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Autore: emotjon    15/09/2014    7 recensioni
QUESTA STORIA E' IL SEGUITO DI "HIGHER.".
SE NON AVETE LETTO LA PRIMA, NON CAPIRETE QUESTA.
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"Una volta mi hanno chiesto come facessi ad amarli entrambi.
All'inizio non capivo. Amare entrambi nello stesso momento.
Era folle. Totalmente fuori di testa.
Poi ho capito.
Io amavo ognuno di loro in modo che non mi mancasse l'altro.
Ed era folle. Ma era il meglio che potessi chiedere..."
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Deeper - capitolo 2. // Falling to pieces.


 
 
Se ci stava attenta, Madeleine poteva riuscire a capire quante volte le ruote dell'autobus per Seattle girassero in un minuto. Era l'unico suono che riuscisse a distrarla, dato che nemmeno il paesaggio che scorreva loro intorno ci riusciva più.
Teneva gli occhi aperti, osservando il demone accanto a sé dormire con la guancia premuta contro il finestrino; i capelli scompigliati e gli occhiali da vista tutti storti sul naso; le labbra dischiuse, e il suono del suo respiro che inaspettatamente riusciva a calmarla, a farla respirare regolarmente e senza il peso di parole dette d'impulso a gravarle sullo stomaco e sul cuore.
Una mano del ragazzo era sulla gamba della castana, a stringere di tanto in tanto, come se volesse tenerla ferma, lì con sé anche mentre dormiva. Uno sbuffo dalle labbra del moro e la conseguente stretta sulla coscia di Madeleine, la fecero sussultare, prima di lasciarsi andare ad un sospiro, posando poi la testa contro la sua spalla e chiudendo gli occhi.
Mossa sbagliata, probabilmente.
Chiudere gli occhi significava ricominciare a pensare, perdere la concentrazione sulle ruote di quell'autobus che odorava di fumo o sul respiro di Zayn e lasciare che i pensieri corressero all'altra parte del proprio cuore, la parte che l'aveva trattata come un vecchio straccio da buttare ed era rimasta a Los Angeles.
Abbassare le palpebre significava rivedere il viso perfetto nelle proprie imperfezioni di Harry. Significava riportare alla memoria il verde giada delle sue iridi, o il color fragola delle sue labbra; o ancora, significava ricordare il suo sorriso o la sua voce roca o le sue fossette nelle quali avrebbe voluto infilare la punta delle dita, come si faceva coi sorrisi dei bambini.
Chiudere gli occhi era più doloroso che farsi trafiggere da mille e più aghi. Chiudere gli occhi era male, era l'ultima cosa che avrebbe voluto e dovuto fare. Ma la fece ugualmente, fregandosene di quel che ancora una volta avrebbe provato, di quel che di nuovo avrebbe sofferto se si fosse lasciata andare a quei pensieri, a quelli che riguardavano lui.
Erano su quell'autobus da un paio d'ore, eppure Madeleine non ne poteva più. Quindi, l'unica cosa da fare era proprio chiudere gli occhi e pensare, seppure non volesse. A palpebre abbassate, tutto iniziò a svanire, sostituito dal viso di Harry. I sedili in fondo al pullman - quelli su cui erano seduti - scomparvero, e al loro posto si fecero vedere un paio di occhi verdi che sembravano solo ridere di lei; l'odore di chiuso e di aria condizionata difettosa cedette il posto all'odore dello shampoo agli agrumi dell'angelo.
Fu un attimo, prima che rivedesse ancora la scena che la tormentava da giorni.
Un attimo, prima che le lacrime sfuggissero al suo controllo.
Un attimo, prima che si rendesse conto di crollare a pezzi, senza Harry.
E il dolore; quello era più forte di qualsiasi altra cosa riuscisse a sentire. La consapevolezza di non essere abbastanza, di non contare niente per gli occhi verdi che tanto amava, arrivò subito dopo, si aggiunse al dolore che già le gravava sul cuore. E quella parola che tanto le aveva fatto male tornò a galla come fosse passato solo qualche secondo, da quando lui gliel'aveva praticamente urlata addosso.
Puttana. Come Akielah.
Tornò a sentire il rumore degli pneumatici che correvano lungo l'autostrada solo quando riuscì a scrollarsi di mente l'immagine di Harry che rideva, magari di lei, magari di quello che si era immaginata avessero avuto insieme. Forse non c'era stato nulla, solo fantasie di un'adolescente troppo cresciuta e che ancora credeva nelle favole.
Tornò a percepire l'odore dei vecchi sedili di stoffa, quando si accorse che qualcuno teneva il proprio viso tra le mani, mormorando qualcosa, probabilmente il suo nome. «Madeleine». Con voce ferma e decisamente preoccupata, per quanto Zayn avesse già capito tutto, solo dalle lacrime che le scorrevano senza sosta lungo le guance.
Si accorse di singhiozzare quando il demone le posò due dita sulle labbra e le labbra sulla fronte, tenendola stretta e sussurrandole che in qualche modo sarebbe andata bene, che lui non l'avrebbe lasciata e che forse Harry non pensava davvero quel che le aveva detto; ma all'ultima parte non ci credeva nemmeno lui.
«Zayn...».
«Mh-mh...».
La ragazza prese un respiro profondo, prima di incastrare il viso nell'incavo del suo collo e sospirare. Lo sentì rabbrividire, ma posò comunque le labbra sulla sua clavicola e chiuse comunque gli occhi. «Ti amo», mormorò in un soffio, mentre abbassava le palpebre. Mentre si aspettava di rivedere il viso di Harry, però, sentì solo il sorriso di Zayn sfiorarle la pelle e non vide niente se non il buio, mentre a poco a poco scivolava in un sonno probabilmente senza sogni.
E mentre la castana crollava finalmente in un sonno che sperava portasse via tutto il male che stava passando in quel periodo, a Los Angeles c'era un angelo dagli occhi verdi in equilibrio precario sul ramo di un albero, che dava su una scogliera dalla quale se fosse caduto non si sarebbe fatto nulla, purtroppo - o per fortuna.
Quel promontorio non gli era mai sembrato tanto vuoto e tanto asettico. Come in un ospedale, sentiva solo uno strano odore di disinfettante. Come se l'erba ne fosse pregna, e le foglie degli alberi, e l'aria stessa. Disinfettato, tutto. Tanto da non fargli sentire nulla se non uno strano e acre odore... senso di colpa? Era la soluzione più probabile. La più scontata. Ma anche la più vera.
L'unico odore che riuscisse a sovrastarlo era quello del mare, che spumeggiava parecchi metri sotto di lui. Ma Harry il mare lo guardava e basta. Guardava l'orizzonte sperando che qualcosa cambiasse, sperando che il senso di colpa svanisse; o magari sperando di poter far tornare indietro il tempo e non dire quelle parole.
Sapeva di aver ferito Madeleine. Aveva toccato il tasto giusto, l'unico che avesse trovato per costringerla a restare con il demone. Sapeva perfettamente che dirle quelle parole l'avrebbe uccisa; sapeva che ne avrebbe portato il ricordo probabilmente per sempre. Lo sapeva, eppure aveva lo stesso aperto bocca e gli aveva dato fiato. Quasi senza pensare, la parola puttana gli era scivolata dalle labbra e aveva fatto centro, dritta nel cuore dell'unica ragazza che avesse mai amato davvero.
Chiuse gli occhi con un sospiro, rivedendo dietro le palpebre l'espressione distrutta di Madeleine, il modo in cui le era mancata l'aria. E il secondo successivo era crollata a terra sotto il peso di una sola parola, sotto il peso di quell'unica parola che l'angelo non avrebbe mai è poi mai voluto rivolgerle.
Al risollevare le palpebre si accorse di aver lasciato andare una lacrima, di averla lasciata scorrere lungo la guancia e fino al mento, dove con un respiro più forte degli altri era semplicemente caduta. Volata via, come se avesse le ali. Sparita nel nulla, quasi come se non fosse mai esistita, come se nessuno l'avesse mai pianta davvero.
«Harry...».
Si accorse che lo stavano chiamando, eppure restò immobile, senza trovare la forza di muovere un muscolo. Si accorse di una testa bionda che compariva nel suo campo visivo, di un paio di luminosi occhi celesti e delle ali bianche e con uno strano riflesso verdemare, che rendeva le sue iridi anche più incantevoli e fenomenali. Si rese conto di un peso che si aggiungeva al proprio su quel ramo, ma continuò semplicemente a guardare l'orizzonte e respirare piano.
Continuò a sopravvivere a stento, sognando un perdono che forse non sarebbe mai arrivato.
«Lei è al sicuro, lo sai».
La stessa voce, che stavolta non riuscì ad ignorare. Non ci sarebbe riuscito nemmeno se l'avesse voluto davvero. E in fondo Niall non era il tipo di persona che si sarebbe lasciato ignorare senza reagire. Avrebbe insistito fino a ricevere una risposta, l'avrebbe punzecchiato fino a farsi odiare, se fosse stato necessario.
«Lei mi odia», ribatté il riccio, ancora senza degnarlo di uno sguardo.
«Ma ti senti quando parli, Har?». Il ragazzo dai capelli biondi gli avrebbe volentieri tirato un pugno, in situazioni come quella. Il riccio aveva la pessima abitudine di fissarsi sulle cose, l'altra pessima abitudine di prendersi la colpa per qualsiasi cosa succedesse e la peggio abitudine di tutte, non pensare mai a sé stesso. «Lei non può odiarti», aggiunse Niall addolcendo il tono di voce, spingendo quindi l'altro a guardarlo.
Scosse la testa con un sorriso stanco. Insomma, anche se l'amico stesse cercando di farlo sentire meglio, non stava esattamente riuscendo nel proprio intento. Tornò a guardare l'orizzonte passandosi una mano tra i capelli, mentre l'altro angelo sbuffava e gli dava uno scappellotto dietro la nuca, prima di lanciarsi nel vuoto e prendere il volo.
Lei non può odiarti.
Ovvio che potesse.
Non c'era nessunissima legge suprema che le impedisse di farlo. Nessuna clausola infinitesimale della sua vita ripetuta all'infinito, che le impedisse di maturare sentimenti diversi dall'amore nei confronti di qualcuno. Non c'era nulla che potesse impedirle di odiare. Nulla, assolutamente.
E dopo quel che le aveva detto, l'angelo sentiva di meritarselo, tutto quell'odio.
«Harry... lei si è innamorata di te, vita dopo vita. Si è innamorata di te come persona, non come angelo. Si è innamorata di ogni tuo respiro, di ogni parola tu le abbia detto...». Niall gli stava davanti, a mezz'aria, cercando di attirare la sua attenzione, cercando di catturare il suo sguardo di smeraldo nel proprio del colore degli zaffiri colpiti dai raggi del sole.
Ma il riccio semplicemente non ce la faceva. Non riusciva a sentir parlare di lei, del loro passato. Non riusciva a sentirsi dire che lei si fosse innamorata di tutto, di lui, delle parole... lui l'aveva chiamata puttana. Lei non avrebbe più potuto amarlo.
«L'ho paragonata a lei, Niall...».
E non c'era bisogno di dire a chi si riferisse. Non c'era bisogno di rivangare quel che avevano passato centinaia di anni prima. Non c'era nemmeno bisogno di portare a galla tutto quel che aveva passato per amare Madeleine e cercare in secoli e secoli di non farle del male.
Tutto quel trattenersi di fronte a lei, o cercare di non ucciderla con qualche parola sbagliata, era stato vano. Ogni ti amo che le aveva detto lo era stato, ogni promessa che le aveva fatto lo era stato. Tutto, il loro tutto, il loro essere innamorati di vita in vita... non serviva più a niente.
«Sono il primo a pensare che tu abbia esagerato, Harry...».
Era come se Niall gli stesse dicendo che aveva ragione, con quelle poche parole. Che lei non l'avrebbe più amato o voluto, perché lui aveva esagerato. Era come se si stesse mangiando le proprie parole di conforto e gli stesse facendo male, tanto male. Come se volesse prenderlo a pugni fino a farlo svenire, o peggio.
«La volevo al sicuro...», provò a difendersi l'angelo, a voce bassissima. Un alito di vento, la sua voce. Insicuro come non mai. Pentito oltre l'inverosimile. E non ne poteva più di sentirsi in colpa, perché in fondo non si era pentito di aver lasciato Madeleine con Zayn; in qualche modo si fidava di lui, merito forse del loro rapporto in un passato piuttosto lontano. Ma il senso di colpa continuava ad esserci, su tutti i fronti.
L'unico modo per farlo tacere era la rabbia.
Arrabbiarsi tanto da non sentire altro che la propria ira.
«Ed è al sicuro... è quello che sto cercando di dirti... ora come ora lei è più al sicuro con Zayn di quanto non lo sia con te, per quanto ti faccia male sentirtelo dire». Il biondo fece una pausa, sentendo un sospiro frustrato uscire dalle labbra del riccio. Guardarlo negli occhi faceva male, era diverso dal solito. I suoi occhi erano scuri, pieni di rabbia repressa, rabbia contro sé stesso. E Niall non sapeva come gestirla, non ne aveva idea. «Sei arrabbiato, e lo capisco... ma non avercela con te stesso, è orribile vederti così Harry...», aggiunse tornando a sederglisi accanto e posandogli una mano sulla spalla, come a cercare di farlo stare un po' meglio.
Ennesimo sospiro dalle labbra del riccio, prima che riuscisse finalmente ad alzare lo sguardo dall'orizzonte per incontrare gli occhi azzurri e determinati del biondo. L'avrebbe consolato finché non ci fosse riuscito davvero; avrebbe cercato di tirarlo su di morale fino a fargli spuntare anche solo un mezzo sorriso sulle labbra.
Perché gli voleva bene come ad un fratello.
«Se mi sbagliassi e lei non fosse al sicuro?».
«Odio ammetterlo, ma Zayn non le farebbe mai del male...».
«Ed è proprio questo che mi preoccupa», ribatté il riccio, con gli occhi verdi che riflettevano l'ultimo luccichio del sole che si tuffa nel mare. Ma finse comunque un sorriso di rassicurazione, e Niall poté sentirsi bene, sapendo di averlo aiutato. A Harry non piaceva mentire, ma del resto Niall non riconosceva le bugie.
Prima o poi se ne sarebbe accorto.
La rabbia non passava. Veniva solo nascosta.
E il dolore era un po' come la rabbia, per alcuni. Il dolore poteva essere nascosto, celato da una cortina di fumo e annebbiato dalle sensazioni che quello stesso fumo dava. Il dolore spariva, quando Cherubiel posava le labbra rosa sul filtro di una delle sigarette che le procurava Skylar. Si faceva piccolo piccolo, quando lei chiudeva gli occhi e si abbandonava a quella momentanea sensazione di benessere che ormai riusciva a trovare solo nell'erba del diavolo.
Il demone dalla pelle scura le stava dicendo di andarci piano, mentre tirava fuori dalla tasca dei jeans un paio di quelle sigarette. La bionda sbuffò pesantemente, facendo ridere il ragazzo, che le posò un bacio affettuoso su una tempia, prima di andarsene e lasciarla su quella panchina del lungomare a guardare il sole spegnersi a poco a poco, mentre accendeva la sigaretta e prendeva un tiro, non accorgendosi di essere osservata.
Un ragazzo castano la guardava da qualche metro di distanza, con la mascella contratta, mentre la nuvola di fumo bianco si fondeva col cielo che da azzurro iniziava a tendere al blu della notte, con qualche incredibile sfumatura di rosa, che rendeva le nuvole belle come quelle di un vecchio dipinto ad olio.
Arrabbiato. Nervoso.
Liam non ne poteva più di quella situazione. Non parlava con l'angelo biondo da quando lei si era quasi fatta uccidere per salvare Remember. L'aveva guardata baciare l'altra ragazza senza poter far niente, tenendosi dentro un dolore che non riusciva a far sbollire, non riuscendo ad urlare, a prendersela con la mora, o con la stessa bionda. Non riusciva a parlarle, né a guardarla, né a fare niente di sensato.
Solo, quella situazione lo stava uccidendo.
Vederla autodistruggersi, lo uccideva.
Vederla arrendersi senza reagire, lo uccideva.
Chiudendo gli occhi poteva vedere la stessa ragazza biondissima e con le labbra rosa. Poteva vederla correre per il giardino dell'Eden con un velo di seta rosa a coprire l'essenziale, e le enormi ali bianche lasciate libere. La sua aura era incredibilmente bianca, e era come se il ragazzo non potesse smettere di guardarla. Rideva, correva, si sollevava da terra con un battito d'ali. E le altre creature impallidivano, al vederla. Lui stesso, diventava piccolo piccolo, in confronto a lei.
Chiudendo gli occhi, vedeva la ragazza di cui si era innamorato. A poco a poco, poi tutto in una volta, Cherubiel era diventata la sua anima gemella. Era la donna della sua vita. Era la sua migliore amica. Era quella che quando sorrideva illuminava il mondo - soprattutto il suo. Era quella che faceva di tutto per non sembrare umana. Ed era una ragazza dal potere immenso, che forse nemmeno lei avrebbe mai capito fino in fondo.
Chiudendo gli occhi, vedeva la Cherubiel che amava e che gli mancava.
Aprendoli, vi era solo un mero riflesso consumato, di quella ragazza.
Aprendoli, vedeva una lotta interiore da far paura a chiunque. Vedeva un paio di occhi azzurri spenti, privi del luccichio che lui aveva sempre trovato irresistibile. Vedeva le labbra prese a morsi dal dolore che sentiva, e i graffi datisi sulle braccia, tanto a fondo da lasciare il segno.
Aprendoli, vedeva il fantasma di Remember aleggiare su di lei come un avvoltoio su una qualsiasi carcassa, in un qualunque deserto. Vedeva quelle dannate sigarette che in quel periodo sembravano non volerla più lasciare. O forse era lei a non volerlo fare, perché in fondo dimenticare per un momento era sempre meglio che soffrire per sempre.
Solo, quella situazione lo stava uccidendo.
«Liam...». Gli occhi celesti di Cherubiel lo stavano guardando - da quanto? - e lui nemmeno se n'era reso conto. Le sue labbra avevano pronunciato il suo nome, con la voce distrutta e le lacrime a far capolino all'angolo degli occhi. «Che ci fai qui?». Che ci faceva lì? Avrebbe urlato, l'avrebbe scossa, avrebbero discusso... l'avrebbe lasciata?
«Guardo la donna che amo, mentre annaspa a fatica per non affogare», le disse, avvicinandosi fino ad essere ad un metro scarso da lei. In piedi, a torreggiare su di lei senza smettere di guardarla negli occhi. La amava, era vero. L'avrebbe amata sempre, qualsiasi cosa fosse successa. E lei annaspava, era vero; non meno vero del fatto che lui odiasse vederla così.
«Come puoi amarmi...?».
«Come puoi credere il contrario? Cazzo, Cher...».
Aveva alzato la voce e stretto i pugni, senza riuscire a contenersi. Aveva serrato la mascella, per poi prendere un respiro profondo, con gli occhi chiusi, mentre lei rabbrividiva. Liam non si arrabbiava mai; non tanto da dover prendere un respiro profondo per cercare di calmarsi; non con lei.
E la ragazza non riusciva a vederlo in quello stato. Non riusciva a vivere quella situazione; tutto quell'evitarsi e non parlarsi era insopportabile; tutto quel non riuscire a guardarlo per paura che lui riuscisse a vedere che non amava solo lui... le scappò un singhiozzo, mentre il pensiero di Remember tornava a galla, portato dagli occhi castani e profondi di Liam.
Si rannicchiò su quella panchina meglio che poté, provando a fermare l'uragano di dolore che le stava montando dentro e che sarebbe presto sfociato in lacrime. Gli occhi chiusi e le ciglia bionde e umide a sfiorarle gli zigomi. Fu in quell'istante che Cherubiel si accorse di star crollando a pezzi.
Un secondo singhiozzo le uscì dalle labbra rosa, singhiozzo che fece riaprire gli occhi scuri dell'angelo che le stava ancora a quel metro scarso, provando a capire come avrebbe dovuto comportarsi per non rovinare tutto. La guardò, così debole e con gli occhi gonfi di lacrime... e le si sedette di fianco, posandole una mano su un ginocchio e stringendo appena.
La ragazza si mosse verso di lui senza nemmeno accorgersene. Posò di nuovo i piedi a terra e si spostò lungo la panchina, fino a che non sentì che il ragazzo stava spostando il braccio per circondarla. Era una muta richiesta, la sua. Richiesta che la bionda non si fece ripetere due volte, mentre gli circondava il busto con le braccia e lasciava che lui la abbracciasse, con le labbra posate sui suoi capelli.
«Ti ha distrutta, piccola...».
«Non voglio più stare così per qualcuno, Liam».
Non voleva più stare così, per nessuno. Non voleva ridursi a fumare per evadere, e evadere per non ricordare, e non ricordare per non star male. Non voleva allontanare Liam, perché era l'unico che l'avesse sempre trattata come una principessa. Non voleva perderlo, o semplicemente non poteva permettersi di farlo.
E con le labbra contro i suoi capelli biondi, a Liam sembrò di rivedere l'angelo che correva ridendo per i giardini del Paradiso. Gli sembrò di rivedere il luccichio innocente ma malizioso nei suoi occhi. Gli sembrò di innamorarsi di nuovo, come se l'avesse appena vista per la prima volta.
«Io non ho mai voluto farti male, Cherubiel...».
L'angelo annuì e basta, stringendo la presa sul ragazzo e inspirando profondamente la sua pelle, per carpirne quel profumo che in quei giorni le era tanto mancato. Odiava ammetterlo, ma l'odore di Liam spazzava via qualsiasi altra cosa. Qualsiasi, Remember compresa. Spazzava via immagini di capelli neri e occhi azzurri, di iridi maliziose e sorrisi tristi e innamorati. Rimpiazzava un amore che non sapeva se accettare con un amore che del resto aveva accettato sempre, sin dall'inizio.
«Lo so, Liam... lo so...», erano le poche parole che era riuscita a pronunciare, con le palpebre abbassate, una lacrima che le scorreva placida su una guancia, e il sorriso più vero di sempre a far capolino sulle sue labbra del colore della gomma da masticare.
Un gran bel sorriso, che per un attimo permise a Liam di tornare a sperare.
Un gran bel sorriso, che spazzò via le nuvole dal sue stesso sguardo, facendo tornare il sereno in quegli occhi color del cielo.



 


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