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Autore: _White_    08/09/2014    1 recensioni
La vita di Irina potrebbe essere un racconto, infatti gli ingredienti necessari ci sono tutti: lei è la goffa eroina e vive accanto a Thomas, il classico bel ragazzo solitario e distaccato che la tratta come un suo pari. Ma si sa che le apparenze ingannano... Una piccola love story cresce sotto il cielo della Liverpool universitaria.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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3. You're the closest to heaven that I'll ever be

 

La giornata di Irina era stata pessima: si era alzata prima del solito per incontrarsi con una collega e progettare una presentazione, ma quest’ultima non era venuta all’appuntamento e addirittura si era infuriata a lezione, perché Irina non aveva concluso il lavoro. Già di pessimo umore, la classe fu sottoposta ad una esercitazione a sorpresa, che poteva aumentare di qualche punto l’esame di fine corso se svolta bene. Irina rispose solo a poche domande, convincendosi così di non aver passato il test e abbattendosi ancora di più. Al termine delle lezioni, aveva cominciato a piovere e sfortunatamente la ragazza aveva dimenticato l’ombrello a casa. Non c’era nemmeno Thomas ad aspettarla, perciò fece tutto il tragitto che separava l’università dalla sua villetta di corsa. Avrebbe potuto prendere l’autobus, ma la fermata era distante dall’abitazione, poi era abituata a fare il percorso a piedi, anche con la neve.
I vestiti grondanti stavano inzuppando tutta la moquette dell’ingresso. Irina si strinse forte le braccia, cercando di placare il freddo che le era entrato sotto pelle, innescandole brividi in tutto il corpo. Era stata sotto l’acquazzone a lungo, senza un riparo. Il giorno dopo avrebbe avuto sicuramente la febbre. Si fiondò nel bagno di servizio e lasciò gli indumenti fradici nel lavandino. Con una velocità da corridore olimpionico, scattò al primo piano, dove fece una doccia bollente. Si mise anche il pigiamone di flanella, che teneva tanto caldo. Tanto aveva deciso che quella sera non sarebbe uscita, nemmeno per la cena dai vicini. Aveva soltanto voglia di stare al calduccio, raggomitolata sotto il piumone a guardare la tv: c’era in replica “Notthing Hill” e non poteva perderselo. Sì, aveva proprio bisogno di vedere il suo film preferito per tirarsi su di morale dopo quella giornata infame. Prese dall’armadio a muro sotto la scala un paio di coperte di lana e fece appena in tempo a sistemarle sul divano, quando il campanello suonò.
La ragazza non si stupì, ormai non poteva più: c’era soltanto una persona che poteva passare a quell’ora. Infatti, dietro alla porta, coperto da un grosso ombrello, c’era il suo vicino di casa, la figura più onnipresente nella vita di Irina, ma solo quando pareva a lui.
- I miei sono andati fuori a cena e io sono a casa da solo, ti va se… Aspetta un momento, perché sei già in pigiama? – Thomas si distrasse dal suo discorso, programmato mentre stava venendo da lei, quando notò quell’imbarazzante “tuta” violetta che era il doppio della sua amica.
- Mi sono bagnata mentre stavo tornando a casa. Ho preso una montagna di freddo e adesso sto applicando i metodi della nonna per non farmi venire la febbre. – riassunse lei, ma ciò confuse il ragazzo ancora di più. – Devo stare al caldo. – spiegò Irina, più diretta, ma Thomas non dava segni di aver capito. Chissà cosa gli stava passando per la testa.
- Aspettami un attimo. Torno subito. – il ragazzo si chiuse la porta in faccia e sgattaiolò dall’altra parte della recinzione. Irina rimase a guardarlo dalla finestra mentre entrava in casa e accendeva le luci del soggiorno. Non riusciva a capire il suo atteggiamento frenetico. Che avesse paura di prendere qualche malanno da lei? Impossibile, Irina non si era ancora ammalata. Allora cosa stava confabulando quello là? Ma eccolo che stava uscendo con una sacca da ginnastica sulla spalla. La ragazza aprì in fretta il portone e lo fece entrare. Gli fece togliere le scarpe e gli diede un paio di pantofole col pelo rosa da indossare.
- Cos’hai in quella borsa? – domandò lei, mentre l’amico si stava slacciando una scarpa.
- Il pigiama. Dormo qui stanotte, sempre che non sia un problema. – rispose lui con il massimo di nonchalance. Praticamente si era autoinvitato per la notte e aveva pure la sfacciataggine di non creare disagi. Irina lo avrebbe volentieri sbattuto fuori di casa, sotto la pioggia, ma era troppo civile per farlo.
- Va bene. – disse lei, secca e incolore. Dopo tutto, un po’ di compagnia non le avrebbe fatto male. Basta che non si lamentasse del letto nella stanza degli ospiti, come faceva sempre.
- Ho pensato che avessi bisogno di qualcuno che si prenda cura di te prima che ti venga qualche accidente per la pioggia. Ho chiamato i miei e non hanno niente da ridire. – chiarì poi Thomas, rendendosi conto che aveva imposto all’amica la sua presenza senza una valida spiegazione.
- Ti ringrazio per il pensiero, ma non sto morendo. – ribatté lei, stizzita. Incrociò le braccia al petto, un chiaro segno che non le andava a genio tutta quella premura. Poteva aspettarsi un gesto simile da parte di Yuki Johnson, madre amorevole e tipicamente giapponese nell’idea di occuparsi dei malati. Suo figlio minore, però, non aveva mai avuto tendenze simili.
- Non si sa mai. – disse Thomas, sarcastico. Lasciando la padrona di casa vicino alle scale, si diresse in cucina. – Vai a sdraiarti sul divano. E non voglio sentire scuse: penso a tutto io. – ordinò lui. Anche se poteva sentire soltanto la sua voce, Irina rimase comunque spiazzata. Da quando il suo migliore amico menefreghista era diventato così apprensivo e gentile? Sempre che il ragazzo che aveva accolto in casa fosse proprio Thomas e non un alieno che ne aveva preso le sembianze. O più probabilmente le stava salendo la febbre e tutto questo era un’allucinazione. Si pizzicò un braccio per verificare che non stesse sognando: sentiva il dolore, quindi era sveglia. La situazione rimaneva comunque strana. Infine decise di dargli corda e si sistemò sul sofà, ben riscaldata dalle coperte. Se Thomas voleva prendersi cura di lei, che lo facesse pure: ogni tanto era bello essere coccolati!
Il ragazzo fu un bravo infermiere: le preparò del brodo di pollo e le fece vedere alla televisione ciò che voleva lei. Ebbe da ridire soltanto quando iniziò “Notthing Hill”: non sopportava quel film. La trama era completamente insulsa e inverosimile. Non capiva perché le donne andavano matte per quel genere di roba. Idealizzavano fortemente l’amore, inculcando in loro l’idea che una relazione dovesse essere così pura e genuina. Lui non si sarebbe mai imbarcato in una storia del genere, ecco perché si teneva alla larga da qualunque ragazza che affermava che il film più bello al mondo fosse “Le pagine della nostra vita”. Una calamità naturale, ecco che cos’erano.
- Cos’è che ti piace tanto di questo film? – chiese Thomas alla sua amica, stravaccata dall’altra parte del divano, non appena finì il primo tempo e iniziò la pubblicità.
- Hugh Grant. – rispose lei, prendendo un manciata di pop corn, che lui le aveva gentilmente preparato.
- Davvero guardi un polpettone del genere solo per Hugh Grant? – il suo tono di voce si alzò di un’ottava. Il ragazzo non poteva credere a quell’affermazione. Certo, Irina aveva tutta l’aria di essere il tipo di ragazza che fa cose simili, ma non l’aveva mai creduta capace di tanto.
- Poi mi piace anche la trama. È assurda, ma sognare non fa mai male. – ammise subito dopo. Si girò per guardarlo e si mise a ridere: l’espressione di Thomas era un misto tra incredulità e disgusto. Era davvero buffo!
- Non ci credo. Non posso crederci! Tu, una romanticona?
- So che non vivrò mai una storia d’amore simile, ma ogni tanto vedere qualcosa di sdolcinato mi fa ripensare al fatto che forse anche gli uomini hanno dei sentimenti.
- Certo che ce li hanno! – rispose lui, sbuffando. – Perché ti è venuta questa assurda idea in mente? – chiese dopo poco. Il film ormai era ricominciato, ma sembrava intenzionato a impedire alla vicina di seguirlo.
- Perché tu non hai sentimenti. Sei l’Uomo di Ghiaccio. – spiegò Irina, gli occhi fissi sullo schermo. Thomas incassò silenziosamente il colpo. È vero, non si era mai messo in gioco seriamente in una relazione, ma lo faceva perché non si sentiva coinvolto da nessuna delle ragazze che frequentava. Non aveva ancora trovato quella giusta.
- Credi davvero che sognare il principe azzurro sia inutile? – la voce di Irina si sovrappose a quella di Julia Roberts, proprio su un momento chiave.
- Se ti crei delle aspettative troppo alte su come debba essere il tuo uomo ideale, allora sì. – rispose sinceramente lui. Quella conversazione stava diventando troppo strana, troppo femminile per i suoi gusti.
- Perché gli uomini non sono mai come nei film? – si lamentò la ragazza, raggomitolandosi sotto la coperta.
- Hai sentito Jeremy di recente? – dedusse lui. Jeremy era il fidanzato del liceo di Irina. Thomas non lo aveva mai incontrato, ma da quello che le aveva raccontato la sua amica era un vero idiota: si era fatto beccare con un’altra la prima sera del primo ritorno a casa di Irina dal suo trasferimento a Liverpool.
- Mi ha cercata un paio di giorni fa. Voleva sapere se avevo io il suo dannato cd dei Foo Fighters. Ma io non ce l’ho. Come farei ad averlo se nemmeno mi piacciono? – la ragazza prese a pugni il bracciolo del divano per sfogarsi. Maledizione, aveva bruciato quattro anni della sua vita insieme a lui!
- Che idiota. – concluse Thomas. – Poi, scusa, vi siete lasciati più o meno due anni fa…
- Un anno e mezzo. – lo corresse lei, interrompendolo.
- Sì, insomma, quel che è. Dicevo: vi siete mollati tanto tempo fa e non vi vedete da altrettanto, quindi perché dovresti avere tu il suo cd? – finì Thomas.
- Mi aveva prestato molte delle sue cose quando eravamo fidanzati, persino della musica. Avrà pensato che non gliel’avessi restituito, ma sono sicura di non averlo tenuto, perché non è rimasto nulla di mio a Nottingham. Me ne sarei accorta col trasloco, non ti pare?
- Non saprei, sei sempre così sbadata che potrebbe aver ragione quell’idiota del tuo ex. – la punzecchiò lui. Irina si offese immediatamente per il commento dell’amico e stava per rispondergli per le rime, quando notò il sorriso sarcastico che aveva stampato in faccia. Thomas stava aspettando la sua risposta e si stava già pregustando una bella battaglia verbale. Una dichiarazione di guerra in piena regola e lei avrebbe raccolto il guanto di sfida, ma non alla sua maniera. La ragazza finse di sistemarsi il cuscino dietro la schiena, ma in realtà lo scagliò contro il vicino, che non si aspettava un attacco così violento e al contempo infantile da parte di lei. Non gli piacque quel gioco, per niente. Anche perché rischiava di perdere una lente a contatto. Non che ci vedesse male, in fondo soffriva soltanto di una lieve miopia, però non si trovava a suo agio con gli occhiali. Ecco perché decise di terminare lì il gioco: si strinse il cuscino al petto e non lo mollò un solo istante, neanche quando Irina cercò di riprenderselo per riusarlo come sostegno per la sua povera schiena dolorante. Quel ragazzo era davvero antipatico.
 
La sveglia del cellulare di Thomas rimbombò per tutta la camera, svegliando i due dormienti. Irina mugugnò qualcosa, ancora immersa nel torpore del sonno, e si rigirò dall’altro lato del letto. Thomas ebbe invece il buon senso di alzarsi e di staccare quell’allarme infernale, contento di potersi sgranchire le gambe. Aveva passato una notte da incubo dormendo per terra, rannicchiato nel sacco a pelo che si era portato da casa. Irina aveva provato a sistemarlo nella stanza degli ospiti, ma lui non volle sentir ragione, sostenendo che così sarebbe stato più facile assicurarsi che lei stesse bene durante la notte.
- Svegliati, pigrona. – la chiamò il ragazzo. Irina borbottò ancora qualcosa di incomprensibile, ma fu costretta a svegliarsi quando avvertì un oggetto estraneo e caldo premerle sulla fronte. Improvvisamente spalancò gli occhi, ritrovandosi davanti un naso. Non era particolarmente armonioso, ma almeno era dritto. Sì, lo ammetteva: era un bel naso.
- Thomas, si può sapere cosa stai combinando? – riuscì a dire la ragazza a stento: l’incredibile vicinanza dell’amico l’aveva messa in soggezione.
- Verifico soltanto che tu non abbia la febbre. – spiegò lui, togliendole la mano dalla fronte. – Non scotti, però non capisco perché le tue guance siano rosse.
- Forse perché mi hai spaventato? Non si sveglia bruscamente chi sta dormendo, non lo sapevi? – Irina inventò una maldestra scusa per spiegare il suo comportamento, così strano agli occhi del ragazzo. A pensarci bene, era strano anche per lei: anche se la loro era un’amicizia burrascosa, erano molto complici e certi comportamenti troppo affettuosi, come la preoccupazione di Thomas per la sua salute, non avevano mai creato loro alcun disagio. Erano fratello e sorella, ma allora perché ultimamente Irina avvertiva un nodo allo stomaco quando la distanza tra loro due era minima?
- Guarda che quella regola vale soltanto per i sonnambuli. – la corresse lui, con il suo solito tono incolore, ma incredibilmente saccente.
- Non m’interessa: adesso avrò una brutta giornata perché tu mi hai svegliata male! – lo accusò lei, alzandosi di scatto dal letto e andando verso l’armadio. – Ora, se non ti dispiace, vorrei vestirmi. – e aprì le ante. Fece finta di essere concentrata sulla ricerca di cosa indossare, ma in realtà spiò dallo specchio incastonato nel legno il suo vicino di casa. Anche se la parte più logica di lei le stava gridando di non farlo e di cercare dei vestiti che stessero bene insieme, Irina non riusciva a non guardarlo. Il modo in cui Thomas arrotolava il sacco a pelo e lo metteva nella borsa. Il gesto che faceva per scostarsi i capelli corvini. Il tatuaggio dietro la spalla sinistra, che s’intravedeva sotto la quasi-del-tutto-trasparente canotta bianca, che sembrava prendere vita quando si stirava le braccia. Tutto in lui era maledettamente perfetto. E Irina se ne era accorta soltanto ora.
La porta della camera si chiuse rumorosamente, risvegliando la ragazza dallo stato di trance in cui era sommersa. Si appoggiò ad una mensola dell’armadio, in preda alla confusione. Non si era mai chiesta cosa ci fosse dietro all’attaccamento che provava per il suo vicino di casa. Si era sempre detta che fosse una normale amicizia, però si era resa conto soltanto adesso del modo in cui lo osservava. Non era affatto… normale. Non poteva di certo essersi innamorata di lui: c’erano tante cose che non sopportava del suo carattere. Era vero però che in sua compagnia si sentiva a proprio agio e libera di comportarsi come le piaceva, senza doversi adattarsi all’indole di lui. Ma forse stava interpretando tutto nel verso sbagliato. Maledizione, perché definire i propri sentimenti era così difficile?
Basta, doveva smettere di pensarci. Thomas era il suo migliore amico, quindi non poteva fare nulla al momento. Sì, doveva prendersi del tempo per riflettere e capire la causa delle vertigini che sentiva ogni volta che era in sua compagnia e, se nel caso fosse davvero infatuata di lui, decidere il momento giusto per dichiararsi. No, a quello avrebbe pensato una volta scoperta la vera natura dei suoi sentimenti. Adesso doveva solamente pensare a cosa mettersi.
Irina passò dieci minuti buoni a stravolgere il disordine che regnava incontrastato nell’armadio. Sua madre aveva ragione a definirla una casinista: i panni erano ammassati in pile pendenti senza alcun ordine logico e piegati molto male. Di solito preparava la sera prima i vestiti da indossare il giorno dopo, ma tra una cosa e l’altra quella mattina non aveva nulla di pronto, quindi dovette arrangiarsi, prendendo i capi messi alla meno peggio: un paio di jeans schiariti e un pullover blu scuro con la scollatura a V sopra una canotta bianca. Si pettinò in fretta i capelli, poi corse giù per le scale.
Thomas era già in cucina ad aspettarla, perfettamente in ordine, indaffarato a preparare la colazione. Per una sola persona.
- Tu non mangi? – gli chiese la ragazza, quando lui le servì due toast.
- No, ho un appuntamento per colazione. – rispose lui, sedendosi accanto a lei.
- Con chi? – Irina cercò di mantenere il tono della voce distaccato, anche se stava morendo di curiosità.
- Non mi avevi chiesto di tenerti fuori dalle mie “avventure”? – le ricordò il ragazzo.
- Sì, è vero. – ammise lei, dispiaciuta di non poter sapere altro. Ma almeno lui stava mantenendo la promessa e questo la bionda lo apprezzava.
- Sarà meglio che vada o rischio di arrivare in ritardo. Devo anche portare a casa la borsa. Ci vediamo. – Thomas salutò in fretta l’amica e uscì da casa sua velocemente, così come era entrato la sera prima, lasciandola senza parole, capace solo di spalmare di marmellata la fetta di pane che aveva in mano.

   
 
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