Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Harmony394    03/12/2014    10 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Safe and Sound
Just close your eyes
The sun is going down
You’ll be alright
No one can hurt you now
Come morning light
You and I’ll be safe and sound


Il volto di Joffrey è una maschera di sgomento e dolore. Apre la bocca per parlare ma l’unica cosa che ne fuoriesce è il sangue che gli cola giù lungo il mento ed il collo, macchiando il tappeto. Lo guardo mentre si accascia ai miei piedi, le narici dilatate e gli occhi colmi di paura; sul pavimento si crea una densa e grottesca macchia vermiglia. Trema come impazzito, sospira forte ed inarca la schiena; i suoi occhi si rivoltano ed il viso impallidisce come quello di un cadavere. Poi, ad un tratto, il suo sguardo diventa vitreo e inespressivo e non si muove più.

«Oh dèi…», le parole lasciano le mie labbra a fatica, tremolanti come foglie. «Lo avete ucciso! Voi… voi avete ucciso il Re!».

Ho pregato così a lungo per la sua morte che adesso che è sopraggiunta non riesco a realizzarla. Una voce dentro di me urla che dovrei essere felice, che finalmente Joffrey è morto e che giustizia è stata fatta, eppure i miei occhi sono lucidi di lacrime ed il mio cuore sembra stretto in artigli di ghiaccio. Non provo dispiacere, né gioia. Solo paura. Cosa ne sarà di me, adesso? Cersei… oh, Cersei! Quando saprà della morte di Joffrey infilzerà la mia testa su una picca proprio come ha fatto con mio padre! Oh no… no… no, no, no!

«Piangi, uccellino?», il Mastino pulisce il dorso della spada sulle lenzuola del mio letto di nozze. Sarebbe dovuto esserci il mio sangue, lì, non quello di Joffrey. «Avrei giurato che avresti come minimo cantato di gioia».
«Cersei ci taglierà la testa per questo!», urlo, la voce strozzata dal panico. Mi porto le mani alla gola d’istinto, il mio corpo non smette di tremare; il sangue di Joffrey continua a macchiare il pavimento. «… le infilzerà su una picca! Oh, Madre, pietà…».
«Ci?», il Mastino ridacchia sommessamente. Alzo gli occhi verso il suo volto bruciato, confusa: non c’è ombra di panico nella sua espressione, o se c’è riesce a celarlo molto bene, e questo mi inquieta persino di più. «No, uccelletto. Io vado via da qui».
«Via?» , non capisco. Come può andare via? Le guardie sono ovunque, lo placcherebbero immediatamente. È in trappola proprio come me, ne sono certa, e allora perché…? «Dove?».

Lui ghigna beffardo. «L’uccelletto è curioso, vedo», afferra la fiasca attaccata alla cintola dei suoi pantaloni, la apre e ne beve avidamente il contenuto. L’odore pungente del vino mescolato a quello ferreo del sangue mi provoca un conato di vomito e mi fa arricciare il naso in una smorfia. Il Mastino non si scompone: si asciuga i rimasugli del vino col dorso del braccio, riattacca la fiasca alla cintura e fa saettare i suoi occhi grigi verso di me. «Al Nord, forse. Lontano da questa merda; non ci tengo a finire su una picca come Ned Stark», mormora, dandomi le spalle. Lo stomaco mi si stringe in una morsa quando sento nominare il nome di mio padre. Il ricordo della sua testa infilzata su una picca e i suoi occhi grigi che fissavano il vuoto mi tornano alla mente e subito le lacrime mi pizzicano la gola. Neanche io voglio fare la sua fine. «Addio, uccelletto».

«Mi lascerete qui da sola, dunque? Non vi importa che a causa vostra sarà la mia, di testa, a finire su una picca?» Urlo, un attimo prima che lui apra la porta per andarsene. Il Mastino si blocca, la mano sospesa a mezz’aria ancora sporca del sangue di Joffrey, e si volta verso di me.

«Vieni con me», la sua voce è un appena un rantolo, bassa e profonda come la notte. «Io potrei tenerti al sicuro. Tutti quanti hanno paura di me. Nessuno ti farà mai più del male. Se lo faranno, io li ucciderò».

Sulle mie labbra danzano un centinaio di possibili risposte, eppure la mia bocca continua a rimanere serrata. Fuggire… col Mastino? No, è assurdo. Lui è un assassino, ha appena ucciso il Re a cui aveva giurato fedeltà proprio davanti ai miei occhi, non posso fidarmi di lui. Ma se resto qui morirei comunque. Non ci sarà nessuno disposto a salvarmi e se non fuggo verrò di certo condannata a morte, eppure... Oh, dèi, cosa devo fare?

«Non vuoi, vero, uccellino? Bene allora, resta pure chiusa in questa gabbia dorata che ti piace tanto. Entro domani sarai di nuovo libera... questa volta per sempre. Salutami il tuo paparino, quando lo incontrerai» Abbassa la maniglia ed esce senza darmi il tempo di ribattere. I suoi passi pesanti riecheggiano fra le mura di pietra della Fortezza Rossa, infiltrandosi taglienti nelle mie orecchie. Resto immobile fra le lenzuola, la testa piena di domande e il corpo esamine di Joffrey steso davanti ai miei occhi, morto. I suoi occhi sono vuoti, freddi, senza luce. Saranno così anche i miei se non vado subito via. Un pensiero mi si affaccia in mente, doloroso quanto reale.

Non ho più niente da perdere.

Senza pensare realmente a quello che sto facendo, salto giù dal letto e indosso l’abito che le ancelle mi avevano lasciato in previsione della mattina seguente alla notte di nozze, poi infilo li stivaletti in fretta e furia e, con ancora la vestaglia sbottonata, mi accingo a raggiungere il Mastino. Compio pochi passi prima di trovarlo ma quando mi vede mi si avventa addosso, mi spinge contro una parete e preme una mano sulle mie labbra. Le sue dita sono dure e ricoperte di calli, viscide di sangue e il suo fiato puzza di vino.

«Fa' silenzio, uccellino, o ti taglio la lingua».

Oh, no. Lo sapevo che era una trappola! Avrei dovuto rimanere nelle mie stanze, magari chiamare aiuto e dire la verità, urlare che è stato lui ad uccidere Joffrey e non io, mentre adesso verrò trascinata dalla Regina, lui le dirà che sono stata io ad assassinare suo figlio e lei mi farà tagliare la testa da sir Ilyn proprio com’è accaduto a mio padre... Oh, no… no, no, no! Madre, ti prego, non lasciare che accada, per pietà, ti prego…

Solo quando dei rumori di passi riecheggiano fra le pareti di roccia del corridoio, capisco cosa sta accadendo: c’è una guardia che passeggia, poco più avanti, avrà poco più di vent’anni; lo riconosco come uno dei soldati che aveva protetto la Regina durante la Rivolta del Pane. Le mie guance si tingono di rosso e il senso di colpa mi stringe il petto: mi sono sbagliata. Il Mastino non voleva uccidermi, solo nascondermi. Per questo mi ha spinta qui dietro. Che razza di persona viscida e meschina sono diventata per sospettare anche di chi mi ha salvata da uno stupro?

Le sue dita si allontanano dalle mie labbra e afferrano il pugnale stretto alla cintola dei suoi pantaloni. Aspetta che la guardia si volti dall’altra parte per agire in fretta e prenderlo alle spalle, tagliandogli la gola. Non riesco a vedere il volto del ragazzo mentre muore ma il suo sangue schizza ovunque: sul pavimento, sul muro, sui vestiti di Clegane e sono costretta a premermi una mano sulle labbra per non urlare. Ho già visto un uomo morire, al torneo del primo cavaliere, così come ne ho visti morire tanti altri durante la Rivolta del Pane, eppure lo stomaco mi si stringe ogni volta. Perché morire deve essere tanto orribile?

«Muoviamoci», le dita del Mastino mi afferrano il polso e mi spingono in avanti. «Prima usciamo da questa merda e meglio sarà».

Ogni passo che compio rintona nella mia mente terribile come una sentenza di morte. È notte fonda e nessuno, oltre le guardie, è in giro per il palazzo. Le poche guardie che fanno da veglia vengono stese una dopo l’altra dal Mastino, che agisce nell’ombra con la stessa ferocia e lestezza d’una faina. No, di un cane. Sandor Clegane è un cane, ricordo a me stessa. Un cane sciolto, adesso.

So che presto l’odore acre del sangue di Joffrey e delle guardie si espanderà per tutto il castello e che scatterà l’allarme, che è solo questione di attimi, piccoli rintocchi dell’orologio e la mia vita sarà di nuovo appesa a un filo, ma io continuo a camminare nonostante tutto. La presa del Mastino è salda nella mia mano e per un attimo il mio cuore si gonfia di sollievo nel sapere che sarà lui a proteggermi.

Quando riusciamo ad uscire dal palazzo, dietro di noi lasciamo una scia di cadaveri e sangue. Non so quanti uomini siano morti, sarebbe più semplice dire quanti ne sono sopravvissuti, ma nessuno sembra essere riuscito a lanciare l’allarme. Una volta varcato il cancello che porta all’ingresso della Fortezza Rossa, l’aria fresca della sera mi punge il viso quasi a volermi ricordare che ce l’abbiamo fatta, che siamo fuori, che sto fuggendo davvero, ed un sorriso mi incurva le labbra.

«Non siamo ancora fuori. Vedi di non sorridere tanto» Mi rimbecca il Mastino, ma io non lo ascolto. Non riuscirà a tediarmi con le sue parole, non adesso che sono ad un passo dalla libertà.

Una volta raggiunte le stalle, il Mastino mi dice di tenere alto il cappuccio del mantello e di non fiatare per nessun motivo ed io obbedisco senza replicare. Montiamo in sella al suo cavallo, uno stallone alto circa due metri e nero come la notte, e proprio come durante la Rivolta del Pane mi aggrappo forte alla sua schiena. Il calore del suo corpo mi fa arrossare le guance e il suo odore mi riempie le narici. È questo l’odore di un uomo, dunque?

Ad un tratto una mano mi afferra per il braccio e, prima che possa opporre resistenza, mi tira giù da cavallo, che subito nitrisce e si alza su due piedi, facendomi rovinare terra con un tonfo sordo. Dolorante e con le mani piene di graffi, alzo il volto verso il mio aguzzino: subito gli occhi scavati di sir Meryn Trant ricambiano il mio sguardo, acquosi e maligni come li ricordavo.

«Li ho trovati!», urla ad un tratto, alzandomi in piedi di peso e tirandomi dietro di sé. Il mio cuore perde un battito mentre realizzo cosa sta accadendo: ci hanno scoperti. Qualcuno deve aver trovato il cadavere di Joffrey e… e adesso vogliono uccidermi! «Non una sola mossa, Clegane! Sappiamo quello che hai fatto: hai ucciso il Re e stavi per rapire la Regina per chiedere un riscatto! Con che coraggio porti ancora il mantello bianco della Guardia Reale, verme?!».

Le parole di sir Meryn mi arrivano addosso violente come un pugno. Non capisco. Loro… loro credono davvero che il Mastino mi stesse per rapire? Non mi credono colpevole della morte di Joffrey? Sento il rumore di numerosi passi metallici avvicinarsi sempre di più: sono loro, le guardie reali, sono qui per uccidere Sandor Clegane e riportarmi indietro al palazzo! Il mio cuore sussulta di sollievo: se non mi credono colpevole, allora potrei fingere che il Mastino stesse davvero per rapirmi e in questo modo sarei innocente ai loro occhi, una semplice vittima della mente di un pazzo assassino!

Col viso contratto per la rabbia, sir Meryn sferza l’aria con la spada e tenta di colpire il Mastino, che ringhia una bestemmia fra i denti e risponde all’attacco con mortale precisione nonostante la sua postazione non sia delle migliori; il suo cavallo nitrisce infervorato. Un lampo di sfida balena nel viso di sir Meryn, ma prima che possa sferzare l’ennesimo attacco qualcosa lo colpisce e lui cade a terra rantolando. Per un attimo infinito, mi sembra che il mondo si sia fermato. C’è qualcosa di pesante fra le mie mani, mi accorgo all’improvviso, e quando chino lo sguardo mi rendo conto di averlo colpito con un masso. Il fiato mi si spezza in gola e lascio andare la pietra immediatamente. Osservo le mie dita: sono sporche di sangue.

Io… io... io ho appena colpito un uomo... una guardia reale… e le mie dita… le mie dita sono sporche del suo sangue… io… io…

La mano del Mastino si preme sulle mie labbra un attimo prima che possa urlare, soffocando il mio grido sul nascere. La mia testa si riempie di suoni ovattati e immagini confuse, il mio cuore batte con così tanta energia da farmi tremare. Le ginocchia cedono sotto il mio peso e all’improvviso tutto diventa buio. Con l’ultimo briciolo di lucidità che mi rimane, odo la voce del Mastino.

«Va tutto bene, uccellino. Nessuno ti farà più del male. Nessuno.».



Le fottute Guardie Reali mi sono alle calcagna. Sprono Straniero ad andare più veloce, a non fermarsi, e lui accelera il galoppo. L’uccellino è stretto fra le mie braccia, gli occhi chiusi e le labbra distorte in una smorfia d’angoscia, piccola e leggera come una bambola di porcellana. Non credevo che avrebbe colpito quel bastardo di Meryn. Non so perché lo abbia fatto – e nemmeno lei deve saperlo, visto come ha reagito appena si è resa conto di averlo steso – ma il pensiero mi fa ghignare di soddisfazione. Forse non è poi così debole come pensavo.

Digrigno i denti e mi avvio verso l'uscita dalla città, le guardie mi tallonano come lupi affamati e due fottute frecce mi hanno già colpito il fianco sinistro e la spalla destra. Se non fosse per l’armatura di cuoio e di ferro, probabilmente sarei già bello che morto.

Passano intere ore prima che riesca a raggiungere la Porta del Re. Per mia enorme fortuna, le strade sono deserte, l’allarme non è ancora giunto ai confini di Approdo del Re e i cancelli sono ancora aperti. Sprono Straniero ad andare più veloce, pregandolo di non tradirmi proprio adesso, e lui corre veloce oltre il grande arco ramato alle porte di Approdo del Re. Un solo pensiero occupa la mia mente: Nord. Devo andare verso Nord. E devo sbrigarmi.

Mi inoltro nel sottobosco e cavalco sempre più lontano: devo mettere più distanza possibile tra me e quegli stronzi se non voglio che la mia testa e quella dell’uccellino finiscano su una picca. Passano intere ore prima che non riesca più ad udire le loro fottute voci ma alla fine tiro un sospiro di sollievo. Li ho seminati. È finita, per adesso.

Mi guardo attorno: il bosco in cui mi sono avventurato è buio, fitto e pieno di rovi. Se non fosse per la luce della luna non riuscirei a vedere nulla. Straniero è troppo esausto per continuare a cavalcare ed io accarezzo la sua criniera con gratitudine. «Bravo, ragazzo», sussurro e lui scuote il muso in risposta.

Spossato e con le gambe in fiamme a causa della lunga cavalcata, mi concedo un sorso di vino e tiro via le due frecce conficcate nel metallo della mia armatura con un ringhio frustrato. Fottuti arcieri. Che se le ficchino nel culo, le loro fottute frecce. Per fortuna non hanno perforato la carne, non ho proprio voglia di morire a causa di qualche infezione.
All’improvviso, qualcosa si muove contro il mio petto. «L’uccellino si è svegliato», esclamo. Sansa Stark apre gli occhi e si alza subito a sedere. Il suo viso è così vicino al mio che posso quasi contarle le ciglia.

«Cosa ci faccio qui? Voi…», balbetta, gli occhi pieni di smarrimento e confusione. Ad un tratto, il suo visino pallido si ombreggia di paura e le sue iridi azzurre si posano sulle mie guardandomi come se fossi un fantasma. «Oh, no… no, no, no! Voi avete ucciso Joffrey!».

«Non c’è di che, uccellino. Mi ringrazierai a dovere quando saremo arrivati al Nord; cinque sacchi d’oro dovrebbero bastare» Ribatto. Quasi riesco a vederli sul serio, quegli enormi sacchi pieni di monete d’oro. Una volta che questa merda sarà conclusa, potrò finalmente andarmene per i cazzi miei e vivere la mia vita. Forse andrò a vivere al Nord, in una di quelle enormi montagne dove nessuno potrà rompermi i coglioni, o forse li spenderò tutti in puttane. Già: puttane dai capelli rossi e dagli occhi azzurri.

«Ed… ed io ho… ho… oh, dèi… Sir Meryn! Io… io l’ho…» La sua voce si spezza ed i suoi occhioni si velano di paura e lacrime. Crede di averlo ucciso, magari l’ha fatto sul serio: quel masso era piuttosto grande e non mi sorprenderebbe se avesse causato una gran bella emorragia alla testa di quell’idiota.

«L’hai colpito, uccellino. Dritto in testa. Io non avrei saputo farlo meglio» Sogghigno ma il suo cipiglio continua a restare turbato e colmo di senso di colpa. Stringo le labbra in un impeto di rabbia: come fa ad essere dispiaciuta? Meryn l’ha picchiata più e più volte, colpendola come se fosse stata un semplice pezzo di carne, eppure lei prova rimorso. Cosa cazzo c’è che non va in questa ragazzina? Dovrebbe gioire, essere fiera di se stessa, non piangere!

«Si può sapere per quale cazzo di motivo fai quella faccia, adesso?».

«Io… io non volevo ucciderlo, lo giuro. Non volevo colpirlo! Io… io non so cosa mi sia preso, lui… lui era lì, e vi minacciava con quella spada e le guardie erano così vicine e… e…» Scoppia a piangere e si preme le mani sul viso. Per i Sette Inferi, non mi piace la gente che piange e soprattutto non mi piacciono gli uccelletti che piangono. A che serve piangere? Quando Gregor mi premette la faccia sui carboni ardenti io non piansi. Urlai, cazzo, quello sì, urlai così tanto da graffiarmi la gola e gonfiarmi i polmoni, ma non piansi; non gli avrei mai dato quella soddisfazione, non dopo quello che mi aveva fatto. Lei invece non fa altro che piangere. Piange sempre, l’uccellino, ed io comincio ad averne abbastanza.

«Prendi», mi guarda stranita quando le porgo un fazzoletto spiegazzato che tenevo dentro la tasca. «Ti sta colando il naso», non è vero, ma è abbastanza da farla arrossire e smettere di lacrimare. Dopo essersi asciugata il viso, infila il pezzo di tessuto dentro al corpetto e mormora che me lo ridarà più tardi, dopo averlo lavato. Persino quando piange riesce a pigolare parole gentili e cordiali.

«Credete davvero che lo abbia ucciso?» Domanda dopo un po’, sinceramente preoccupata.
«Spero di sì, cazzo. Non lo sopportavo proprio quel ciccione di merda. Se non lo avessi fatto tu, uccelletto, lo avrei comunque fatto io, quindi finiscila di farti tutte queste paranoie».
«Ma io non volevo farlo! Io… io ho agito senza pensare! Non ho mai fatto del male a nessuno, lo giuro! Sono buona, gli dèi questo lo sanno… loro mi perdoneranno, non è vero? Saranno clementi!».

Tiro le briglie del cavallo, che nitrisce infastidito e si blocca di colpo. Sansa aggrotta la fronte e corruccia le labbra confusa, guardandomi spaesata.

«Cosa sta succede--» Non le permetto di terminare la frase. Afferro il suo mento con rabbia e lei squittisce di paura e prova a dimenarsi dalla mia presa d’istinto; io le afferro il polso e avvicino il suo viso al mio. Nei suoi occhi cerulei, posso leggere un’immensa paura.
«Ascoltami bene, ragazzina: quali dèi farebbero in modo che un uomo onorevole come Ned Stark venga ucciso per mano di un bamboccio viziato? Quali dèi permetterebbero che una ragazzina come te vada in sposa a quello stesso ragazzino? Dèi mostruosi, ecco quali. Gli dèi non esistono e se esistono sono dei gran figli di puttana. Quindi vedi di risparmiarmi i tuoi cinguettii senza senso, prima che ti strappi la lingua!».

«Mi fate male, sir! Per favore!» Geme lei, la voce spezzata dalla paura.

«L’uccellino tende a dimenticare le cose: ti ho già detto che non sono un sir. Io ci piscio sopra ai tuoi sir. Sono un cane. Un cane senza padrone, adesso. Lo sai cosa fanno i cani alle ragazzine impaurite come te? Guardami quando ti parlo. Guardami!».

E lei mi guarda, gli occhi pieni di lacrime ed i piccoli polsi stretti tra mie dita possenti. All’improvviso, la paura è andata via dal suo viso. Adesso c’è solo fierezza, un coraggio che le ho visto addosso solo quando stava per gettare Joffrey giù dal ponte. Sono gli occhi di una Stark. Sono gli occhi di un metà-lupo.
Lascio andare la presa di scatto, come ustionato, e mi decido a scendere da cavallo. Lei fa lo stesso; attorno a me risuonano un centinaio di suoni diversi: il verso dei gufi, il vento che sibila tra le fronde degli alberi, il tac-tac-tac degli insetti, uno più fastidioso dell’altro.

«Dovremo restare qui per la notte», sbotto ad un tratto. «Ce la fai ad accendere un fuoco?».

«No» Risponde lei, ma sono certo che anche se avesse saputo farlo avrebbe risposto così. Lei sa del mio terrore nei confronti del fuoco, forse è una delle poche a conoscere il mio segreto ed è ancora arrabbiata con me per le parole che le ho rivolto prima. Non mi aiuterebbe neanche sotto tortura.

«Bene», sibilo fra i denti. Lei stringe le labbra. «Anche volendo non sarebbe stata una buona idea accenderlo: il fumo avrebbe attirato le guardie», non risponde. Mi dà le spalle; la guardo mentre si siede con grazia sul tronco di un albero, facendo ben attenzione a non sporcarsi il vestito. Storco le labbra in una smorfia. È troppo sgargiante, penso, la riconosceranno subito. Schiudo le labbra per dirglielo, ma le parole restano bloccate in gola per chissà quale assurda ragione. Stringo i pugni, frustrato. ‘Fanculo. ‘Fanculo lei e il dannato vestito. Che m’importa, dopotutto? Che si tenga la sua cortesia ed i suoi fottuti vestitini di seta, vedremo a cosa le serviranno quando le taglieranno la testa.

Restiamo in silenzio per parecchio tempo, l’aria è pregna di tensione e vibrante come una corda di violino. Assurdo quanto assordante possa essere il suono del silenzio. I miei occhi sbirciano la sua figura minuta e la scorgo mentre, tremante per il freddo, sfrega le mani e si stringe in quel misero abitino di seta che indossa. Morirà di freddo, avverte una voce nella mia mente, preoccupata. Devi fare qualcosa o potrai dirle addio.

«Qui, uccellino», mi avvicino a lei con passo pesante, il metallo del’armatura scricchiola sotto il mio peso. Lei alza gli occhi, confusa, ma le getto il mantello della Guardia Reale sopra le spalle prima che abbia il tempo di porre domande. È ancora sporco di sangue, probabilmente puzzerà anche, ma basterà per mantenerla al caldo e nasconderle il vestito. Per quanto detesti ammetterlo, l’idea di saperla morta mi è insopportabile.

«Ma—».

«Il tuo abito è troppo sgargiante. Non va bene, se qualcuno dovesse vederti ti riconoscerebbe: va nascosto. E poi ti tornerà utile per stanotte, credimi», lei schiude la bocca in cerca di parole, ma la richiude subito dopo; il buio della notte nasconde metà del suo viso, tuttavia la luna lo illumina quel poco che basta per scorgere le sue guance tingersi di rosso. Distoglie lo sguardo, imbarazzata, e si stringe nel mio mantello come se fosse la più calda delle coperte. Per un attimo, il mio cuore batte un po’ più forte.

«Grazie», sussurra. L’istinto prepotente di premere le mie labbra sulle sue diviene impellente ma non cederò. Non sono Gregor, non le farò del male. Non a lei, mai a lei. Sento i suoi occhi azzurri addosso – occhi di lupa, occhi del Nord – e il mostro dentro il mio stomaco si dimena come impazzito. «Mi riporterete davvero a casa? Lo promettete?».

La sua domanda mi disorienta. Lo farò? Non lo so, cazzo. Non so nemmeno se riuscirò a campare fino a domattina, figuriamoci se so una cosa del genere. Mi chiede di prometterglielo, proprio io che nella vita non ho mai promesso nulla. No. Non sono fatto per le promesse, io. Io ci piscio sopra alle fottute promesse e tutta quella merda che fanno i cavalieri. Eppure adesso è diverso: è l’uccellino – il mio uccellino – a chiedermelo, sono i suoi occhioni azzurri a supplicarmi, le sue labbra rosee e che tanto vorrei baciare a tremolare in attesa di una mia risposta, e all’improvviso ogni barriera che avevo accuratamente costruito per tutti questi anni crolla sotto il calore del suo sguardo. Mi vien quasi da ridere. Proprio io, che stimavo tutto il mondo nulla, senza armi vinto son da una fanciulla*.

«Aye. Ti riporterò a casa, uccelletto».





  • Note dell’Autrice.
  1. La frase, che reputo perfetta per questa coppia – e soprattutto per Sandor –, è di Matteo Maria Boiardo, tratta dal poema “L’Orlando Innamorato”.
  2. La canzone all'inizio del capitolo è di Taylor Swift e si intitola Safe and Sound.

Eccomi qui! :)
Mi dispiace per il ritardo con l’aggiornamento, ma questa settimana è stata piena di compiti. Detesto la scuola… sigh.
Ad ogni modo: finalmente Sansa e Sandor sono evasi dalla Fortezza Rossa! Come molti, anch’io penso che Sansa non sarebbe mai fuggita volutamente col Mastino, nonostante lui potesse perfettamente tenerla al sicuro, per motivi molto banali quanto essenziali: insicurezza, paura e mancanza di motivazione. Perché avrebbe dovuto? Sansa non è Arya e certamente ha più possibilità di sopravvivenza dentro le mura di un palazzo che fuori in mezzo alle intemperie. Per questo durante la Battaglia delle Acque Nere non ha seguito Sandor. La sopravvivenza viene prima dell’amore o di qualsiasi altro sentimento, e in quel momento lei era certa che Stannis avrebbe assediato la Fortezza Rossa e l’avrebbe liberata dal sequestro dei Lannister. Scappare in un momento simile sarebbe stato inutile quanto pericoloso.
Per questo, in questa fanfiction, Sansa fugge col Mastino per una ragione puramente egoistica. Ovvero: se non lo faccio, muoio sicuro. Tanto vale inoltrarsi in un destino incerto piuttosto che in uno sicuro e drammatico. Spero che la cosa sia risultata credibile! >_<
Da questo capitolo in poi, comunque, inizia la vera storia. Non per niente questo capitolo si chiama “Safe and Sound”, rifacendosi al titolo dell’intera ff. Spero vi sia piaciuto, fatemi sapere nelle recensioni. :)

Vi mando un bacione e vi ringrazio di cuore per tutti i pareri e le recensioni entusiaste. Spero di non deludervi!
P.S: come al solito, ringrazio di cuore la mia beta
TsunadeShirahime per aver sistemato il capitolo. Grazie, Ali. <3
P.P.S: se volete mettervi in contatto con la sottoscritta, ecco il mio profilo Facebook!
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Alla settimana prossima!
   
 
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