Capitolo XIX
Pov Bill
Mercoledì
la sveglia cominciò a suonare alle sei e mezza, un
orario decisamente inconsueto per me – amante delle lunghe
dormite – in
programma però avevo un incontro con David Jost e il resto
dello staff, nella
sede della Universal di Amburgo assieme al resto della band;
già intuivo del
perché il manager volesse riunire tutti: ormai la mia
permanenza alla clinica
stava per volgere al termine..
Così dopo averci parlato al telefono avevamo concordato di
trovarci tutti in
ufficio nella prima mattinata.
Ancora mezzo addormentato mi recai in bagno e indossai meccanicamente i
vestiti
scelti la sera prima, così da non dover passare
un’ora fra le valigie, ero
molto lungo quando si trattava d’abbigliamento, nonostante
nessuno oltre ai
miei collaboratori più stretti mi avrebbe visto. Ero fatto
così, perfezionista
e pignolo. Mi truccai leggermente, anche perché non ero
abbastanza sveglio per
tentare a un make-up più estremo e curato; inviai un
messaggio a Mel per
augurarle il “buongiorno”, sapevo che quel giorno
aveva una giornata pesante:
terapie la mattina, pomeriggio lezioni e la sera prove per lo
spettacolo;
ancora non mi aveva detto la canzone che aveva scelto, ero curioso.
Dopodiché
ricevetti lo squillo di Tom che indicava fosse sotto con la Cadillac e
le due G
ad attendermi.
-Salve ragazzi- dissi salendo sul sedile anteriore, accompagnando il
tutto con
un sonoro sbadiglio. La risposa fu uno strano insieme di versi ben poco
umani;
-direi che tutti e quattro necessitiamo di un bel caffè..
molto forte anche-
affermai.
-Concordo con te Bill- annuì Gustav, l’unico
mattiniero fra di noi, quindi
l’unico in grado a emettere una frase a quell’ora,
ancora l’alba per me.
-Tom fermati nel primo autogrill che trovi, poi scendo io e vi prendo
qualcosa
di forte, sembrate degli zombie- costatò scuotendo la testa.
Una ventina di minuti dopo il santo batterista era andato nel bar ed
era
tornato con quattro caffè potenti per noi poveri musicisti
nel mondo dei sogni.
Con movimenti lenti tracannammo la bevanda mentre i nostri sensi pian
piano
tornavano normali.
Ecco come si svolgevano i risvegli dei
Tokio Hotel. Se
non ci fosse stato
Schäfer
probabilmente saremo stati in stato
vegetativo un bel po’ di ore.
-Grazie Jutschel- proferì Tom leccandosi il labbro. Il
biondino scosse le
spalle, ormai ci sera abituato alle nostre lune.
-Allora,- cominciò Georg rivolto verso di me, -non ci hai
ancora raccontato
com’è andato il weekend con Mel-
-Io lo so!- si
intromise mio fratello,
facendo girare la pallina del piercing con fare malizioso.
-Oh! Qualche dettaglio sconcio?- domandò l’Hobbit
avvicinandosi al mio sedile,
repentinamente mi girai e gli tirai un piccolo schiaffo sulla fronte.
-No, sognalo- annuncia categorico.
-Vuoi che lo sogni?- chiese retorico, facendo ridere quel porco di Tom.
-Cretino- esclamai sconsolato, cercando di colpirlo, mi lesse nel
pensiero e
riuscì a scansarsi.
-Dai Hagen lascialo in pace, quando mai Bill ha raccontato i dettagli
della sua
vita privata e intima?-
mi soccorse Gus.
Un giorno o l’altro avrei dovuto fare una statua a quel
ragazzo, sedava sempre
le liti ancora prima che iniziassero con calma e pacatezza, due cose
che al
resto della band mancavano.
-Grazie, per fortuna qualcuno che mi capisce!- affermai incrociando le
braccia.
-Gustav sei un traditore, sei sempre dalla sua parte!-
piagnucolò l’altro
Kaulitz, assumendo l’espressione di un bambino a cui avevano
appena rubato il
pacchetto di caramelle.
-E dai ragazzi, non ho voglia di assistere a sceneggiate di prima
mattina- si
giustificò semplicemente.
-Allora Tom, raccontami tu qualcosa! Pratichi astinenza da quando sei
alla
clinica con Bill, no?- lo stuzzicò il piastrato.
-Astinenza? Sto cazzo!- ridacchiò ammiccando, -Mi basta
uscire in giardino, a
volte mi sento come il miele, attraggo tutte le api che sono la
attorno!-
solamente Georg rise alla battuta, mentre scambiai
un’occhiata afflitta con
l’altro.
-Le anoressiche e le bulimiche.. sarà perché non
mangiano, le trovo molto..
affamate- si inumidì la lingua come al solito, -Fa un
po’ senso, sono talmente
magre che temo si spezzino.. però ne vale la pena. Ve lo
consiglio- concluse.
-Seriamente?- chiese conferma l’Hobbit.
-Provare per credere!- esclamò con fare misterioso.
-Okay, direi di chiudere questa sottospecie di discorso- fermai
qualsiasi tentativo
da parte dei pervertiti del gruppo di iniziare una conversazione alla
base di sesso; -piuttosto, che
avete fatto in
questo mese?-
Finalmente riuscimmo a istallare un discorso più sensato e
interessante. Come
avevo immaginato Georg si era dato alla pazza gioia uscendo per bar
tutte le
sere accompagnato dal federe Andreas, il quale non rifiutava mai un
boccale di
birra e ragazze; anche il biondo si era unito qualche volta a loro,
anche se
prevalentemente aveva passato quei mesi a casa con la famiglia,
dedicandosi a
un po’ di sport – sembrava dimagrito in effetti
– e si era allenato con la sua
amata batteria.
-Nessuna ragazza quindi?- domandai incuriosito.
-No- dissero le G in coro.
-Per fortuna!- esclamò Tom, -insomma, basta già
avere un cantante rincoglionito
e fra le nuvole, almeno noi dobbiamo rimanere fedeli alle care e amate
‘One-night-stand’!- si spiegò.
-Ben detto Kaulitz!- concordò ovviamente Listing, dandogli
una pacca d’intesa
sulla spalla.
-Idioti- sussurrai io non abbastanza piano da non essere scoperto, in
quanto
una mano si intrufolò in mezzo ai miei capelli
scompigliandoli tutti.
-Georg- sibilai voltandomi verso di lui, -me la pagherai, guardati alle
spalle-
i miei occhi divennero due fessure inquietanti e la minaccia ebbe
l’effetto
sperato, in quanto il ragazzo si spalmò contro al sedile,
mentre gli mostravo
un sorrisetto sadico.
-Io avrei paura- rincarò la dose Tom ghignando.
-Voi non avete fame? SexGott dei miei stivali fermati in quel bar,
voglio una
brioche!- a sedare la ‘guerra fredda’ fu sempre il
santo batterista, la
proposta fu accolta da tutti e l’appetito fu placato da
quattro cornetti
fumanti.
-Quanto manca ancora?- domandai a Tom, i viaggi in macchina mi
annoiavano
sempre, soprattutto se la colonna sonora era Samy Deluxe.
-Una ventina di minuti, se non ti lamentassi ogni volta che supero il
limite
faremo prima!- brontolò.
Ovvio che mi lamentavo, potevo comprendere superare il limite di una
decina di
chilometri all’ora, ma quando il massimo era settanta e lui
premeva sull’acceleratore
per raggiungere i cento mi pareva logico iniziare uno dei miei
monologhi sulla
sicurezza stradale: alla fine, stordito dalle mie parole, cedeva e
rallentava.
-Senti, so che può sembrare strano… ma tengo alla
mia vita! Non voglio finire
spappolato in questo mostro di macchina!-
-Come osi chiamare la mia amata vettura, MOSTRO?- mi guardò
esterrefatto,
-chiedi scusa alla piccola Samie!-
Avevo sempre immaginato ci fosse qualcosa che non andasse in mio
fratello,
soprattutto quando a nove anni tornò a casa con quei
serpentelli in testa, poi
si erano aggiunti quei vestiti così orribili,
mai avevo però pensato sarebbe
arrivato a chiamare la sua macchina con un nome!
-Spiegami- iniziai calmo, -La tua auto ha un nome?- la mia voce aveva
un non so
che di.. isterico.
-Sì- ammise come fosse la cosa più normale al
mondo.
-Non sei a posto tu- lo apostrofai inarcando un sopracciglio.
-Disse quello che, nonostante i diciotto anni, dorme con un peluche,
TEDDIIIII!- ricambiò l’accusa.
Non c’era niente di male nell’avere un pupazzo, lo
tenevo con me dall’età di
sette anni, era logico non volessi abbandonarlo, mi ci ero affezionato.
Dallo specchietto retrovisore potei notare Gustav e Georg guardarsi e
ridacchiare, scuotendo la testa. Avevano fatto abitudine ai litigi miei
e di
Tom, per ogni motivo e per ogni cavolata, puntualmente però
si risolvevano in
poco tempo. Sicuramente erano sollevati ci trovassimo in macchina, non
avevamo
a disposizione padelle da tirarci dietro, quando eravamo nel nostro
appartamento però..
-Arrivati!- esclamò Jutschel, Tom parcheggiò di
fronte alla Universal e il
piccolo battibecco fu archiviato e dimenticato.
Entrammo e trovammo Helen ad accoglierci, la stessa segretaria che
c’aveva
fatto fare il giro della seda ben tre anni prima, all’epoca
dell’uscita di
“Durch den Monsun”.
-Giorno ragazzi! È bello rivedervi- sorrise cordiale, -Tutto
bene? David e gli
altri vi aspettano nella sala riunioni- ci informò.
Scambiammo qualche chiacchiera e qualche convenevole per poi
raggiungere il
manager.
Mi era mancata la sede della casa discografica, mi piaceva
l’atmosfera che
c’era al suo interno: vi lavoravano moltissime persone e ci
si poteva
confrontare sulla musica, c’era sempre qualcuno pronto a
darti un consiglio e
anche una critica quando serviva.
-Giorno!- salutammo in coro non appena entrati e accomodati attorno al
tavolo.
-Bentornati a casa- ci fece l’occhiolino Dunja, -tutto bene
ragazzi?-
rispondemmo positivamente.
-Allora, immagino sappiate perché siete qui, no?-
iniziò David, catturando l’attenzione
di tutti, lasciando poi a me la parola.
-Beh, sto completando il percorso di riabilitazione, ho praticamente
concluso
il programma senza complicazioni. Posso già tornare a
cantare, ho avuto una
visita ieri con il medico e ha confermato la mia completa guarigione-
sorrisi
contagiando il management. –Quindi..-
-Quindi dobbiamo recuperare le date perse a marzo e aprile, ne sono
state
cancellate parecchie. Perciò stiamo procedendo con
l’organizzazione di un ‘Open
air summer tour’- informò.
Sospirai, mi sentivo combattuto. Morivo dalla voglia di tornare a
cantare, era
quella la mia vita. Salire sul palco, prendere il microfono e
proseguire con lo
show, sentire l’adrenalina, il contatto con il pubblico.. in
questi mesi tutto
ciò era mancato e ora ne avevo davvero bisogno.
La musica era una parte integrante della mia esistenza. Senza non sarei
stato
io.
Ciò che mi impediva di godere della notizia era Mel, anche
lei era entrata a
far parte di me, insinuandosi timidamente nel mio cuore e rimanendoci.
Che situazione difficile, senza via
d’uscita.
-Quando potresti lasciare la clinica?- mi domandò
Roth.
-Direi che potrei rimanere ancora due settimane, anche meno- mi strinsi
nelle
spalle.
Come l’avrei comunicato a Mel?
-Perfetto! Va bene con ciò che sto pianificando,
per ora ho le prime date:
tre maggio in..- fece una pausa, -America! Al ‘Bamboozle
Festival’-
Fissai sbalorditi i miei amici, America! Era
un sogno che si realizzava. Grazie David,
grazie fans.
-Poi il primo giugno ci sarebbe il Rock in Rio a Lisbona, in
tredici si
tornerebbe in Germania a Dorthmund… scusate mi sto facendo
prendere
dall’entusiasmo- ridacchiò, -ma ciò
deriva anche da tutte le lettere ricevute
dalle fan, in questo periodo – non avendo nulla da fare
– ne ho lette un po’, e
tutte aspettano il vostro ritorno- affermò allegro.
-E noi le accontenteremo- sorrisi e cercai l’approvazione
degli altri,
ottenendola.
-Perfetto! Allora direi abbiamo concluso qui per oggi, avrò
il mio da fare
nell’organizzazione. Potete andare, grazie per essere
venuti!-
David ci congedò, decidemmo di fermarci ancora un
po’; Gustav, Georg e Tom
uscirono nel giardino per fumare una sigaretta, io optai per una tappa
alle
macchinette, così da prelevare una RedBull.
-Non fa bene bere queste cose la mattina sai?- Natalie mi si
affiancò,
rimproverandomi scherzosa.
-Non mi hai neanche salutato!- sbuffò facendomi ridacchiare.
-Ciao Nat- mi sporsi verso di lei per darle un bacio sulla guancia. Era
l’unica
amica donna che avevo, mi stava affianco da quando avevo quindici anni,
era una
specie di sorella maggiore.
-Allora, ci siamo sentiti così poco! Ti vedo felice, da
tempo non ti vedevo
così spensierato- osservò fissandomi, mi
conosceva bene.
-Sono innamorato- confessai in imbarazzo.
-Davvero? Oddio sono così felice per te, l’hai
conosciuta alla clinica?-
-Si..- sospirai, -è una situazione complicata. Lei
è malata, ha la leucemia da
quattro anni-
-Oh- mi guardò afflitta per un attimo poi mi prese per mano
e mi fece sedere al
suo fianco, cingendomi la spalla con un braccio.
-Esatto, oh. Si chiama Mel, mi ha
colpito subito. Sai, non conosceva neanche i Tokio Hotel- sorrise, -Mi
piace
parlare con lei, perché non conoscendo ‘Bill
Kaulitz von Tokio Hotel’ vede solo
me, con difetti e pregi. E ha
imparato ad amarmi così. È stato difficile, non
voleva saperne di me, diceva
fossi solo un amico, e non ci ho creduto neanche per un attimo, lo
vedevo nei
suoi occhi… ha degli occhi magnifici, sono azzurro chiaro, a
volte sembrano di
ghiaccio, ma trasmettono una dolcezza inimmaginabile. Respingermi, lo
faceva
per me: non voleva che stessi con una persona malata,
si preoccupa sempre degli altri e mette se stessa in
secondo piano. Ho insistito, tanto- ridacchiai, -alla fine ha ceduto,
la i
dubbi ci sono ancora, forti. La vedo tentennante appena si accenna
all’argomento “futuro”, perché
so già che, non appena uscirò dalla clinica, fra
noi sarà finita- chiusi un attimo gli occhi, -Non posso
biasimare la sua
scelta, la capisco. È la cosa più giusta per
tutti e due.. non riesco ad
accettarlo, mi impongo di non pensarci, perché fa male. Sono
veramente
innamorato di lei, e..- posai le mani sul viso, le labbra cominciavano
a
tremare, non volevo piangere.
-Cucciolo- mormorò, -E’ proprio complicata come
situazione. Mi piacerebbe
conoscerla questa ragazza, sembra una brava persona, soprattutto
perché se ha
conquistato il tuo cuore deve essere speciale. Capisco quanto tu soffra
al
pensiero della separazione, ma è la cosa più
giusta in fondo. Una relazione a
distanza sarebbe massacrante per entrambi, ne uscireste distrutti.- mi
parlò
con tono dolce, quasi materno.
-Come posso dirglielo? Fra neanche due settimane parto e non ci vedremo
più? Se
glielo comunicassi ora sono certo troncherebbe tutto subito per non
soffrire.
Di certo non posso dirglielo la mattina prima della partenza!-
-Non ci sarà mai un momento giusto per comunicarglielo-
sorrise tristemente.
-Non mi resta che “Leb die
Sekunde”
direi- sussurrai.
-“I know that one day we’ll
see
again, try to go on as long as you can”, pensa a questo Bill,
se è vero amore
vi ritroverete-
La ringraziai, mi era mancata molto, sapeva sempre dire le cose giuste
al
momento giusto, aveva un talento innato per consolarmi.
-Ah Bill sei qui!- ci venne incontro Jost, -ti stavo cercando-
-Dimmi- cancellai ogni segno di tristezza e indossai una maschera da
ragazzo
felice ,ormai ero diventato bravo a fingere.
-Ho parlato con il direttore della clinica per via dello show-
annuì seguendo
ciò che diceva, -Mi ha assicurato che I video fatti in
quelle occasioni non
vengono mai diffuse perché è una regola, quindi
non avrai problem. Suonerai
per ultimo, “Wir sterben niemals aus” in versione
acustica con Tom. Gustav e
Georg sono impegnati con le loro famiglie e non possono partecipare-
-Perfetto!- assentì io, -gli altri dove sono?-
-Mi hanno detto che ti aspettano in macchina per andare a mangiare
qualcosa.
Quegli ingordi- ridacchiò.
-Okay, allora ci vediamo sabato Dave- rispose con un cenno e
sparì in ufficio.
-E Nat, teoricamente a.. fra due settimane-
-Mi raccomando, voglio essere tenuta informata- la abbracciai
affettuosamente
per poi raggiungere i tre bifolchi in macchina.
Raggiungemmo il primo ristorante disponibile, mandando sempre Gustav a
prendere
le cose da mangiare, per poi ingozzarci nella macchina di Tom, sotto
sua
stretta osservazione, attento che non sporcassimo la sua amatissima Samie.
-Tom,- disse Hagen ancora a bocca piena, -Puoi lasciare me e Wolfgang
al solito
pup, stasera dormiamo in albergo.. anche se non ho in programma di
dormire, io-
ammiccò.
-Va bene SexGottJunior- concedette mio fratello, lanciandogli uno
sguardo di
intesa.
Abbandonammo i due sotto al pub, uno dei più noti di
Amburgo, per poi tornare
nella triste Colonia. Inizialmente il viaggio procedette fra i miei e i
suoi
battibecchi, io non volevo sentire Deluxe e lui non voleva sentire
Nena. Ci fu
poi un momento di silenzio che scelse lui di interrompere.
-Ti vedo inquieto, centrano Mel e il tour, giusto?- mi
guardò serio, bingo.
-Esatto-
-Se fossi stronzo – e lo sono, quasi sempre – ti
direi “te l’avevo detto”, ma
non mi sembra il caso. Sapevi a cosa andavi incontro quando ti sei
messo con
lei, anche io ero contrario, e ho fatto fatica ad accettarlo.
Però Mel è stata
chiara fin dall’inizio: una volta lasciata la clinica,
avreste chiuso. È la cosa
migliore, per quanto ti possa sembrare.. ingiusta.
Mi dispiace, perché un pelino mi sono affezionata a quella
ragazzina timida, un
pelino.. ma non c’è altro da fare, non ci sono
altre strade possibili-
Rimasi ad ascoltare tutto quello che diceva, raramente faceva uscire la
sua
parte “matura”, però quelle poche
occasioni in cui lo faceva mi aiutava sempre
a capire, perché Tom mi conosceva.. meglio di quanto io
conoscessi me stesso.
-Goditi questi momenti, cerca di non farti condizionare dal futuro,
come fa
lei- mi fece promettere.
-Grazie- dissi riconoscente.
-Figurati, è questo a cui servono i gemelli, no? A impedire
che l’altro si
faccia mille seghe mentali inutile, così da cadere in
paranoia.. e dover poi
consolarlo per ore e ore- fece l’occhiolino e mi ritrovai a
ridere delle sue
parole.
E bravo Kaulitz, era riuscito a smorzare l’atmosfera e a
farmi rilassare.
Grazie Tom.
*
* *
Già
sabato; avevo perso la cognizione del tempo e il giorno
dello spettacolo era arrivato troppo in fretta. Mille paranoie e
pensieri
occupavano la mia testa, non ero riuscito a confessare a Mel che la
settimana
successiva sarei partito perché stava per ricominciare il
tour, cercavo il
momento giusto, sapendo non l’avrei mai trovato. Glielo volevo davvero dire? La risposta
era negativa, era sbagliato
non metterla a conoscenza di ciò, ma conoscevo le
conseguenze qualora gliene
vessi parlato.
Guardai il mio viso struccato, non era una bella visione: stanco,
sciupato;
avevo dormito poco a causa degli ultimi avvenimenti e ciò
era ben visibile
dalle occhiaie che risaltavano sulla pelle pallida. Svogliatamente
cominciai ad
applicare il fondotinta con attenzione, coprendo tutti i punti
critichi. Passai
al trucco, tirai una linea di eye-liner sopra e sotto gli occhi, presi
l’ombretto nero coprendo la palpebra e sfumando con il grigio
nella parte
esterna. Solito trucco bistrato, era tanto che non mi truccavo con
cura, nella
clinica mi limitavo a qualcosa di più leggero; passai della
cipria sulle guance
e mi potei ritenere soddisfatto del risultato. Le imperfezioni erano
sparite,
ero perfetto.
Raccolsi un paio di jeans dall’armadio,
stretti e strappati. Cintura con le borchie, t-shirt con
una stampa
gotica, giacchino in pelle. Polsino grigio, bracciali e collane. Tenuta da palcoscenico. Passai
nuovamente la piastra sui capelli e fissai qualche punta con della
lacca.
Una goccia di profumo ed ero pronto.
Lo specchio rifletteva un Bill Kaulitz sicuro, sfrontato, sorriso
tranquillo
sul volto.
Immagine illusoria.
Il mondo dello spettacolo m’aveva insegnato a
recitare, a mentire,
nascondere ciò che pensavo veramente e ciò che
era scomodo per la mia immagine.
Business spietato, o segui le regole e verrai tagliato fuori. Tuttavia
non ero
la marionetta di nessuno io, tanti provavano a farmi cambiare, cercando
di
rendermi “normale”. Senza risultati.
Nessuna metteva i piedi in testa a me, cantante dei Tokio Hotel.
Nessuno mi poteva fermare, niente è più forte di
chi lotta per un sogno.
-Ehi, sei pronto? Dobbiamo scendere- esclamò Tom entrando in
camera mia.
-Sì- sospirai dandomi un’ultima controllata. Bill Kaulitz era tornato.
“Lass uns hier raus, wir wollen da rein
In unserem Traum die ersten sein!
Halt´ uns
nicht auf „