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Autore: Ely79    24/09/2014    2 recensioni
A Kyrador sta per prendere il via la finale del “Grand Prix de Celest(is)e Pâtisserie”, il talent che coronerà il miglior pasticcere amatoriale di Celestis. Brando, amico e coinquilino del Capitano Alexia Stirling, si accinge a partecipare, sicuro delle proprie capacità e della speranza di vedere i propri sogni realizzarsi.
I dolci andranno ad intrecciarsi con le indagini della MAB e con le vicissitudini di chi gli sta intorno, dai suoi avversari alla stessa Alexia, alle prese con spacciatori e gli strani atteggiamenti del suo sottoposto.
[Ispirato e scritto con la collaborazione di Carlos Olivera, autore della serie "Tales of Celestis" di cui troverete il link alle pagine EFP]
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The L Facrtor_Cap. 7
7.    Queen MAB

Doppio french toast al cioccolato (pane al cioccolato passato in pastella liquida contenente vino liquoroso) ripieno di crema chantilly alla vaniglia, miele amaro, cardamomo, amarene e fichi,
avvolto in due veli di pasta fillo spolverata di cannella.


Robin Gellar, Thabo Mtawarire e Marcel Moriyama si scambiarono occhiate sorprese a dir poco. Shonna scoppiò a ridere di gusto. Sebbene fossero abituati all’originalità di alcune sue uscite, non erano certi di aver capito bene cosa avesse detto. Persino la Simmons e McCoy, nelle postazioni ai lati dell’interpellato, raggelarono.
«Scusa, come hai detto che lo chiamerai?» biascicò Mtawarire, allentando la cravatta.
«Queen MAB» ripeté, mescolando rapidamente la pastella con la frusta.
Il trio boccheggiò. Nel pubblico qualche spettatore malignò sembrassero dei pesci rossi, qualcun altro chiese che portassero alla Gellar il dolce di qualche giorno prima affinché riprendesse colore.
«Con un nome così, mi auguro non vorrai farci arrestare tutti quanti… siamo brave persone! Sul serio!» tentò di scherzare la donna, allungando teatralmente il collo verso le telecamere e scandendo con le labbra il suo rispetto incondizionato per l’Agenzia.
Avevano saputo dell’arresto di Stroad per possesso di Lilith e certo nessuno di loro aveva voglia di vedere l’Agenzia piombare nello studio rivoltando i piccoli scheletri nell’armadio di ciascuno di loro.
Brando scosse la testa, gonfiando orgogliosamente il petto.
«No, al contrario. Vi garantisco che si tratta di un’ode al merito. Qualcosa che, chissà, potrebbe anche far piacere ai membri dalla MAB, visto che è ispirata a uno di loro. Anzi, a una».
In fondo glielo doveva. Aveva pensato sempre a una sola persona durante la gara (anche per i Coodle, la scelta di birra e albicocche era stata dettata dall’amore e non dall’amicizia in senso stretto), era giunto il momento di tributare un ringraziamento speciale a chi l’aveva sostenuto in silenzio. A costo di fargli male fisicamente.

***

Cane guardò Alexia, seduta al suo fianco. A quelle parole aveva roteato gli occhi spazientita. Era evidente che fosse lei la musa ispiratrice del dolce e che non ne fosse particolarmente entusiasta, anche se non aveva la benché minima idea di come delle fette di pane al cioccolato potessero ricordarla. Piuttosto si accordavano con la faccia del tizio seduto nell’angolo del palchetto dove Alexia l’aveva condotto poco prima, la sua carnagione cupa era identica a quella base. Probabilmente, si trattava di un altro amico pasticcere della coppia come gli altri stipati nel piccolo spazio sospeso quasi sul vuoto. Erano una combriccola davvero bizzarra, dai loro accenti e da alcuni ornamenti s’intuiva provenissero da zone molto diverse di Celestis, eppure quel giovane – che doveva avere solo un paio d’anni più di Alexia, vestiva in maniera del tutto diversa, elegante e austera. Non aveva l’aria di essere invischiato con i piaceri della pasticceria o della cucina in generale, se non come degustatore. Persino i suoi atteggiamenti erano meno chiassosi e irrequieti, e lasciavano trasparire un’immensa ansia.

***

Non guardò i giudici allontanarsi, intento com’era alla cottura dei french toast. Osservava concentratissimo il velo di pastella rapprendersi e colorire attorno al pane dolce e scuro, liberando il profumo del vino passito. Una nota raffinata che gli riportò alla mente le cene con Alexia e i suoi genitori, prima che il signor Stirling perdesse la vita, ai momenti in cui le loro due famiglie si frequentavano con maggior assiduità. Avrebbe voluto poter regalare alla sua amica un nuovo ricordo con accenti simili perché sapeva bene quanto lei evitasse di guardare al passato.

Mentre l’ultima fetta si cuoceva, controllò la temperatura della crema pasticcera alla vaniglia e la trovò quasi pronta a ricevere l’aggiunta di panna montata. Poco più in là, pezzi di fichi e amarene erano disposti in due ciotole separate e beatamente intenti ad amoreggiare con alcune cucchiaiate di miele amaro.
È il bello di Lix, si disse con soddisfazione. Finché non ci hai a che fare di frequente, ti lascia in bocca queste prime sensazioni succulente di una che è nata nei quartieri alti, poi però ti accorgi che sa essere alla mano, persino dolce, ma in lei c’è sempre questo fondo amaro perché anche se lo nega, pretende molto da sé. A volte troppo. E fa passare inosservato quel pizzico di non so che, che la rende speciale, e con quella considerazione, gettò alcuni pizzichi di cardamomo in polvere nelle terrine, applicando un incantesimo che rivoltasse delicatamente la frutta.
Un rumore di vetri infranti lo fece trasalire.
Jacques era impietrito davanti allo scempio: il barattolo della Libea gli era sfuggito di mano ed era caduto sui gradini che dividevano le loro postazioni. La polvere bianco-argentea si era sparsa a terra e perdeva rapidamente luminosità, segno che le sue proprietà magiche stavano svanendo a contatto con i materiali della scala. Ogni concorrente aveva avuto un barattolo in dotazione e non ne sarebbero stati forniti altri né era stato concesso loro di portarne da casa. La disperazione lo fece crollare in ginocchio e dal pubblico si levò un coro di schiamazzi indecifrabili. Ogni speranza di vittoria svaniva con il luccichio della polvere.
McCoy sentì la delusione e la frustrazione stritolarlo in una morsa. Il destino gli stava negando la vittoria.
«Tieni» disse una voce.
L’ex-banchiere alzò lo sguardo su Brando, apparso lì accanto come dal nulla ad offrirgli la propria scorta. Non capiva. La Libea perdeva le proprie caratteristiche di esaltatore del gusto e stabilizzatore degli incantesimi se veniva esposta per troppo tempo all’aria o veniva sparsa su materiali non edibili; travasarla avrebbe significato distruggere anche quella quantità e certo non potevano passarsela ogni cinque minuti, a seconda dei bisogni.
«Prendila» sbuffò Brando ficcandogli in mano l’intero contenitore.
Solo in quel momento McCoy realizzò cosa stesse facendo l’avversario. Si alzò e, tentando di recuperare l’aplomb con cui si era fatto conoscere sin dalle selezioni, fece per restituirglielo. Avrebbe reagito, in un modo o nell’altro; l’aveva già fatto per i suoi correntisti, per le loro famiglie. Ci sarebbe riuscito anche quella sera.
«No, non posso. Resterai senza e non posso permetterlo» balbettò, drizzando orgoglioso la schiena ma Brando gli voltò le spalle, superando con un saltino la scala.
«Non mi serve. Non la uso» replicò pacato, tornando alla crema chantilly che si stava mescolando alla perfezione.
Se la concentrazione non fosse stata alle stelle, Brando si sarebbe accorto del gemito di sorpresa che si era levato da pubblico e giudici, all’udire le sue parole. Era impensabile creare dolci di alto livello senza servirsi della Libea.
«Sei impazzito? Un dolce… senza Libea?» boccheggiò.
Brando gli rivolse un’espressione accondiscendente e tranquilla, che fece sorridere da un orecchio all’altro Shonna e Mtawarire per motivi diversi.
«Si può fare. Fidati» lo rassicurò. «Troppo spesso si usa la Libea per coprire gli errori. Non li fa la persona a cui mi sono ispirato per preparare la Queen MAB, figuriamoci se posso permettermi di farli io».
Dall’altra parte, oltre la seconda rampa di scale, Kelly lo fissava inebetita, il braccio con il vessel teso verso il Pan di Spagna alla nocciola che stava modellando.
«Non hai da fare? Mancano quaranta minuti» fece divertito, indicando il timer sopra le loro teste.

***

«È matto» sussurrò Aditi, con le mani scarabocchiate di henné premute sulla bocca per lo spavento.

Aveva gli occhi neri talmente dilatati dallo spavento che per un attimo Cane pensò le sarebbero rotolati fuori dalle orbite. Alexia gli fece segno di lasciar perdere e non darle corda in alcun modo.
«È un dio, l’ho sempre detto. Vero, Feng, che l’ho sempre detto?» gracchiò Ertemios, dando di gomito alla moglie che invece decretò:
«Si è bevuto il cervello, quell’accidente di amalteco!»
Di nuovo, la Stirling levò appena una mano per impedire al sottoposto di far domande. Conosceva fin troppo bene la tifoseria dell’amico per non sapere che ogni interrogativo avrebbe sollevato diatribe furiose e non era il caso che Cane si facesse coinvolgere su un terreno ignoto come quello.
«Cazzo, Brandy, fagli vedere chi ha i coglioni lì sopra!» ruggì una voce.
«Hannu!» rimbrottò Billy Roy, un tipo che vestiva da cow-boy con tanto di cappellaccio e laccio simil-frusta appesa in vita ma si atteggiava a consumato bohemien.
«Beh, che c’è? Fate tutti i carini ma per stare in pasticceria ci vogliono due palle così e lui le ha!» sbottò il biondissimo eybano, che sedeva scomposto tra la olivastra Aditi e l’amico.
«Fat’la f’nita tuti quandi» li zittì l’omone dalla vistosa barba rosso ciliegia che Alexia aveva presentato come Mark. «Brendo sha quel ch fa, molto mellio di nnoi. Shiamo qui pe shost’nirlo o mi shone shp’ratto mizza gi’rnata d volo con voi piattole frinnione pe s’ntirvi dire shimenzi shulle shue deshissione?»
Nessuno osò obbiettare. Alexia gli rivolse un cenno di ringraziamento col capo. Lui rispose sillabando muto.
«“Figurati, Mistress”?» bisbigliò sarcastico Cane, ma venne fulminato all’istante da un’occhiataccia. «Ho capito, padrona. Non dirò niente» sghignazzò con aria falsamente servile, ammutolendo subito dopo per il tacco appoggiato con una certa insistenza sul suo piede.
«Fai bene. Anche perché non ha detto “mistress” ma “mish vèz”, che sulle montagne di Amaltea vuol dire “piccola mia”. Mark è il solo a cui permetto di usare simili appellativi, visto che anni fa era uno dei collaboratori più stretti di mia madre. Chiaro, servo?» specificò torva.

***

Con McCoy fuori gioco al terzo posto, e i commenti più entusiasti mai uditi in quella manciata di puntate, la finale era quanto mai in bilico. Moriyama ammise che il compito si era rivelato più arduo del previsto.

«Da un lato abbiamo la storia, la tradizione, rivisitati in chiave moderna, con l’uso ardito di incantesimi d’incorporazione e di nuovi ingredienti come la glassa con polvere di smeraldo opale, che pure nulla tolgono al fascino antico di una preparazione come la torta di nocciole» declamò Mtawarire, levando in alto la torta di Kelly, la quale, presa dall’emozione, mancò poco che svenisse.
Vista negli schermi, la fetta sembrava uscita da un manuale di cucina, perfetta e accattivante, ma paradossalmente alla portata di qualsiasi massaia di buona volontà.
«Dall’altra abbiamo la dedizione, la ricerca, il mettersi alla prova attraverso strade mai tracciate pur poggiando i passi nel solco di scuole di tecnica e pensiero ormai abbandonate, arrivando persino a ignorare la prassi pur di raggiungere il risultato più strabiliante, imprevedibile e… profondamente eccitante» fece eco la Gellar, mostrando la Queen MAB.
La copertura croccante di pasta fillo, resa ben dorata da un apposito incantesimo, si apriva sui due strati pane al cioccolato, da cui colava seducente la crema con i suoi golosi ospiti di frutta.
«Lasciatemi dire che trovo ingiusto dover incoronare uno solo di voi due» proseguì Shonna, visibilmente provata dalla mezz’ora di discussione. «Vorrei vedervi vincere entrambi ma purtroppo è impossibile. Avete grandi doti, un cuore colmo di passione e le mani di doni. Meritate molto e sento che ve lo guadagnerete!»
Venne aperta la busta e le luci abbassate fino a lasciare in vista solo Brando e Kelly ai due lati opposti del palco.
La tensione si rapprese in quegli unici fasci di luce rendendoli come di gelatina. Brando aveva alcune briciole di pasta fillo tra i capelli, Kelly era più pallida della panna montata. Nell’aria si mescolavano gli aromi zuccherini dei dolci sfornati e già divorati, gli effluvi profumati dei giudici e della platea, il frizzo dell’etere rilasciato dalla magia.
Infine, i giudici esclamarono in coro:
«Kelly Simmons!»

***

«Posso fare le congratulazioni al mio vincitore?» echeggiò una voce nel vuoto.

Le lacrime di amarezza di Brando cessarono per un istante. Per un istante era tornato partecipe del turbinio della musica, dei coriandoli, nei volti e delle mani, poi una nuova bolla di silenzio aveva annullato ogni cosa.
Quando si volse, la folla festante si era spostata con la vincitrice, e nello spazio lasciato libero era apparso un uomo in giacca e cravatta. Gli occhi azzurri spiccavano nel volto scuro, brillanti d’emozione.
«Julius» ansimò sconvolto.
Prima lo smacco per la mancata vittoria, ora lui che compariva dal nulla. Sentì le ginocchia tremare e il cuore sbattere furioso contro le costole. Forse stava per morire.
«Ho visto la gara dal loggione. Eri magnifico. Sei magnifico!» disse l’altro andandogli incontro a braccia aperte.
Brando rimase rigido mentre si sentiva stringere affettuosamente. Sottile, appena percepibile, gli arrivò il profumo della colonia di Julius, quella che lui gli aveva regalato al suo compleanno. Un insieme di arance amare e resina, con uno spunto di cacao. Avrebbe voluto scappare, sparire in un pozzo o tra le fauci di un EDA.
«Credevo fossi bloccato a…» bofonchiò incredulo nell’abbraccio.
«A Otisa?» sogghignò divertito al suo orecchio prima di scostarsi per guardarlo negli occhi. «Ci sono cose chiamate aeroporti, sai? E altre chiamate “bugie bianche”, anche se la giurisprudenza corrente non le tollera».
Brando annuì meccanicamente. Ancora non si capacitava della sua presenza: era frastornato dalla delusione, la gola era improvvisamente rigida e secca, le orecchie assordate da un silenzio innaturale, ma più di tutto lo confondevano quelle mani calde e curate che stringevano le sue ancora impiastricciate di pastella e  amarene.
Julius sorrise, gli occhi lucidi per la commozione. Poi, vedendo che Brando non reagiva, scosse la testa.
«Sorpresa» mormorò. «Pensavi davvero che sarei rimasto là? Non mi sarei perso il tuo trionfo per niente al mondo. Lo sapevo, l’ho sempre saputo che ce l’avresti fatta, sei il migliore!»
«Ho… perso» sussurrò ma Julius scosse la testa e lo baciò con trasporto.
Solo allora il pasticcere riuscì a riscuotersi e si rese conto davvero di ciò che stava accadendo. Aveva vinto il suo personale “Grand Prix de Celest(is)e Pâtisserie”: era riuscito a raggiungere il primo gradino per arrivare a realizzare i suoi sogni. Poteva non essere il migliore per la giuria, ma ora aveva piena consapevolezza delle sue vere capacità. Julius si era fatto da parte per lasciargli libero sfogo e consentirgli di spremere ogni goccia di quella magia interiore che per anni aveva coltivato con tanta dedizione e accanimento. Aveva mentito sulla sua assenza per spingerlo a combattere con ogni mezzo, per dimostrare a tutti (e soprattutto a sé stesso) fin dove potesse arrivare senza il bisogno di spinte di alcun genere.
«Ti amo, Juls» singhiozzò abbracciandolo di nuovo, questa volta con totale partecipazione.
«Lo so, Campione. Ti amo anch’io».

***

«Julius King, avvocato specializzato in diritto internazionale, lavora dello studio legale Castillo & Perrault, dove si occupa dei rapporti tra i cittadini amaltechi e lo stato caldesiano. Ma, principalmente, il fidanzato di Brando» chiarì Alexia sottovoce. «Credo che se potesse farselo scrivere sulla carta d’identità, lo farebbe di corsa».

Cane annuì senza staccare gli occhi di dosso ai due che continuavano ad abbracciarsi e baciarsi, incuranti dei flash che si accendevano a raffica tutt’intorno. Li si vedeva in ogni schermo a disposizione nello studio di registrazione, la loro amara felicità era stordente, ben più del trionfo della Simmons, che sapeva decisamente di manovra socio-politica. Se Lucas fosse stato lì avrebbe cominciato a prenderlo in giro, facendogli notare che sin dal principio era stato in errore e, di conseguenza, avrebbe posto l’accento sul fatto che stesse invecchiando.
Devo inventarmi qualcosa per metterlo a tacere, pensò allarmato. Avrà sicuramente visto tutto.
Poi ricordò di averlo spedito alle calcagna di Stroad e che Lucas era troppo ligio al dovere per aver sottratto tempo all’indagine in favore di un programma televisivo. Sarebbe riuscito a preparare qualcosa. Ciò nonostante, il tempo era venuto meno su un altro fronte non appena Alexia, terminata la fase delle congratulazioni di rito (che sapevano molto di consolazione in questo caso), aveva dichiarato di volersene andare. Non aveva intenzione di fare le ore piccole in mezzo a quella baraonda zuccherina: aveva altre cose per la testa.
«Ora mi spiegherà un paio di cose, Agente Cane» attaccò, prendendo un tono molto formale non appena le porte dell’ascensore si chiusero. «Innanzitutto: perché quest’interesse morboso verso il mio coinquilino?»
«Coinquilino?» domandò fingendosi stupito dalla rivelazione.
«Sì. Coinquilino» ribadì aspra. «So quanto riesci ad essere ficcanaso, il cassetto forzato della scrivania di Carmy non l’ho dimenticato. Ma questa volta hai azzardato azioni inquisitorie nei confronti di una persona a me vicina».
«Io? No davvero. Sono un agente molto impegnato, casomai se lo fosse scordata» si schermì, ma la sua aria da giocherellone non attaccava con il Capitano e purtroppo lo sapeva: se non avesse trovato una scappatoia, lo scudo sarebbe andato in pezzi molto presto.
«Hai avuto delle uscite sospette in questi giorni, così ho controllato. Hai indagato sulla vita di Brando» l’accusò.
«Non parla molto della sua vita fuori dell’ufficio. Pensavamo fosse il suo ragazzo, visto che siete usciti insieme da casa sua quella mattina. Volevamo solo essere certi che fosse tutto a posto» ribatté sicuro.
«Lascia fuori Lucas da questa faccenda. È troppo per bene e intimorito da me per farti da spalla in una cosa simile. Sto parlando di te. Sei stato tu a fare quelle ricerche, da solo! Perché tanto interesse, Thomas?»
«Vede, Capitano, può succedere che…» iniziò vago.
«Smettila. Non siamo alla MAB e io non sono in servizio. E non me ne frega niente se qui intorno ci sono altre persone: parla con me, con Alexia, non col tuo superiore» ribadì spazientita, piantando le mani sui fianchi.
«Potrei distrarmi se resti in quella posizione» tentò di scherzare, indicando il decolleté in bella vista.
Tuttavia, Alexia era bel lungi dal dargli corda e insisté per avere una risposta.
«Te l’ho detto: pensavo fosse il tuo ragazzo. Ero curioso. Non si può essere curiosi?» sogghignò.
«E anche se fosse stato il mio ragazzo? Chi ti dava il diritto di comportarti così? Di darmi quelle rispostacce o di tentare di usare il mio rapporto con lui come un’arma?»
Aveva ragione e l’agente dovette dargliene atto. Erano state delle mosse veramente azzardate, persino per uno come lui. Che diavolo gli era preso? Come aveva potuto farsi prendere la mano a quel modo?
«Sto aspettando» lo incalzò, avvicinandosi ancora.
«Le indagini sulla Chiesa di Ela si fanno più pericolose ogni giorno che passa. È quasi impossibile sapere di chi ci possiamo fidare, non sappiamo se i nostri movimenti sono controllati o se il prossimo che arresteremo ci scatenerà contro chissà cosa: EDA, vampiri, tossici, svitati,... c’è qualcosa di male se ci copriamo le spalle?»
«Dimmi perché» insisté, avanzando di un altro passo.
Ormai gli era addosso, fisicamente e non solo.
Cane voltò la testa, fingendo di guardare il panorama oltre la gabbia di vetro dell’ascensore. Kyrador era una spolverata di stelle sulla terra. E lei non l’avrebbe lasciato in pace fin quando gli avesse dato ciò che voleva. Si appoggiò alla parete traslucida, osservandola con un sorriso stanco.
Vuoi proprio sapere? Davvero, Alexia? E cosa farai se parlo, se ti dico tutto? si chiese guardandola di sottecchi. Questo non è un delinquente sotto interrogatorio, sono io. Riusciremo ancora a far funzionare le cose come se nulla fosse?
Ascoltò il battere nervoso di un tacco sul pavimento di marmo e socchiuse gli occhi nel tentativo d’ignorare la ridotta lama d’aria che li divideva. Quasi indovinava le curve del suo corpo senza guardarla.
«Voglio preoccuparmi per te. Di te. E non solo perché sei il mio capo. Anzi, questo è proprio l’ultimo dei fattori, se devo dirla tutta» ammise infine. «Ti dispiace?»
Il piano terra era ancora lontanissimo, nonostante le strade si stessero animando di un fiume brulicante d’auto.
«Sì, finché ci giri attorno» mormorò Alexia. «Sai che preferisco le cose dette in faccia».
«Te l’ho appena detto, mi pare».
Alexia arricciò le labbra, dondolando il capo mentre fingeva di far fatica a ricordare.
Cane si rilassò, scivolando un poco contro il vetro. Rimase a guardarla per lunghi istanti, indeciso sul da farsi.
«Non sei obbligata a ricambiare. Non te l’ho chiesto» sussurrò.
«Lo so. Grazie per averlo chiarito».
«Però, se posso permettermi, non è dignitoso che una donna sola conviva con uno come quello».
«“Come quello”? Hai qualcosa contro i gay?»
«Ho qualcosa contro ogni maschio fisicamente dotato di attributi conviva con una donna nubile di mio interesse, senza che abbia con questa una relazione seria. Anche se dice di preferire gli uomini e fa di tutto per dimostrarlo» dichiarò, quasi si trattasse di un atto di guerra. «Io la vedo così e non cambierò idea, punto e basta» s’impuntò.
Alexia lo squadrò, sorpresa dalla rivelazione e non del tutto convinta d’averla compresa fino in fondo.
«Sei un cretino» rise assestandogli un pugno sul braccio. «Ora ti resta un solo modo per farmi digerire queste tue inutili gelosie da macho».
«Vale a dire?» domandò recuperando la consueta aria sorniona.
Lei l’afferrò per il bavero della giacca, stringendolo fin quasi a soffocarlo.
«Sto morendo di fame e tutti quei dolci mi hanno fatto venire un attacco di diabete, e per giunta questi tacchi mi stanno uccidendo! Trovami un posto qui vicino per mangiare le cose più salate dell’universo. Adesso!» sbraitò.
Nonostante la stretta, Cane scoppiò a ridere e lei lo imitò subito dopo.
«Okay, okay! Ci sarebbe il “Deb’s”, che prepara piatti tipici delle campagne di Caldesia, oppure il “Roakahuna Wetii”, che propone roba fusion su base di cucina fhirlandiana fino alle sei del mattino. Con tutto il sale che vuoi» propose con un fil di voce.
Soddisfatta, lo lasciò andare e risistemò con calma capelli e vestiti, imitata da Thomas.
«Mi rimetto al mio ospite, visto che sarà lui a pagare. E nel rimborso alla MAB farà figurare di essere solo. Stasera non avrei dovuto essere alle calcagna di certi delinquenti, perciò…»
«Davvero? Ma che peccato» sospirò ironico, passandole un braccio attorno ai fianchi. «Adoro potermi vantare con quelli dell’Ufficio Contabilità di fare il mio mestiere di notte, in costosissimi locali alla moda, in compagnia di donne meravigliose, che indossano abiti provocanti, scollati e rosso fuoco, che nessuno immaginerebbe siamo membri dell’Agenzia! Non posso proprio indicarti? Nemmeno per una porzione di patatine? Un cocktail?»
«Dacci un taglio, Cane» sibilò rifilandogli una gomitata tra le costole che l’obbligò a fermarsi mentre lei usciva dall’ascensore ancheggiando a passo di marcia.
«Cane? Come “Cane”? Che fine ha fatto l’altra parte di me?»

***

La mattina successiva la finale, Kyrador era spazzata da un violento temporale. Tuoni e lampi si alternavano tra gli scrosci di pioggia, come se fossero impegnati a grattar via le delusioni per dar spazio alla serenità.

«Mtawarire è Cavaliere degli Speziali del Lat’chi?» esclamò esterrefatto Julius, sollevandosi sui gomiti.
Brando, appoggiato ai cuscini, lasciò cadere indietro la testa.
«Te lo giuro! Quando mi ha mostrato la spilla quasi svenivo. Lui! Un Cavaliere! Ti rendi conto, Juls?»
Entrambi facevano parte di quella congregazione, una sorta di società segreta dedita allo studio e all’uso di antiche misture di spezie le cui proprietà medicamentose si sommavano a quelle più goderecce dell’esaltazione e miglioramento delle pietanze – dolci e salate. C’era qualcosa di mistico nel maneggiare quelle polveri e ritenevano che il loro incontro nelle fila degli Speziali fosse l’esempio lampante di quei occulti poteri.
«Noi siamo poco più che adepti e ti ha trattato come un suo pari! Deve tenerti in grande considerazione».
«A quanto pare» replicò, scrutando con disappunto l’improvvisa assenza di un bottone dalla casacca del pigiama.
Julius non soffriva quegli inconvenienti, abituato com’era a indossare solo i boxer, ma lui proprio non sopportava quei piccoli “orrori”, né su di sé, ne sugli altri.
«Non mi stupirei se da Recadi arrivasse una lettera dall’Ordine per insignirti di un titolo meritorio. In fondo, hai portato lustro alla confraternita, anche se solo noi membri ne siamo a conoscenza» osservò l’altro, serio. «Ci sono persone importanti tra gli affiliati, qualcuno potrebbe decidere sovvenzionare la tua attività! Insomma, hai comunque vinto trentamila kylis, ma ne servono almeno il…»
«Per ora non m’importa» l’interruppe mettendosi a sedere. «È bello svegliarsi la mattina e non sentire Lix che sbatte i tacchi sul pavimento e rischia di cadere perché il gatto le è saltato tra le gambe per giocare; e trovarsi invece un bell’uomo che tesse le tue lodi e pende letteralmente dalle tue labbra. Vorrei concentrarmi su questo, se non ti spiace» considerò, arricciando la bocca con fare eloquente.
Julius scosse la testa e l’accontentò. Percepiva ancora distintamente il suo malumore per aver mancato il primo posto di un nonnulla e non si sentiva incline al lasciarlo macerare nel fiele.
«Dici che dovremmo dare una mano a Lix? Col suo collega, intendo» gli rammentò. «Qualche buon consiglio può farle comodo, per non mandare all’aria questa grazia. Sono andati via prima che i festeggiamenti entrassero nel vivo e se le cose non…» ma dovette lasciare la frase a metà, per difendersi da una blanda cuscinata.
«Smettila di fare l’avvocato in ogni dove, Julius» l’ammonì stiracchiandosi. «Lix se la caverà benissimo. Magari anche loro si sono svegliati come noi, felici e abbracciati».
L’altro fece una smorfia, lasciandosi cadere sul fianco.
«Sì, hai ragione» dovette concordare Brando. «Lix non è tipo da cose del genere. Probabilmente l’avrà spinto giù dal letto due minuti dopo aver concluso, per riappropriarsi del suo spazio vitale. Detesta lo invadano, non importa se per un buon motivo. Persino al gatto ha insegnato a non mettere zampa sul letto».
Per qualche minuto nessuno parlò. Ridacchiarono scambiandosi occhiate quasi timide, sfiorandosi a vicenda le mani, quasi fosse la loro prima volta insieme.
«Da oggi le cose cambiano, lo sai?» dichiarò il pasticcere, prendendo per mano il fidanzato.
Julius aggrottò la fronte intrecciando le dita alle sue.
«Ne ho una vaga idea. Dovrai cercarti un lavoro oppure dovrai tornare alla Limmenshau e diventare sul serio un pasticcere titolato» e la seconda opzione avrebbe previsto il separarsi di nuovo.
«Stai con l’Imperatore Sovrano dei Pasticceri di Celestis, non certo con un cake designer qualunque» motteggiò.
«Mi tocca il ruolo dell’Imperatrice? Sai che con la gonna sto malissimo, sto meglio con la toga» scherzò l’avvocato, drappeggiandosi addosso il lenzuolo. «E poi, non sei il grande sconfitto della serata?»
«A volte accadono cose inspiegabili dopo una disfatta, o mio ViceImperatore. Si può arrivare molto in alto anche partendo dal gradino più basso» replicò sibillino.
«Se devo fare il tuo secondo, dov’è il nostro splendido maniero da cui lanciarci alla conquista del mondo?» chiese scettico, indicando col capo verso la porta della stanza, oltre la quale s’intravvedeva un brevissimo corridoio e una zona pranzo piuttosto disordinata.
Nonostante lavorasse in uno degli studi più prestigiosi di Kyrador, Julius si era potuto permettere solo un piccolo appartamento di due stanze in affitto in una zona semiperiferica, nulla a che vedere con lo sfarzoso attico della Stirling nel pieno centro. Purtroppo sapeva bene che i sogni e le speranze dilapidavano i conti in banca, non li facevano lievitare, e sentire Brando accennare a futuri scenari di ipotetiche conquiste lo preoccupava: era il momento di essere pragmatici, di affrontare la vita da un punto di vista più pratico e tangibile.
«Ho già visto un paio di posti adatti, laboratorio sotto, appartamento sopra, uno studio per te. Sognare non costa nulla e nemmeno rompere le scatole agli agenti immobiliari» confessò grattandosi la nuca.
Julius si mise a sedere al suo fianco sgranando gli occhi chiari.
«Uno studio… per me?» domandò sbalordito.
«Certo. Per te e i tuoi futuri assistenti. Insomma, mica mi sono innamorato di un avvocatuccio qualunque, no? Sei uno dei migliori legali sulla piazza e dubito resterai a lungo in quello studio, visto che non mi pare abbiano intenzione di farti diventare socio. Così, potresti avere il tuo studio personale. Il “King’s International Lawyers”, proprio sopra la mia “Rêveur Amaltea”» buttò lì, giocherellando con l’orlo dei boxer del compagno.
«Hai già scelto i nomi?» rise, sempre più confuso.
«Sì. E anche gli orari in cui faremo pausa con i miei capolavori» annunciò baciandolo.
«E come pensi di fare, senza quell’assegno faraonico?»
«Debiti. Come tutti i comuni mortali» ribatté con un’alzatina di spalle. «Trentamila kylis e alcune comparsate retribuite in tv nel prossimo anno sono una buona base per ottenere il prestito che mi occorre. Alexia l’aveva verificato tempo fa e… si era detta disposta a farmi da garante, se non fosse stato sufficiente. A patto che mi “levassi dalle palle al più presto”» rise, divertito più dall’espressione del suo lui che dal ricordo della chiacchierata.
«Mi stai davvero chiedendo di vivere insieme, Brando? Io e te?» mormorò stordito, poggiando la fronte sulla sua.
«Sì. Noi due. Sarebbe ora, dopo cinque anni. E poi, devo lasciare spazio a Lix… o dove lo metterà quel poveretto, quando litigheranno?» ridacchiò.
Conosceva fin troppo bene il carattere mascolino dell’amica ed era certo che, in caso di discussioni, la pace fra quei due sarebbe stata sancita a scapito di diverse “riorganizzazioni spaziali”.
«Sul divano come tutti, no? L’ho fatto anch’io... È da ritenersi la prassi nei litigi di coppia» lo stuzzicò Julius.
Le loro litigate si potevano contare sulle dita di una mano e l’esperto di legge doveva ammettere, suo malgrado, di essere stato sempre lui a dare il via ai battibecchi, e quindi, di aver meritato di essere scacciato dal proprio letto. O da qualunque letto Brando occupasse.
«Il divano è proprietà di Prince Great Mighty Azul-Gray Cloud on the North Sea di Taveja Valley e non lo cederà a nessuno. Piuttosto lo fa a pezzi con le unghie».
«Giusto» concordò, tornando a farsi esitante. «E… quanto pensi ci vorrà? Per… trasferirci».
«Prima è, meglio è. Comincio a sentirmi un peso per Lix. È stata fin troppo generosa e paziente, e… è già un miracolo che non mi abbia preso a pugni in quest’ultimo periodo. Ha sempre avuto un gancio sinistro notevole. Comunque, sono stufo di perdere a gelharball con una su cui non posso rivalermi in alcun modo».
L’avvocato scrollò le spalle, lasciandosi cadere sulla schiena.
«Sa che sono una schiappa e vuole umiliarmi per poi asciugare le mie lacrime? È questa la sua proposta di accordo, Signor Pellegrini?»
«Arguto, Avvocato King. Molto arguto» sospirò, imitandolo con un gran sorriso.
A quelle parole, Julius sembrò essere attraversato da una scossa e si voltò verso di lui.
«A proposito di arguzie… cos’è il fattore “L”? Te l’ha spiegato Shonna?» indagò.
Brando annuì solenne ma ammettere che si trattasse di un segreto con l’amica-nemica gli costò una Ocean Eye da fare in giornata come pattuito e mezz’ora di coccole.
“L” stava per “Lüfz”. Nel folklore gorbeko era una divinità del focolare, un folletto o spiritiello buono, preposto al nutrimento della famiglia, non solo a livello culinario ma anche affettivo e, soprattutto, mistico. Shonna gli aveva detto che osservandolo preparare i dolci durante la gara, aveva percepito chiaramente un legame tra lui, i dolci stessi e le persone a cui li dedicava, qualcosa che andava al di là della semplice abilità o delle magie gastronomiche.
«Tu sia infondere molto di più che golosità ai tuoi dolci» gli aveva detto stritolandolo in un lungo abbraccio. «Non c’è vessel o incantesimo che possa attrarre un Lüfz: o è dentro di te o non se ne fa nulla. E tu sei uno di loro! Non ti servono quei soldi, riuscirai lo stesso a rendere felice la gente».
Brando sorrise, ripensando a quelle parole mentre tentava di resistere alle moine di Julius che voleva conoscere il segreto ad ogni costo. Gli piaceva pensarla come Shonna.
Credo che cambierò il nome della pasticceria, rifletté. Penso che la chiamerò “The L Factor”.


Writer's Corner.
Ebbene, abbiamo concluso questa piccola avventura magico/dolciaria.
Prima di tutti ringrazio Carlos Olivera, che non solo mi ha lanciato la sfira di creare un nuovo personaggio basato sulle sue storie (forse ho fatto persino di più), ma soprattutto ha supervisionato l'avanzamento del racconto, facendomi presente cosa andava e cosa no, cosa avevo scordato o era rimasto sottaciuto. Poi segue il doveroso ringraziamento a Shade Owl, che sta finendo di leggere e recensire la storia, sollevando quesiti e analizzandola da profano. Ringrazio Raven Michaelis, che pur non avendo ancora lasciato commenti ha inserito "The "L" Factor" tra le sue peferite. E infine, d
evo ringraziare tutti coloro che hanno letto questi capitoli, magari nell'attesa che finisca la mia long.
Alla prossima!

   
 
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