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Autore: Angeline Farewell    14/09/2014    4 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’esperienza americana era stata un disastro per Tom, un completo disastro dall’inizio alla fine. Era partito carico di aspettative ed ottimismo, è la volta buona, si era detto, sta arrivando anche il mio momento.

Aveva affittato un appartamento microscopico in una brutta periferia di Los Angeles il cui unico pregio era essere a poche fermate di metropolitana dagli studi Marvel e ben collegato con le uniche zone della città che gl’interessava frequentare: gli studi televisivi.

Los Angeles non era come l’aveva immaginata ed esattamente come la mostravano centinaia di pellicole: spezzata in due, esotica, brillante, impersonale, brutta come sanno esserlo le cose fatte in serie e senza storia. Burbank era una periferia come un’altra se non avevi abbastanza denaro da comprarti un sogno sulla spiaggia e Tom aveva sempre preferito le morbide asperità delle Highlands, quindi non aveva avuto difficoltà ad adattarsi. Non gl’importava davvero dov’era, solo cosa poteva significare per la sua carriera.

Il provino per il ruolo di Thor sembrava essere andato bene, nonostante le ben motivate perplessità per il suo corpo decisamente troppo esile per la parte, ma i produttori sembravano più interessati alle possibilità che a quel che avevano effettivamente davanti agli occhi, quindi sì, le cose erano andate meglio del previsto.

Chris si era trasferito negli Stati Uniti già da qualche mese e - nonostante si vergognasse ad ammetterlo viste le implicazioni di una simile ammissione – si era sentito sollevato dalla sua partenza. Per settimane, a Londra, aveva evitato di riflettere sulla loro amicizia e persino sul loro modo di stare insieme, il lavoro lo aveva aiutato, ma le repliche di Ivanoe non sarebbero durate per sempre.

Non aveva più guardato le foto di Freddie. Non era riuscito buttarle e sperava di averle perdute.

Le cose stavano andato piuttosto bene a Chris e ne era sinceramente felice, davvero. Poteva dispiacersi la sua carriera non sembrasse altrettanto avviata, ma non riusciva ad essere invidioso del successo degli altri, era uno spreco di energie e di tempo che avrebbe piuttosto potuto utilizzare a migliorarsi, era una lezione che aveva imparato presto.

Ma una volta a Los Angeles, erano scivolati senza apparente sforzo nelle vecchie abitudini, fatte di chiacchiere senza senso, uscite a tutte le ore, quotidianità condivisa: Chris aveva preso a stare da lui sempre più spesso, dormiva sul vecchio divano che aveva trovato nell’appartamento e non sembrava preoccuparsi delle occhiate dei loro vicini. Tom era felice sembrasse non le notasse neppure, voleva dire le sue paure fossero come al solito eccessivamente fantasiose. E ridicole.

Kevin Feige gli aveva detto avrebbe dovuto mettere su peso e muscoli, almeno una trentina di chili per il ruolo, ma gli bastava riuscisse a gonfiare le braccia e il torace il più possibile prima del prossimo screen test, volevano vederlo più simile all’immagine sugli albi, non solo immaginarlo. Era giusto.

Aveva deciso che non avrebbe sprecato nemmeno un giorno a Los Angeles e così aveva fatto, la sua agenzia di management gli aveva procurato indirizzi e provini cui si era religiosamente presentato al pari di centinaia di altri ragazzi come lui, curriculum foto taccuino.

Era stato un disastro, sempre.

Un provino dopo l’altro, erano andati tutti allo stesso modo.

Sei bravo, ma non sei abbastanza simile a quel che avevamo in mente.

Scartato.

Sei bravo, ma non abbastanza muscoloso per il ruolo.

Scartato.

Sei bravo, ma cerchiamo qualcuno di più commerciabile.

Scartato.

Sei bravo, ma, ma, ma.

Scartato, scartato, scartato.

Non era mai abbastanza qualcosa per nessun ruolo, per la televisione americana, ma avevano dato voce a quel che suo padre gli aveva in fondo sempre detto, a quel che lui aveva sempre saputo. Non era abbastanza.

A quel punto della storia, non sapeva nemmeno se per suo padre sarebbe più stato abbastanza uomo, perché l’America l’aveva reso solo più triste, frustrato, sfiduciato e aveva abbassato la guardia, e aveva salutato Chris come un amante e non come un amico.

Avrebbe voluto sprofondare.

Tom era sempre stato una creatura fisica, non aveva mai avuto problemi nel dimostrare il suo affetto: un abbraccio, un bacio, una stretta più forte, la vicinanza di un momento. Voleva bene con il cuore, con il cervello e con tutto il corpo, e non ne aveva paura, o vergogna.

Aveva dato il primo bacio troppo presto, ma all’epoca non lo sapeva, contava solo il brivido del proibito e l’eccitazione di qualcosa che non sapeva chiamare. Aveva dieci anni, lei due di più, lo aveva fatto inginocchiare davanti a lei dietro il capanno degli attrezzi del campo da cricket dove i loro genitori avevano giocato tutto il pomeriggio, gli aveva ordinato di chiudere gli occhi e gli aveva posizionato la testa a suo piacimento prima di posargli un bacio umidiccio sulle labbra: Rosie era stata tanto carina da insegnargli anche ad usare la lingua.

Forse era proprio grazie a quella precoce iniziazione non del tutto consenziente che era riuscito a diventare quel che tutte le sue compagne successive avevano definito un ottimo baciatore: per lui l’esperienza era stata abbastanza frustrante da non voler imporre a nessuno un bacio dato male.

Anche le prime esperienze vere erano arrivate presto, non abbastanza da farne uno stereotipo moderno di gioventù dissoluta, ma abbastanza da aver imparato in fretta dai suoi errori: il sesso gli piaceva, perché farlo male?

Non si era mai fatto troppi problemi perché, appunto, il sesso è naturale, farlo anche semplice se ci si approccia nel modo giusto. Ma qual era il modo giusto con Chris?

Sapeva in realtà non avrebbe mai dovuto nemmeno porsi la domanda, e ci aveva provato davvero ad impedirsi di farlo, più di quanto gradiva ammettere persino con se stesso.

Perché, al contrario di quel che aveva sentito raccontare persino da alcuni compagni di Eton, non gli era mai capitato di prendersi una cotta per un ragazzo. Non per il primo della classe durante il primo anno, non per il campione di lotta, né per uno a caso dei componenti della squadra di canottaggio: la sua ammirazione non era mai sfociata in un confuso ed innocente – perché mai appagato – desiderio. Eppure.

Chris Hemsworth gli era, suo malgrado, piaciuto a pelle, nonostante avesse temuto per un istante fosse il toyboy di sua madre, poi l’ennesimo rivale per le sue attenzioni.

Chris era bello e sembrava totalmente inconsapevole di esserlo, così come lui fingeva di non sapere – al contrario – di non esserlo.

“Andiamo a correre.” “Raccontami dei tuoi film preferiti.” “Vieni a vivere con me.”

A pensarci bene erano state quelle poche battute i puntelli sui quali si era basata la loro amicizia. Almeno così credeva.

Poi aveva pensato solo fosse stata tutta colpa di Freddie.

Era stato semplice pensarlo, persino naturale: aveva sempre odiato guardarsi attraverso i suoi occhi, e Freddie lo costringeva, scatto dopo scatto, a contemplare qualcuno che si sforzava da anni di nascondere sotto la pelle di ruoli sempre nuovi.

Ma Chris era tutto quello che lui non era. Era bello, sicuro di sé, sereno: una montagna inamovibile ed un punto sicuro sulla mappa, proprio come lui si sentiva un torrente primaverile, un rigagnolo, un fiume in piena, una pozza stagnante.

Quello che era successo nel minuscolo appartamento di Burbank non aveva senso, perché poche settimane di vita comune, poche immagini rubate, non potevano fare la differenza, non potevano cancellare completamente un’intera vita. Eppure era stato così. Eppure Tom non era riuscito a non trasformare l’abitudine e la rassicurante sensazione di familiarità in un bacio.

Perché stare vicino a Chris era sempre stato troppo semplice, aveva fin dall’inizio tratto un inspiegabile conforto dalla sua vicinanza, un’indefinibile sensazione di serenità. Era da subito stato un faro di calma nel mare in tempesta che si sentiva dentro. Ma era un faro acceso in mezzo all’oceano, Tom vedeva solo il cerchio che riusciva ad illuminare, il resto somigliava ad una notte medioevale piena di mostri senza nome: ed avere solo una debole visione di quel che c’è là fuori, è quasi più spaventoso dell’ignoranza stessa.

Tom sapeva bene non fosse colpa di nessuno, non degli Stati Uniti, non di Chris, non certo di Freddie, era solo colpa sua, e ripeterselo non lo aveva aiutato a tenersi fuori da uno scomodo letto che non aveva più voluto occupare da solo.
Durante il giorno si ripeteva che non potevano continuare in quel modo, che avrebbe dovuto cambiare il biglietto e ripartire per Londra in anticipo, e Chris – che non diceva nulla, che rimaneva zitto o assecondava i suoi maldestri cambi d’argomento – sembrava essere d’accordo con lui: era tutto sbagliato.
Poi però, quando calava il buio e spegnavano le luci, quando scivolava a letto lasciando a Chris abbastanza spazio per stendersi al suo fianco, riusciva a concedere solo pochi minuti alla vergogna ed al buon senso: non poteva dirlo con certezza, ma Tom era convinto fosse sempre stato lui il primo a cercarlo.
E questo non aiutava il suo orgoglio.

Chris non parlava. Anche dopo, con le lenzuola tirate via e i corpi madidi di umori, quando non lo lasciava comunque andare, lo stringeva più forte e pretendeva di dormirgli sul petto. Non aveva mai avuto la forza di allontanarlo, non aveva mai davvero voluto farlo.

Ma la mattina gli preparava il caffè prima di uscire e Tom non riusciva nemmeno a guardarlo. Perché Chris non diceva una parola, né faceva nulla per avvicinarsi: chiedeva solo un bacio per convincersi non fosse tutto solo frutto della sua immaginazione e del suo bisogno, per convincersi non fosse tutto davvero sbagliato come lo dipingeva la sua parte più razionale.

Chris non aveva detto nulla nemmeno il giorno in cui era partito davvero per tornare a Londra: sarebbero tornati ognuno al proprio lavoro e quella settimana sarebbe stata seppellita tra le esperienze imbarazzanti da non ripetere. Com’era giusto che fosse. Come Tom desiderava e non voleva davvero succedesse.

E a Londra aveva ritrovato anche suo padre.

Una cosa che agli occhi dei suoi tanti amici – tra quelli figli di genitori divorziati, almeno – era sempre apparsa meravigliosa, era il rapporto non solo civile, ma decisamente amichevole che i suoi genitori avevano sempre intrattenuto, fin dalla ratifica del divorzio. Anche Tom aveva pensato in fondo fosse una benedizione, che nonostante tutto fosse stato più fortunato di tanti altri, non c’erano state battaglie legali per la custodia dei figli né l’abbandono totale di uno dei due genitori.

Suo padre, a suo modo, aveva continuato ad essere un genitore presente, attento ad ogni bisogno dei suoi figli, sapessero o meno di averne: non era servito a niente ripetere che non gl’importava quanti campi di calcio avesse Eton, Tom aveva bisogno di andarci. Non importava Sarah fosse in fin dei conti solo apparentemente simile a suo padre, ma che in realtà quel che le interessava davvero fosse avere un nido e dei pulcini da accudire: Oxford era l’unica strada, non aveva bisogno di relazioni stabili ed amore prima di un pezzo di carta, famiglia ed eccellenza non andavano d’accordo.

Tom, a volte, avrebbe preferito lui e sua madre non fossero rimasti in così buoni rapporti. Avrebbe preferito la loro relazione si sfilacciasse dando modo anche ai suoi figli di staccarsi dall’ambra appiccicosa di un padre che non era mai stato padrone, quello no, ma comunque una divinità giudicante.
James Norman Hiddleston era perfetto e Tom lo sapeva, così come lo sapevano le sue sorelle, e per questo il suo giudizio non sarebbe mai stato benevolo. Così Sarah era scappata fino in India per trovare il suo Cavaliere, Emma – arrivata per sua fortuna troppo tardi per salvare un matrimonio che andava inesorabilmente sfaldandosi da anni - si era piegata alla volontà paterna fino ad un certo punto, poi si era cercata un altro modello e Tom l’aveva derisa e – in cuor suo – amata ancora di più per aver scelto proprio lui, che aveva soprannominato Scopa, a cui presentava amicizie e fidanzati discutibili prima che a chiunque altro, di cui voleva seguire le orme persino nella carriera.

Quindi suo padre era a Londra, perché a breve sarebbe stato il compleanno di Diana ed era una ricorrenza che non dimenticava mai e festeggiavano ancora come vecchi amici, anche se c’erano stati tre figli e, a quel punto delle loro vite, anche un Brian ed una Martha.
Era a Londra e Tom sapeva che non avrebbe potuto evitare di incontrarlo e parlare con lui e fargli soppesare per l’ennesima volta la sua immagine e le sue aspirazioni.

“Ora hai davvero l’aspetto di un onesto contadino scozzese.”

E forse non c’era stata acrimonia né malizia nelle parole di suo padre, ma avevano fatto male, tanto che aveva dovuto nascondere il viso in una tazza di tè fingendo di stornare una risata complice, improvvisamente a disagio nei nuovi muscoli che guizzavano sotto il tessuto della camicia e di cui si era sentito tanto fiero, conscio dei suoi movimenti sgraziati e dei capelli che crescevano troppo, in imbarazzo in quel nuovo corpo nel quale non sapeva come muoversi.

Aveva scritto a Chris quella sera stessa.

Non era riuscito a trattenere l’immagine di Chris senza averlo vicino, troppo impalpabile senza parole a cui ancorarla: forse avrebbe dovuto ringraziarlo per il silenzio con cui l’aveva lasciato solo dopo quel sesso mal consumato, lo stava aiutando a disperdere i colori del suo viso e il calore del suo odore. E l’erba tagliata di fresco, la polvere e la primavera del Buckinghamshire (1) avevano aiutato a sfumare i contorni e i sapori di quella settimana da dimenticare, il lavoro aveva preteso un primato che era stato – una volta di più – ben lieto di accordargli.

Tom sapeva che a quel punto delle loro vite non erano costretti a rivedersi, potevano andare avanti senza strascichi, e probabilmente era stato proprio quel che Chris aveva pensato dopo l’incidente. Solo uno di loro avrebbe avuto la parte di Thor e l’opportunità della vita, in fondo, le loro carriere non si sarebbero sicuramente mai più incrociate, così come le loro vite.

Sì, se lo avesse ripetuto abbastanza spesso, Tom sarebbe riuscito a convincersi che era stata solo una parentesi di follia, una nuova – stupida, Dio, stupidissima – esperienza che gli sarebbe magari stata utile per un ruolo futuro. Poteva convincersi che non gli mancasse più di tanto la pace sperimentata con Chris, non fosse angoscia quella che sentiva premere sul petto.

Però quella sera aveva mandato al diavolo il ferreo regime alimentare cui si era piegato per essere pronto per il prossimo screen test, e si era scolato mezza bottiglia di Jameson senza ghiaccio accompagnandolo con talmente tanta cioccolata che alla fine aveva a stento frenato la nausea e l’impulso di vomitare. Non era stata esattamente una saggia decisione, sia bere e mangiare tanti dolci dopo settimane in cui il suo corpo era stato un tempio alla vita sana, che ricontattare Chris.

Era stanco e si rendeva conto del ridicolo rappresentato da un contadino scozzese senza prospettive che cerca un surfista australiano probabilmente già passato ad altro, ma l’alcol aveva fatto il suo dovere, così come le sue reminescenze dei corsi alla RADA: non credeva di aver mai spedito un sms più falso e felice di quel che aveva ricevuto Chris dall’altra parte del mondo.

A cui aveva inaspettatamente ricevuto risposta. A cui erano seguiti altri messaggi, fino al giorno in cui era ripartito per Los Angeles, in cui se lo era ritrovato di fronte in aeroporto senza preavviso e non era riuscito a credere ai suoi occhi.

E, come sempre, Chris aveva completamente frantumato qualunque forma di difesa avesse vagheggiato, perché l’unica cosa che era riuscito a fare era stata abbandonare il bagaglio e correre ad abbracciarlo, finendo per dimenticare che dovevano rispettare le distanze da bravi amici-conoscenti.

“Mi sei mancato.”

Si era reso ridicolo e Chris era sembrato sul punto di dirglielo, ma aveva deciso per l’ennesima volta di tacere. Non aveva detto una parola, solo fatto domande utili. Sembrava essersi pentito di essere andato a prenderlo in aeroporto e Tom non riusciva a dargli torto: era stato stupido ed aveva perso anche le basi dell’amicizia che era riuscito a costruire con Chris.

Quel che Tom non riusciva a capire era perché Chris non andasse via. Perché, se era evidente non fosse nemmeno più interessato a quel che aveva da dire e lo lasciasse parlare da solo, come in una sgradita replica di una brutta settimana d’inverno.

Quando però si era deciso ad aprire bocca, Tom era stato vagamente tentato di mollargli un pugno sul naso, perché se era andato a prenderlo, se l’aveva seguito fino in albergo solo per gongolare e sottolineare l’ovvio, beh, Chris avrebbe potuto davvero risparmiarsi la fatica.

Non aveva ben capito come fosse finito a sforzarsi di non ridere come un deficiente nella doccia mentre Chris continuava ad aspettarlo fuori, in camera. Una camera dove si erano baciati di nuovo e dove probabilmente sarebbe successo altro.

Tom non capiva cosa stesse accadendo, cosa gli fosse sfuggito in quei mesi in cui erano stati lontani e alieni l’uno all’altro, o anche prima, la verità era i loro corpi non s’incastrassero poi così bene come Chris sembrava voler credere, ma tutto il resto sì, e Tom preferiva pensare solo alla quiete che gli stava scivolando addosso insieme all’acqua della doccia, alla serenità di sapersi accettato, anche se sembrava un contadino scozzese e non un dio norreno, se aveva la testa incasinata fuori e dentro e non riuscisse a fare a meno di pensare che sua madre l’avrebbe costretto a dirlo anche a Norman.

Non voleva dirlo a Norman. Non avrebbe saputo spiegargli perché stava accettando di inoltrarsi in un territorio sconosciuto e privo di mappa per l’ennesima volta, non avrebbe saputo spiegargli cosa cercasse, e sapeva che non sarebbe riuscito a sopportare per l’ennesima volta la delusione paterna.

Sarah si sarebbe sposata l’anno prossimo a nemmeno trent’anni, agli occhi di suo padre era come dire buttare gli anni a Oxford per perdersi in India. Di Emma non se ne poteva ancora parlare. E lui, Tom quando mai aveva cercato almeno di sforzarti di somigliare ad un uomo che sa quel che si deve fare? Mai, secondo suo padre non aveva nemmeno accettato di scoprire davvero se stesso.

Quando era tornato in camera, con i capelli ancora bagnati che gocciolavano su una t-shirt spiegazzata dalle tante ore di viaggio in valigia, Chris sonnecchiava tranquillo sul letto, come l’aveva visto fare tante volte nel loro appartamento londinese quasi un anno prima così come a Burbank. Sembrava non fosse cambiato nulla, eppure era cambiato tutto. perché Tom non si era mai seduto prima al suo fianco, non si era mai piegato prima a sfiorargli i capelli con una mano e le labbra con le sue.

Bastava fare il primo passo.

 

 

 

 

 

Note:

(1)La miniserie “Return to Cranford” è stata girata nella primavera del 2009 in svariate contee nei dintorni di Londra, tra cui proprio il Buckinghamshire, set più utilizzato.

 

Per chi fosse curioso, lui è Freddie, mentre lui il suo surfista gallese. I piccioncini, invece, si divertono in altri luoghi. XD

   
 
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