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Autore: Wozzugururu    15/09/2014    1 recensioni
la Terra Spaccata è composta da innumerevoli isole che volteggiano nel vuoto, sospinte dai venti impregnati di Pulviscolo, l'essenza stessa della magia. In un mondo in cui la vita di chiunque è impregnata sin dalla nascita di incantesimi e rune, e dove le tue Ossessioni possono mutare anche il tuo corpo, i protagonisti dovranno trovare la loro strada e schierarsi con una delle fazioni in lotta per il predominio, capendo che non tutto è o bianco o nero.
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco il primo vero capitolo della storia. Scusate se ci ho messo tanto a scriverlo, prometto che per i prossimi sarò più rapido!
Questo è un capitolo introduttivo, pieno di descrizioni e forse un po' lento... ma giuro che arriva anche l'azione!
Buona lettura!


Capitolo Primo



La donna scese velocemente le scale della torre ed entrò nella piccola cucina al pian terreno stringendo fra le dita callose della mano destra una piccola pietra liscia dal colore rosso acceso, sulla quale campeggiava una runa incisa.

La donna, a dover di cronaca, si chiamava Yleen ed era la contadina che abitava l'isolotto del Vecchio Mulino. Era una donna robusta dalle forti braccia e dal temperamento ostinato. Teneva i capelli ramati molto corti per una questione di praticità, delle piccole lentiggini macchiavano lievemente il piccolo naso perfettamente dritto e le guance spesso scottate dal sole cocente. I suoi occhi erano di un marroncino chiaro tendente al verde ed erano sormontati da due folte sopracciglia, rossastre come i capelli. Nonostante alcune rughe cominciassero a solcarle il volto e diversi ciuffi dei suoi capelli cominciassero a tendere verso l'argento, Yleen non cercava in alcun modo di nascondere quei segni dell'età e li portava come una medaglia, un premio per aver superato le innumerevoli prove che il fato e gli dei avevano posto sul suo cammino durante la sua vita.

Tutti coloro che la conoscevano provavano un profondo rispetto per lei, in quanto, nonostante abisse da sola coi suoi due figli e avesse già superato da un pezzo la cinquantina, continuava caparbiamente a mandare avanti il suo piccolo pezzo di terra e, sebbene a volte riuscisse a malapena a raccogliere quel che le serviva per il suo sostentamento, era troppo orgogliosa per accettare o richiedere alcun tipo di aiuto.

Quel giorno indossava una camicia bianca e sopra di esso un piccolo gilet di cuoio consunto che si era confezionata lei stessa molti anni addietro, e sul quale aveva attaccato i bottoni dorati che un tempo erano appartenuti a sua madre. Le braghe che indossava erano di un grezzo tessuto marrone che le pizzicava tutte le gambe, ed erano stretti in vita da un cinturone di cuoio nero dalla grande fibbia d'argento, un dono di suo padre.

Nel complesso Yleen era una donna dai gusti sobri e pratici, eppure portava sempre al collo una collana d'oro con incastonato un grosso ametista intagliato con maestria. La gente del posto mormorava che fosse il pegno d'amore dell'uomo con il quale aveva generato suo figlio, ma sebbene normalmente fosse una persona gioviale, al solo nominare di quell'argomento il volto di lei su oscurava con la stessa velocità con cui le nuvole si raggrumano in cielo prima di un temporale estivo, e le sue risposte si facevano improvvisamente criptiche e fredde come il ghiaccio. Alcuni giuravano che, nei suoi occhi, si potesse scorgere un velo di tristezza, anche se questo veniva subito sustituito da un furore a stento contenuto.


La donna si avvicinò al camino, vi dispose al centro la pietra runica e la coprì con la legna per un fuoco. Fece qualche passo indietro e fissando intensamente il legname, pronunciò a voce bassa e decisa “likbal”. Quasi immediatamente dal focolare si levò un filo di fumo e alcune timide lingue di fuoco cominciarono a farsi vedere da sotto il cumulo. Yleen si girò e fece per andare a prendere una pignatta di rame nella quale cucinare la minestra per il pranzo quando dal camino provenne un botto assordante. Pezzi di legno, di cui alcuni in fiamme, volarono in tutta la cucina, ammaccando pentole e appiccando il fuoco alla scopa di saggina che era stata appoggiata in un angolo. La contadina si precipitò a soffocare i principi di incendio con la tovaglia a quadri del grande tavolo al centro della sala e, quando non ci fu più pericolo che il mulino prendesse fuoco e si trasformasse nella sua pira funeraria, controllò all'interno del camino quello che era successo. La legna era stata completamente sbalzata via dalla deflagrazione e, dove prima era stata posta la pietra, ora restava solo qualche piccolo frammento carminio e una macchia nera dalla forma irregolare.

-Ito!- chiamò Yleen. Subito si palesò sull'uscio un ragazzo dalla carnagione abbronzata dal sole cocente dell'estate e i capelli resi ispidi dal fango e dalla paglia. Indossava una camicia sudicia che usciva dai pantaloni di tela in più punti e dei guanti di cuoio che aveva usato fino a quel momento per lavorare nel piccolo orto sul retro della torre. Nel complesso nella figura di Ito i colori predominanti erano i bruni del fango e della terra, ma in tutto il marrone che pareva coprirlo dalla testa spettinata ai piedi scalzi spiccava il profondo azzurro degli occhi, sempre vispi e intenti a scrutare il mondo. Il figlio di Yleen era minuto per la sua età, quindici anni, ma il suo fisico asciutto nascondeva una forza di pochi suoi coetanei potevano fregiarsi, e non mancava di vantarsene con i suoi amici del villaggio dell'isola vicino.

-Cosa succede mamma? Ho sentito l'esplosione...-

-Era solo una runa di scarsa qualità. L'avrò usata appena un paio di volte prima che si esaurisse... se quel dannato nano mi ricapita fra le mani, giuro sugli dei che lo rado dalla testa ai piedi!- disse la donna cominciando a raccogliere i legnetti sparpagliati per la cucina. -Fammi un favore Ito, vai al villaggio e compra una pietra economica da Orund. Aspetteremo che arrivi qualche mercante da Gamla Sten per prenderne di migliori.-

Il ragazzino corse immediatamente in camera sua, dove prese un paio di calze di cotone spaiate e le scarpe, dopodichè si mise in tasca qualche moneta di rame e uscì di corsa di casa.


Il villaggio di Big Isle era chiamato così perché sorgeva sull'isola più grande dell'Arcipelago del Tramonto eppure, e tutti gli abitanti del paese erano concordi, non era che un misero sassolino in un deserto di sabbia fine se confrontato con le mastodontiche porzioni di terra su cui sorgevano le tre capitali, perennemente in lotta fra di loro. Le Terre Spaccate non erano altro infatti che un enorme arcipelago di isole e scogli volteggianti, sorretti nella loro posizione dai venti carichi di Pulviscolo, l'essenza della magia. Il gigantesco insieme di atolli era diviso in tre grandi regni, le cui capitali sorgevano sulle tre isole maggiori, grandi come continenti.

Nel centro delle Terre Spaccate le porzioni di terra si erano disposte nei secoli a creare una colonna della quale era impossibile scorgere la fine o l'inizio e che, secondo alcuni, era la strada che gli dei avevano dato ai mortali per raggiungerli, e che per questo era stata chiamata Scalinata Celeste. Tutta l'acqua che riempiva i mari e i fiumi proveniva da un punto imprecisato in cima alla scalinata, e poi scendeva ruscellando e cadendo di isola in isola fino a perdersi oltre la coltre di nubi perenni che avvolgevano la base della colonna.

Innumerevoli erano stati gli avventurieri e gli esploratori affamati di fama che avevano tentato la scalata e la discesa della Scalinata, eppure nessuno aveva fatto ritorno, dando voce alle credenze secondo le quali la Sorgente fosse il luogo della dimora degli dei, mentre che alla base della colonna non ci fosse altro che il buio eterno degli inferi.


Il cielo era limpido, ma diverse nuvole erano radunate sotto il villaggio, riflettendo la luce del sole e accecando coloro che camminavano sugli stretti ponti di collegamento. Ito procedeva tenendo le mani ai lati degli occhi per proteggersi dal riverbero feroce, ma così facendo limitava non poco la sua visione laterale e più di una volta fu sul punto di rovesciare qualche carretto nel vuoto sottostante.

Arrivato al villaggio si fermò ad inspirare profondamente: amava gli odori di Big Isle a quell'ora, quando centinaia di focolari si accendevano per cominciare la preparazione della cena e in molti si radunavano alle taverne per bere in compagnia. Un solitario violino cominciò a suonare una ballata ritmata e subito si unirono a lui diversi altri strumenti ed un coro di voci possenti.

Per le strade non c'era quasi nessuno, eccezion fatta per qualche contadino che tornava a casa dopo aver venduto quello che poteva al mercato.

Attraversata la piazza principale il ragazzo si incamminò per una serie di vicoli, diretto alla bottega del venditore di rune.

Il villaggio era uno dei più antichi della regione ma, nonostante la piazza e molte case avessero subito diversi restauri, nessuno si era mai preoccupato di mettere a posto le abitazioni dei vicoli del Quartiere Stretto. La vernice delle case era spesso scrostata, tanto che in alcune si potevano vedere i mattoni o, in quelle più vecchie, lo strato di paglia e fango che ricopriva l'intelaiatura in legno. Dai comignoli in pietra s'innalzavano sottili spire di fumo, dalle finestre usciva la calda luce dei fuochi e delle lampade che ardevano all'interno. Il sole non arrivava quasi mai dentro quei vicoli, le case erano state costruite troppo vicine, e tutta la luce di cui Ito poteva usufruire era quella rubata alle abitazioni o quella di qualche lanterna.

Il silenzio, quasi assoluto, era rotto di tanto in tanto da qualche scoppio di risa o dalle sfuriate di qualche genitore portato all'esasperazione dai figli ribelli.

-Scuci il conio, nano, oppure ti squarto come un maiale-

L'intimazione proveniva da un vicolo alla destra di Ito. Il ragazzo si fermò di botto e tese l'orecchio per captare l'evolversi della vicenda.

-Vi prego di credermi, sono un povero vecchio che ha buttato tutti i suoi averi in bevute e divertimenti, non mi rimane più niente!-

-Forse è vero che non ha niente. E' meglio se lasciamo perdere prima che arrivi qualcuno- fece una voce diversa dalla prima

-Forse non ha monete, ma la verga che si stringe al petto deve valere un mucchio di soldi-

-Questa verga non l'avrete mai!- urlò il nano, facendo sobbalzare Ito

-Era di mio padre e di mio nonno prima di lui e ancora indietro fino

all'origine di tutto. Non ve la lascerò prendere, anche a costo della vita!

-E allora ci prenderemo sia la tua vita che il tuo bastone!-

Si udì uno schiocco, seguito da un tonfo sordo. Poi ci fu solo silenzio e il rumore di passi che si allontanavano velocemente, come di qualcuno che se la da a gambe.

Solo quando anche l'eco dei passi fu scomparso il ragazzo osò entrare nel vicolo per sapere cos'era successo.

Un nano robusto dalla lunga barba nera era seduto su un cumulo di paglia, accanto ad una bottiglia vuota. Nelle grosse mani stringeva un bastone di legno scuro, finemente intarsiato secondo lo stile nanico.

Dall' altra parte del vicolo un uomo pelato era riverso a terra, svenuto.

-Grazie agli dei c'è qualcuno!- disse il nano -ti prego, aiutami. La gamba mi fa un male da morire.- Solo allora Ito si rese conto che il nano stava perdendo molto sangue da una ferita profonda aperta nella coscia. Il liquido vermiglio stava gocciolando sulla paglia che lo assorbiva avidamente, quasi fosse una fiera mossa da un'incontrollabile sete.


Bussarono alla porta. Yleen andò ad aprire. Pregò che fosse suo figlio, era tantissimo tempo che era andato a prendere la runa e il sole era ormai calato da un pezzo.

A quanto pare gli dei avevano accolto la sua supplica, ma il ragazzo non era solo come la donna aveva immaginato.

-Sten! Cosa diavolo...-

-Yleen? Sei proprio tu? Dei, questa dev'essere proprio la mia giornata fortunata-  

Grazie per aver letto, o anche solo per essere passati. Se voleste essere davvero speciali potreste lasciare una recensione positiva/negativa/insulti a caso e se volete sapere di più su Sten, Yleen e Ito seguite la storia. Ho in mente tantissime cose, così tante che vuoi umani neanche potete immaginare (cit.)!

Ci tengo inoltre a ringraziare  Defy che ha recensito la storia su Pandora.

   
 
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