CAPITOLO 1: Le Origini
Giunti sulla cima della collina, io e Ser Gilmore non rallentammo il passo, ma la selvaggia bellezza del paesaggio non ci sfuggì. La valle era una distesa verde di alberi, i quali circondavano quasi per intero Castel Cousland. Solo dal lato est, opposto a dove ci trovavamo, il paesaggio si apriva alla pianura e ai campi coltivati. Su ogni altro versante, montagne e foreste fungevano da scudo per il castello. Dalla nostra posizione potevano riuscire ormai a distinguerne senza difficoltà i profili delle torri che si stagliavano contro il cielo, mentre il vessillo della mia casata sventolava sui pennoni.Odore di sottobosco che stuzzicava le narici, un cavallo purosangue lanciato al galoppo in una tiepida giornata di maggio, il mantello che schioccava sonoramente alle mie spalle gonfiato dal vento: quella giornata procedeva nel migliore dei modi. La mia noia esistenziale quotidiana era interrotta solo saltuariamente da momenti come questo, in cui partivo per andare a caccia, lasciando vessilli, servitori e buone maniere alle mie spalle. Seguire la pista di un cervo, magari gareggiare a chi abbatte più quaglie, oppure limitarsi ad una cavalcata spensierata era sempre un piacevole diversivo.
Rispuntammo sulla strada principale, lasciando dietro di noi le piste e i sentierini selvatici dei cacciatori.
“Facciamo a chi arriva prima, Ser Gilmore?” Chiesi trattenendo il cavallo per aspettare che il cavaliere mi si affiancasse. Era un ragazzo di poco più grande di me. Era il quarto figlio di uno dei nostri alfieri ed era stato inviato ad Altura Perenne in quanto protetto di mio padre, il quale lo aveva allevato per tutta la fanciullezza ed adolescenza. Era stato anche il mio principale compagno di giochi o, come diceva nostra madre, “complice di turpi misfatti”. Fin dall’età di sette anni, mi divertivo a trascinarlo nelle cucine della vecchia Nan per saccheggiarne assieme le scorte, e a fare con lui scherzi di ogni genere alla servitù, tanto che mio padre dovette più volte minacciarmi di spedirmi in un monastero se non mi fossi dato una regolata. Fu Ser Gilmore a sbollire la mia testa calda. Se, infatti, all’inizio ero io a cacciarci sempre nei guai, lui, crescendo, era diventato quello che ce ne cavava fuori e, a volte, evitava addirittura che ci finissimo.
“Come volete, Mio Signore.” Rispose con ironica cortesia, e, prima ancora che potessi aggiustare la mia postura sulla sella, egli diede di speroni, incitando la sua cavalcatura a tutta velocità verso il castello. Imprecando a denti stretti, seguii il suo esempio, piantando i talloni nel ventre del mio cavallo e lanciandomi al suo inseguimento. Fu una sfida combattuta, nella quale ci destreggiammo in un violento testa a testa, dove spintoni, frustate al cavallo avversario e insulti politicamente scorretti erano ben accetti. Fu il vedere un il manipolo di uomini a cavallo che ci sbarravano la strada a decretare la fine della corsa. Strattonammo entrambi le redini, bloccandoci di colpo a pochi metri da loro. Erano sette soldati, due dei quali reggevano aste con il vessillo di Casa Cousland, due rami d’ulivo intrecciati in campo blu.
“Alfieri di tuo padre” mi bisbigliò Ser Gilmore “temo che siate in ritardo per l’incontro con Lord Howe”
“Come!? Era oggi? Ah, merda…”
Uno degli armigeri si portò leggermente avanti.
“Mio signore, il Lord tuo padre mi manda a prendervi. Vi prego di volermi seguire.”
Non che avessi davvero una scelta. Con un sospiro, mi rassegnai a seguire i soldati di mio padre verso il castello. Un quarto d’ora dopo, raggiungemmo le stalle, dove consegnai il mio cavallo alle amorevoli cure di Tom lo stalliere; poi varcai l’arcata delle mura esterne per dirigermi verso la sala grande.
Non avevo prestato grande attenzione al mio abbigliamento quel giorno e non ero sicuro di poter ricevere uno dei nostri principali vassalli vestito in quel modo. Dopotutto, un farsetto di cuoio e brache di pelle da cavalcata non costituivano certo il completo più elegante. L’unico capo un po’ più raffinato era il mantello: di velluto blu, con il simbolo della mia famiglia ricamato, e assicurato alla spalla sinistra con un fermaglio intarsiato.
Rapidamente attraversai il cortile e, saliti i gradini antecedenti al portale principale, ordinai ad una guardia di farmi entrare. Un po’ annoiato, tormentavo l’impugnatura della mia spada che pendeva al mio fianco mentre varcavo la soglia.
La sala grande era il cuore della fortezza. Si trattava di una lunga stanza in solida pietra, posta come primo baluardo della fortezza oltre la cancellata, al cui interno era contenuto lo scranno di mio padre. Per tutta la lunghezza della sala pendevano gli arazzi nobiliari, alternandone uno dei Cousland ad uno dei nostri alfieri principali. Sulle vetrate, poste proprio alla base dell’ambio soffitto a volta, erano rappresentati gli eventi principali della storia della nostra casata, a partire dalla leggendaria morte di Bann Conobar Elstan, ad opera di Flemeth, passando poi per la ribellione contro Amaranthine, fino ad arrivare all’era oscura, dove finalmente ottenemmo lo stato di teyrnir.
Lord Rendon Howe e mio padre stavano discutendo dei dettagli della partenza vicino al camino.
Molto sangue era stato versato tra le nostre due case; prima combattemmo gli uni contro gli altri per ottenere l’indipendenza dalla loro autorità e, secoli dopo, per opporci ad Orlais. I Cousland avevano infatti appoggiato Re Maric, mentre il padre dell’attuale Lord Howe si era schierato a favore degli stranieri. A dispetto di ciò, Rendon, ancora giovane e forte, si era unito a mio padre e a mio nonno nella guerra, dando origine ad un’alleanza molto stretta. Mio padre lo considerava un amico, ma non poteva mai permettersi di dimenticare che Howe restava pur sempre un vassallo e che come tale andava trattato. Doveva dimostrarsi generoso nei suoi confronti e rendergli omaggio per la sua posizione di rilievo tra gli altri alfieri, tuttavia senza mai fidarsi totalmente di lui. Gli Howe era meglio averli come amici che come nemici, su questo non aveva mai avuto nessun dubbio, e la loro ambizione era sempre stata pericolosa, perfino tra i più giusti e nobili di loro; per rendere più salda la loro alleanza e sicuro il loro appoggio, aveva quindi bisogno di un contratto matrimoniale tra le nostre famiglie. Non sarebbe toccato a mio fratello maggiore. Fergus era l’erede, ma mio padre si era già affrettato a trovargli un’altra moglie: Lady Oriana, una graziosa ragazza proveniente da Antiva, di ricca famiglia, che aveva contribuito al bilancio familiare in modo piuttosto marcato. Mio padre avrebbe invece preferito sistemare me con una donna di casa Howe; in questo modo avrebbe assicurato in un colpo solo il mio futuro e la pace nelle nostre terre. In ogni caso, anche se fino ad ora Lord Rendon si era sempre dimostrato fedele a mio padre, le ferite che le nostre due casate si erano inflitte durante la guerra contro Orlais erano troppo recenti per essere ignorate.
“…e come dicevo, Mio Signore, ho ricevuto notizia di un ulteriore ritardo da parte delle mie truppe. Chiedo venia, questa è tutta colpa mia.”
“No, no, la notizia del Flagello ci ha colti tutti alla sprovvista. Io stesso ho ricevuto la chiamata del Re solo pochi giorni fa.”
Eppure, a differenza del vassallo, era stato piuttosto rapido nel radunare le sue forze. Da giorni ormai erano pronti per la partenza, ma degli uomini di Howe nessuna traccia. Fergus e mio padre dovevano aspettare l’arrivo di questi rinforzi prima di partire, ma temporeggiare troppo con la Corona era rischioso e assai poco saggio: non rispondere alla chiamata del Re in caso di guerra, molto spesso portava al patibolo o al ceppo del boia…
E questa era la principale preoccupazione di mio padre rispetto alla guerra contro il Flagello che imperversava nel paese. Ma che si trattasse davvero di un Flagello? Certo, i prole oscura erano usciti in forze dalle vie profonde e si erano ammassati a sud, presso le rovine di Ostagar, ma non c’era alcuna traccia di un Arcidemone alla testa dell’orda. Magari si trattava solo di un’incursione particolarmente violenta. In ogni caso c’erano già state diverse battaglie nel sud, tutte vinte, ma, a quanto si diceva, l’esercito nemico era in costante crescita e presto dei rinforzi dal nord avrebbero fatto comodo.
Mi schiarii la gola per palesare la mia presenza e, quando i due uomini si voltarono, chinai leggermente il capo in segno di rispetto verso l’ospite.
“Ah, eccoti qui, figliolo. Rendon, vi ricordate di mio figlio, Velor?”
“Certo, ma vedo che è diventato davvero un forte e giovane uomo…”
Peccato che il tempo non fosse stato altrettanto cortese con Howe, il quale dimostrava molti più anni di quanti non ne avesse. Aveva i capelli completamente bianchi, era basso e magro, con il volto incavato e un grosso naso arrossato da un consumo eccessivo di vino. L’aspetto era quello di un uomo apparentemente insignificante, eppure ai suoi tempi doveva essere stato un guerriero di una certa fama e bravura. Aveva cavalcato con mio padre nella battaglia del Fiume Bianco e ne era uscito vivo, nonostante la tremenda sconfitta. I due dovevano essere quasi coetanei, eppure Bryce Cousland, a dispetto dei capelli grigi, era ancora un uomo forte, alto e dalla cui persona traspariva subito il vigore che doveva averlo animato da giovane e che cominciava solo ora a scemare.
“È un piacere incontrarvi, Mio Signore.”
“Mia figlia Delilah ha chiesto di te…” rispose con un ampio sorriso “forse dovrei portarla con me prossima volta che vengo”
Come già detto, mio padre e Lord Rendon pianificavano da tempo un matrimonio, e Delilah sarebbe presto potuta diventare la mia dolce metà. In effetti non avevo ancora deciso se l’idea di sposarla mi piacesse oppure no… Diavolo non l’avevo mai neanche vista!
“Ecco… Mio Signore… lei è parecchio… più giovane di me.”
Praticamente una bambina; un’altra cosa che non mi piaceva affatto. Ridendo Howe, rispose:
“Invecchiando, questi anni di differenza diventeranno sempre meno importanti: una dura lezione, ma che impariamo tutti.”
“Dubito che mio figlio vi darà retta” intervenne mio padre ridendo. “Ha altre cose per la testa in questo periodo: è un giovane che si infiamma per guerre e battaglie. Temo consideri di secondaria importanza le questioni dinastiche…”
“Ah, la sua abilità con la spada è ben nota. Il suo temperamento ne ha fatto un valoroso combattente.”
Tutte quelle chiacchere inutili mi stavano uccidendo: dovevo darci un taglio.
“Padre, mi hai mandato a chiamare?”
“Ah, sì, è una cosa importante. Mentre tuo fratello ed io saremo via, lascerò te al comando del castello.”
La notizia mi lasciò piacevolmente sorpreso. In genere era mia madre a tenere in riga la servitù e ad occuparsi di tutte quelle faccende formali quando il Lord era via. Tuttavia avevo 19 anni, ormai non potevo più essere considerato un ragazzino.
“Io… farò del mio meglio.”
“Eccellente. Solo un piccolo contingente rimarrà qui. Io e Lord Howe attenderemo l’arrivo del suo esercito, mentre tuo fratello si metterà in viaggio con il grosso delle nostre forze già questa notte. Sono sicuro che una volta solo te la caverai benissimo, dovrai cercare di mantenere sicura la regione e di far quadrare i conti per il tempo in cui saremo via. Contando che avrai validi consiglieri ad aiutarti, non dovrebbe essere difficile. Ah, quasi dimenticavo, c’è anche qualcun altro che devi conoscere…” poi rivolto ad una delle guardie del salone, aggiunse: “fate entrare Duncan!”
Il soldato si batté un pugno sulla placca pettorale, dando ordine ai suoi sottoposti di aprire il portone al nuovo ospite. Si trattava di un uomo alto, di età compresa tra i quaranta e cinquant’anni, ma ancora estremamente vigoroso. I capelli, raccolti in una corta coda di cavallo, sembravano puro inchiostro, tanto erano scuri, così come la folta barba che gli cresceva dalle ispide e rigogliose basette fino al mento, coronata da larghi baffoni. La carnagione era olivastra, scura, il volto severo, dai lineamenti duri e dagli zigomi alti, mentre gli occhi erano sottili e neri anch’essi. Indossava una corazza leggera, adatta al viaggio, sopra a lunghe vesti logore. L’aspetto generale dava l’idea di un viandante un po’ trasandato, ma tutto in quell’uomo sembrava incutere nel prossimo una sorta di reverenziale rispetto.
“È per me un onore essere ospite qui, nella vostra sala, Vostra Signoria.”
La voce dell’uomo era posata, calma e le parole erano scandite con chiarezza. Notai Lord Howe osservare il nuovo arrivato con una certa sorpresa… quasi disagio.
“Mio signore… Non mi avevate accennato che un Custode Grigio sarebbe stato presente.”
Digrignai i denti e serrai la mascella. Lord Rendon non mi piaceva e confesso che ero un po’ prevenuto nei suoi confronti, ma chi gli dava il diritto di sindacare su chi noi decidessimo di accogliere tra le nostre mura? Questa era casa nostra, e lui era solo un ospite: chi ammettere al nostro cospetto era una decisione che non lo riguardava minimamente.
Notai con piacere che anche mio padre la vedeva così. Naturalmente mantenne il suo contegno, ma io che lo conoscevo bene, notai una celata nota di fastidio nella sua voce, quasi di rimprovero, quando rispose.
“Duncan è arrivato da poco. Non annunciato. È forse un problema, Mio Signore?”
Non mancai di notare il gelo con cui pronunciò quel “Mio signore” finale.
Ci fu un attimo di esitazione da parte di Howe. Forse aveva intuito il suo errore, e tentò subito di recuperare, intonando una scusa con voce bonaria:
“Certamente no…! È solo che un ospite di tale rilievo richiede un certo… protocollo. Sono colto alla sprovvista!”
Quasi mi scappò da ridire. Certo, nutrivo grande rispetto per l’ordine dei Custodi Grigi e mi sarei rivolto a loro con tutte le cortesie degne di un mio pari, ma… non credo proprio che sia necessario preoccuparsi del protocollo con loro. Sono guerrieri. Molti sono anche di origini piuttosto umili. Sono abituati a viaggiare molto, a dormire per strada e… a mostrare un certo pragmatismo quando si tratta di prole oscura. Anche Duncan, per quanto formidabile potesse apparire, aveva l’aspetto di uno che aveva probabilmente viaggiato al risparmio, dormendo ospite in case di umili contadini e spezzando il pane con loro. Di certo era una persona ben più interessata a difendere il mondo dall’apocalisse che a spettegolare sulle scarpe nuove di questa o quella nobildonna.
“Effettivamente è un raro privilegio poterne ospitare uno sotto il proprio tetto” concesse mio padre molto diplomaticamente. “Figliolo, Fratello Aldous ti ha insegnato di certo chi sono i Custodi Grigi, vero?”
Come chiedere ad un contadino se avesse mai sentito parlare di una zappa.
“Certamente, padre. Sono un antico ordine di guerrieri eccezionali.”
“Sono eroi leggendari. Coloro che terminarono il primo Flagello salvando le terre degli uomini dalla distruzione. Duncan sta cercando nuove reclute prima di unirsi a noi e marciare verso sud. Penso che stia tenendo d’occhio Ser Gilmore…”
“Se posso permettermi l’ardire…” intervenne Duncan. “Anche vostro figlio sarebbe un eccellente candidato.”
Istintivamente mio padre fece un passo nella mia direzione, fulminando l’ospite con uno sguardo severo.
“Per quanto possa esserne onorato, è di mio figlio che stiamo parlando. Non ho così tanti eredi da poterli mandare tutti in guerra. Quindi, a meno che non vogliate avvalervi del diritto di coscrizione…”
“Non temete, Mio Signore” si affrettò il Custode. “Non ho alcuna intenzione di impormi in questo modo sull’argomento.”
Credo che a nessuno di noi fosse sfuggito il sollievo dipingersi sul volto del Lord mio padre.
“Figliolo, ti occuperai tu che Duncan abbia tutto ciò di cui ha bisogno mentre sarò via.”
Con un sospiro, risposi:
“Certo, padre.”
“Ottimo. Nel frattempo trova Fergus e digli di partire subito e di condurre le truppe in mia vece verso Ostagar. Dovrebbe essere nelle sue stanze con Lady Oriana.”
Annuii impercettibilmente e mi congedai con un rapido inchino, dirigendomi poi verso il cortile. L’idea di restare bloccato qui mentre mio fratello si copriva di gloria nel sud non mi era affatto piaciuta all’inizio, ma ora che sapevo che sarei rimasto a governare in vece di Lord, beh… la prospettiva di restare imboscato non era più tanto grama. Intendiamoci, era solo un premio di consolazione, un premio che avrebbe richiesto molti sforzi e grande impegno da parte mia, per non parlare delle notti in bianco che avrei dovuto trascorre ad occuparmi di tutta la burocrazia. Era una faccenda seria, non certo un gioco. Comunque l’idea di essere chiamato Lord Cousland e di prendere decisioni che avrebbero coinvolto l’intero feudo… beh, era troppo allettante per ignorarla!
Mentre mi dirigevo verso gli alloggi della famiglia, sentii Ser Gilmore che mi chiamava alle mie spalle. Notai che, mentre io ero stato impegnato nel mio breve colloquio, il ragazzo si era cambiato, e ora indossava il suo migliore farsetto, quello con il mabari nero ricamato su sfondo giallo, simbolo della sua famiglia, abbinato ad un ampio mantello da cavaliere e alla sua fida spada di famiglia.
“Ah, Velor, ti ho cercato ovunque! Senti, io…” esordì scordandosi che, in genere, le persone tendono a salutarsi quando si incontrano.
“Ehm… ciao anche a te?” Lo interruppi, in modo da fargli notare la sua mancanza. Non che mi importasse molto, infondo c’eravamo separati da poco tempo, eppure era per me un piacere punzecchiarlo in materia di cortesia.
“Sì, sì, scusa… è solo che tua madre mi ha mandato a dirti che… beh, ecco, che c’è un piccolo problema con il tuo cane.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Che è successo questa volta? Quale terribile crimine potrà mai aver commesso?”
“A dire il vero si è intrufolato nelle cucine. Di nuovo. E Nan minaccia di lasciare il castello se la questione non viene risolta.”
“Oh, suvvia…”
“Sai come sono questi mabari… estremamente fedeli al loro padrone, capaci quasi di capire il linguaggio umano, ma… terribilmente pericolosi se avvicinati dalla persona sbagliata.”
Ridacchiai alla sua affermazione, ricordandogli quale bestia avesse ricamata sul farsetto.
“È buffo che proprio tu, che porti un mabari sul petto, ne tema uno… Andiamo, su, occupiamoci della faccenda.”
“Andiamo?! E io che c’entro? Ho faccende molto importanti da sbrigare, come ad esempio la mia pennichella!”
“Dal momento che tu sei l’araldo della mia noia e delle mie commissioni barbose, mi accompagnerai in questa impresa. Orsù, mio baldo scudiero, in marcia!”
Mentre ci avviammo verso le cucine lo udii distintamente borbottare qualcosa del tipo: “io dovrei essere un cavaliere, in teoria…”
Per raggiungere il luogo del misfatto, notai, fu sufficiente seguire le grida della vecchia Nan e dei garzoni. Per non parlare dei latrati del mio cane.
Nan era stata la mia balia e sapevo quanto a volte potesse essere una donna… difficile, per così dire. Mi era molto affezionata e, anche se fingeva di non sopportare il mio segugio, infondo gli voleva bene. Il castello era tutto il suo mondo; era nata nel castello e sarebbe morta nel castello… ecco perché non temevo affatto che se ne andasse
Entrati nelle cucine, le trovammo in disordine: pentolame sparso ovunque e un po’ di farina versata sul pavimento, ma nessun problema particolarmente grave. La vecchia Nan stava strigliando per bene una coppia di elfi, i suoi aiutanti, i quali piantonavano la porta della dispensa, chiusa alle loro spalle.
“… se non riuscirò ad entrare in quella dannata stanza, vi scuoierò vivi entrambi, razza di inutili elfi!”
“Ehm… calmatevi” intervenne Ser Gilmore, facendosi avanti per tranquillizzare la donna. “Siamo arrivati: ci pensiamo noi.”
“Tu e soprattutto tu! Quel dannato pulcioso è entrato nella mia dispensa! Dovrebbe essere abbattuto, altroché!”
Mi fece sorridere il modo in cui calcò il tu rivolto a me. Forse avrei preso più seriamente la faccenda se non avessi trovato così ridicola l’intera situazione.
“Ehi, non chiamatelo pulcioso! È un mabari purosangue!” Dissi con finta indignazione, sghignazzando sotto i baffi.
“Basta che tu lo faccia uscire di lì. Subito.”
“Va bene, va bene, ce ne occuperemo…”
Sospirando, oltrepassai l’anziana domestica e spalancai la porta della dispensa. Questa era davvero stata messa sottosopra e il grosso e tozzo cagnone sporco di farina che saltellava allegramente nella stanza, ne sembrava il principale responsabile.
“Ehi, bello, che combini?” Dissi inginocchiandomi per potergli grattare la testa dietro alle orecchie.
“Guarda, sembra che voglia indicarti qualcosa.”
Effettivamente, il mabari si era messo a ringhiare verso alcune pesanti casse di alimentari impilate una sull’altra a ridosso della parete opposta.
“Dogmeat…? Hai visto qualcosa?”
Il latrato che ricevetti come risposta fu sufficiente. Io e Ser Gilmore afferrammo due di quelle casse e le sollevammo, rivelando una coppia di enormi ratti delle selve, che si nascondevano dietro di esse. Dogmeat, prima che chiunque di noi potesse fare qualcosa, balzò in avanti, addentando i grossi sorci e sbranandoli con facilità.
“Mhm…” commentò Ser Gilmore asciugandosi il sudore dalla fronte “mi sembra l’inizio di una di quelle scadenti storie di avventura che mio nonno era solito raccontarmi…”
Tornati in cucina, Nan sembrava essersi calmata un pochino. Ora era seduta in un angolo, con la testa china e la fronte tenuta fra le mani, mentre il resto della servitù cercava di ripulire il disastro. Le comunicammo quanto era accaduto e che in realtà Dogmeat non voleva saccheggiare la dispensa, ma solo dare la caccia a dei topi giganti. La notizia della presenza di ratti grossi come gatti nella cucina dove lavorava parve non rallegrarla molto. In ogni caso, io ero deciso più che mai a tornare ad occuparmi dei miei affari, mentre Ser Gilmore mi disse di dover andare a porgere i suoi omaggi a Lord Howe. Dopo avergli fatto le mie più sentite condoglianze per questa sua noiosa commissione, ritornai sui miei passi. Mentre camminavo nel cortile, con Dogmeat che trotterellava dietro di me, incrociai mia madre, intenta a discute con Lady Landra, la moglie di uno dei nostri Bann.
“Caro…” mi richiamò lei. “Vedo che ti sei occupato di quella faccenda del segugio. Ottimo. Ti ricordi di Lady Landra, la moglie di Bann Loren?”
Certo che me la ricordavo! Si era ubriaca all’ultima festa tenuta in casa nostra, difficile dimenticare una persona tanto divertente. Era una donna davvero piacevole e di compagnia: apprezzava il buon vino (anche troppo), scherzava volentieri ed era una persona molto schietta. Mi piaceva.
“Naturalmente. È un piacere rivedervi, mia signora.”
Con lei c’erano anche suo figlio, un ragazzotto per bene con il quale avevo scambiato sì e no un paio di parole in tutta la mia vita, e la sua dama di compagnia, un’elfa di città davvero molto graziosa. Normalmente mi sarei offerto di parlare con lei in privato, cercando di accattivarmi le sue simpatie, ma al momento non avevo molto tempo per pensare alle donne.
“A dire il vero” disse Lady Landra con un’espressione confusa in volto. “L’ultima volta che ci siamo incontrati non avevo passato l’intera serata a bere e a cercare di sedurvi?”
Scoppiai a ridere. Adoravo quella donna, lei diceva sempre ciò che pensava. Ah, se solo tutta la nobiltà del Ferelden fosse stata come lei, fare il Lord sarebbe stato molto più divertente!
“Temo… temo proprio di sì, Mia Signora” dissi cercando di ridarmi un contegno.
“Vedi, Dairren? Non ero poi così ubriaca come sostenevi, dal momento che ricordo tutto nei mini dettagli” disse poi rivolta al figlio. “Voi vi conoscete già? Credo vi siate scontrati nell’ultimo torneo.”
“E mi avete battuto anche con una certa facilità, potrei aggiungere…” disse il ragazzo.
“Suvvia, siete troppo modesto. Vi siete battuto bene.”
Era una bugia colossale. Lo scontro con lui nella grande mischia era stato quasi imbarazzante, ma… era risaputo che si trattava più di un intellettuale che di un combattente.
“E questa è la mia dama di compagnia, Iona. Coraggio, dì qualcosa, mia cara” disse Lady Landra rivolta alla giovane elfa.
“È un onore, Mio Signore. Ho sentito cose davvero ammirevoli sul vostro conto.”
“Oh, guardate, Lady Eleanor, credo che la nostra giovane fanciulla si sia presa una cotta.”
“Lady Landra! Vi prego, mi mettete in imbarazzo!”
Forse, dopotutto, avrei anche potuto trovare il tempo per conoscerla meglio, ma… successivamente. Per il momento dovevo trovare Fergus e salutarlo.
“Madre, c’era altro che volevi dirmi?”
“Immagino che tuo padre ti abbia già detto che sarai tu a governare in sua assenza. Beh, sappi che sono d’accordo e che ho deciso che andrò nella tenuta di Lady Landra per un po’ a tenerle compagnia mentre i nostri mariti non ci sono. Credo che sia meglio che io sia lontana, così non rischierò di mettere in ombra la tua autorità.”
Riuscivo a comprendere il suo punto di vista. Non doveva essere facile per lei farsi da parte, ma era importante che me la cavassi da solo. Un giorno sarei potuto diventare signore di un castello, magari nei pressi di Amaranthine, ed era essenziale che io fossi preparato. Forse una volta tanto i miei genitori avevano deciso di concedermi un po’ di fiducia. Ne fui quasi commosso.
“Grazie, madre, non ti deluderò. Lo prometto.”
“Lo so, tesoro” disse, sfiorandomi la guancia con la mano. “Ora vai a trovare Fergus.”
“Molto bene. Mio Signore, Mie Signore, confido ci rivedremo per cena. Buona serata.”
Mi congedai e, sperando di non venire interrotto da nessun altro, arrivai agli alloggi di famiglia, nel cuore del mastio. Trovai mio fratello nei suoi appartamenti con la moglie e il figlio.
Bussai con delicatezza contro lo stipite della porta della loro stanza, lasciata aperta. Attendendo sulla soglia, lo osservai mentre, in ginocchio davanti al figlio, rispondeva alle sue incalzanti domande.
“Ci sarà davvero una guerra, papà? Mi porterai indietro una lana?” Chiese Oren quasi saltellando sul posto per l’eccitazione.
“Si dice ‘lama’, Oren. E ti prometto che ti porterò la più possente che riuscirò a trovare! Sarò di ritorno prima che tu te ne accorga.”
“Vorrei davvero che la vittoria fosse così scontata!” Intervenne Oriana con una severa espressione accigliata. La notizia della partenza di Fergus l’aveva turbata molto e la spavalderia del marito la irritava ancora di più.
“Non spaventare il bambino, mia amata. Io dico il vero… Oh, guarda chi si vede, il mio fratellino venuto a salutarmi!”
Rialzandosi mi fece cenno di entrare. Con un sorriso sul volto mi avvicinai e, a dispetto dell’armatura che indossava, lo abbracciai.
“Vorrei poter venire con te, Fergus.”
Rispose al mio abbraccio con vigore. Credo che anche lui ne avesse bisogno. Lo conoscevo fin troppo bene e sapevo che tutta quella spavalderia era per lui una maschera, una sorta di armatura per nascondere il fatto che, in realtà, aveva molta paura. Quando si sciolse dalla mia stretta, mi rispose con il suo solito sorriso sornione:
“Lo vorrei anche io, sarà stancante uccidere tutti quei prole oscura da solo…”
Lady Oriana mi sfiorò il braccio con la mano e mi sorrise candidamente.
“Vostro padre non poteva certo mettere in pericolo entrambi i suoi eredi…” mi spiegò lei con dolcezza. Naturalmente sapeva che me ne rendevo perfettamente conto, eppure questo era per lei l’unico modo che aveva per provare a rendere meno dura la separazione.
“Se ti può consolare, fratellino, passerò i prossimi mesi a congelare nel fango e nella melma, senza uno straccio di contatto umano.”
Improvvisamente mi venne in mente di Duncan, e mi chiesi se non fosse il caso di dirgli che avevamo un Custode Grigio nel castello. Sicuramente ne avrebbe incontrati molti sul campo di battaglia, ma comunque era una notizia che lo avrebbe interessato.
“Sapevi che c’è un Custode qui da noi?”
Come sospettavo, Fergus si sorprese… e Oren quasi fece una capriola per l’emozione.
“E… e… e cavalcava un grifone?!?” Chiese con due occhioni spalancati per lo stupore.
“Shh…” intervenne Oriana. “I grifoni esistono sono nelle storie.”
“Chissà cosa lo porterà qui… Se io fossi un Custode, è certo che cercherei di reclutarti. Non che nostro padre lo acconsentirebbe mai.”
Anche fin troppo giusto. Sebbene i Custodi Grigi avessero il diritto di coscrivere chiunque tra i loro ranghi, raramente vi facevano ricorso, specialmente quando c’era di mezzo la nobiltà. Custode o no, calpestare i piedi a un Teyrn non era mai una buona idea, ragion per cui un reclutamento nell’ordine era fuori questione. Inoltre avevo superato quel genere di fantasie e avevo capito che al primo posto veniva sempre la famiglia.
“Ah, Fergus, nostro padre ti comunica che devi partire subito, mentre lui e Arle Howe attenderanno l’arrivo dei soldati da Amaranthine…”
“Quindi sono davvero in ritardo! Neanche camminassero all’indietro!” Fergus sospirò distrattamente e aggiunse: “Allora devo andare. A presto amore mio. Ci rivedremo in un mese o due…”
In quel momento la porta della stanza si aprì ed entrambi i nostri genitori entrarono.
“Speravamo che ci avresti aspettato per partire, figliolo…” disse nostro padre.
“Pregherò per la tua salvezza notte e giorno…” Mamma era quasi sull’orlo delle lacrime, ma da donna forte qual era le reprimeva. Non voleva mostrare segni di cedimento o debolezza, doveva restare salda per Fergus e per il resto della famiglia.
“Che il Creatore vegli su di noi, ci protegga tutti e ci porti serenità” intervenne Oriana serafica.
“… e anche una cortigiana o due…” aggiunse Fergus con un ghigno sul volto talmente divertito da poter quasi essere definito blasfemo. Notando poi lo sguardo velenoso che la moglie gli aveva appena scoccato si affrettò ad aggiungere: “… Oh, ehm… Per le truppe, naturalmente!”
Sconcertata e incredula, Oriana gli sferrò uno scappellotto dietro la nuca.
“Fergus! Vi sembrano cose da dire davanti a vostra madre?!”
“Che cos’è una cortigiana???” Chiese Oren sgranando gli occhi scuri. “È una di quelle grosse bottiglie per il vino?” Era chiaro che si stava confondendo con una damigiana.
Ormai sull’orlo delle lacrime, non riuscii più a trattenermi e scoppiai a ridere, mentre mia madre diventava sempre più paonazza. Dopo avermi fulminato con lo sguardo per la mia incapacità di autocontrollo, scoccò un’occhiata a mio padre che pareva dire… “Tu hai cresciuto questi due figli degeneri, e ora TU spiegherai a tuo nipote cos’è una cortigiana!”
“Vedi, Oren” intervenne allora con voce incerta. “Una cortigiana è una donna che ha molta raffinatezza… o che non ne ha affatto!”
Notai che, non cogliendo ovviamente il bambino il doppio senso della frase, mio padre si stava apprestando a spiegargli il concetto con termini più diretti, quando mia madre decise che era troppo.
“Ma insomma! Mi sembra di essere circondata da un gruppo di ragazzini!”
E questo mi fece ripiombare in una nuova crisi di ilarità incontrollata, alla quale Fergus si unì di buon grado.
“Ah… mi mancherai, madre! Velor, ti prenderai cura tu di lei mentre sarò via, vero?”
Con la voce ancora un po’ soffocata dagli ultimi spasmi delle risate, risposi:
“Contaci, fratello. Con me sarà al sicuro.”
“Oh, mi fa piacere sapere di essere in così buone mani!” Disse lei parecchio seccata.
Concedendosi un’ultima risata, meno intensa della precedente, mio fratello prese congedo:
“Come dite voi, madre. Ora devo andare, io… spero di rivedervi tutti presto. Padre, confido che calcheremo assieme il campo di battaglia quanto prima.”
Dopo gli immancabili abbracci tra parenti, Fergus baciò con passione un’ultima volta la moglie e scompigliò i capelli arruffati del figlio. Infine, lasciò la stanza. Noi altri, ci affrettammo tutti sui camminamenti esterni del mastio centrale per guardarlo partire. Lo osservammo montare a cavallo nel cortile e risalire la colonna dei soldati già disposti per la partenza, prendendo posizione in testa. Presto, un lungo serpente di rostri e acciaio, vessilli e insegne, uomini e cavalli, iniziò a strisciare lungo la strada per Ostagar, per poi essere inghiottito dall’orizzonte, ormai baciato dal sole. Non rividi mio fratello per molto tempo. Quasi una vita intera, dal mio punto di vista.
Nell’attesa che la cena fosse pronta, passando per lo studio del castello, ebbi modo di conoscere meglio Dairren, il figlio di Lady Landra. Era un ragazzo piacevole. A dispetto di una scarsa attitudine per le faccende militari, che pure lo interessavano ed affascinavano moltissimo, era una persona estremamente intelligente ed istruita. Aveva letto una buona metà dei libri presenti tra i nostri ben nutriti scaffali, e non solo quelli che raccontavano storie di imprese eroiche o passionali (per quanto, comunque, restassero le sue preferite) ma anche trattati filosofici e scientifici ben più pesanti. In particolare mi aveva colpito la sua approfondita conoscenza de “Il Trattato sul Buon Governo et Giusti Costumi”, un volume di un certo spessore risalente a parecchi anni fa. Mi spiegò che, nonostante molte teorie lette tra quelle pagine gli sembrassero un po’ troppo conservatrici, altre, invece, le avrebbe prese seriamente in considerazione nel momento in cui avesse ereditato lo scranno del padre. Capii subito che sarebbe stato un eccellente governante.
Dopo aver discusso tanto piacevolmente, anche se il mio contributo alla conversazione era stato più che altro passivo, mi svelò con emozione che mio padre gli aveva dato l’incarico di fargli da scudiero mentre sarebbero stati ad Ostagar. Gli chiesi se avrebbe combattuto, e lui, con una strana luce negli occhi, mi rispose che lo sperava ardentemente. Non dissi nulla. Da quel poco che avevo visto, non sarebbe stato in grado di uscire vivo da una battaglia, non una su larga scala. Con tutta probabilità, mio padre si sarebbe limitato a fargli pulire la corazza dal fango e dal sangue. Prima che potessi, comunque, aggiungere altro, entrò Iona, la dama di compagnia di Lady Landra. Mi congedai rapidamente dal mio interlocutore e mi decisi a parlare con la giovane elfa.
Oltre ad essere una ragazza piuttosto avvenente, scoprii molte cose su di lei e sulla sua famiglia, da molto tempo al servizio di Bann Loren. Mi raccontò tutto della sua vita e io ascoltai ogni singola parola, perdendomi nel contempo nei suoi grandi occhi blu, o nella sua cascata di capelli biondi. Mi resi conto presto di esserne ormai invaghito, se non addirittura innamorato! In più di un’occasione, fui tentato di interromperla con un bacio, così, su due piedi, ma, me ne mancò sempre il fegato. Alla fine presi coraggio e, nonostante la gola secca e l’improvvisa mancanza di saliva le dissi:
“Signorina Iona, io credo che…” la ragazza mi scrutava con i suoi occhioni da cerbiatta, sbattendo le palpebre con ingenuità, quasi non fosse consapevole della sua bellezza. Sentii che mi mancavano le parole, ma, proprio mentre credevo che non sarei riuscito a concludere la frase, esse sgusciarono fuori dalle mie labbra con naturalezza: “… credo che dovremmo conoscerci meglio.”
“Ma, mio signore, non lo stiamo facendo già?” Rispose lei con una risatina ed un’innocenza nella voce che, almeno al momento, noi fui in grado di giudicare se vera o falsa.
“Beh, sì, ma… io intendevo, conoscervi meglio in privato…”
La ragazza sorrise timidamente mentre le gote le si arrossavano. Abbassando lo sguardo, rispose quasi sussurrando:
“Oh, capisco, Lord Cousland. In effetti, credo che mi piacerebbe smettere di darvi del voi, almeno per il momento.”
Avvertii un sorriso dipingermisi sul volto. Quell’insieme di innocenza e sfacciataggine mi dava davvero alla testa e sentivo crescere in me il desiderio di… di… beh, di lei.
Diedi un’occhiata attorno a me e, assicuratomi che nello studio ci fosse solo Dairren, impegnato in qualche lettura, di getto mi feci avanti, afferrai la ragazza per le spalle e le stampai un impetuoso ma rapido bacio sulle labbra. La ragazza divenne anche più rossa di prima e abbassò ulteriormente lo sguardo.
“Mio signore… siete temerario. Forse, dopo cena, potrei, ecco, venire a farvi compagnia, sì, nella vostra stanza.”
Non ci fu un solo attimo di esitazione nella mia voce.
“Sarebbe per me un onore e un piacere e… vi consentirò di darmi del tu!”
Con una risatina, la ragazza si alzò in punta di piedi e, sorreggendosi a me, mi sfiorò, prima la guancia, e poi la bocca con le sua labbra.
“A questa sera, mio Lord Cousland”
Mai l’attesa per un pasto mi parve così lunga. Per ingannarla e tenere impegnata la mia mente, me n’ero andato nelle mie stanze a cercare qualcosa di consono per l’occasione. Dopo alcuni minuti di riflessione, scelsi un comodo farsetto di cuoio con dettagli e rifiniture ricamate con i colori della mia famiglia ed il fermaglio con il simbolo della nostra casata.
Giunta finalmente l’ora, scesi al piano terra per recarmi in sala da pranzo. Naturalmente, a mio padre spettava il posto a capo tavola, con alla sua destra Lord Howe e alla sua sinistra mia madre. Vicino a lei sedeva Lady Landra, fronteggiata da Dairren, assieme a Iona. Io ero affiancato al giovane e di rimpetto alla ragazza. Seguivano Ser Gilmore, Duncan, e altri membri della corte.
Rendon Howe e mio padre discussero tutta la cena di non so quali importanti argomenti politici che non mi riguardavano minimamente (i dettagli del mio matrimonio, probabilmente), mentre Dairren intratteneva Ser Gilmore con discorsi simili a quelli a cui mi aveva sottoposto nello studio, e Lady Landra spettegolava con mia madre. Io e Iona fingevamo di ascoltare un po’ tutte le conversazioni dei commensali, senza seguirne mai davvero una, preferendo concentrare la nostra attenzione nel lanciarci discrete occhiatine e celati sorrisi. Fu una piacevole serata che si concluse parecchio sul tardi. La prima a ritirarsi fu mia madre, seguita de Lady Landra e altri commensali. Quando anche Ser Gilmore e Dairren si alzarono da tavola, praticamente tutti li imitammo, solo mio padre decise di non andare ancora a dormire, proponendo a Lord Howe di proseguire nello studio.