Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Harmony394    25/11/2014    12 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Bedroom Hymns
I'm not here looking for absolution
Because I found myself an old solution
I'm not here looking for absolution
Because I found myself an old solution
 

C’è una cosa che odio quasi quanto il fuoco: la gente. Donne, uomini o fottutissimi ragazzini, non fa alcuna differenza. Li odio tutti, dal primo all’ultimo. Col tempo ho imparato a sopportarli, a far finta che non esistano, ma oggi non ci riesco proprio. Oggi il solo pensiero di star calmo mi fa incazzare ancora di più. Non voglio stare calmo, dannazione. Non oggi che tutta questa gente si è riunita per assistere al matrimonio fra l’uccelletto e la fichetta bionda. Non oggi che, fottuti dèi, a quello stesso uccelletto verranno tagliate le ali ed io non potrò far nulla per impedirlo. Non oggi, cazzo. Non oggi. 

«Stamattina sei più brutto del solito, Clegane».
 
Fulmino con lo sguardo chiunque sia stato ad importunarmi. Gli occhi piccoli e acquosi del Folletto incrociano i miei: indossa un farsetto di cuoio rosso, gioielli dorati e il suo solito ghigno obliquo che lo fa assomigliare ad un mostro più di quanto non lo sia già. Digrigno i denti e le mie mani, dacché erano ferme sull’elsa della spada, tornano a ciondolare lungo i fianchi.
 
«Non credo tu sia nella posizione più adatta per insultarmi, Lannister», ghigno. Il tempio nel quale siamo riuniti è vasto, le pareti sono dorate e le vetrate brillano di colori sgargianti. Alla luce del mattino, Tyrion Lannister sembra ancora più orribile del solito. «Ti sei mai guardato allo specchio?».

Lui annuisce convinto, prende una caraffa colma di vino posata su un tavolino nelle vicinanze e versa il liquido in una coppa dorata.

«Abbastanza da vedere lo sguardo di uno che ha passato la notte in bianco. Cos’è, la tua cuccia non è più confortevole? Vuoi che te ne vada a ritirare una con un cuscino più morbido e che non puzzi di piscio?», riempie un altro calice e me lo passa. Lo bevo senza pensarci due volte, il vino che mi brucia lo stomaco ed il petto.

«E a te che importa di come dormo? Sono anni che ti sopporto e mai una volta ti è passato per la testa di chiedermi come stessi. Cosa ti fa pensare di avere il diritto di farlo adesso?».

Lui scrolla le spalle. «Be’, numero uno: l’oro con cui ti procuri i tuoi bei ossi da spolpare è oro dei Lannister, quindi credo di avere il diritto di fare quel che mi pare; numero due, ieri notte ti ho visto mentre ti dirigevi nelle stanze della ragazzina Stark. Mi auguro che tu non sia stato tanto stupido da farle del male. Sarebbe un po’ difficile spiegare al Re che il fiore rosso della sua bella lady non è germogliato durante la sua prima notte nozze perché… come dire? Un Mastino ha avuto la premura di strapparlo prima che ciò potesse avvenire».

È come se un secchio d’acqua gelata mi precipitasse addosso. Il Folletto... lui ci ha visto. Anzi no, mi ha visto e crede che abbia stuprato l’uccelletto. Un ringhio mi increspa le labbra e una furia cieca mi lambisce le viscere. Stronzo di un nano. Mi ha forse scambiato per Gregor? Crede davvero che le farei qualcosa del genere? Io?! Fottuti dèi, io l’ho salvata, la dannata ragazzina Stark, e non solo una volta.

«Sei geloso, Folletto?», la mia voce è tagliente come un rasoio, le dita scattano sull’elsa della spada. «Cosa c’è? Forse avresti voluto fotterla tu, la ragazzina Stark? Sono certo che ti sarebbe piaciuto», il mio sguardo si scontra col suo e faccio fatica a non torcergli il collo. «Abituato a puttane e cagne come sei, sarebbe stato il più grande privilegio della tua vita. Immagino che la notte te lo meni pensando a lei», rido. Una risata amara, colma di disgusto. «E sai perché lo so così bene?», bevo un altro sorso e il vino scende caldo nel mio stomaco. Dov’è l’uccelletto? Cosa sta facendo? Sta piangendo? Sta tremando di paura mentre la trascinano all’altare? La testa inizia a girare, lo stomaco a ribollire. Poi, le parole lasciano le mie labbra prima che possa fermarle. «Perché vale lo stesso per me».

Tyrion Lannister non fa in tempo a rispondermi che i cancelli vengono spalancati e un fascio di luce argentea irradia tutta la platea. Quando alzo lo sguardo, la vedo: l’uccelletto indossa una veste bianca, le sue labbra sono tinte di rosso e i capelli le ricadono morbidi sul seno messo in risalto dalla scollatura del vestito. È bella come una fata, o forse anche di più. Tuttavia, quando i suoi occhi diventano ben visibili, la vedo per quella che è: una ragazzina costretta a sposarsi contro il proprio volere e che si morde le labbra per trattenere le lacrime. I suoi occhi sono vitrei, spenti, ghiacciati; è come se non fosse davvero qui, come se stesse cercando di estraniarsi dal mondo intero. È Tywin Lannister ad accompagnarla, il farsetto di velluto porpora è in netto contrasto con l’abito bianco di lei, e nel suo sguardo c’è una nota di soddisfazione, un ghigno malcelato. Quando Sansa arriva all’altare, a pochi metri di distanza da me, scorgo una lacrima solitaria solcarle una guancia. Nessun altro se ne accorge ed io mi sento spaccare in due dalla rabbia.  

Joffrey le prende il braccio e le rivolge uno sguardo cattivo che sembra dire “il peggio non è ancora arrivato”, e lei china il capo con passività. Il septon parla ad alta voce ed io ringrazio il cielo che sia così, perché sono certo che in caso contrario tutta la sala avvertirebbe il digrignare dei miei denti. Non piangere, uccelletto. Non dare soddisfazione a questi figli di puttana.

La cerimonia trascorre così in fretta che quasi non me ne accorgo. Alla fine, i novelli sposi si scambiano un bacio che mi fa storcere il naso e tutti i presenti si dirigono in fretta verso l’esterno, dove si sta tenendo il ricevimento. Alle calcagna del Re, mi soffermo un attimo a guardare i volti degli invitati: nobili in farsetto, donne strette in abiti di seta, vecchi con bastoni dorati e tutti, nessuno escluso, con un cazzo di sorriso di merda stampato sulla faccia. Vorrei prenderli per il collo e chiedere loro cosa ci trovino da sorridere, come possano anche solo pensare che questa cerimonia sia un motivo di gioia. Ma li vedete gli occhi della ragazzina?, vorrei urlare, Li vedete quelli del vostro Re, invece?Come potete anche solo far finta che vada tutto bene?!

 «Silenzio!» Urla Joffrey, una volta che tutti hanno preso posto nelle proprie tavolate. Io sono stato collocato a pochi metri dal tavolo principale degli sposi, in piedi e abbastanza vicino da udire perfettamente ogni discorso e proteggere il Re in caso di necessità. Le labbra di Joffrey si incurvano in un sorriso obliquo e cattivo mentre si rivolge a Sansa. «Mia signora, siete incantevole oggi», dice, baciandole il dorso della mano. Lei sorride a sua volta, un sorriso nervoso e di chi ha imparato che non bisogna mai fidarsi di nessuno, e abbassa lo sguardo.

«Siete troppo gentile, vostra grazia» Risponde con un filo di voce. Il ghigno di Joffrey si allarga.
«No, no, mia signora. La vostra bellezza è senza eguali, per questo motivo ho deciso di darvi un dono degno di voi!» Fa un gesto col capo ad un servo e quello corre subito a portargli un cofanetto d’oro pieno di ricami e pietre preziose. Gli invitati iniziano a mormorare fittamente mentre lo stomaco mi si aggroviglia in una morsa. Non mi piace questa situazione. Non mi piace per niente.

«Allora, non lo apri?» Chiede con voce falsamente dolce Joffrey. Sansa gli rivolge l’ennesimo sorriso accondiscendente, ma le sue dita tremano mentre cerca di sbloccare la serratura del cofanetto. Il lucchetto scatta e l’uccelletto deglutisce. Infine, il suo volto si distende in un sospiro di sollievo quando si decide a scoprire ciò che si cela al suo interno: una tiara dorata, riportante il simbolo dei Baratheon e degli Stark, ricolma di pietre preziose e rifiniture. Deve valere milioni di pezzi d’oro, forse anche di più.

«Una regina ha bisogno di una corona, non è forse così?».
«Sì, vostra grazia. Non so davvero come ringraziarvi per questo splendido dono» Sussurra lei, posando la tiara sul capo ramato. Joffrey sorride in risposta.
«E una Regina ha anche bisogno di una guardia del corpo, ovviamente. Altrimenti come farà a difendersi dai traditori? Sir Meryn!», sir Meryn arriva in pochi istanti: fra le dita regge una scatola parecchio più grande della precedente, dalla quale proviene un forte odore acre. Il volto dell’uccelletto impallidisce, mentre Joffrey si gode la scena alle sue spalle. Quando la scatola viene posata sulla tavola, Sansa deglutisce impaurita. Per un attimo, i suoi occhi azzurri si scontrano coi miei e posso leggere chiaramente ciò che stanno urlando: aiutami. 
«Che aspetti ad aprirlo?», la voce di Joffrey è fastidiosa come il ronzio di un insetto. «Aprilo, coraggio. È il tuo Re ad ordinarlo».

Da uccelletto ammaestrato qual è, Sansa fa come le è stato detto. Le sue dita sottili armeggiano con la serratura e in sala tutti trattengono il fiato, consapevoli di ciò che sta per accadere. Qualche metro più in là, scorgo il Folletto passarsi una mano sul volto e sussurrare qualcosa di simile a una preghiera. Poi è tutto un susseguirsi di eventi: Sansa getta un urlo, salta in piedi di colpo e il contenuto della scatola si riversa a terra rivelando così ciò che nascondeva: la testa del suo meta-lupo. Ho appena la fugace visione dei suoi occhi spenti, pieni di vermi, delle zanne giallastre e incrostate di sangue, che subito l’uccelletto crolla sulle ginocchia, premendosi forte le mani sulle labbra ed urlando di nuovo. Gli ospiti ridacchiano per chissà quale cazzo di ragione mentre Joffrey, piegato in due dalle risate, continua a guardare la testa del meta-lupo come fosse un semplice giocattolo rotto.  

«Visto, mia signora? Sono stato così generoso da restituirti quella bestiaccia per cui hai pianto tanto! Non sei felice?», domanda, ma il suo tono di voce non è più derisorio come prima. È cattivo, duro. Sta cercando la scusa per picchiarla davanti a tutti, quasi questo lo renda più forte agli occhi dei suoi sudditi. «Ti ho fatto una domanda, stupida. Rispondimi! Sei felice, mia dolce lady Sansa? Lo sei?».
Ma Sansa non risponde. Rimane in silenzio, accasciata su se stessa a piangere e singhiozzare. Una parte di me mi supplica di prenderla e portarla nelle sue stanze, l’altra, più forte, mi obbliga a restare dove mi trovo e non muovermi senza aver ricevuto alcun ordine. Sei il cane da guardia del Re, dice, E i cani rispondono solo a chi li nutre. 

«Mi hai sentito? Ti ho fatto una domanda! Sei sorda per caso, oltre che stupida?» Joffrey la strattona per un braccio e il viso rigato dalle lacrime dell’uccelletto mi si para davanti violento come uno schiaffo: i suoi occhi sono rossi, l’acconciatura dei suoi capelli è in disordine e le sue labbra sono piegate in una smorfia di rabbia e dolore che la fa somigliare tanto a suo padre. Irato, Joffrey la spinge a terra con uno strattone e le dà le spalle. «Vedete, madre? Mi avete costretto a sposare una ragazza stupida e sorda!», urla, e Cersei finalmente decide di intervenire. Lo allontana da Sansa, che rimane a terra a guardare con occhi inespressivi la testa mozzata del suo meta-lupo, e gli sussurra all’orecchio qualcosa che non riesco ad udire. Lui sbuffa come un moccioso a cui hanno tolto un giocattolo, riserva un’occhiataccia all’uccelletto e si decide a tornare a sedersi.

«Mastino!», mi chiama. Digrignando i denti per impedirmi di sputar fuori tutto ciò vorrei dire, mi dirigo verso di lui.
«Vostra maestà?».

Lui fa un cenno stizzito con la mano nella direzione di Sansa. «Portala nelle mie stanze, fai in modo che si asciughi quelle lacrime e sia pronta per la notte di nozze. Picchiala se non fa quel che dici ma risparmiale il viso… non mi piacciono le ragazze brutte. Quando questa festa sarà conclusa salirò a prenderla. Sono stato chiaro?», chiede, la voce stridula ed alzata di diverse ottave. Di nuovo, l’istinto animalesco di tagliarli la gola mi avvolge pesante come una coperta di lana, tuttavia mi costringo a chinare il capo ed annuire. Arrivo vicino al corpo esile dell’uccelletto e lei alza lo sguardo verso il mio: quando incontro i suoi occhi azzurri tanto disperati,  il mio stomaco si stringe. La sollevo da terra. Come tutte le volte, lei non oppone resistenza e rimane inerte contro il mio petto.

“Non piangere, uccelletto”, sussurro a voce tanto bassa che dubito che qualcuno oltre lei possa avermi udito. “Sei al sicuro ora”.

 
 
Quando arriviamo nelle stanze di Joffrey, il Mastino apre la porta con un calcio e in poche falcate arriva nei pressi del letto, posandomi lì come fossi una bambola di porcellana che rischia di rompersi al più piccolo tocco. Ho ancora gli occhi vuoti e pieni di vermi di Lady in mente, bruciano come vino su ferite aperte e mi sento struggere dal dolore al pensiero che questa notte dovrò concedermi a quel mostro. Pensavo che una volta diventata Regina avrebbe avuto più rispetto nei miei confronti, un minimo di riguardo in più, ma mi sbagliavo. Joffrey non ha riguardo per nessuno, benché meno che per me. Mi odia e farà sempre di tutto per ricordarmelo, per incolparmi di un peccato che non è il mio, ed io rimarrò fino alla mia morte chiusa in questa gabbia che si fa sempre più stretta e soffocante. Qualcosa mi bagna il dorso della mano. Sto piangendo di nuovo. Mi sento una stupida per questo; dovrei alzarmi e tornare al ricevimento, mostrarmi a tutti come una Regina che riesce ad affrontare ogni cosa, ma non ci riesco. Non riesco neanche ad alzare il capo ed il respiro mi si spezza in petto. Forse sto morendo. Dopotutto, come potrebbe un singolo essere umano contenere tutto questo dolore?

«Qui, piccola».

Alzo gli occhi e lo sguardo grigio del Mastino mi trafigge come una spada. Non vi è soddisfazione nel suo volto, né tristezza. C’è solo tanta, tantissima rabbia. Prima che possa fermarlo, le sue dita scorrono sulle mie guance e il fazzoletto porta via ogni lacrima, ogni traccia di quel dolore che mi attanaglia le viscere dacché il lord mio padre è morto. Restiamo in silenzio per alcuni minuti e all’improvviso mi accorgo che, per la prima volta, lui non mi fa più alcuna paura.

«Grazie», dico meccanicamente. Lui mi guarda ma non dice nulla, ed io faccio lo stesso.



 
Per tutto il tempo in cui è rimasto con me, il Mastino non ha più detto una sola parola. È rimasto seduto su una poltrona di velluto, il mento poggiato sulle nocche della mano, con lo sguardo corrucciato di chi non riesce a smettere di pensare a qualcosa. Nonostante ciò, non ho avuto bisogno di parole per capire quello che ha tentato di dirmi per tutto il tempo: fuggi, uccelletto, vola via adesso che nessuno ti guarda. E per quanto lo desiderassi, per quanto dolorosamente lo desiderassi, non l’ho fatto. Cosa avrei fatto una volta fuori? Dove sarei andata? Cosa mi sarebbe accaduto? Io non sono come Arya, non saprei mai cavarmela da sola lì fuori, per me sarebbe la fine. Quando ero a Grande Inverno, ricordo di aver liberato un passerotto chiuso in una gabbia. Lo vedevo sempre così triste, i suoi pigolii erano tanto infelici che una sera, nascosta dal manto della notte, scesi le scale che portavano ai giardini e aprii la gabbia. Provai una gioia tanto grande quando lui volò via! Insieme a lui, era come se anch’io fossi volata via e col sorriso sulle labbra tornai a dormire. Quando mi risvegliai, però, il sorriso si tramutò in pianto: il passerotto era morto durante la notte, le sue piume azzurre e gialle erano sparse ovunque e il suo piccolo corpicino era esamine a terra. Piansi a dirotto, così tanto che dovettero darmi del latte di papavero per calmarmi e solo più tardi il lord mio padre mi spiegò che ero stata dolce a volerlo liberare ma che non sempre uscire da una gabbia porta alla libertà. Il passerotto aveva passato troppo tempo chiuso in gabbia per ricordare come si volava e alla fine era caduto rompendosi entrambe le ali e la testa. Per questo ho paura di lasciare questa gabbia. Per questo non riesco più a volare.

All’improvviso la porta viene spalancata e Joffrey fa il suo ingresso. Sussulto e porto entrambe le mani al petto. Lui regge una spada e mi guarda come se fossi un insetto fastidioso. Infine rivolge il suo sguardo al Mastino, che è scattato in piedi non appena lo ha visto, e gli fa cenno di uscire.

«Resta fuori, Mastino», dice. «E non provare ad entrare se non sotto mio ordine».

Il Mastino annuisce, rivolge un ultimo sguardo nella mia direzione e si dirige fuori dalla stanza senza dire una parola. Quando la porta si richiude, realizzo che insieme a lui anche la mia ultima speranza di fuga è svanita.

Joffrey si toglie l’armatura ed è quasi doloroso constatare quanto sia simile al valoroso cavaliere che ho sempre sognato di sposare, quanto sia bello. Se le cose fossero andate diversamente, questa sarebbe stata la notte che avrei atteso più di ogni altra al mondo. Ma la vita non è una canzone e spesso i mostri si nascondono sotto mentite spoglie, pronti a saltar fuori quando meno te l’aspetti. E Joffrey, in questa storia, non è il mio principe ma il mostro da cui devo essere salvata.

Mi si avvicina con andatura lenta, come se volesse godersi ogni singolo attimo della mia paura, e quando mi è accanto sguaina la spada, puntandola verso il mio collo. Il respiro mi si mozza in gola mentre il mio cuore accelera i battiti come impazzito. Cosa vuole farmi? Mi taglierà la gola? La paura è tanta da impedirmi di urlare o di muovermi. Sono paralizzata e completamente alla sua mercé.

Oh, Madre, salvami! 

Chiudo gli occhi giusto un istante prima di veder la lama calare su di me. Quando il rumore sordo di uno strappo riecheggia nella stanza, getto un grido. Impiego qualche secondo per rendermi conto di non essere morta, che la mia testa è ancora dritta sul mio collo e che il mio cuore continua a battere. Schiudo gli occhi e abbasso lo sguardo sul mio abito di seta bianca ora strappato a metà, e capisco cosa sia accaduto: mi ha tagliato il vestito. D’istinto alzo le mani per coprirmi i seni ma Joffrey non me lo permette: afferra con rabbia i miei polsi e li stringe così forte da farmi male, spingendomi verso il bordo del letto. 

«Sei stupida, Sansa, ma sei bella» scandisce. «… E guardami quando ti parlo!». Obbedisco. Sotto la luce delle torce, il suo volto è ricoperto di ombre e tutto di lui sembra più inquietante del solito. Fatico a reggermi sulle gambe e cado sul letto portandomi dietro anche Joffrey. Non faccio in tempo a capire cosa sta accadendo che lui è sopra di me, le sue mani sudate strusciano sul mio corpo e si soffermano sui miei fianchi e i miei seni, stringendoli fino a farmi piangere dal dolore. «Mi fai male!», singhiozzo, ma piuttosto che fermarlo le mie suppliche non fanno altro che fomentarlo. Le sue labbra viscide premono sulle mie con forza, in maniera quasi brutale, e la sua lingua si fa strada nella mia bocca. Mi vien voglia di vomitare. Mi chiama cagna, puttana, mi sussurra all’orecchio che mi odia e che non sono nient’altro che un pezzo di carne, la figlia di un traditore, ed io lo supplico di smetterla e urlo che mi sta facendo male. So che il Mastino è ancora lì fuori, che sta sentendo tutto, e all’improvviso mi ritrovo a supplicare che entri a salvarmi come quel giorno durante la rivolta popolana

Un dolore atroce mi trapassa da una parte all’altra, così forte che persino urlare mi è impossibile. Con orrore, realizzo che le dita di Joffrey sono dentro di me, lunghe e crudeli. Affonda le unghie nella mia carne, mi morde il collo e ghigna soddisfatto nel vedere che mi sta facendo male, che non posso reagire. «Per favore, per favore basta! », lo prego, e come risposta ricevo il colpo secco di uno schiaffo in pieno volto, poi un altro e poi un altro ancora, finché anche piangere diviene impossibile.

«Non piangere, stupida! Non mi piaci quando piangi! Voglio che tu sorrida mentre ti prendo, hai capito? Se non lo farai, chiamerò il mio mastino e farò in modo che sia lui a farlo… Hai capito, mia signora? Sono stato abbastanza chiaro?» Le sue dita premono sulla mia faccia e mi costringono a guardarlo negli occhi. C’è una furia sadica nel suo sguardo ed io mi costringo a sorridere o perlomeno ad incurvare le labbra, mentre il sapore ferroso del sangue mi riempie la bocca. 

«S-Sì, vostra grazia» La mia voce è appena un sussurro che si perde nell’oscurità. Lui sorride beffardo e si libera delle braghe in fretta e in furia, senza smettere di guardarmi. Mi torna in mente il momento in cui aveva promesso clemenza per mio padre e poi lo aveva fatto giustiziare, la testa putrefatta di Lady e la sua risata cattiva. Quando lo sento premere tra le cosce, le parole escono dalle mie labbra prima che possa fermarle.

«Fermati!».

Per un istante sperimento la più completa e totale mancanza di emozioni. Non sento più nulla: né odio, né rabbia, né vergogna. Siamo solo io e Joffrey, adesso. Poi, tagliente come un rasoio, realizzo cosa ho appena detto e i miei occhi si sgranano. La mascella di Joffrey è serrata e i suoi occhi si assottigliano in due fessure colme di odio.

«Fermarmi?», la sua voce non è nient’altro che un sussurro. «Fermarmi?! Mi hai per caso dato un ordine?», le sue dita si stringono sui miei polsi e portano le mie mani in alto, alla sbarra del letto. «Hai la minima idea di chi sono io, stupida mocciosa?», grugnisce. Io mi dimeno, urlo e scalcio. Non voglio che mi faccia sua. Non mi importa se morirò per questo, non gli consentirò di prendere anche l’unica cosa che mi è rimasta! «Io sono il Re! Ed un Re non riceve ordini! Un Re fa quello che gli pare!», si china su di me e i suoi denti affondano sulla pelle candida del mio collo. Urlo con tutte le mie forze, mi dimeno ed urlo, urlo e urlo ancora. «Hai capito, lurida cagna? Hai capito?!».

«Lasciami andare! Lasciami!» Non so dove trovo la forza per farlo ma finalmente riesco a spostarlo da sopra di me giusto in tempo prima che riesca a finire ciò che aveva iniziato. Mi alzo a sedere, tirandomi indietro verso la sbarra del letto e coprendomi col lenzuolo il resto del corpo. Lui è ancora lì, a guardarmi con sguardo spietato – lo stesso del giorno in cui aveva deciso di decapitare mio padre. Sono certa che adesso mi picchierà, che mi farà del male e che forse mi ucciderà. Il coraggio di prima è svanito: adesso c’è posto solo per la paura.

«Forse», esclama Joffrey con voce simile allo stridio del ferro. Sul suo viso si apre un ghigno sadico mentre fa per riallacciarsi le braghe. «Considerando la cagna che sei, ti troverai più a tuo agio a farti scopare da uno della tua razza, no? Mastino!».
La notte sembra acquistare improvvisamente un corpo, quello poderoso del Mastino. Emerge dal buio come un’ombra, il cigolio della porta che si apre accompagna i suoi passi. «Maestà…», parla. La sua voce è grave come una lapide.

«Puniscila, Mastino! Puniscila! Prendila come la cagna che è fino a che non supplicherà il mio perdono! Fallo! Fallo adesso!».
Il silenzio che segue quelle urla è più assordante di mille grida. Per la prima volta, Sandor Clegane mi pare davvero turbato. Rivolge una rapida occhiata nella mia direzione ed io porto il lenzuolo ancora più in su per coprirmi, poi corruccia la fronte e si rivolge a Joffrey.

«Maestà, l’onore della Regina…».

«Non me ne importa niente del suo dannato onore! Prendila!» Sbraita Joffrey. Si alza e, in preda alla rabbia, afferra una fiaccola e la punta contro di lui, che subito si ritira spaventato. Il cuore mi sale in gola perché io so ciò che il fuoco rappresenta per lui. «Prendila o ordinerò ai miei sottoposti di bruciare anche l’altra parte della tua faccia!».

Il Mastino non dice nulla ma, per la prima volta, ho davvero paura di lui. Ha un attimo di esitazione, ma alla fine mi si avvicina lentamente. Ad ogni passo, respirare diventa sempre più difficile. Non mi guarda negli occhi mentre avanza ed io realizzo con orrore che vuole obbedire a Joffrey, che la paura del fuoco è troppo forte persino per lui. Le lacrime mi salgono agli occhi tutte insieme e un singhiozzo lascia le mie labbra con prepotenza. D’istinto mi ritiro ancor di più verso lo schienale del letto, quasi come se in questo modo potessi scomparire, e tutto il mio corpo trema senza ritegno. No, dèi, vi prego non lasciate che accada…

«No, vi prego, no… vi prego, non fatelo… non voi… vi supplico».

Lui grugnisce di rabbia e la sua mano va al pugnale nel fodero della sua cintola. Vuole farmi del male? Vuole minacciarmi con quel pugnale per farmi stare zitta? Joffrey  continua a guardarci con occhi vigili e colmi di rancore accanto a letto, ed io vorrei urlare fino a graffiarmi la gola tutto il mio dolore e la rabbia che mi stringono lo stomaco.

Proprio lui che mi aveva salvata… proprio lui che mi aveva fatto credere di potermi fidare, che fosse diverso. Proprio lui vuole umiliarmi in questo modo?

«Avanti, cane! Prendila! Prendila come la cagna che è! Fottila! Fottila a sangue! È il tuo Re che te lo comanda!» Grida Joffrey. All’improvviso il Mastino si ferma, i lineamenti del suo volto duri come pietra, e si volta verso di lui.

«’Fanculo il Re» Risponde. E, prima che Joffrey possa rendersi conto di cosa stia accadendo, il pugnale affonda nel suo petto.


 


- Note dell’autrice.

Eccomi qui!
Prima di tutto: grazie, grazie e grazie mille ancora per la risposta tanto calorosa che avete dato a questa fanfiction. Ero piena di complessi e certissima che non sarebbe mai potuta piacere, quindi sapere che vi è piaciuta mi rende di felicissima e vi ringrazio di cuore. 
Come al solito, lascio a voi i commenti. Spero di non essere andata OOC e di aver mantenuto la “tragicità” che questo capitolo doveva avere. Non avete la minima idea di quanto abbia goduto a scrivere la morte di Joffrey per mano di Sandor! Eheh :P
 Da adesso in poi inizia la storia vera e propria. Spero continuerete a seguirmi e che la storia vi appassioni. Per ogni dubbio, domanda o quant’altro, sono a vostra disposizione! Al prossimo capitolo!
P.S: grazie di cuore a 
TsunadeShirahime per il betaggio. <3
P.P.S: La canzone all’inizio della pagina è Bedroom Hymns, dei Florence and The Machine.
P.P.P.S: vi lascio il link del mio profilo Facebook, semmai voleste mettervi in contatto con la sottoscritta!
Link: 
https://www.facebook.com/harmony.efp.9?fref=ts

Baci, alla prossima settimana! 
   
 
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