── La
Comitiva degli Aspiranti Suicidi ──
“We know we
shouldn't do it but we do it anyway”
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“Il suicidio non elimina la possibilità che la vita
peggiori.
Il suicidio elimina la possibilità che essa diventi
migliore.”
Oliver Sykes
November 8
SUNDAY
Diventò
amico di Heinrich per mera fortuna o fu
un complesso artificio del causalismo?
Quando Peter si trasferì in Inghilterra era
equipaggiato di buone intenzioni, voglia di cambiare e un’abbondante dose di
speranza. Null’altro se non tanti umili sentimenti che miravano a cause
lodevoli come l’adempimento della virtù nella propria vita e la pace nel mondo.
Lui era fatto così.
Aveva deciso che sarebbe tornato in
Inghilterra perché era da lì che venivano i suoi bisnonni, due giovani
coraggiosi che avevano deciso d’imbarcarsi – con tutti i rischi che questo
comportava – in un’avventura verso il Nuovo Mondo alla ricerca di ricchezza e
fortuna. Non si aspettava di essere ben accolto in quella che sarebbe divenuta
la sua nuova patria, ma confidava nel suo temperamento tranquillo e socievole per
stringere presto delle nuove amicizie che lo avrebbero aiutato durante il nuovo
capitolo della sua vita. E così fu. Prima ancora di giungere a Londra fece la
conoscenza di un ragazzo che divenne uno dei suoi amici più fidati: era il suo
compagno di viaggio, Heinrich, un giovane violinista di
ritorno da uno spettacolo tenutosi a New York. Parlava un inglese molto
personale, lento e cantilenante, ma con la cadenza tipica di uno straniero e un
lieve accento che svelava le sue origini. Si era trasferito a Londra da Luzern perché “l’aria inglese lo rendeva più ispirato” – così
gli aveva confidato – e aveva preso alloggio in una piccola villa in periferia,
mentre Peter si era limitato ad affittare una modesta casetta a schiera in una
delle tante vie della città.
«È così suoni il violino, eh?» domandò
Peter, nel disperato tentativo di dimenticare i chilometri che lo speravano
dalla terra ferma. «Dev’essere difficile.»
«Quando si ama qualcosa nulla è impossibile!»
L’americano sorrise alle sue parole. Era la
prima volta che lo incontrava, ma gli stava già incredibilmente simpatico:
tutto in lui irradiava innocenza, bontà e un eccessivo ottimismo, uno di quei
caratteri socievoli dei quali è difficile diffidare. In un certo senso si
potrebbe dire che si somigliassero.
Dopo aver trascorso quasi otto ore di volo
insieme dovettero separarsi all’aeroporto, ma il violinista insistette affinché
si scambiassero i numeri di telefono per tenersi in contatto; così, anche se
non era un grande intenditore di musica classica, Peter finì per assistere a
diversi dei suoi spettacoli e rafforzare il loro legame di amicizia. Heinrich gli presentò alcuni dei suoi amici più intimi per
integrarlo nel gruppo e farlo sentire meno solo: quando si alloggia in una
nuova città e non si conosce nessuno ci si sente un po’ spaesati, e Peter era
stato tanto buono e gentile con lui che non meritava una simile sfortuna.
***
Uno
scroscio di applausi instancabili annunciò la fine dello spettacolo e tutti i
musicisti s’inchinarono di fronte al pubblico entusiasta. Heinrich
fece volare lo sguardo sui presenti, cercando il gruppo di amici che avevano
promesso di assistere alla sua esibizione; a volte si sentiva come un bimbetto
durante il giorno della recita. “Dove sono la mamma e il papà? Non sono venuti
a vedermi?”.
Il
sipario si chiuse e lui poté raggiungere Peter, Franklin, Gregor, Edward e… Dov’era Mark?
«Ehi,
Wolfie!» esultò Frank, un ricco avvocato marpione dal sarcasmo facile. «Sei
stato fantastico!». Frank adorava affibbiare nomignoli e quello di Heinrich fu uno dei più semplici: aveva deciso di chiamarlo
Wolfie per le sue prodigiose abilità sinfoniche e il
suo amore incondizionato per le opere di Mozart.
«Grazie, grazie mille, sono felice che siate venuti.»
«Figurati, a noi fa sempre piacere» lo rassicurò Edward.
«Su, tutti al bar, offre la casa!» esclamò
Gregor, incoraggiandoli a seguirlo con un gesto ripetitivo del braccio, come se
quello bastasse a radunarli tutti e trascinarseli dietro.
Era tarda sera e capirono di essere vicini al
bar quando cominciarono a sentire odore di ciambelle fritte e brioche calde. Il loro profumo era talmente forte e inebriante che
perfino i passanti, sentendolo, entravano per ordinarne una; Gregor, dopo
averle sfornate, ne teneva qualcuna vicino la finestra che affiancava
l’entrata, in modo da diffondere la dolce fragranza anche al di fuori del
locale.
Gregor salutò i colleghi e si fece spazio
nel retro del bancone, prendendo una cassetta di birra e diversi bicchieri di
vetro; mentre gli altri bevevano, Frank non era riuscito a placare la fame e
cedette alla tentazione di comprare una terza brioche, sotto lo sguardo
nauseato di Peter che – tra le altre
cose – era famoso per avere lo stomaco piccolo quanto una ciliegia.
«Ehi, Frankie-Frank, siamo venuti qui per
bere, non per mangiare!» lo rimproverò scherzosamente Gregor.
«Ma sono così buone…!
Questa è l’ultima, poi basta, promesso.»
Il giovane sorrise e riempì per l’ennesima
volta i bicchieri di tutti con della birra fredda; brindarono per la
meravigliosa esibizione di Heinrich e poi brindarono
ancora, perdendosi in sproloqui sulla musica, sulle brioche, sulla libreria di
Edward e sulle pessime abitudini di Frank. Poi Heinrich
si fece audace e domandò: «Come mai Mark non è venuto? Sta bene?»
«Era andato a trovare Agnes e Morgan. È
tornato stamattina e ha detto di essere troppo stanco per venire» rispose
Peter.
«Dove
vivono?» intervenne Frank, l’impiccione della combriccola.
«In
Svezia.»
«Ma
sono solo due ore di volo!»
Peter si passò una mano tra i capelli scuri e
si strinse nelle spalle con aria mortificata, neanche fosse stata colpa sua.
«Ho fame» li interruppe Gregor. «Vi va una
pizza?»
«Ma è
mezzanotte…» protestò Edward.
«Oh,
sì, una bella pizza, mi è venuta un’idea!» esclamò l’avvocato. «Peter, vieni
con me! – voi rimanete qui.»
«Frank, ma che cosa…»
Troppo tardi, l’amico era già uscito dal locale. «Ehi, aspetta!»
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Questo
capitolo (e il seguente, che forse pubblicherò lunedì) non
mi convince
affatto. Inizialmente mi sembrava un modo molto
carino
per presentare alcuni dei personaggi principali e secondari,
tuttavia… non saprei, c’è qualcosa che non va. Avevo pensato
di
abbandonare
quest’idea e provare a riscriverne un’altra, ma se ho
deciso
di pubblicare questa storia su EFP è proprio per conoscere
il
parere di altre persone e capire se ho fatto una sciocchezza o il
racconto
procede come dovrebbe, motivo per cui lascio la parola
a
voi...
Christopher