi è la ragazza con Derek?” chiese
sporgendosi verso Lydia e parlando
piano.
Lydia guardò nella direzione indicata da Sofi.
“Oh, Lilian. E’ la sua ragazza. Deve essere tornata
da Philadelphia”
“Philadelphia?”
“Si è diplomata l’anno scorso e ora
studia alla UPenn. E’ uno dei grandi vanti
di questa scuola. Lei e Derek si sono conosciuti in una caffetteria, se
non
sbaglio. Siamo stati tutti felici di vederlo con una ragazza normale.
Scott ti
ha raccontato qualcosa al riguardo?”
“Qualcosa” ammise.
Preferì evitare di dirle che era stato Stiles a raccontarle
nel dettaglio
la sfortunata vita sentimentale di Derek, così finse di
sapere giusto qualcosa
di vago. Di Lilian non sapeva nulla e Lydia si preoccupò di
metterla al
corrente.
Stando a quanto lei le raccontò, Derek e Lilian si erano
conosciuti in
una caffetteria quando era tornata per le vacanze di Natale. Lei gli
aveva
versato addosso l’intero contenuto del suo cappuccino con
panna e caramello e
si era offerta di pagargli la tintoria. Gli aveva lasciato il suo
numero per
mandarle il conto e il resto era storia.
Lilian era perfetta per Derek, aveva aggiunto Lydia.
Mentre Kate e Jennifer erano state serpenti
nascosti sotto l’aspetto di fiori, Lilian era esattamente
ciò che sembrava: la
ragazza più sincera e dolce del mondo, con un talento
particolare per guardare
dentro le persone.
Mentre Lydia parlava, Sofi guardò la coppia in questione.
Lilian aveva il
mento appoggiato alla spalla di Derek e lui era girato verso di lei con
un
sorriso che non gli aveva mai visto prima sulle labbra.
Anche lei sorrideva e a un certo punto si spinse in avanti per
strofinare
il naso contro la guancia di Derek, un gesto così naturale
che fece sorridere
Sofi.
Difficile dire chi fosse più felice. Lilian era radiosa con
quel sorriso disteso
e la naturalezza con cui toccava Derek, lo accarezzava e gli sfiorava
la
guancia con le labbra di tanto in tanto; ma solo un cieco non avrebbe
visto
come lui la guardava quando lei era distratta, il genere di sguardo che
Sofi si
aspettava di vedere in un uomo che amava terribilmente la sua donna.
La partita riprese e lei spostò la sua attenzione dalla
coppia proprio
come Lydia, anche se l’amica continuò a guardarsi
intorno come se stesse
cercando qualcuno.
Sofi intravide Stiles che correva attraverso il capo con la palla, con
Scott e Isaac che lo coprivano ai lati come mura invalicabili. Lo vide
lanciare
e la folla si aprì in un boato quando la partita
tornò in parità.
Stiles si voltò e la cercò tra il pubblico. Sofi
aveva detto che lo
avrebbe guardato con fierezza e aveva ragione. Lei sorrideva, un
sorriso ampio
e sincero, e i suoi occhi traboccavano di orgoglio mentre applaudiva
insieme al
resto della folla. Lui vedeva solo lei.
Avrebbe potuto ammirare la sua espressione per il resto della partita,
ma
Scott lo richiamò e tornò a giocare con un enorme
sorriso.
Dagli
spalti, Sofi lo osservava. Lui sorrideva e lei lo guardava. Lui non
poteva
vederla, ma a lei piaceva guardarlo quando era distratto, quando nessun
altro
lo faceva. Lo osservava e si rendeva conto che c’era qualcosa
di bello per lei,
proprio lì, nelle sembianze di quel ragazzo meraviglioso.
Si
voltò verso Lydia. Doveva condividerlo con lei ora che
sapeva di poterlo fare
perché non poteva più tenere solo per
sé qualcosa di così grande.
Ma
Lydia guardava altrove e sorrideva e nei suoi occhi c’era lo
stesso sguardo che
Sofi sapeva di avere quando guardava Stiles.
Tornò
alla partita ridacchiando: ora sapeva da dove Lydia aveva attinto tutte
le
informazioni sulla vita sentimentale di Derek Hale.
To
be continued
But
you don't know I'm here
You're
the centre of attention
You
control the atmosphere
You're
so busy being busy
I
don't want to interfere
But
I can't stop
So
I'll remain
Within
your reign
Until
my thoughts can travel somewhere new
My
mind is blind to everything but you
And
I wonder if you wonder about me too
Wonder,
Lauren Aquilina
Il
giorno dopo era sabato e Sofi aveva programmato la sveglia
più tardi del solito
e quando aveva suonato, alle dieci, si era fatta una doccia, aveva
infilato un
paio di pantaloncini corti e una maglietta larga di Scott e poi si era
stesa di
nuovo sul letto ancora sfatto con un libro in mano.
Isaac
era passato con un grosso cesto di vestiti da lavare e poi, visto che
era una
bellissima giornata, era uscito a giocare con Scott.
Con
la finestra aperta, poteva sentirli ridere e gridare in giardino, sotto
la sua
finestra.
“Sofi!”
la chiamò Scott a un certo punto.
Lei
si affacciò alla finestra.
Prima
che potesse aprire bocca di nuovo, si sentì in dovere di
avvisarlo.
“Scott,
giuro che se te ne esci con qualcosa su Raperonzolo o Giulietta, io ti
avveleno
con lo strozzalupo”
Scott
e Isaac sembravano seriamente turbati.
“Cosa
ne sai tu dello strozzalupo?”
“Me
l’ha detto Lydia. E io ho fatto un sacco di
ricerche”
“Non
avvelenerai la colazione domani, vero?”
“Dipende”
“Da
cosa?” chiese Isaac
“Dal
motivo per cui mi avete chiamata”
Scott
e Isaac si guardarono e Sofi capì che avevano in mente una
di quelle pessime
battute su Raperonzolo e sullo sciogliere la propria treccia o su Romeo
e
Giulietta.
Inarcò
un sopracciglio “Allora?”
In
quel momento, squillò il telefono.
“Siete
due cuccioli fortunati” li avvisò prima di
rientrare.
Afferrò
il cellulare e si lasciò cadere di nuovo a letto prima di
rispondere.
“Pronto?”
“Organizziamo
una festa”
Sofi
spostò il cellulare dall’orecchio quando bastava
per poter guardare lo schermo,
poi lo rimise al suo posto.
“Lydia?”
“Sì,
ovviamente. Organizziamo una festa”
“Una…
cosa?”
“Festa.
Un party. Hai presente?”
“Certo
che ho presente. Ma perché?”
“C’è
bisogno di un motivo per organizzare una festa?”
“No,
immagino di no” mormorò stringendosi la radice del
naso tra pollice e indice
“Quindi non vuoi organizzarla solo per poter
invit…”
“Non
dire il suo nome”
“E’
un segreto?”
“Una sorta. Tu come lo sai?”
“Non
sei l’unica ad avere un quoziente intellettivo superiore alla
media”
Lydia
rimase un momento in silenzio. Ovviamente immaginava che Sofi fosse
più
intelligente delle persone normali, ma era la prima volta che lei
glielo
confermava. Le aveva detto, in effetti, che era andata a fare il test
qualche
giorno prima e doveva aver avuto i risultati. Una parte di lei era
curiosa di
conoscerlo.
“Se
proprio ti serve un motivo, festeggeremo la vittoria di ieri. E no, non
inviterò tu-sai-chi e
si, spero che
tu tenga questo segreto”
“Non
preoccuparti, lo farò. Quando sarebbe questa festa che vuoi
organizzare?”
“Che
vogliamo organizzare. Stasera,
ovviamente. Non dire che non si può fare, tutto è
possibile se ti alzi
immediatamente dal letto”
“Come
fai a sapere che sono sul letto?”
“Ho
tirato a indovinare, ma non è la parte importante. Alzati,
vestiti, infila
tutto quello che ti può servire per la festa in una borsa e
vieni qui, ora”
“Vuoi
anche che sbatta i tacchi e scatti sull’attenti, per
caso?” la prese in giro,
ma Lydia aveva già attaccato.
Guardò
lo schermo andare in stand-by.
Dopotutto,
una festa non era una pessima idea. Tra le nuove scoperte, gli
allenamenti e i
corsi extra, aveva bisogno di qualcosa per scaricare i nervi e la
vittoria del
giorno prima capitava giusto a proposito. Ballare tutta la notte, bere
un
cocktail, ridere e divertirsi senza pensare di poter essere
chissà quale
creatura sovrannaturale per una notte non sembrava così
brutto.
Recuperò
un borsone dalla camera di Scott e, dopo un rapido inventario dei
propri abiti,
vi infilò dentro qualche paia di scarpe e i vestiti che
avrebbe potuto
indossare alla festa.
In
un paio di minuti si vestì e infilò il cellulare
in tasca prima di fiondarsi
fuori dalla porta.
Melissa
era in ospedale e Scott e Isaac giocavano a lanciarsi un pallina da un
lato
all’altro dal cortile.
“Ragazzi,
stasera festa da Lydia. Vi mando un messaggio più
tardi”
“Dove
vai?”
“Da
Lydia, ovviamente”
Detto
questo corse via come un fulmine, senza dare altre spiegazione, con il
borsone
che sbatteva contro il polpacci.
“Io
continuo a pensare che questa cosa non abbia senso” si
lagnò Sofi.
“Ma
non devi pensare. Devi continuare a mescolare il ponch”
“Io
odio il ponch” mormorò Sofi e Kira
ridacchiò mentre preparava degli
stuzzichini. Da quando erano arrivate non si erano fermate un attimo e
il
salotto di Lydia aveva già cambiato aspetto sotto le abili
mani delle tre
ragazze.
Kira
aveva pensato ai tavoli, Sofi si era occupata della disposizione delle
bevande
e Lydia aveva spostato in uno sgabuzzino tutto quello che poteva essere
rotto o
danneggiato.
Poi
aveva tirato fuori l’alcol e Sofi aveva preferito evitare le
domande. Era
sicura che fosse meglio non sapere dove avesse reperito tutto
quell’alcol alle
due del pomeriggio.
Si
era limitata a sistemarlo in religioso silenzio sul tavolo che aveva
predisposto, appoggiato al muro in modo che fosse più stabile e nella speranza che
nessuno ci cadesse
sopra.
Poi
lei era stata assegnata alla preparazione del ponch e Kira al cibo
mentre Lydia
andava a lavarsi e prepararsi.
Lydia
scelse proprio quel momento per tornare in cucina, i capelli
già asciutti e al
naturale e la vestaglia legata ben stretta.
“Va
bene così, ragazze. Venite, è ora che vi
prepariate anche voi”
“Mancano
più di tre ore alla festa” le fece notare Kira
guardando l’orologio. Erano le
sei di pomeriggio e lo stomaco di Sofi brontolò sonoramente.
“Sì,
ma ci sono tante cose da fare. E ho portato su un po’ di
cibo”
Fu
quello a far muovere Sofi, non certo la prospettiva di smaltarsi le
unghie
oramai irrimediabilmente rovinate.
Quando
si accomodarono tutte e tre sul letto di Lydia e tra loro si
aprì un cerchio di
smalti dai colori più diversi, Sofi si accorse
dell’espressione sul volto della
padrona di casa, un mix di soddisfazione e tristezza.
Mentre
Lydia aiutava Kira a scegliere il colore giusto per l’abito
che ovviamente le
aveva già trovato, Sofi la osservò.
Ci
mise un po’ a comprendere, ma alla fin svelò
l’enorme arcano dietro il volto di
Lydia Martin.
Non
era tanto la festa, il punto di quella giornata. Era tutto quello che
era già
accaduto e allora pensò alle risate, a Lydia che si
comportava da generale e
poi rideva con loro, agli smalti intorno a loro e ai vestiti
ammucchiati su una
sedia, le scarpe abbandonate per terra.
Una
serata tra amiche di cui la festa era solo lo specchietto per le
allodole che
Lydia aveva sistemato con cura.
Non
era sicura del perché. Forse una parte di lei,
chissà quanto in profondità, si
sentiva in colpa nei confronti di Allison per quei piccoli passi
avanti, come
se tentare di rimarginare una ferita fosse una cosa di cui vergognarsi.
E
così anche Sofi, che fino a quel momento era stata tanto
recalcitante, decise
di dare a Lydia quello che non aveva il coraggio di chiedere
esplicitamente.
“Uhm,
cosa ne dici di questo colore?” le chiese, mostrandole uno
smalto blu elettrico
che sarebbe stato perfetto con l’abito grigio che aveva
scelto.
Lydia
storse il naso.
“No.
E non indosserai nemmeno il vestito grigio. L’altro che hai
portato ti starà
d’incanto. E io ho lo smalto perfetto per te. Dammi la
mano”
Sofi
le porse la mano.
“Un
po’ ti invidio. Queste mani sono perfette” le fece
notare rigirandosela tra le dita,
guardandola con attenzione “Potresti essere una
pianista”
“Potrei
esserlo stata. Sai, nell’altra
vita”
“E’
così che hai chiamato la tua vita prima
dell’amnesia?” si intromise Kira.
Sofi
fece spallucce “E’ l’unica cosa che mi
è venuta in mente”
“Tu
davvero non ricordi nulla del tuo passato? Proprio niente?”
Sofi
scosse la testa. Non poteva dire che fosse veramente doloroso, ma
parlarne era
ancora come una scheggia conficcata nel petto che scendeva in
profondità,
sempre più giù.
Forse
un giorno sarebbe riuscita a tirarla fuori, ma c’erano
momenti in cui si
chiedeva se quella scheggia non fosse più una protezione e
strapparla via
avrebbe solo aperto ferite sanguinanti.
Ci
fu un minuto buono di silenzio prima che Kira si aprisse in un
sorrisetto.
“In
una serata tra ragazze non si dovrebbe parlare di cose tristi. Dovremmo
farci
le unghie, guardare un film, parlare di ragazzi…”
Aveva
capito dove Kira voleva andare a parare, che era esattamente dove Sofi
voleva
mandare la conversazione.
Ragazzi.
Voleva proprio sentire cosa si sarebbe inventata Lydia per coprire la
sua
relazione con Colui Che Non Doveva Essere
Nominato.
Una
piccola vendetta per tutto il lavoro che le aveva fatto fare.
“In
effetti” iniziò e Lydia tremò nel
guardare il sorriso malizioso sul viso di
Sofi, il genere di espressione che non annunciava nulla di buono
“Non parliamo
mai di ragazzi. Andiamo a fare
shopping, chiacchieriamo, ma non parliamo mai dei nostri
maschi”
“Se
senti di dover confessare qualcosa, Sofi, sentiti pure libera di
farlo” tentò
Lydia, ma la ragazza scosse il capo e Kira ridacchiò mentre
chiudeva la
boccetta di smalto con cautela.
“Non
io, Lydia. Sapete tutto di me”
“Di
te e Stiles”
“Di
me e Stiles. Quello che vedete è esattamente ciò
che è. Ma tu…”
“Oh
no”
“Oh
sì. Raccontaci” la incitò Kira
stendendosi a pancia in giù con un sorriso
astuto. Dopotutto, Kira era la volpe e
mai come allora Sofi ne fu sicura. Era tutto nel modo in cui sorrideva
e nel
barlume dei suoi occhi.
“Anche
tu sai?”
“Io
sono la volpe” si limitò a dire Kira con
un’alzata di spalle e Sofi dovette
mordersi il labbro per non ridere. Lydia si morse il labbro.
“Perché
pensate che voglia parlarne?”
Kira
e Sofi si scambiarono un’occhiata, poi la bionda
inarcò un sopracciglio
guardando Lydia.
“Perché”
le disse lentamente “muori dalla
voglia di raccontare a qualcuno quel che sta succedendo. Lo vuoi
così tanto da
chiamarci qui per aiutarti a organizzare una cosa che avresti potuto
fare da
sola, così tanto da farci fermare a dormire qui dopo”
“Non
avrei saputo dirlo meglio” si complimentò Kira.
Lydia
sapeva che Sofi aveva ragione, ma non era sicura che loro capissero
quanto
fosse difficile.
Come
poteva permettere a loro di entrare, di guadagnarsi un posto nel suo
cuore
senza offendere la memoria di Allison?
Come
poteva poi provare quel bisogno di confidarsi come faceva una volta con
lei
senza sentirsi in colpa?
Sofi
sembrava saperlo perfettamente, come se sapesse leggerle dentro. Forse
era così
anche per lei che aveva dimenticato la sua vecchia vita e se ne stava
costruendo
una nuova dal nulla.
Forse
anche lei, a volte, si sentiva in colpa verso chi ne aveva fatto parte
per
averli solo lasciati andare.
Forse,
si disse guardando le due ragazze che ora ridevano tra di loro, se non
fosse
stato perché erano loro, non
avrebbe mai
provato nulla del genere.
Ci
sarebbe sempre stata Allison e tutte le altre non avrebbero mai potuto
competere. Ma Kira e Sofi sembravano sempre sapere quando darle spazio
e, al
contrario, quando fare un passo avanti, come se potessero vedere dentro di lei.
Forse
doveva solo fare come Scott: sistemare il ricordo di Allison dove
poteva
trovarlo, ma abbastanza in disparte da permettersi di lasciare entrare
altre
persone.
“E’
una storia complicata” disse senza preavviso e Kira e Sofi,
che stavano ridendo
di qualcosa di stupido che aveva detto Scott la sera prima, si
voltarono verso
di lei.
“Lunga
e complicata, in realtà. Siete sicure di voler
sentire?”
Sofi
sorrise, il genere di sorriso di una dolcezza disarmante. Capiva cosa
vedeva
Stiles in lei.
“Certo.
E, solo per dire, possiamo smettere di chiamarlo Colui
Che Non Deve Essere Nominato? E’ piuttosto lungo e
mi ricorda
Voldemort” ammise Kira.
“Già.
Possiamo chiamarlo P…”
“Allora
iniziamo!” la interruppe Lydia e Sofi alzò gli
occhi al cielo, ma non la interruppe
mentre il suo racconto prendeva vita e aveva davvero tutti gli elementi
per
essere una fiaba, anche se un po’ macabra.
D’altronde,
le loro intere vite non avrebbero stonato in un volume dei fratelli
Grimm. Sofi
si chiese se, a prescindere da tutta l’oscurità
che gravava intorno a loro,
avrebbero avuto comunque il loro lieto fine, esattamente come nelle
favole.
Sofi
ballava da ore senza che Stiles riuscisse a non guardarla per troppo
tempo.
Nella
sua testa continuava a rivedere quel che era successo nello spogliatoio
e ogni
volta c’era sempre una piccola variazione al ritmo del suo
cuore.
Non
era facile non perderla mai di vista: il salotto di casa Martin era
gremito di
gente, ragazzi del liceo riempivano persino il giardino e il bordo
piscina.
C’era
anche qualche ex alunno come Lilian Anderson e il suo gruppo di amiche,
benché
oramai fossero tutte studentesse del college.
Sofi
ballava e lui non riusciva a smettere di guardarla mentre ondeggiava,
rideva e
scuoteva i capelli.
All’inizio
aveva trascinato Scott sulla pista dopo aver passato buona parte
dell’inizio
della serata a scherzare con tutti loro insieme a Kira, mentre Lydia
faceva la
padrona di casa con gli invitati.
Poi,
quando Kira aveva preso la mano di Scott e lo aveva condotto via con
sé, aveva
trascinato sulla pista Isaac e con lui aveva continuato a ballare per
gran
parte della notte.
Non
si poteva dire che non attirassero gli sguardi, entrambi biondi,
entrambi belli
e sorridenti mentre si muovevano in sincrono.
Solo
uno spettatore attento avrebbe riconosciuto la giocosa
sensualità della loro
danza per quello che era.
Stiles
aspettava che lei venisse da lui, ma non era abituato a doversi mettere
in
fila. Una parte di lui, quella più infantile, avrebbe voluto
portarla via ed
essere al centro delle sue attenzioni per il resto della serata.
Prese
la birra e si allontanò dalla pista da ballo improvvisata.
La piscina era
gremita di persone, qualcuno si era anche gettato in acqua
completamente
vestito. Altri avevano avuto la buona grazia di togliersi almeno le
scarpe.
Stiles
li superò e raggiunse un angolo di prato dove la madre di
Lydia aveva sistemato
un piccolo dondolo fornito di cuscini e tende.
Vi
si lasciò cadere con un cigolio e un leggero movimento, poi
prese un sorso
della birra che teneva in mano.
Rimase
un po’ così, abbastanza lontano da sentire la
musica a un volume accettabile,
piegato in avanti e con i gomiti appoggiati alle ginocchia, la birra
che
dondolava appena tra le dita.
C’erano
dei lillà nel giardino di Lydia, i fiori che aveva imparato
a collegare a Sofi.
Sofi
che camminava verso di lui attraverso il giardino, accarezzando appena
i fiori
intorno a lei.
Si
lasciò scivolare accanto a lui e raccolse le ginocchia al
petto.
“Non
ti piace la festa?”
“Volevo
solo un po’ di quiete. La festa è un vero
successo”
“Be’,
è in onore della vostra vittoria. Sei stata bravissimo, a
proposito”
Si
voltò verso di lei e le sorrise.
“Grazie”
Per
un momento regnò il silenzio, spezzato solo dalla musica. Il
ritmo era cambiato
e ora non c’era più una di quelle canzone sfrenate
da discoteca, ma un
romantico lento. Sporgendosi un po’, Stiles riuscì
a vedere un paio di coppie
che ballavano stringendosi.
Una
parte di lui avrebbe voluto essere lì con loro, per
stringere Sofi e appoggiare
la testa tra i suoi capelli nello stesso modo in cui faceva Scott con
Kira.
“Quello
che hai detto nello spogliatoio” iniziò Stiles
senza voltarsi “lo pensavi
davvero?”
“Quale
parte?”
“Tutto”
“Certo
che lo pensavo” gli disse sporgendosi verso di lui per
avvicinare il viso al suo
“pensavo ogni singola cosa. Perché ne
dubiti?”
Stiles
potrebbe dirle che è perché nessuna ragazza lo ha
mai guardato come lo guarda
lei; nessuno ha mai pensato a lui come a un punto fermo in un mondo che
ruota
in fretta. Ma è molto più di questo.
“Dopo
quello che è successo con il Nogistune, non mi sento mai la
meravigliosa
persona che descrivi”
“Stiles”
lo richiamò lei e lo costrinse a voltarsi per guardarla
negli occhi. Si sporse
verso di lui e il suo viso era a pochi centimetri da quello di lei, una
mano di
Sofi posata sulla sua guancia mentre la carezzava con il pollice.
Lo
guardò fisso negli occhi e non disse niente. Stiles avrebbe
potuto baciarla in
quel momento: sarebbe bastato allungarsi un po’ per sentire
che sapore avesse
quel sorriso, ma qualcosa gli disse che non era l’occasione
giusta.
C’erano
momenti perfetti per un bacio e altri per un diverso tipo di
intimità, una
mille volte più grande, proprio come quella che Stiles e
Sofi stavano imparando
a condividere.
La
mano di Sofi era piccola e calda contro la sua guancia e gli
sembrò un appiglio
sicuro a cui tenersi per non lasciarsi distruggere dal senso di colpa.
Forse
lei lo vide nei suoi occhi perché gli prese il viso con
entrambe le mani.
“Se
solo potessi vederti come ti vedo io, Stiles”
sussurrò.
Una
mano scivolò lungo il braccio e Sofi gli stinse la mano
mentre appoggiava la
testa contro la spalla per poi chiudere gli occhi. Stiles la
imitò per
impedirle di vedere gli occhi lucidi, ma dal modo in cui Sofi
sorrideva, gli
venne da pensare che lei sapesse.
Non
se ne curò. Appoggiò la testa contro la sua,
ispirando il profumo di fiori dei
suoi capelli mentre l’altra mano di Sofi gli accarezzava la
nuca.
Stiles
non avrebbe saputo dire quando tempo passò, ma a un certo
punto lei si scostò e
Stiles avrebbe voluto trattenerla vicino a sé ancora e forse
anche per sempre,
ma lei gli tese subito la mano e lo fece alzare.
“Balliamo?”
Doveva
essere il momento dei lenti perché c’era
un’altra canzone malinconica e un
sacco di coppie ballavano a bordo piscina o in salotto. Stiles non se
lo fece
ripetere due volte e le passò un braccio intorno alla vita.
Sofi
gli circondò le spalle con un tintinnio di bracciali e gli
prese la mano,
intrecciando le dita con le sue così strettamente che Stiles
si chiese se fosse
il suo modo per dirgli che non lo avrebbe lasciato andare.
Appoggiò
le mani intrecciate sul petto di Stiles e sistemò la fronte
contro l’incavo del
collo, così che quando Stiles abbassò la testa
per guardarla, il suo viso era
ad appena qualche centimetro da lui.
Lei
guardava le loro mani intrecciate come se fossero la chiave di tutto e
Stiles
guardava lei, l’ancora a cui aggrapparsi.
Ondeggiarono
pigramente sul posto, seguendo il ritmo struggente della canzone.
C’era profumo
di lillà ed era lei, non i fiori che crescevano intorno a
loro come grappoli
d’uva, ma Sofi, la ragazza dei lillà.
Sofi
socchiuse gli occhi e continuò a dondolarsi sul posto
insieme a Stiles. Non
importava a nessuno dei due il fatto che la musica avesse un altro
ritmo quando
erano così concentrato l’uno sull’altra,
come se il mondo iniziasse e finisse
lì.
Stiles
la guardava.
Lei
era diversa, aveva quell’aria sognante ma i suoi occhi erano
attenti. Era dolce
ma sapeva allontanarti con uno sguardo, era piena di quel non so che;
aveva un
mondo dentro e lui ne era affascinato. Non sapeva mai cosa aspettarsi,
era
bella, ma non bella da esposizione: bella da amare, da stringere forte,
da
riderci insieme, da scherzarci insieme come due bambini. Era piccola,
da
abbracciare con cura e faceva paura. Il suo sorriso esagerato non
copriva il
dolore in fondo ai suoi occhi. E lui, perdendosi in quegli occhi, non
avrebbe
potuto fare altro che andarsene via e dannarsi l’anima o
innamorarsene
perdutamente.
Sofi
alzò lo sguardo e lo fissò con i suoi occhi
azzurri che, illuminati dalla luce
che proveniva da dietro di loro, sembravano stelle danzanti.
“Il
dolore, la sventura, l’orrore sono campi di battaglia e hanno
i loro eroi. Tu
sei il mio eroe, Stiles, non importa quello che vedi quando ti guardi
allo
specchio perché non è ciò che vedo
io”
Poi
appoggiò di nuovo il capo contro l’incavo del
collo. Rimasero stretti l’uno tra
le braccia dell’altro anche quando la musica
cambiò ritmo.
Giving
this world everything I've got
Running through the woods
Running through these shots
Trying to survive a day
And all I want is that you extend your hand to me
Silhoutte,
Active Child
Lunedì
mattina il cielo era grigio e nuvole color carbone si erano radunate
all’orizzonte. Il vento le avrebbe presto spinte sopra Beacon
Hills. Non c’era
nessuna traccia del sole e quando lo sceriffo Stilinski raggiunse il
limitare
del bosco con l’auto di servizio, le nuvole avevano quasi
raggiunto la città.
Gravavano
cariche di pioggia sopra le loro teste, il che voleva dire che la
scientifica e
la polizia doveva sbrigarsi a raccogliere ogni prova possibile.
Attraversò
il bosco facendosi largo tra rami bassi e scavalcando radici sporgenti,
fino a
quando non vide una squadra di agenti coordinata dal vice-sceriffo
Parrish.
Si
avvicinò al giovane agente.
Era
vicino al cadavere. Nell’arco delle ultime due settimane
avevano trovato due
cadaveri, due donne giovani, entrambe morte annegate.
Quando
era arrivata la chiamata alla centrale da parte di un terrorizzato
escursionista, aveva pensato a una terza donna, magari che
assomigliasse alle
altre due per colore di capelli o di occhi.
Magari
un serial killer, qualcosa che la polizia, con le sue umane risorse,
avrebbe
potuto risolvere.
Ma
la terza vittima era un uomo e sembrava più giovane delle
due donne, entrambe
prossime alla trentina.
In
ragazzo non poteva avere più di venticinque anni e,
diversamente dalle altre
vittime, non era morto annegato.
Quando
lo sceriffo si chinò sul cadavere, il medico legale lo stava
analizzando per
controllare che non avesse tracce del suo assassino addosso.
Lo
sceriffo cercò di non arricciare il naso, ma il fetore era
disgustoso e
l’essere all’aria aperta non aiutava più
di tanto.
Parrish
si fece coraggio e si avvicinò, ma preferì non
chinarsi. Non era il primo
cadavere che si trovava di fronte, ovviamente, ma non gliene era mai
capitato
uno in quello stato di decomposizione.
Lo
sceriffo lo raggiunse e lui aprì il taccuino.
“Aveva
qualche documento addosso?”
“Nel
portafoglio c’era la patente e la carta
d’identità. Si chiamava Martin Wright,
vent’anni. La patente è stata rilasciata dallo
stato di New York”
“Mi chiedo cosa gli sia successo. Il medico legale
può fornirci qualche
informazione?”
Parrish
si sporse verso il dottore e lo vide sistemare qualcosa nella borsa e
poi
alzarsi.
“Credo
che abbia finito proprio ora”
L’uomo
si diresse verso di loro “Gli hanno spezzato il collo, ma non
ci sono altri
segni di colluttazione sul corpo”
“Sa
dirci da quanto è lì?”
“E’
difficile senza alcun test, ma a giudicare dallo stato di
decomposizione, direi
che potrebbero essere dieci, quindici giorni”
“Non
c’è nulla sul corpo che possa aiutarci?”
“Nulla. E’ sicuramente una morte violenta, ma
sinceramente è la prima volta che
mi capita un corpo così”
“Cosa
vuol dire?”
“Senza
segni di lotta. Quasi non si vede il punto in cui l’assassino
lo ha afferrato
al collo. Anzi, è invisibile. Praticamente è
impossibile: sapete quanta forza e
quanta pressione ci vuole per spezzare il collo a una persona?
Molta”
“Non
può dirci altro?”
“Per
ora no. Farò tutti gli esami del caso e vi farò
mandare i risultati”
“Grazie”
Il
medico legale si allontanò. Il cadavere del ragazzo era
ancora a terra mentre
un paio di agenti setacciavano la zona e facevano foto per immortalare
la scena
del crimine.
“Cosa
sai dirmi del ragazzo che ha trovato il corpo?” chiese a
Parrish.
“Una
coppia di escursionista. Ha chiamato il marito. Ha detto che era la
prima volta
che venivano a camminare in questa parte del bosco. La moglie
è inciampata e
solo dopo si è resa conto del corpo steso a terra”
“Povero
ragazzo”
“Non
ci sono segni di trascinamento. Deve essere morto qui”
rifletté lo sceriffo.
“Sì.
Ma non c’è nessuna traccia, nessuna
impronta”
“Se
è morto da quindici giorni, la pioggia può aver
cancellato ogni traccia e
residuo organico. Dobbiamo aspettare di vedere i risultati della
scientifica,
magari saremo fortunati. Hai detto che veniva da New York?”
“La
patente è stata emessa lì, sì. Un
turista? O magari si stava trasferendo qui”
“O
forse era solo di passaggio. E’ senza bagagli, senza borse.
Magari la sua
macchina è da qualche parte nei dintorni”
Parrish
non stava ascoltando. Le parole dello sceriffo gli avevano fatto venire
in
mente un’altra cosa.
C’era
un’altra persone che era arrivata a Beacon Hills da quindici
giorni,
rifletté. Una
che era stata trovata a
vagare su ciglio della strada, non troppo lontano dal punto in cui
aveva
lasciato l’auto, e aveva detto di venire dal bosco.
Poteva
essere una coincidenza, ma le possibilità erano piuttosto
remote.
“C’è
qualcuno che dovremmo interrogare” sospirò lo
sceriffo.
L’ultima
cosa che voleva era spaventare quella povera ragazza con la foto di un
cadavere
e strane domande, ma non poteva nemmeno ignorare una possibile
connessione.
Parrish
sapeva benissimo a chi si riferiva. La ragazza che aveva trovato lui
sotto la
pioggia scrosciante e che era andata a cercarlo per portargli dei
cupcakes.
“Una
tua vecchia conoscenza, agente. Sofi Rivers.”
Quel
lunedì, l’ultima ora non sembrava passare.
Sofi
fissava ostinatamente l’orologio sopra la lavagna, ma persino
la lancetta dei
secondi sembrava procedere più lentamente, come se il tempo
si fosse dilatato
per rendere peggiore quella tortura.
Finita
l’ultima ora la aspettava la lezione di danza. Se fosse stato
per Sofi,
probabilmente avrebbe preferito non iscriversi, ma Melissa le aveva
portato i
moduli sostenendo che la danza classica l’avrebbe aiutata in
molti modi, non
solo con la postura.
Non
sarebbe mai successo se Melissa non l’avesse vista
volteggiare per casa mentre
la aiutava con le pulizie. Era stato strano.
Così
la donna le aveva proposte di prendere lezioni, un po’ per
aiutarla a rimanere
in forma, un po’ per la postura, ma soprattutto
perché fare sport, per quanto a
livello dilettantesco, avrebbe aiutato ad alleviare lo stress.
Così
aveva accettato e in realtà, ne sarebbe valeva la pena
già solo per vedere
l’espressione felice di Melissa quando le comprava un paio di
scarpette nuove o
un nuovo tutù.
Sofi
le aveva proposto di trovarsi un lavoro per potersi mantenere, ma
Melissa aveva
detto che avrebbe avuto tempo per quello, che era presto, ma che se
voleva
poteva iniziare a cercare con calma qualcosa che le piacesse.
In
realtà, aveva visto un annuncio al centro commerciale, in
una libreria. Pensava
di andarci con Scott dopo la lezione di danza.
Guardò
di nuovo l’orologio. Due e trentasette.
In
quel momento la porta dell’aula si aprì e Sofi
vide Miss Sunder, l’insegnante
di letteratura, trasalire e alzarsi dalla sedia da cui stava leggendo
un brano
tratto dalla lettura del semestre.
Sull’uscio
c’era lo sceriffo insieme all’agente Parrish e a un
altro paio di agenti. La
donna confabulò a bassa voce con loro mentre Sofi pensava
distrattamente che
conosceva perfettamente il libro che stavano leggendo dato che lo aveva
concluso una settimana prima e che quell’ora era uno spreco
di tempo.
“Miss
Rivers”
Alzò
il capo quando si sentì chiamare “Miss
Sunder?”
“Dovrebbe
raccogliere le sue cose e seguire lo sceriffo, prego”
Sofi
non disse nulla. Infilò tutto in borsa e tenne un quaderno
tra le braccia, come
se quell’insieme di carta e cartona potesse farle da scudo da
qualunque cosa
stesse succedendo.
In
mano le rimase anche una matita che si muoveva febbrilmente tra le sue
dita.
Mentre
usciva dall’aula sentì sulla schiena gli sguardi
di tutti, come fossero lame
conficcate tra le scapole, e fu un sollievo quando lo sceriffo chiuse
la porta.
“Buongiorno,
sceriffo. Agente Parrish. A cosa devo il piacere?”
Lo
sceriffo le fece segno di precederlo “Dobbiamo farti un paio
di domande”
“E’
successo qualcosa?”
“In
effetti sì. Vieni, cerchiamo un posto per parlare”
Sofi
guardò l’agente Parrish per cercare una risposta
alle mille domande che le
ronzavano in testa, ma lui scosse solo la testa e le tenne la porta
aperta per
farla entrare.
L’aula
era vuota e l’agente le fece segno di sedersi nel primo
banco, esattamente di
fronte alla cattedra di fronte alla quale si sistemò lo
sceriffo.
Entrarono
solo lui e Parrish mentre gli altri due agenti rimasero fuori, accanto
alla
porta. Fu quel dettaglio a metterla in allarme, il fatto che due agenti
si
sistemassero come sentinelle di guardia, a farle capire che era molto
più grave
di quello che lo sceriffo avesse lasciato intendere.
Posò
il quaderno, ma continuò a tenere la matita tra le dita,
facendola ticchettare
contro il banco.
“Sofi,
prima di iniziare, vorrei dirti che non ti devi preoccupare di nulla.
So che
non ricordi nulla, neanche cosa sia successo la notte in cui il vice
sceriffo
ti ha trovata. Solo, rispondi come riesci, va bene?”
Sofi
annuì.
“Che
cosa sta succedendo, sceriffo?”
“Oggi
abbiamo trovato un cadavere”
Sofi
si irrigidì. Stiles gli aveva detto che suo padre sapeva
dell’esistenza dei
lupi, ma non era stato messo al corrente di lei e dei suoi talenti.
Avevano
preferito tenerlo all’oscuro fino a quando non avessero
capito esattamente cosa
lei fosse.
Inoltre,
dopo l’episodio del lago, Sofi non aveva più avuto
incubi del genere. A volte
sognava ancora il ragazzo e il giardino con gli alberi dai fiori rosa,
ma si
concludeva tutto con un raggio di luce e lei tornava indietro,
risospinta con
dolcezza verso la realtà.
Non
c’erano stati altri omicidi, Stiles aveva tenuto
d’occhio la situazione. Non
fino ad allora, almeno.
“Mi
dispiace molto. Questo ha qualche connessione con me?”
“Non
lo sappiamo. Il corpo era nel bosco, in un punto non troppo lontano da
dove
l’agente Parrish ti ha trovata”
“Ma
non si sa da dove arrivasse. Per quanto ne so, potrei aver camminato
per ore e
venire dalla parte opposta del bosco”
“E’
vero” ammise lo sceriffo “ma dobbiamo comunque
prendere in considerazione la
possibilità che fossi lì”
“Che
lo abbia ucciso io?”
“No.
Solo che fossi lì. O magari che tu lo conoscessi”
“Quindi
cosa dovrei fare?”
“Devi
guardare un paio di foto e rispondere a qualche domanda. Lo puoi fare
per noi?”
Sofi
annuì con un cenno.
“Va
bene. La notte in cui l’agente Parrish ti ha trovata, venivi
dal bosco?”
“Sì,
credo di sì. Ho ricordi piuttosto confusi”
“Cosa
era successo?”
“Penso
di essermi svegliata da qualche parte, in una radura. Pioveva e faceva
freddo.
Credo di aver camminato fino a quando non ho incontrato la
superstrada”
“Ricordi
di aver visto qualcuno?”
“No.
Non posso esserne certa, ma non credo ci fosse nessuno.”
“Va
bene. Guarda se riconosci il ragazzo”
Le
mostrò la foto del cadavere, l’unica che avessero
date che quella sulla patente
era rovinata dalla pioggia. Lo sceriffo osservò con
attenzione la reazione di
Sofi, un po’ per capire se stesse mentendo, un po’
perché sapeva che la vista
di un cadavere in quelle condizioni non era cosa da tutti i giorni.
Sofi
impallidì e strinse le dita intorno alla foto
così forte che le sue nocche
sbiancarono. Serrò le labbra per ricacciare indietro un
violento attacco di
nausea.
Non
era il suo primo cadavere, ma sospettava che anche dopo mille, non
sarebbe mai
riuscita a scacciare il groppo alla gola e la stretta allo stomaco.
Aveva
ancora gli occhi aperti.
Fu
quello a far vacillare il suo autocontrollo. Avrebbe potuto sopportare
un corpo
sistemato su una fredda lastra da obitorio, con gli occhi chiusi e un
lenzuolo
intorno al corpo.
Ma
gli occhi aperti, i capelli scompigliati e la posa disarticolata di
quel
ragazzo spezzarono un po’ della sua forza.
Strinse
più forte le labbra, ma non più per ricacciare
indietro il disgusto.
Da
qualche parte, qualcuno lo stava cercando, qualcuno che probabilmente
sperava
di trovarlo vivo e sorridente. Una famiglia, una fidanzata…
qualcuno.
“Come
si chiamava?”
“Martin
Wright”
Lo
sceriffo le concesse qualche minuto per assorbire tutte le informazioni
che le
avevano riversato addosso. Vide le lacrime raccolte intorno agli angoli
degli
occhi e il modo in cui le ricacciò indietro.
Le
lasciò un minuto per poter rispondere senza che le tremasse
la voce.
“Ti
sembra familiare?”
“No.
Mi dispiace, vorrei aiutarvi, ma non ricordo niente” ammise
con un sussurro,
restituendo la foto allo sceriffo dopo un’ultima occhiata.
Cercò
di sorridere, ma le sembrava di avere i muscoli congelati per lo sforzo
di non
crollare. Ogni volta che si era trovata a fare i conti con qualcosa di
spaventoso che la terrorizzava, c’era sempre qualcuno che si
frapponeva fra lei
e la sua paura. Che fosse Scott, Isaac o Stiles non era importante.
Loro
erano sempre lì, una rassicurante muraglia che le impediva
di spezzarsi.
Furono
loro a tenerla insieme per l’ennesima volta, come collante
tra i pezzi di un
vaso pieno di crepe.
“Posso
andare, sceriffo?”
“Sì,
certo. Grazie per aver collaborato, Sofi”
Sofi
annuì, si strinse il quaderno al petto e se ne
andò il più in fretta possibile.
Mentre se ne andava, le dita tremavano così forte da non
riuscire a tenere la
matita.
Cadde
a terra con un tintinnio, ma non si fermò a recuperarla.
Solo più tardi avrebbe
pensato a quella matita abbandonata come un corpo spezzato e
dimenticato.
Non
avrebbe dovuto essere lì, eppure era l’unico posto
in cui avrebbe voluto
essere.
Non
propriamente di fronte a una porta, ma vicino alla persona che
c’era lì dietro.
Sapeva che era a casa. E se così non fosse stato, avrebbe
aspettato fino a
quando non fosse rientrato.
Le
tremavano ancora le mani quando bussò.
Mentre
aspettava sullo zerbino, prese un respiro profondo per cercare di
calmare il
tremito delle dita, delle mani e ora anche delle labbra.
Sembrava
che il suo corpo non fosse più totalmente suo e rispondesse
ad altri ordini.
Bussò
una seconda volta, più per fare qualcosa che alleviasse il
nervosismo che per
altro.
Quando
la porta sì aprì, era quasi riuscita a frenare il
tremito delle mani. E tutta
la calma che era riuscita così faticosamente a mettere
insieme andò in frantumi
quando Stiles si affacciò dall’uscio in pantaloni
della tuta e maglietta.
Allora
tutto quello che aveva faticosamente tentato di tenere insieme le
scivolò dalle
dita come cocci incollati malamente.
“Sofi”
“Stiles”
lo chiamò.
Stavolta
era Sofi ad avere bisogno di lui fosse lì per lei, che le
prendesse la mano e
la stringesse a sé per dirgli che c’era, che non
l’avrebbe lasciata cadere a
pezzi. E che, se avesse fallito, li avrebbe raccolti e rimessi insieme.
Sofi
si strinse a lui affondando il volto nel suo petto e facendosi piccola
piccola
tra le sue braccia, come se Stiles potesse proteggerla da tutto con la
sola
forza di un abbraccio.
Stiles
non le chiese cosa fosse successo. Lasciò che lei respirasse
piano contro il
suo collo fino a quando non fu lei la prima ad allontanarsi appena,
senza
smettere di stringere la sua maglietta tra le dita.
Allora
la prese per mano e la condusse nella sua camera, chiudendosi la porta
alle
spalle con un colpo secco.
Sofi
si lasciò cadere sul letto e gettò le scarpe
lontano con un calcio prima di
rannicchiarsi contro il muro, in un angolo.
Stiles
la raggiunse e si sistemò accanto a lei. Le loro braccia si
toccavano e Stiles
le prese una mano tra le sue.
Sofi
avrebbe voluto poggiare la testa sulla spalla di Stiles, respirare il
suo
profumo per un po’ e poi sorridergli come faceva sempre, ma
quando tentò di
alzare il capo per guardarlo negli occhi, qualcosa si spezzò
e il pensiero di
quel ragazzo morto tornò alla ribalta pretendendo la sua
attenzione.
Era
una strana sensazione, come guardare un film triste e sentire tutto il
dolore
del protagonista anche senza conoscerlo, come partecipare a un lutto
senza
sapere perché.
Strinse
le labbra così forte da tremare, fino a quando fu troppo.
Scoppiò
in lacrime all’improvviso e Stiles la guardò come
se non sapesse cosa fare.
Probabilmente era così e Sofi non si aspettava nulla: doveva
solo restare lì
con la mano intrecciata alla sua.
Ma
Stiles la sorprese.
La
attirò a sé e seppellì il volto tra i
suoi riccioli, infilando delicatamente
una mano tra i capelli e carezzandole la nuca come lei aveva fatto
appena due
sere prima.
“Stiles”
lo chiamò con voce tremante, come se il suo nome fosse
l’ancora a cui
aggrapparsi quando la maglietta e la sua mano non furono più
sufficienti.
Stiles
la strinse così forte che avrebbe potuto lasciarle i lividi,
ma la voce dentro
la sua testa gridava proteggi così
forte
da superare persino i singhiozzi di Sofi.
Quando
le braccia di Stiles la circondarono, ogni barriera crollò e
si ritrovò a fare
i conti con tutta la tristezza che aveva chiuso in un cassetto della
sua mente,
dove non potevano riemergere per caso.
L’aveva
accumulata in un posto nascosto, accantonato in un angolo, ma sapeva
che prima
o poi la scatola si sarebbe aperta.
Pianse
per quello che c’era nel contenitore, come se questo potesse
farli scomparire
tutti e Stiles la strinse, la strinse a sé per proteggerla
fino a quando lei
non smise di singhiozzare e gli rivolse un sorriso lacrimoso.
Le
carezzò la guancia bagnata con il pollice, spazzando via una
lacrima, e poi
posò la fronte su quella di lei.
“Cos’è
successo, Sofi?”
Gli
raccontò dell’interrogatorio, di quel ragazzo e
dei suoi occhi aperti, quegli
occhi chiari senza vita, che per qualche ragione erano rimasti impressi
a fuoco
nella sua mente.
Poi
si strinse di nuovo a lui e Stiles non le chiese altro.
Rimasero
un momento in silenzio, ma quando Stiles vide il modo in cui Sofi
guardava il
muro, come se stesse guardando qualcosa che la rendeva profondamente
triste,
decise che avrebbe fatto qualunque cosa per essere l’eroe che
lei meritava.
“Stasera
ordiniamo pizza. Ti va di restare?”
“Non
credo che sarei di grande compagnia”
“Io
credo che invece dovresti proprio metterti comoda per darmi una mano
con
chimica, scegliere la pizza e aiutarmi a decidere quale film vedremo
per la
nostra maratona”
“Credi
davvero? Non voglio essere un peso”
Stiles
si alzò e aprì un cassetto. Tirò fuori
una maglietta con una scritta stupida e
andò nell’altra stanza, tornando con un paio di
pantaloni comodi.
Le
lanciò tutto e la maglietta atterrò sulla testa
di Sofi.
“Con
quelli sarai sicuramente più comoda che con quel fazzoletto
di stoffa che ti
ostini a chiamare vestito. I pantaloni erano di mia madre, dovrebbero
andarti
bene”
Si
avvicinò e le tolse la maglietta dalla testa, porgendogliela
mentre si chinava
per avere il viso all’altezza di quello di Sofi.
Le
sorrise “Non allontanarmi, Sofi. Lascia che sia il tuo
eroe”
Lascia
che sia la tua salvezza.
Con
le labbra che tremavano, annuì senza parlare. Allora Stiles
le tese una mano e
lei la strinse mentre si alzava.
Si
infilò in bagno per cambiarsi mentre Stiles le urlava
qualcosa a proposito di
una serie di film che le avrebbe cambiato la vita.
Sofi
amava le serate a base di pizza e maratone cinematografiche.
Forse
nella sua altra vita ne faceva poche perché ora potrebbe
passare ogni sabato
della sua vita in quel modo.
Ma
i film c’entravano poco o nulla perché non le
importava poi molto che
guardassero un film strappalacrime o un horror.
La
cosa che più amava era l’atmosfera, tutto
ciò che faceva da teatro alla
proiezione.
Le
piaceva quando Scott e Isaac litigavano per sedersi accanto a lei e
facevano a
gara per rubarsi il posto a vicenda, mentre Stiles si sistemava
semplicemente
al suo fianco, così vicino che le loro gambe si toccavano.
Era
come se considerassero il posto alla sua destra un diritto di Stiles,
qualcosa
che loro non potevano avere.
Sofi
invece si faceva piccola piccola tra i due corpi al suo fianco e in
quel
momento non c’era niente che potesse farla male.
Erano
la sua barriera, il suo scudo contro il mondo intero.
Quella
sera però non c’erano Scott e Isaac e il posto
alla sua sinistra era troppo
vuoto. Stiles le aveva sistemato una coperta intorno al corpo e un
sacco di
cuscini sul tappeto dove si erano sistemati.
In
qualche modo, con la testa poggiata sulla spalla di Stiles e il suo
braccio
intorno alla vita, il vuoto dall’altro lato era sopportabile.
Davanti
a loro c’era il cartone oramai vuoto e unto dove un tempo
c’era la pizza che
avevano condiviso. Poco più in là,
c’erano sacchetti di patatine e una
confezione di biscotti oramai vuoti.
“Quindi”
disse a un certo punto e si accorse che Stiles la stava già
guardando e i suoi
occhi, così vicini, tradivano tanta dolcezza da farla
sentire come se potesse
crogiolarvisi dentro “lui” continuò
indicando lo schermo dove Michael
Fassbender teneva
tra le braccia James
McAvoy “loro due sono gay?”
Stiles
si aspettava tutto meno che quella domanda. Guardò lo
schermò, poi guardò di
nuovo Sofi e alla fine tornò allo schermo.
Scosse
violentemente il capo. Sofi si allontanò quel tanto che
bastava per guardarlo
con gli occhi pieni di curiosità.
Non
avrebbe voluto dirle che sbagliava, ma Sofi sbagliava ed era suo dovere
difendere l’onore di Magneto.
“No.
No, no, davvero. Hanno un bellissimo legame, sono come fratelli, ora,
ma…”
“Io
non ci credo” lo interruppe indicando lo schermo
“Lo vedi come si guardano?
Guarda negli occhi Charles. Guarda Erik. Ti sembrano gli sguardi di due
fratelli?”
Sofi
si era voltata e fissava lo schermo in modo strano, come se vedesse
più di
quanto non ci fosse.
C’era
una dolcezza nuova nei suoi occhi e no, Stiles non stava più
guardando X-men né
gli interessava più cosa fossero Charles ed Erik.
Lui
fissava Sofi e poi, a un certo punto, vide il proprio riflesso in uno
specchio
e pensò di non aver mai visto quello sguardo nei suoi occhi,
neanche quando
guardava Lydia.
Torna
a guardare lei, ma Sofi sta ancora guardando la televisione.
“Chissà
com’è amare ed essere amati in quel modo”
“Loro
non si amano” ritentò, ma non ne era
più convinto neanche lui.
Quello
era il momento per un bacio, si accorse Stiles. Non vicino al dondolo
di Lydia,
non sulla sua macchina, quando lei gli aveva preso la mano e
l’aveva tenuta tra
le sue quando era triste. Proprio quello, mentre Sofi sorrideva, era
l’attimo
per scoprire che sapore avesse quel sorriso.
Ma
non lo fece, non la baciò. Probabilmente la amava
terribilmente, così
terribilmente da non trovare il coraggio di fare quel passo.
Sofi
allungò le gambe e lui posò la testa sulle sue
cosce. Le aveva dato un paio di
pantaloni di sua madre e, chissà come, gli sembrava di poter
sentire ancora un
po’ del suo profumo sull’indumento.
Sofi
gli carezzava i capelli con dolcezza, intrecciando le dita con le
ciocche e
sfiorandogli il cuoio capelluto.
“Sei
brava”
“Come?”
“Con
i grattini”
“Scott
e Isaac ne vanno matti. Non immagini quanto sia facile circuirli con la
promessa di un paio di coccole”
Stiles
rise e per un momento invidiò i due ragazzi che potevano
avere quello ogni volta che lo
volevano, poi
alzò lo sguardo e lei gli sorrise carezzandogli il viso.
Con
un dito, tracciò una linea invisibile partendo dalla tempia
e poi giù, sullo
zigomo e la guancia, fino alla mandibola.
“Fai
questo anche con Scott e Isaac?” sospirò
socchiudendo gli occhi.
Sofi
sorrise e non rispose, scuotendo i capelli. Un paio di ciocche
sfuggirono
all’acconciatura improvvisata che aveva imbastito per
guardare il film e Stiles
sollevò una mano per giocare con un ricciolo.
Avrebbe
voluto una risposta, ma Sofi continuava a tacere e lo guardava con un
sorriso
compiaciuto.
“Cosa
c’è?”
“Tu
sei geloso”
Stiles
arrossì, ma non fece in tempo a negare. Sofi gli
posò un dito sulle labbra e
scosse il capo.
“Va
bene così. Prima che tu possa dire qualcosa per rovinare
questo momento, che ne
dici di scegliere un altro film?”
Stiles
guardò l’orologio. Era presto, potevano continuare
la loro serata maratona.
“Potremmo
guardare questo” disse Sofi e gli porse un dvd che nemmeno
ricordava di avere.
Era un film tragico e Stiles avrebbe tanto voluto farle vedere Star
Wars.
“Non
guarderemo questo polpettone drammatico”
Sofi
inarcò le sopracciglia. Valutò la
possibilità di protesta, di impuntarsi e
magari arrivare a minacciarlo, ma alla fine capì che
c’era un altro modo. Uno
molto più indolore per ottenere ciò che voleva.
Sorrise,
il genere di espressione che sfoderava quando non aveva voglia di
lavare i
piatti e tentava di convincere Scott o Isaac a farlo per lei.
“Oh
no” la avvisò Stiles “So cosa pensi. Non
funzionerà. Non sono Scott. Non
guarderemo questo film”
Ovviamente
guardarono il film.
Quando
aprì gli occhi, la stanza era al buio, ma c’erano
le finestre aperte e dalle
tende svolazzanti entravano pigri raggi di luce.
C’era
il rumore del mare e quando Sofi voltò il capo,
poté godere di una splendida
vista sul sole che sorgeva sull’oceano.
Era
così presto che il cielo non era ancora diventato
un’unica distesa azzurra. Era
oro e rosa, con nuvole simile a zucchero filato colorato.
La
linea dell’orizzonte era una traccia sfumata color arancio,
lo stesso colore
del mare in lontananza. Chiazze d’oro erano sparse tra le
onde.
Sulla
spiaggia c’erano persone che facevano yoga, qualcuno correva
e una ragazza
camminava con le scarpe con il tacco in mano e un vestito pieno di
paillettes.
Allungò
le braccia oltre il capo e si stiracchiò socchiudendo gli
occhi.
Oltre
il proprio braccio poteva vedere il riflesso d’argento del
sole sull’acqua e
sentire il gorgoglio delle onde quando la spiaggia era ancora un luogo
silenzioso.
L’ora
non era importante, ma decise comunque di alzarsi. Per qualche ragione,
sentiva
che era una cosa che doveva fare, un luogo in cui doveva andare, come
se la sua
stanza fosse solo un posto di mezzo.
Là
fuori, oltre la porta chiusa, c’era un luogo in cui doveva
andare.
Rimase
ancora un momento a crogiolarsi nel calore del sole nascente, nel
profumo di
sabbia umida e nella brezza che spirava dall’oceano prima di
gettare via le
coperte e alzarsi.
Quando
chiuse la porta dietro di sé, accadde qualcosa di strano.
Una
parte di lei sapeva che lo era, che non avrebbe dovuto accadere, ma un
altro
istinto prevalse e lei continuò a camminare.
Aveva
la vaga sensazione di essere entrata in un altro mondo, come se la
stanza fosse
stata un posto di mezzo e la porta niente meno che un grande varco da
oltrepassare.
Il
corridoio era pieno di quadri, uno per ogni spazio tra due porte e
tutti di
colori allegri. Rosso, oro e blu sembravano brillare ed erano vagamente
familiari, come se li avesse visti da qualche parte e non riuscisse a
ricordare.
Era
una strana sensazione, come se ci fossero due parti scisse di lei e una
fosse
al di là di una parete di vetro.
La
vedeva a malapena, ma sapeva che era lì. Eppure non era
importante, non in quel
momento. Quella parte era in un posto sicuro, ma lei doveva seguire il flusso.
Alla
fine raggiunse una cucina.
C’era
di nuovo l’oceano al di là dell’ampia
porta finestra, ma all’odore della sabbia
umida, della salsedine si unì il profumo di pancakes caldi,
sciroppo d’acero sciolto,
frutta fresca e tè caldo.
C’era
un ragazzo di spalle, un giovane con i capelli quasi rossi sotto i
raggi di
quel sole nascente.
Trafficava
alla ricerca di qualcosa in un cassetto e si voltò solo per
sorriderle e
indicare un piatto pieno di mirtilli e pancakes coperti di sciroppo
d’acero.
Aveva
un aspetto familiare, come se lo avesse già visto prima.
“Noi
ci siamo già incontrati”
“Mangia
i pancakes”
“Come
ti chiami”
Il
ragazzo guardò con disapprovazione il cibo ancora intatto
che si raffreddava
sul bancone “Non hai ancora mangiato i miei pancakes. Ti
piacciono tanto”
Sofi
non dubitò della sua affermazione né si chiese
come facesse a saperlo.
Tirò
a sé il piatto e iniziò a tagliare le frittelle e
ad affogarle nello sciroppo.
“Cosa
stai facendo, Sofi” mormorò il ragazzo. Continuava
a ripetere il suo nome e
c’era qualcosa nel modo in cui lo faceva,
un’urgenza completamente fuori luogo.
In
quella cucina soleggiata, con il profumo di cibo e la musica in
sottofondo,
l’ultima cosa che Sofi provava era urgenza.
Si
sentiva più che altro come se si stesse crogiolando al sole
da ore in una stato
di dormiveglia e qualcuno la stesse chiamando da lontano.
Il
ragazzo si avvicinò e Sofi vide le pagliuzze dorate nei suoi
occhi verdi, l’oro
del sole che sentiva contro la pelle e baciava il mare alle sue spalle.
Le
prese il volto tra le mani “Cosa stai facendo. Guarda
l’insieme”
“Insieme”
ripeté meccanicamente.
“Devi
ricordatelo, Sofi. Cosa succede in un porto quando un faro è
acceso?”
“Arrivano
navi” mormorò richiamando a sé tutta la
sua concentrazione. Il ragazzo scosse
il suo viso.
“Le
navi sono arrivate”
Strinse
la presa sul suo viso, ma le sue mani persero consistenza. Era
difficile da
spiegare. Divennero semplicemente più fragili,
più bianche, più distanti.
Allora lui la lasciò andare e la superò.
“Il
Tradimento è una maschera che indossa chi non
sa amare prima di tutto se stesso”
sussurrò senza voltarsi.
Guardava
verso la finestra,
come se nella luce del sole trovasse ciò che cercava.
Aprì la finestra e Sofi finalmente
riconobbe il ragazzo dei suoi sogni.
“Noi ci siamo già incontrati
in un sogno”
Ma lui non si voltò.
Continuò a camminare al di là della
portafinestra, affondando nella sabbia
umida, verso la luce del sole.
Era il suo obiettivo, il
luogo da raggiungere. Ma c’era l’acqua, il mare. E
per quanto lui ci provasse,
non era la luce a inghiottirlo, ma l’oceano.
Camminò fino a quando non
rimasero che i capelli e poi scomparvero anche loro, una fiamma
sull’acqua che
svanì in un’onda di luce.
Sofi si avvicinò, ma quando
affondò i piedi nella sabbia fresca, non rimase nulla della
casa alle sue
spalle, della cucina investita da sole o delle nuvole come zucchero.
Tutto divenne scuro e buio e
rimase il mare e la spiaggia mentre l’acqua la chiamava, le
sussurrava di
andare.
Un passo dopo l’altro,
l’oceano la richiamava verso di sé come se lo
sciabordio delle onde fosse il
canto di una sirena.
Appena l’acqua le lambì le
dita dei piedi, accadde qualcosa di nuovo e l’oceano, le
tenebre e la sabbia si
fusero insieme in un grande vortice che la tirò verso il
basso.
Fu come essere infilata a
forza sotto metri e metri d’acqua senza avere la
possibilità di emergere.
Serrò le labbra per non
ingurgitare acqua.
Davanti a lei si snodò una
serie di immagini, ricordi non suoi. Una donna, sangue, acqua e un
bagno con le
piastrelle macchiate di rosso. Un’altra donna, acqua ovunque.
E poi il ragazzo
dei sogni e un bosco.
C’era acqua, acqua ovunque.
La testa esplodeva ed era un dolore che aveva già provato in
un altro momento,
in un’altra circostanza.
Alla fine, il riflesso fu
più forte della sua volontà: aprì la
bocca.
Sentiva
ancora che qualcosa
la teneva ferma, ma quando aprì gli occhi e
inspirò forte si accorse che era
solo Stiles.
Stiles.
La
sensazione di annegare
era ancora lì, ma iniziò a scomparire quando il
volto di Stiles balenò di
fronte ai suoi occhi e si unì alla sua voce.
“Va tutto bene, Sofi. Va
tutto bene”
Si guardò intorno ma non
riconobbe il luogo dove si trovava. Era familiare, un po’
come lo era stata la
villa sulla spiaggia, e questo la terrorizzò ancora di
più.
Come poteva sapere che non
era un altro sogno pronto a trasformarsi in incubo?
“Era solo un incubo” la
rassicurò Stiles.
“Tu sei reale?”
Stiles sgranò gli occhi, poi
si sedette accanto a lei e le prese una mano. La alzò in
modo che potesse
vederla e la aiutò a contare con le dita.
“Uno. Nei sogni, abbiamo più
dita del normale. Due. Conta con me. Tre”
“Quattro. Cinque. Sei.”
“Devi continuare, Sofi. Stai
andando bene” la rassicurò e le carezzò
i capelli, spostandoli dalla fronte
madida di sudore.
Sofi contò fino a dieci e
poi respirò, lasciandosi scivolare contro Stiles.
“Va tutto bene” le mormorò
all’orecchio quando la sentì tremare sul suo
petto. Sofi affondò il volto nella
sua maglietta, ispirando forte l’odore di caffè e
biscotti della t-shirt.
Continuò a carezzarle i
capelli fino a quando il suo respiro tornò regolare.
“Torna a dormire”
“Tu dove dormirai?” gli
chiese
“Il divano di sotto è molto
comodo”
Sofi lo trattenne serrando i
pugni contro la sua maglia “Resta con me. Non avrò
altri incubi se sarai con
me. Lo farai?”
Stiles le baciò la fronte e
annuì con un sorriso. Si lasciò scivolare sotto
le coperte e Sofi nascose il
volto nel suo petto.
Era una cosa tutta nuova per
lui. Nessuno cercava protezione in lui, Stiles Stilinski, non quando a
casa
c’erano due lupi mannari protettivi pronti a prendersi cura
di lei.
Sarebbe bastato chiamare e
Scott e Isaac sarebbero arrivati. Ma Sofi voleva lui, si sentiva al
sicuro
accanto a lui.
Era
una sensazione inedita e
lo fece sentire indispensabile, importante, amato.
La cinse la vita con un braccio.
Chiuse
gli occhi, ma Sofi
non riuscì a imitarlo. Ogni volta che provò a
socchiudere le palpebre, rivedeva
il volto del ragazzo e sentiva le sue parola.
“Le navi sono arrivate”
mormorò.
“Come?”
“Le navi sono arrivate. Me
lo ha detto il ragazzo”
“Quale ragazzo?”
“Nel mio sogno” sussurrò affondando il
viso nella maglietta di Stiles. Non
sarebbe mai stata abbastanza vicina.
“Nei miei sogni c’è sempre
un ragazzo. Ha i capelli rossi e mi ha detto che le navi sono
arrivate”
“Cosa voleva dire?”
“Non lo so. Mi ha detto di
guardare l’insieme e sembrava così
importante”
Ci fu un momento di silenzio
prima che qualcosa si spezzasse in Sofi.
“Ma quale insieme” mormorò
“Quale insieme. Non capisco”
Aveva bisogno di Stiles ora
più che mai. Di Stiles che la prendesse per mano e la
guidasse fuori da quelle
tenebre, Stiles che fosse la sua luce quando non ce n’era
nessun’altra. Avrebbe
voluto chiedergli di chiamarla fino a quando non fosse riuscita a
uscire
dall’oscurità, sussurrare il suo nome
perché seguisse la sua voce.
“Ehi” la chiamò lui “Sofi,
andrà tutto bene. Vuoi sapere perché?”
“Perché?”
“Perché io sono il tuo eroe.
E un eroe protegge le persone che ama. Sarò sempre
lì per portarti a casa,
Sofi. Fino a quando non ne avrai più bisogno. Ora
dormi”
“Puoi raccontarmi qualcosa?”
mormorò chiudendo gli occhi.
Strinse la sua maglia tra le
dita, ma con dolcezza, in un modo che sembrava solo chiedergli di non
andare
via, ma che avrebbe potuto farlo, se lo avesse voluto. Lo avrebbe
lasciato
libero di scivolare via, come se Stiles potesse volere altro che Sofi.
Sofi che chiudeva gli occhi
mentre Stiles le raccontava di quanto lui e Scott erano bambini, di
come erano
entrati a far parte di quel mondo soprannaturale.
Alla fine, quando lei
scivolò nel dormiveglia, le raccontò di
sé, di Lydia e della cotta che aveva
avuto per lei, di suo padre e persino di sua madre.
A un certo punto, Sofi
borbottò qualcosa nel sonno e lui dovette avvicinarsi per
capire cosa stesse
dicendo.
“Posso tenerti con me?”
mormorò lei.
Stiles sentì qualcosa
agitarsi nel petto, un’accelerazione del cuore che non aveva
mai sperimentato e
si sistemò meglio contro di lei, con la testa sistemata tra
i capelli di Sofi.
Le gambe della ragazze erano
intrecciate con le sue, le dita strette intorno alla maglietta vicino
al collo
e il volto e le labbra vicino al cuore.
“Tienimi con te” le sussurrò
all’orecchio mentre chiudeva gli occhi.
To be continued
Note:
Giusto
un paio di cose prima di lasciarvi.
-
La
scena in cui Stiles e Sofi guardano X-Men non è del tutto
mia. L’ho scovata
qualche tempo fa in una fanfiction Stydia di cui non ricordo il nome,
su EFP.
Mi piacerebbe linkarvela perché era davvero la tenerezza, ma
purtroppo non
dispongo del mio account al momento, dunque mi limito a dirvi questo.
-
La
frase che pronuncia Martin, quella in corsivo, l’ho trovata
su Internet, ma
giustamente non ho segnato l’autore. Capirete che sono una
persona leggermente
sbadata. Avete perfettamente ragione. Sappiate solo che non
è mia.