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Autore: Changing    31/10/2014    0 recensioni
Lucy Weasley è una tassorosso del quinto anno. Timida, sognatrice, avida lettrice, ama rinchiudersi nelle sue fantasie come ogninuo di noi fa la sera, prima di andare a dormire.
Ma quello che Lucy non sa è che per vivere davvero bisogna aprire gli occhi, anche se il mondo reale non è bello come quello dell'immaginazione, dove si è protetti e al riparo da qualsiasi sofferenza...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Lucy Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Un po' tutti | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'My new Geneation'
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Capitolo VI








Quella era la prima volta che andavo da Morfeo di sera.

Non credi anche tu, caro lettore, che la notte ti trasformi? Cambia il modo di percepire il mondo. Non mi piace il buio, ma amo la notte tanto quanto il giorno; essa esercita su di me un terribile fascino, che a volte arrivavo anche a temere. Di notte le emozioni sono sempre più forti, più contorte, trascinanti, ipnotizzanti, belle e terrificanti. La ragione perde parte del suo potere e al suo posto sorge una creatura differente, di quale natura ancora non lo so. Erano tante le volte che fuggivo da questo stato d’animo quante erano le volte che lo cercavo, nella mia fantasia.

Il corridoio del ritratto era debolmente illuminato da alcune torce, mentre dei fasci di cupa luce argentea filtravano dai grandi finestroni ogivali. Quando arrivai di fronte al quadro trovai Morfeo in abiti da caccia di fine ‘700, intento a cogliere una mela da un albero. Per qualche strano motivo mi ricordò Willoughby di Ragione e Sentimento. Questa volta nel dipinto era notte. Nel cielo, questa volta di un colore normale, brillava una gigantesca e meravigliosa luna piena, la quale illuminava una brughiera che si estendeva a perdita d’occhio. Qua e là si trovavano rigogliosi cespugli di lavanda e numerosissimi papaveri.

«Buonasera Lucy Anne!» mi salutò Morfeo con un inchino, entusiasta come sempre. I raggi della luna conferivano alla sua figura un aspetto ancora più etereo.

«Ciao!» ricambiai io: «Non c’è bisogno che ti inchini ogni volta che ci vediamo» aggiunsi. Tutte quelle piccole attenzioni mi mettevano un po’ a disagio, anche se in fondo mi facevano piacere.

«E’ così che si salutano le dame del bel mondo» la risposta mi rese felice, ma non mi sorprese. Sorrisi.

«Non sono una dama del bel mondo. Sono solo Lucy» replicai con semplicità, senza rimpianti o lamenti.

«Potresti essere qualunque cosa, se lo volessi».

Io sospirai. Ormai prevedevo alcune delle sentenze di Morfeo.

«Dove stai andando?» gli chiesi per cambiare argomento. Passò qualche istante prima che mi rispondesse.

«Di sera esco sempre in volo...» disse alzando il viso verso il cielo: «Ogni notte, dal giorno in cui sono nato, cerco di avvicinarmi alla luna, anche se mi è impossibile»

«Fa’ attenzione… non vorrei che ti facessi male»

Morfeo abbassò gli occhi e mi colpì con uno sguardo così avvolgente ed un sorriso così enigmatico da farmi venire i brividi di piacere.

«Se questo ti fa soffrire, farò il possibile»

Ovviamente, arrossii.

«No, non intendevo… lo dico per te» provai a dire, quasi balbettando.

Mi accorsi tuttavia che Morfeo si era voltato per guardare la luna. Aveva un’espressione rapita.

«Non credi che quella di Icaro sia stata una follia meravigliosa?» disse poi all’improvviso: «per un solo istante, è stato in grado di avvicinarsi al Sole, l’oggetto dei suoi sogni»

«Però non ha fatto una bella fine…» asserii titubante.

Lui sembrò non avermi sentito.

«Credo sia stata una fortuna che sia morto subito dopo»

«Ma che stai dicendo?» dissi io, stupita.

«Immagina se fosse andato tutto bene; se fosse riuscito ad arrivare al Sole e poi a riscendere sulla Terra. Dal momento che il suo sogno si era realizzato, non avrebbe più avuto niente per cui vivere… Per questo sono contento di tentare ogni notte la mia impresa»

Quello che diceva sembrava avere un suo filo logico, eppure sentivo che c’era qualcosa di completamente sbagliato, che non mi convinceva.

Non sempre si sa dar voce ai propri pensieri o alle proprie convinzioni, soprattutto se non si hanno le idee chiare. A volte ci vuole tempo perché maturino.

«Ma in questo modo non rischi di raggiungerla davvero, la Luna? E se un giorno dovessi riuscirci? Cosa faresti?»

«Ora non ha alcuna importanza»

Io non replicai più e rimasi in silenzio per riflettere un’istante. Cosa che non facevo mai in altre, normali conversazioni. Morfeo sembrò capire i miei dubbi e mi guardò con tenerezza.

«Siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita1»

Quei versi mi incantarono talmente che non riuscii a dire nulla. Qualunque parola o pensiero in più mi sarebbero parsi sciocchi e superficiali.

«Ora devo andare, mia cara Lucy. Spero di rivederti presto»

Fece appena un passo indietro e con un salto spiccò il volo con forza e leggerezza. Benché le sue ali si fossero dispiegate energiche, i fiori intorno a lui avevano ondeggiato solo debolmente, come se fossero stati sfiorati da una dolce brezza.

 

Dopo quella sera ritornai a trovare Morfeo sempre più spesso. Il tempo passava in un battito d’ali, sebbene i momenti che passavo con lui mi sembravano senza tempo né spazio. Cercai di non dimenticarmi dello studio: non avrei sopportato un'altra lettera dai miei genitori, o meglio dire da mio padre. Tuttavia, senza che me ne accorgessi, mi stavo allontanando da tutti i miei affetti, passando sempre meno tempo con loro. Jane era quasi irritata dal mio comportamento e non passava giorno che non mi rimproverasse o mi tenesse il muso. Chi ne risentì più di tutti, in realtà, fu Rose.

Le poche volte che non ero con Morfeo, studiavo in giardino, in uno dei miei angoletti lontani dalla folla, o più raramente in biblioteca. Rose mi veniva spesso a cercare, ma io avevo sempre poco tempo per stare con lei, così il più delle volte ero costretta a dirle che ci saremo viste più tardi, oppure, se ignoravo lo studio, o Morfeo, per stare con lei, mia cugina si accorgeva che avevo ben altro per la testa e così decideva, seccata e un po’ triste, di andarsene da sé.

Causarle tanto dispiacere mi faceva più male che bene, quelle erano abitudini che faticavo a cambiare.

Ti prego caro lettore, non mi biasimare. So di aver commesso molti errori e credimi, se ti dico che sono davvero pentita.

Un giorno, mentre me ne stavo seduta sotto un faggio a studiare, Rose mi venne a trovare.

«Ciao» mi disse con espressione rabbuiata, quasi mugugnando.

«Ehi Rosie, che succede?»

Lei non mi rispose e si sedette accanto a me con le gambe conserte, facendo attenzione alla gonna e scegliendo un punto poco umido.

«Lo odio»

«Chi?»

«Scorpius» mi sorpresi della risposta: che io sapessi i due erano sempre andati d’accordo.

«Cosa è successo?»

«Niente, lo odio e basta»

«Mmmm… odio è una parola grossa. Gli vuoi davvero così male?»

«No» rispose dopo un po': «è che a volte è davvero insopportabile»

Allora chiusi il libro di Antiche Rune, mettendo un segnalibro nella pagina in cui mi ero fermata.

«Avanti, raccontami cosa è successo»

«Abbiamo litigato»

«Questo l'avevo capito, ma perché?»

«Non mi ricordo» disse e ci meditò su: «forse era per un libro che ci siamo scambiati... non lo so, però mi ha fatta proprio... incavolare. Ecco ora mi ricordo: ha detto che sono noiosa!»

«E tu che cos'hai fatto per farlo arrabbiare?»

Rose sembrò indispettita per quella domanda. Evidentemente avrebbe preferito essere assecondata.

«Come sai che era arrabbiato?» borbottò.

«Non lo so, forse perché è molto riservato: non mi sembra il tipo che... mmm... che si espone tanto»

«Invece con me si “espone” anche troppo»

Io sorrisi.

«Allora tiene a te più di quanto immagini... comunque cosa gli avevi detto per farlo arrabbiare tanto?»

«Che è uno stupido» non mi sorpresi. Anche se aveva un carattere mite, mia cugina era, ed è ancora, un tantino irascibile.

«Solo perché vi siete scambiati un libro?» Rose fece roteare gli occhi, esattamente come Albus quand'era seccato. Quei due si volevano bene come fratelli.

«Ho capito ma è la quarta volta questa settimana!»

Non mi preoccupai troppo per quella discussione. Le dissi che quelle erano piccole cose e che avrebbero dovuto fare pace, non valeva la pena prendersela tanto.

Rose si abbracciò le gambe, infreddolita da una ventata d'aria fresca; era quasi il tramonto. Per un po' non parlò, lasciando sbollire la rabbia, ma capii comunque che mi aveva dato ragione.

Avevo da poco riaperto il mio libro - volevo finire la traduzione prima che facesse troppo buio - quando mia cugina parlò di nuovo.

«Perché si sparita ultimamente? Non vieni quasi più a giocare con noi»

Rividi nel suo sguardo l'espressione di quando Roseline era più piccola: con i suoi occhi pieni di devozione e ammirazione per la cugina più grande. Mi sentii stranamente colpevole.

«E' che ho avuto molto da studiare... sai che quest'anno ho i G.U.F.O.» gli occhi castani di Rose si fecero più tristi.

«Però mi manchi tanto... e anche ad Albus»

La rassicurai. Le promisi che ci saremmo viste più spesso, anche se non sapevo ancora come avrei trovato il tempo.

 

Le mie giornate erano divise tra le visite a Morfeo, aiuti alle mie compagne, brevi intervalli di studio. Riuscii a recuperare le piccole insufficienze che avevo ottenuto, ma non era ancora abbastanza per poter ottenere dei risultati soddisfacenti per il mio livello.

Come puoi immaginare la mia testa era presa da ben altro che dallo studio. Mi sembrava di vivere in un poema idilliaco. Solo in una situazione ero costretta a tenere la mente ancorata alla realtà: durante le ripetizioni che davo ad Andrew. Non avevo tempo per perdermi in castelli in aria.

Un pomeriggio arrivai in biblioteca accompagnata da Selma, la quale, appena mi aveva incrociata nei corridoi non si era staccata un attimo da me. Stava raccontando della prima volta che aveva cantato in pubblico – perché oltre ad essere un’attrice, si occupava anche di musica – tutti l’avevano applaudita e riempita di complimenti. Per compiacerla un po’ la assecondavo educatamente.

Non nascondo che raggiunsi la biblioteca con un certo sollievo. Feci un cenno di saluto ad Andrew e mi rivolsi a Selma: «Adesso devo proprio andare, ci vediamo».

«Ciao bellissima!» mi salutò con uno squittio entusiasta che echeggiò tra i cornicioni di pietra.

Mi andai a sedere sul lato del tavolo adiacente a quello di Andrew.

«Sei amica di MacPherson?» mi chiese mentre aprivo il libro di Erbologia.

«Sì… più o meno» mi vergognai di quel “più o meno”, che suonava tanto come una giustificazione. Mi sentii un po’ meschina.

«Certo che quella è suonata forte»

«Già… poverina» dissi in un sospiro rassegnato.

«Non mi sembra tanto triste» osservò allora Andrew.

«Sì, è vero, ma tutti quanti la prendono in giro e lei a volte non se ne rende nemmeno conto»

«Devi ammettere però che è strana»

«Non è una buona scusa per deriderla in continuazione… a volte strano è solo un altro modo per dire diverso. Tutto ciò che gli altri chiamano diverso è strano. Solo perché non assomiglia al loro modo di pensare»

Per un attimo Andrew tacque e io mi stupii della decisione con la quale avevo preso le difese di Selma. Forse perché in realtà sentivo di assomigliarle nella sua “stranezza”.

«Per caso ti stavi arrabbiando

«Che cosa?» dissi io che non mi aspettavo di certo quella domanda.

«E’ solo che non ti ho mai vista… com’è che si dice? ... alternata… no, alterata… è solo che non ti ho mai vista alterata

«Non ero alterata» replicai, abbassando lo sguardo sul grosso manuale e cominciando a sfogliarlo in cerca del capitolo da studiare.

«Sì che lo eri»

«No, ti sbagli»

«No, non è vero»

«E anche se fosse? Cosa ci sarebbe di strano?»

«E’ che sembri sempre così calma e gentile che sembra impossibile farti arrabbiare. Io ad esempio una come la tua amica… come si chiama?»

«Selma?»

«No, non lei, quella che sta sempre con te»

«Jane?»

«Sì, quella. Io una come lei non la sopporterei proprio. E’ davvero uno strazio» io feci una risatina amara.

«Ha anche i suoi lati positivi»

«Sarà, ma mi sembra che pensi solo a se stessa»

Mi chiedevo come potesse dire queste cose, dal momento che si erano parlati solo una volta, ma dato che avevamo perso già abbastanza tempo lasciai perdere. E cominciammo a studiare “le proprietà magiche e mimetiche dei funghi”.

Finimmo l’argomento con una decina di minuti di anticipo, ma Andrew non si alzò immediatamente. Ritornò sul discorso.

«Riguardo a MacPherson… Perché ti prendi un carico del genere?»

«Che intendi?»

«Voglio dire… non trovo giusto che gli altri la prendano in giro, ma non trovo neanche giusto che tu te la carichi addosso come se fosse compito tuo salvarla dal mondo»

«Io non… per me non è un peso!»

«Ti ho vista prima quando parlavi con lei e vi ho viste spesso a pranzo insieme. A volte sembra quasi che tu ti stia occupando di una bambina»

«Beh, più o meno…» Andrew rise prima ancora che mi resi conto di quello che avevo detto: «Cioè… non intendevo… lei non ha molti amici veri e vederla così... mi dispiace»

«Ma non puoi portare un peso più grande delle tue spalle. E’ bello che tu le stia vicino, però non puoi mettere la vita degli altri davanti alla tua. Così ti annulli e non è giusto.»

Per la prima volta rimasi in silenzio davanti ad Andrew. Mi presi un istante per raccogliere le idee, distogliendo lo sguardo per non sembrare troppo smarrita.

Ultimamente ero presa spesso da quell’inspiegabile senso di impotenza. Davanti a me si mostravano sempre più opinioni, visioni del mondo, e io cercavo ancora di capire quale fosse quella giusta da percorrere, quanto dovessi ascoltare me stessa e quanto mettermi in discussione. Purtroppo Andrew aveva ragione io mi stavo annullando.

In un mio piccolo atto di presunzione, non avrei mai pensato che da un ragazzo, all’apparenza così ordinario, avrei potuto imparare qualcosa.

E’ proprio vero che non si finisce mai di imparare, in nessun tempo e in nessun luogo. Questa, secondo me, è una delle segrete bellezze della vita.

Stavo per rispondere, quand’ecco arrivare verso di noi una ragazza, che però all'inizio non riuscii a vedere bene per via della luce soffusa della biblioteca. Si fermò accanto al nostro tavolo con un saltello e si rivolse ad Andrew.

«Andy, ti sto cercando da ore» disse la ragazza. Notai che anche lei era una Grifondoro.

«Ti sei dimenticata che oggi avevo ripetizioni?» solo allora la ragazza mi lanciò un’occhiata di sfuggita e si batté una mano sulla fronte.

«Cavolo, è vero! Vi ho interrotto?»

«No, figurati. Avevamo appena finito» dissi io.

La ragazza era alta ma con qualche rotondità di troppo; dalla carnagione mulatta ed i lineamenti particolari pensai che dovesse avere origini sudamericane... o forse mediterranee, non me ne intendevo tanto. Nel complesso aveva un viso carino: gli occhi erano scurissimi e vivaci, ma non molto grandi; i capelli lisci, lunghi fin sotto le spalle, dello stesso colore degli occhi e una bocca molto bella, rosa, che di rado assumeva una piega triste.

«Lei è Kate, è del mio stesso anno. Kate questa è Lucy» ci presentò Andrew.

«Ah, quella Lucy!» esclamò la ragazza.

«Quella?» chiesi io, sorpresa che Andrew potesse aver parlato di me.

«Le ho detto che mi aiuti con Incantesimi, Erbologia eccetera…» rispose Andrew con un tono appena incerto che mi fece diventare sospettosa. Kate si mise a ridere.

Aveva una risata davvero particolare, genuina, quasi esplosiva, niente a che vedere con le risatine isteriche o costruite di Courtney.

«Beh, ora dobbiamo andare, ho una sorpresa per te!» disse rivolta ad Andrew: «piacere di averti conosciuta» mi salutò e tenendo stretto a sé il suo braccio lo trascinò fuori dalla biblioteca.

Mi chiesi in che relazione fossero quei due. Sentii che erano molto legati, ma non andai subito a pensare che stessero insieme, come sicuramente credi tu.

Mentre li guardavo girare l’angolo provai però una strana malinconia. Forse era il fatto che io non mi ero mai sentita davvero parte di un gruppo, e forse c’era dell’altro che non ero ancora pronta a riconoscere.

Con le risate di quei due nella testa e l’espressione allegra di Andrew negli occhi, raccolsi le mie cose e, non avendo molta fame, decisi di andare, ancora una volta a trovare Morfeo.

 

1 Da “La tempesta” di Shakespeare. Atto IV, scena 1.

  
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